sabato 21 gennaio 2017

GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre Dopo i tumulti di Riesi


Truppe rientrano a Riesi Lo stato dei feriti Un sottotenente ucciso CALTANISSETTA 10 notte.


Finalmente, stamane dopo tre giorni di tumulti e di ansie nella cittadina di Riesi è ritornata una relativa calma. Stamane alle 2 dalla miniera di Trabia, ove si trovava concentrata, tutta la forza, composta di arditi, fanteria, carabinieri, agenti, mitragliatrici, ed artiglieri, mosse in colonna alla riconquista del paese. Da due giorni in vari punti della città si vedevano ad una certa distanza i contadini armati che guardavano l’ingresso montando a turno la sentinella. Stamane però all’alba quando gli arditi giunsero per primi alla porta della città, i contadini si squagliarono. Immediatamente si prese possesso di tutti i servizi pubblici, compreso il telegrafo. Secondo le notizie segrete pervenute al questore comm. Presti, comunicato subito al commissario Caruso, poterono essere rinvenute le armi, le munizioni e la mitragliatrice che i tumultuanti avevano tolto alla truppa. Il paese è occupato militarmente e vi regna una certa calma. Stamane qualche negozio cominciò a riaprire e i cittadini, dopo due giorni in cui sono rimasti serrati in casa, cominciarono a far capolino per le vie della città. Dai paesi vicini e da questo centro sono partiti dei medici per apprestare le cure ai feriti. I morti accertati finora ammontano a 10 dimostranti e fra gli stessi vi sono 50 feriti. Fra i militari sono stati feriti due soldati, ed è stato ucciso il sottotenente Di Caro Michele, da Villarosa, con un colpo di rivoltella alla gola. Il deputato provinciale ingegnere Accardi, ferito ieri nei tumulti, migliora sensibilmente. Trovasi sul posto l’Ispettore del Ministero dell’Interno comm. Trapi, inviato appositamente per procedere ad una inchiesta. L’on. Pasqualino Vassallo ha pubblicato un proclama alla cittadinanza, invitandola alla calma e promettendo tutto il suo interessamento per la soluzione dei più urgenti problemi che la interessano. L’on. Pasqualino Vassallo partirà presto per Riesi, per fare opera pacificatrice. In città ha fatto impressione l’arresto dell’avvocato Carmelo Calì, sul cui movente la questura mantiene il massimo riserbo. Pare che il Calì sia accusato di aver provocato i tumulti, d’accordo con l’Angeletti inducendo i contadini all’occupazione delle terre. Però nulla di preciso si è potuto finora sapere. Oggi intanto tanto l’Angeletti che il Calì sono stati condotti nel nostro carcere giudiziario. Molti altri arresti sono stati operati sul luogo. L’Angeletti, secondo notizie pervenute alla nostra questura, sarebbe un anarchico e disertore della Regia Marina. --------------


Questo il completamento della cronaca dei fatti di Riesi del successivo numero del Giornale di Sicilia. Come al solito, cronaca stringata ma molto efficace e soprattutto molto attendibile. Vorrei vedere come i detrattori attuali del Messana possano ficcare le loro infamanti calunnie in questo quadro effettuale di tragiche vicende. Certo, il movimento contadino non ci fa bella figura e noi che siamo di una certa parte politica e siamo fanatici e ne soffriamo, abbiamo voglia di sovvertire la verità dei fatti per comprovare la qualità delle nostre idee persino quali si calano nella inflessibile storia. Fede politica, attaccamento alle proprie scelte ideali, voglia di salvaguardare ricostruzioni storiche a noi favorevoli sono comprensibili ma come poi si possa arrivare alle calunnie e scempiaggini storiche dell'ANPI di Palermo è cosa sconcertante. Ecco quello che per l'ANPI di Palermo sarebbe avvenuto in quell'otto e nove ottobre del 1919 a Riesi e di chi sarebbe stata la colpa. E guarda caso in quel tempo in cui almeno in Sicilia di fascismo ancora nulla, ebbene non poté che essere un fascista il colpevole di tutto e non poté che essere stato il Messana il solito stragista e non più tardi del 2012 ci tocca leggere: “Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945!” Di sicuro, il Messana, deceduto nella metà degi anni ’60 non può più rintuzzare e sporgere una raffica di denunce per calunnia aggravata come fece con l’allora onorevole comunista Montalbano che fu cotretto ad una serie di contorcimenti giuridici etici e storici per cavarsela da una esemplare condanna. Forse a qualcuno può venire in mente che trattasi di personaggio ormai storico e quindi lo si piuò dileggiare come più fa comodo. E no! E lo dico a tutti i detrattori del Messana, da Malgrado Tutto a Link Sicilia, alla Cernigoi, a Lucarelli, a Rai tre, a Bompiani, a Casarrubea, a Procacci e ad un altro paio di cronisti che abboccarono alla lauta pietanza offerta dall’ANPI et similia. La famiglia Messana c’è ancora, sta pagando costi altissimi morali economici e materiali per questa martellante campagna di infamie assurde e inventate contro il gr. Uff. comm. di SS. Maurizio e Lazzaro, l’ispettore generale di PS dott. Ettore Messana da Racalmuto, il paese di Sciascia.


E costoro, codesti detrattori vogliono almeno procedere ad un ravvedimento operoso, ad una resipisenza specie ora che vengono a galla mari di documenti non tanto giustificativi del Messana quanto comprovanti senza ombra di dubbio che al Messana non possono appiopparsi le infamie che artatamente e in modo martellato stanno facendo circolare.






GENT.MO professore.non ho modo di far recapitare alla Cenigoi le mie controdeduzioni alle sue insolenze. Ove Ella avesse possibilità di avere un qualche modo e sempre che volesse adoperarsi in una faccenda che non la riguarda Le sarei particolarmente grato. 
Vedo adesso che la signorina Cernigoi cerca di infilzarmi con la sua femminea alabarda. Intanto non sa che il prof. Casarrubea si è dissociato dalla querula goriziana. Attacca tanto il siciliano Messana e poi si scandalizza che in Sicilia chiamarsi Lillo è cosa usuale. Ma per una titina è ben comprensibile che il tutto si fermi nelle foibe triestine. Non solo quello di cui si scandalizza la signorina goriziana ma molto altro ho scritto a difesa del buon nome di Messana, con ferrea documentazione che frantuma le ampollosità documentaristiche della trentaduenne sposata. Il tasco torto non sa cos'è? non sa nulla di mafia? Mi ha tagliato tutti i canali di comunicazione e quindi non ho potuto farle avere questa mia ultima fatica che la chiama (in negativo) in causa. Vedrà quando affronterò la faccenda della sua Lubiana. Trascrivo sotto tutto quello che mi dice sperando che mi denunci, visto che qualche familiare del Messana la potrebbe denunciare penalmente e perseguirla civilmente. La smetta di dare apodittici giudizi basandosi su fasulli documenti. Quanta alla fasullità o incongruenza delle carte che cita ho già molto pubblicato nel mio CONTRA OMNIA RACALMUTO e molto pubblicherò ancora, non mi fermo alla prima taverna. E così forse le ho giustificato il mio cognome dato che quanto al mio diminutivo di Calogero, Lillo appunto, tale nomen trova nella dessa titini rigetti. -------------
 
sabato 21 gennaio 2017
Racalmuto: Piano regolatore generale e precari. Proficua trasferta a Palermo dei consiglieri comunali Mantione, Maniglia e Pagliaro
Nota stampa dei consiglieri comunali R.P.D.T.
Ivana Mantione
Sergio Pagliaro
Salvatore Maniglia
Mentre il Sindaco Messana e la sua giunta, con il supporto dei voltagabbana della lista Borsellino, continuano a dimostrare la loro inadeguatezza, affrontando delicatissimi problemi, quali il rinnovo dei precari e la revisione del P.R.G., con un atteggiamento burocratico, scrivendo lettere e facendo telefonate, i consiglieri comunali di “Racalmuto prima di tutto”, si impegnano con decisione e con il gusto atteggiamento per la risoluzione dei problemi.
Ieri 20 gennaio 2017, infatti, il presidente del Consiglio Mantione ed i consiglieri comunali Maniglia e Pagliaro, in rappresentanza di tutti gli otto consiglieri, si sono recati a Palermo presso l’Assessorato regionale Autonomie Locali e Funzione Pubblica, per il rinnovo dei precari, e presso l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente, per il P.R.G.
Mantione, Maniglia e Pagliaro alle ore 10,30 hanno incontrato il direttore generale dell'Assessorato Autonomie Locali e Funzione Pubblica, Arch. Giuseppe Morale, per sollecitare una soluzione per i precari di Racalmuto, in riferimento alla legge n.27 del 29 dicembre 2016, che prevede, per i comuni che hanno fatto ricorso al piano di riequilibrio finanziario, la proroga con il numero di ore in corso al 31 dicembre 2014. I consiglieri comunali hanno evidenziato come nella fattispecie del Comune di Racalmuto, questo porterebbe ad una grande penalizzazione dei lavoratori precari poichè, per effetto del piano di riequilibrio, a quella data, i contratti erano stipulati per 18 ore settimanali, nonostante, nel corso dell'anno 2014 i contratti erano stati prorogati per 24 ore settimanali. Da conteggi effettuati emergerebbe che la disponibilità finanziaria con i soli fondi regionali sarebbe stata sufficiente per oltre 21 ore settimanali. I consiglieri comunali hanno chiesto una soluzione per la realtà del comune di Racalmuto. Il D.G. si è impegnato ad effettuare un approfondimento. In caso di esito negativo, rimane la strada di un emendamento alla legge n. 27/2001, in sede di approvazione della Legge Finanziaria, nel prossimo mese di febbraio, al fine di consentire la proroga dei contratti in base alle risorse finanziarie assegnate al Comune dalla Regione al 31 dicembre 2014 e, quindi, per un maggior numero di ore. I consiglieri comunali di “Racalmuto prima di tutto”, seguiranno passo passo l’evolversi della situazione, anche incontrando i deputati regionali e daranno tempestive, doverose e puntuali informazioni ai precari.
Alle 12,30 Mantione, Maniglia e Pagliaro si sono recati all’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente per incontrare il funzionario Arch. Sacco, che si sta occupando dell’iter di approvazione del Piano Regolatore di Racalmuto.
L’incontro,svoltosi con l’assoluta disponibilità del funzionario, è servito ai Consiglieri per conoscere lo stato di attuazione dello strumento urbanistico e per sollecitare i tempi di approvazione dell’importante e strategico Piano.
Il funzionario ha comunicato di avere già quasi completato l’iter di sua competenza per la trasmissione al Comitato Regionale Urbanistica , ma che è ancora in attesa di ricevere dal Comune di Racalmuto, l’attestazione relativa alla pubblicazione delle osservazioni al piano. I consiglieri si sono impegnati a sollecitare il Comune ad inviare la suddetta attestazione con immediatezza, in qual caso l’Arch. Sacco si è impegnato, a sua volta, a trasmettere gli atti al C.R.U. per la seduta del 20 febbraio p.v.
I Consiglieri, inoltre, hanno fatto notare che, in sede di pubblicazione dello strumento urbanistico, le forze politiche, non ancora presenti nel consiglio comunale, perché il comune era commissariato, avevano fatto delle osservazioni di carattere generale che servivano a migliorare le scelte progettuali del PRG e che sarebbe stato necessario rivedere tali osservazioni.
Si è registrata la disponibilità del funzionario in tal senso e, pertanto, il presidente del Consiglio Comunale si è impegnato a convocare un consiglio comunale specifico per la trattazione dell’argomento e successivamente a trasmettere la delibera all’Assessorato per l’inserimento della stessa nei documenti da sottoporre all’approvazione del C.R.U.
I Consiglieri sperano dunque di porre rimedio al rigetto di tutte le osservazioni fatto dalla Commissione Prefettizia, per rendere più rispondente ai bisogni della città il nuovo piano regolatore generale. L’Arch. Sacco ha comunicato inoltre che è necessario approvare un piano attuativo per completare la documentazione del PRG.
A tal fine i Consiglieri comunali lunedì mattina si recheranno al Comune per sollecitare l’invio della certificazione richiesta dall’Assessorato al fine di accelerare l’approvazione del P.R.G. che è attesa da anni e che rimetterebbe in moto l’economia del paese.
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Leggo e plaudo a qsuesti tre autorevoli rappresentanti della maggioranza del Consiglio Comunale sfiduciante il Sindaco che imperterrito continua a stare aggrappato al suo scranno egemone forte di due soli consiglieri di opinabile significatività, rimasti imperterriti a supportarlo-
Penso che si siano recati in quel di Palermo a spese loro. Nel caso applausi raddoppiati.
Da loro fervido estimatore mi permetto alcune osservarzioni diciamo contrappositive.
Inizio dal Piano regolatore. Cui prodest? Spero che non siano fondati i miei sospetti circa lo zompino di qualcuno che ha interesse a questo obbrobrio di novello piano regolatore proposto. Alla cittadinanza che da questo piano regolatore viene strafottutta interesserebbe il rirìtiro di questo piano regolatore; la reviviscenza del vecchio piano regolatore - OTTIMO - specie per la clausola dello 0,10% di edificabilità ai fini della villeggiatura estiva (intelligente strumento edilizio di grande positività per l'economia locale e del tutto legittimo).
Quanto ai precari: il ptroblema va risolto sul serio una tantum con equità. Avrei da suggerire soluzioni salutari e che già ho detto e ridetto incontrando anche il vostro non voler sentire.
Ne discende che non mi va di pagare tasse comunali esosre perchè non vi va di chiedere all'ITALKALI le tante imposte comunali, tanto dà 10 mila euro per beneficenza alla estanea Fondazione, che rendeno euforico l'evanescente assessore alla cultura.
Perché non vi va di recuperare i 15 milioni di euro che regalate sol perchè alla fin fine se non voi potrebbero venire colpiti vostri familiari più o meno stretti.
Perché da un lato qualcuno illegittimanente si impossessa del castelluccio e poi si guarda bene dal corrispondere gli ineludivìbili oneri catastali e comunali, dato che il vostro UfficioTecnico il giorno dorme, la notte non vede.
Etc. Etc.
 

IL PRIMO MAGGIO 1947: PORTELLA DELLA GINESTRA

Vorrei ricordare il 1° maggio riportando un brano di U. Santino a cura del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”  su quanto accadde il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra.
La strage di Portella della Ginestra
Nel pianoro a metà strada tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia di Palermo, la festa del primo maggio 1947, a cui partecipavano migliaia di persone, fu interrotta da una sparatoria che, secondo le fonti ufficiali, causò 11 morti e 27 feriti. Successivamente, per le ferite riportate, ci furono altri morti e il numero dei feriti varia da 33 a 65.
I contadini dei paesi vicini erano soliti radunarsi a Portella della Ginestra per la festa del lavoro già ai tempi dei Fasci siciliani, per iniziativa del medico e dirigente contadino Nicola Barbato, che era solito parlare alla folla da un podio naturale che fu in seguito denominato “sasso di Barbato”. La tradizione venne interrotta durante il fascismo e ripresa dopo la caduta della dittatura. Nel 1947 non si festeggiava solo il primo maggio ma pure la vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del popolo nelle prime elezioni regionali svoltesi il 20 aprile. Sull’onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo, ribaltando il risultato delle elezioni per l’Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al 20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%).
La campagna elettorale era stata abbastanza animata, non erano mancate le minacce e la violenza mafiosa aveva continuato a mietere vittime. Il 1947 era cominciato con l’assassinio del dirigente comunista e del movimento contadino Accursio Miraglia (4 gennaio) e il 17 gennaio era stato ucciso il militante comunista Pietro Macchiarella; lo stesso giorno i mafiosi avevano sparato all’interno del Cantiere navale di Palermo. Alla fine di un comizio il capomafia di Piana Salvatore Celeste aveva gridato: “Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del popolo non avrà né padre né madre” e la stessa mattina del primo maggio a San Giuseppe Jato la moglie di un “qualunquista truffatore” – come si legge in un servizio del quotidiano “La Voce della Sicilia” – aveva avvertito le donne che si recavano a Portella: “Stamattina vi finirà male” e a Piana un mafioso non aveva esitato a minacciare i manifestanti: “Ah sì, festeggiate il 1° maggio, ma vedrete stasera che festa!” (in Santino 1997, p. 150). Eppure nessuno si aspettava che si arrivasse a sparare sulla folla inerme, ormai lontana la memoria dei Fasci siciliani e dei massacri successivi.
Prima i mafiosi e i partiti conservatori poi solo i banditi
La matrice della strage appare subito chiara: la voce popolare parla dei proprietari terrieri, dei mafiosi e degli esponenti dei partiti conservatori e i nomi sono sulla bocca di tutti: i Terrana, gli Zito, i Brusca, i Romano, i Troia, i Riolo-Matranga, i Celeste, l’avvocato Bellavista che durante la campagna elettorale aveva tuonato contro le forze di sinistra e a difesa degli agrari. I carabinieri telegrafano: “Vuolsi trattarsi organizzazione mandanti più centri appoggiati maffia at sfondo politico con assoldamento fuori legge”; “Azione terroristica devesi attribuire elementi reazionari in combutta con mafia” (ivi, p. 153). Vengono fermate 74 persone tra cui figurano mafiosi notori. All’Assemblea costituente il giorno dopo la strage Girolamo Li Causi, segretario regionale comunista, lancia la sua accusa: dopo il 20 aprile c’è stata una campagna di provocazioni politiche e di intimidazioni, durante la strage il maresciallo dei carabinieri si intratteneva con i mafiosi e tra gli sparatori c’erano monarchici e qualunquisti. Viene interrotto da esponenti dei qualunquisti e della destra e il ministro degli interni Mario Scelba dichiara che non c’è un “movente politico”, si tratta solo di un “fatto di delinquenza” (ivi, p. 155). Scelba ritorna sull’argomento in un’intervista del 9 maggio: “Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono assolutamente singolari” (ivi, p. 159). Nel frattempo i fermati vengono rilasciati e si afferma la pista che porta alla banda Giuliano, il cui nome viene fatto dall’Ispettore di Pubblica Sicurezza Ettore Messana, lo stesso che l’8 ottobre 1919 aveva ordinato il massacro di Riesi (15 morti e 50 feriti) e che ora Li Causi addita come colui che dirige il “banditismo politico”. La banda Giuliano sarà pure indicata come responsabile degli attentati del 22 giugno in vari centri della Sicilia occidentale, con morti e feriti.
L’inchiesta giudiziaria si concentra sui banditi e procede con indagini frettolose e superficiali: non si fanno le autopsie sui corpi delle vittime e le perizie balistiche per accertare il tipo di armi usate per sparare sulla folla. Il 17 ottobre 1948 la sezione istruttoria della Corte d’appello di Palermo rinvia a giudizio Salvatore Giuliano e gli altri componenti della banda. La Corte di Cassazione, per legittima suspicione, decide la competenza della Corte d’assise di Viterbo, dove il dibattimento avrà inizio il 12 giugno 1950 e si concluderà il 3 maggio 1952, con la condanna all’ergastolo di 12 imputati (Giuliano era stato assassinato il 5 luglio del 1950).
Nella sentenza, a proposito della ricerca della causale, si sostiene che Giuliano compiendo la strage e gli attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si richiama la tesi degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato come “un plotone di polizia”, supplendo in tal modo alla “carenza dello Stato che in quel momento si notò in Sicilia” (ivi, pp. 191 s). Cioè: la violenza banditesca era stata impiegata come risorsa di una strategia politica volta a colpire le forze che si battevano contro un determinato sistema di potere. Restava tra le righe che le “carenze dello Stato” erano da attribuire all’azione della coalizione antifascista allora al governo del Paese. La sentenza di Viterbo non toccava il problema dei mandanti della strage e dell’offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove.
Contro la sentenza fu proposto appello e il processo di secondo grado si svolse presso la Corte d’assise d’appello di Roma (nel frattempo molti degli imputati, tra cui Gaspare Pisciotta, erano morti). La sentenza del 10 agosto 1956 confermava alcune condanne, riducendo la pena, e assolveva altri imputati per insufficienza di prove. Con sentenza del 14 maggio 1960 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso del pubblico ministero e così la sentenza d’appello diventava definitiva.
Una strage per il centrismo
Nella storia d’Italia il 1947 è un anno di svolta e la strage di Portella ha avuto un ruolo nello stimolare e accelerare questa svolta, intrecciandosi con dinamiche che maturano a livello locale, nazionale e internazionale. Il 13 maggio si apre la crisi politica con le dimissioni del governo di coalizione antifascista presieduto da De Gasperi. Il 30 maggio a Roma e a Palermo si formano i nuovi governi: De Gasperi presiede un governo centrista con esclusione delle sinistre e alla Regione siciliana il democristiano Giuseppe Alessi presiede un governo minoritario appoggiato dai partiti conservatori, senza la partecipazione del Blocco del popolo, nonostante la vittoria alle elezioni del 20 aprile. Si apre così una nuova fase della storia d’Italia, in cui le forze di sinistra saranno all’opposizione. La svolta si inserisce nella prospettiva aperta dagli accordi di Yalta che hanno codificato la divisione del pianeta in due grandi aree di influenza, con l’Italia dentro lo schieramento atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e la guerra fredda come strategia di contrasto e di contenimento del potere sovietico.
Nel gennaio del ’47 De Gasperi era andato negli Stati Uniti ma è frutto di una visione semplificatrice pensare che abbia ricevuto l’ordine di sbaraccare le sinistre dal governo. In realtà la svolta del ’47 è figlia di un matrimonio consensuale in cui interessi locali, nazionali e internazionali coincidono perfettamente. Il messaggio contenuto nella strage è stato pienamente recepito e da ora in poi a governare, accanto alla Democrazia cristiana che nelle elezioni del 18 aprile 1948 si afferma come partito di maggioranza relativa, dopo una campagna elettorale volta a esorcizzare il “pericolo rosso”, saranno i partiti conservatori vanamente indicati come mandanti del massacro. In questo quadro la Chiesa cattolica ha un ruolo di primo piano. Il cardinale Ernesto Ruffini, a proposito della strage di Portella e degli attentati del 22 giugno, scrive che era “inevitabile la resistenza e la ribellione di fronte alle prepotenze, alle calunnie, ai sistemi sleali e alle teorie antiitaliane e anticristiane dei comunisti” (in Santino 2000, p. 180), plaude all’estromissione delle sinistre dal governo, ma la sua proposta di mettere i comunisti fuori legge, rivolta a De Gasperi e a Scelba, rimarrà inascoltata. I dirigenti democristiani sanno perfettamente che sarebbe la guerra civile.
Alla ricerca dei mandanti
La verità giudiziaria sulla strage si è limitata agli esecutori individuati nei banditi della banda Giuliano. Nell’ottobre del 1951 Giuseppe Montalbano, ex sottosegretario, deputato regionale e dirigente comunista, presentava al Procuratore generale di Palermo una denuncia contro i monarchici Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come mandanti della strage e contro l’ispettore Messana come correo. Il Procuratore e la sezione istruttoria del Tribunale di Palermo decidevano l’archiviazione. Successivamente i nomi dei mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle audizioni della Commissione parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori nel 1963. Nel novembre del 1969 il figlio dell’appena defunto deputato Antonio Ramirez si presenta nello studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera riservata del padre, datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che l’esponente monarchico Leone Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di sparare a Portella, ma solo a scopo intimidatorio, che erano costantemente in contratto con Giuliano i monarchici Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva detto, nel corso degli interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su Bernardo Mattarella era vero, che Giuliano aveva avuto l’assicurazione che sarebbe stato amnistiato (in Santino 1997, p. 207).
Montalbano presenta il documento alla Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all’unanimità una relazione sui rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a proposito della strage scriveva: “Le ragioni per le quali Giuliano ordinò la strage di Portella della Ginestra rimarranno a lungo, forse per sempre, avvolte nel mistero. Attribuire la responsabilità diretta o morale a questo o a quel partito, a questa o quella personalità politica non è assolutamente possibile allo stato degli atti e dopo un’indagine lunga e approfondita come quella condotta dalla Commissione. Le personalità monarchiche e democristiane chiamate in causa direttamente dai banditi risultano estranee ai fatti”. Il relatore, il senatore Marzio Bernardinetti, addebitava i risultati deludenti alla mancata o scarsa collaborazione delle autorità: “Il lavoro, cui il comitato di indagine sui rapporti fra mafia e banditismo si è sobbarcato in così difficili condizioni, avrebbe approdato a ben altri risultati di certezza e di giudizio se tutte le autorità, che assolsero allora a quelli che ritennero essere i propri compiti, avessero fornito documentate informazioni e giustificazioni del proprio comportamento nonché un responsabile contributo all’approfondimento delle cause che resero così lungo e travagliato il fenomeno del banditismo” (in Testo integrale…1973).
Nel 1977, in pieno clima di “compromesso storico” tra Partito comunista e Democrazia cristiana, ben poco propizio alla ricerca della verità, il Centro siciliano di documentazione comincia la sua attività con un convegno nazionale dal titolo “Portella della Ginestra: una strage per il centrismo” in cui si ricostruisce il quadro in cui è maturata la strage, considerata non come il prodotto di un disorientamento e di un vuoto politico (come sosteneva anche la storiografia di sinistra: Francesco Renda considerava l’uso della violenza come “repugnante delinquenza comune” e un “errore grossolano” che avrebbe portato all’isolamento dei proprietari terrieri: Renda 1976, p. 23) ma come “un atto di lucida, e ragionata, violenza volto a condizionare il quadro politico, regionale e nazionale” purtroppo coronato da successo (Centro siciliano di documentazione 1977; Santino 1997, pp. 8, 60).
Successivamente ci sono state varie pubblicazioni, più meno documentate, sulla strage e sulla banda Giuliano (Galluzzo 1985, Magrì 1987, Barrese – D’Agostino 1997, Renda 2002) e l’interpretazione della strage di Portella come “strage di Stato” ha segnato buona parte dei lavori del convegno che si è svolto nel maggio del 1997, nel cinquantesimo anniversario (Manali, a cura di, 1999; Santino ivi). Il convegno si concluse con la richiesta della desecratazione della documentazione raccolta dalla Commissione antimafia, pubblicata negli anni successivi in vari volumi (Commissione antimafia 1998-99). Nel frattempo la costituzione dell’Associazione “Non solo Portella”, ad opera di familiari delle vittime, e l’attività di ricerca del suo presidente, lo storico Giuseppe Casarrubea, figlio di una delle vittime dell’attentato di Partinico del 22 giugno, hanno portato a significativi risultati (Casarrubea 1997, 1998, 2001). Anche sulla base di perizie effettuate sui corpi di alcuni superstiti si è documentato che tra le armi utilizzate c’erano bombe-petardo di produzione americana; da testimonianze risulta che tra gli esecutori c’erano mafiosi e le ricerche sui materiali dell’archivio dell’Oss (Office of Strategic Services) e del Sis (Servizio Informazioni e Sicurezza) del ministero dell’Interno hanno prodotto ulteriore documentazione sul ruolo degli Stati Uniti (già documentato precedentemente: sugli incontri del bandito Giuliano con l’agente americano Michael Stern: Sansone – Ingrascì 1950, pp.143-150; sulla politica estera degli Stati Uniti, ricostruita attraverso documenti d’archivio: Faenza – Fini 1976) e rivelato i rapporti tra banditismo e formazioni neofasciste (Vasile 2004, 2005).
Ricostruzioni recenti (La Bella – Mecarolo 2003) hanno contribuito ad arricchire il quadro della documentazione sul contesto, sono stati pubblicati significativi documenti degli archivi italiani e americani sui primi anni della Repubblica (Tranfaglia 2004) e un film (Segreti di Stato del regista Paolo Benvenuti, accompagnato da un volume: Baroni-Benvenuti 2003) ha riproposto il tema delle complicità chiamando in causa vari soggetti, dai dirigenti della Democrazia cristiana alla X MAS di Junio Valerio Borghese, ai servizi segreti americani, al Vaticano, in un “gioco delle carte” non sempre convincente.
Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell’inchiesta. Per Portella, come del resto per le altre stragi che hanno insanguinato l’Italia, la verità è ancora lontana.
Riferimenti bibliografici
Baroni Paola – Benvenuti Paolo, Segreti di Stato. Dai documenti al film, Fandango, Roma 2003.
Barrese Orazio – D’Agostino Giacinta, La guerra dei sette anni. Dossier sul bandito Giuliano, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.
Casarrubea Giuseppe, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, F. Angeli, Milano 1997; Fra’ Diavolo e il Governo nero. “Doppio Stato” e stragi nella Sicilia del dopoguerra, F. Angeli, Milano 1998; Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, F. Angeli, Milano 2001.
Centro siciliano di documentazione, 1947-1977. Portella della Ginestra: una strage per il centrismo, Cooperativa editoriale Cento fiori, Palermo 1977. Una parte degli Atti del convegno fu pubblicata nel fascicolo Ricomposizione del blocco dominante, lotte contadine e politica delle sinistre in Sicilia (1943-1947), Cento fiori, Palermo 1977.
Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, Pubblicazione degli atti riferibili alla strage di Portella della Ginestra, Roma 1998-99, Doc. XXIII, nn. 6, 22, 24.
Faenza Roberto – Fini Marco, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.
Galluzzo Lucio, Meglio morto. Storia di Salvatore Giuliano, Flaccovio, Palermo 1985
La Bella Angelo – Mecarolo Rosa, Portella della Ginestra. La strage che ha insanguinato la storia d’Italia, Teti Editore, Milano 2003.
Magrì Enzo, Salvatore Giuliano, Mondadori, Milano 1987.
Manali Pietro (a cura di), Portella della Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), S. Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 1999, con 2 volumi di Documenti, a cura di G. Casarrubea.
Renda Francesco, Il movimento contadino in Sicilia e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari 1976; Salvatore Giuliano. Una biografia storica, Sellerio, Palermo 2002.
Sansone Vincenzo – Ingrascì Giuseppe, 6 anni di banditismo in Sicilia, Le edizioni sociali, Milano 1950.
Santino Umberto, La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l’emarginazione delle sinistre, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997; La strage di Portella, la democrazia bloccata e il doppio Stato, in P. Manali (a cura di), op. cit., pp. 347-375; Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000.
Testo integrale della relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, vol. II, Cooperativa Scrittori, Roma 1973, Relazione sui rapporti tra mafia e banditismo in Sicilia, pp. 983-1031.
Tranfaglia Nicola, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani. 1943-1947, Bompiani, Milano 2004.
Vasile Vincenzo, Salvatore Giuliano, bandito a stelle e a strisce, Baldini Castoldi Delai, Milano 2004; Turiddu Giuliano, il bandito che sapeva troppo, con un saggio di Aldo Giannuli, l’Unità, Roma 2005.
Giuseppe Impastato nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l’ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, “L’Idea socialista” che, dopo alcuni numeri, sarà sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla “Marcia della protesta e della pace” organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. In una breve nota biografica Peppino scrive:
“Arrivai alla politica nel lontano novembre del ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. E’ riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività. Approdai al PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuole rompere tutto e cerca protezione. Creammo un forte nucleo giovanile, fondammo un giornale e un movimento d’opinione, finimmo in tribunale e su tutti i giornali. Lasciai il PSIUP due anni dopo, quando d’autorità fu sciolta la Federazione Giovanile. Erano i tempi della rivoluzione culturale e del “Che”. Il ’68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l’adesione, ancora na volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega. Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. E’ stato anche un periodo, delle dispute sul partito e sulla concezione e costruzione del partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico. Alla fine di quell’anno l’adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario, del PCD’I ml.- il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione ), è stato molto forte. Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava sempre più una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia. E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal partito. Fui anche trasferito in un. altro posto a svolgere attività, ma non riuscii a resistere per più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un pò di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai.Mi trascinai in seguito, per qualche mese, in preda all’alcool, sino alla primavera del ’72 ( assassinio di Feltrinelli e campagna per le elezioni politiche anticipate ). Aderii, con l’entusiasmo che mi ha sempre caratterizzato, alla proposta del gruppo del “Manifesto”: sentivo il bisogno di garanzie istituzionali: mi beccai soltanto la cocente delusione della sconfitta elettorale. Furono mesi di delusione e disimpegno: mi trovavo, di fatto, fuori dalla politica. Autunno ’72. Inizia la sua attività il Circolo Ottobre a Palermo, vi aderisco e do il mio contributo. Mi avvicino a “Lotta Continua” e al suo processo di revisione critica delle precedenti posizioni spontaneistiche, particolarmente in rapporto ai consigli: una problematico che mi aveva particolarmente affascinato nelle tesi del “Manifesto” Conosco Mauro Rostagno : è un episodio centrale nella mia vita degli ultimi anni. Aderisco a “Lotta Continua” nell’estate del ’73, partecipo a quasi tutte le riunioni di scuola-quadri dell’organizzazione, stringo sempre più o rapporti con Rostagno: rappresenta per me un compagno che mi dà garanzie e sicurezza: comincio ad aprirmi alle sue posizioni libertarie, mi avvicino alla problematica renudista. Si riparte con l’iniziativa politica a Cinisi, si apre una sede e si dà luogo a quella meravigliosa, anche se molto parziale, esperienza di organizzazione degli edili. L’inverno è freddo, la mia disperazione è tiepida. Parto militare: è quel periodo, peraltro molto breve, il termometro del mio stato emozionale: vivo 110 giorni di continuo stato di angoscia e in preda alla più incredibile mania di persecuzione ”
Nel 1975 organizza il Circolo “Musica e Cultura”, un’associazione che promuove attività culturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. All’interno del Circolo trovano particolare spazio ìl “Collettivo Femminista” e il “Collettivo Antinucleare” Il tentativo di superare la crisi complessiva dei gruppi che si ispiravano alle idee della sinistra “rivoluzionaria” , verificatasi intorno al 1977 porta Giuseppe Impastato e il suo gruppo alla realizzazione di Radio Aut, un’emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l’esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull’ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio “eclatante”.
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.
Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino.
Sulla biografia di Peppino è stato girato il film I cento passi.
Buon Primo maggio. Nicolò Scialfa
Ai primi passi della nostra ricerca storica su chi veramente fosse to Ettore Meessana, nostro concittadino, ci imbattemmo in questo comunista stalinista Girolamo Li Causi. Leggemmo disorientati il suo discorso sibilante del 15 luglio 1947 a due mesi e mezzi dall'eccidio di Portella della Ginestra (1° maggio 1947).  Pur nell'imbarazzo per le crudezze accusatorie del celebrato gerarca rosso, pubblicammo quella concione che oggi stigmatizziamo con tutte le nostre forse  e se si vuole forti di tanta documentazione seria acquisita che mette a nudo la fragilità e forse la malafede di  quella straboccante concione licausiana. La ripubblichiamo.

sabato 7 giugno 2014

Li Causi Messana e i calunniatori di Messana

Questo è il discorso di Li Causi che per incidens accusa il Messana. Procederemo a soppesarlo e arriveremo a conclusioni ora meno passionali e meno politicizzate. Emergerà senza ombra di dubbio che i successivi calunniatori del grande questore o ispettore generale di PS  gr. uff. Dottore Ettore Messana, che pensano di trarre da questo intervento parlamentare la fonte e la base per le loro diffamazioni calunniatrici, se persone oneste e mentalmente corrette dovranno fare resipiscenza  e procedere a ravvedimenti operosi specie nei confronti della Famiglia Messana che di recente ha subito danni materiali, morali e persino fisici a   causa di codeste allegre calunnie e di questo fare apparire come cose certe e storicamente provate quelle che erano invece denigratori giudizi di valore.
Sicilia 1 maggio 1947
La strage di Portella delle Ginestre
La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana

La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana: 11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi. 
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò  una   banda  di  predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?
Assemblea Costituente. Seduta del 15 luglio 1947
Intervento di Girolamo Li Causi
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all'Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l'opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l'opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male. Certo, se noi cominciamo con l'affermare che i delitti che avvengono in Sicilia non differiscono da quelli del resto d'Italia, cioè affoghiamo in un unico grigiore di avvenimenti, rinunciamo a priori ad approfondire le origini del male. Ma certi esponenti politici, certa stampa si compiacciono di questo grigiore schermendosi con l'affetto verso la propria regione, con la carità di patria e simili luoghi comuni, cadendo in perfetta contraddizione con i giudizi di altri uomini responsabili, che per essere a capo delle forze di polizia, come chi comanda i carabinieri dell'Isola, esprimono giudizi ben altrimenti concreti e differenziati. Ho qui sotto'occhio un rapporto riservato del Comando della terza Divisione carabinieri del 9 ottobre… Voci dal centro. Ma è riservato!…
LI CAUSI. Sì, ma che c'è di male? Me ne servo lo stesso. E leggo: "Si legge spesso sulla stampa, e lo afferma specialmente quella separatista, che la situazione creata dalla delinquenza in Sicilia non è peggiore di quella esistente in Emilia o in qualche altra regione e si cita, ad esempio, anche il recente movimento dei partigiani, al cui confronto le ribellioni separatiste sarebbero pallida cosa. Tutto ciò non è vero, perché la situazione della pubblica sicurezza dell'Isola è realmente grave, come non lo è mai stata e come non lo è in nessuna regione del Continente, anche per l'abbondanza delle armi automatiche e da guerra di cui dispone ora la delinquenza e di cui usa ed abusa contro le vittime dei suoi disegni e contro la polizia. Basti citare che molti proprietari sono stati costretti a non recarsi più nelle campagne per tema di sequestro o di peggiori conseguenze; che in alcuni Comuni si registrano diecine e diecine di omicidi, qualche esecuzione di massa, numerose sparizioni di persone di cui non si ha più notizia; che i proprietari, oltre alle tasse dovute allo Stato, per salvaguardar le case, le piantagioni, le coltivazioni, pagano "il pizzo" per un cospicuo ammontare alla mafia locale o a qualche gruppo di delinquenti; che la tenebrosa associazione della mafia con minacce e violenze ha molto contribuito alla mancata riuscita dei granai del popolo".
Questo si dice in una relazione del Comando dei carabinieri, ricca di rilievi e considerazioni, dove è spiegato perché ancora non si riesce a far chiaro in questa folta ed intricata matassa e dove si smentisce in pieno la posizione che, a proposito dei recenti luttuosi avvenimenti siciliani, ha assunto il Governo col dire: "Mah! La delinquenza in Sicilia non differisce da quella delle altre regioni".
Il 26 giugno di quest'anno, alle porte di Alcamo, avvenne un conflitto fra una banda armata ed un gruppo di carabinieri comandati da un capitano. Ebbene, tutta la stampa, unanime, rileva che nei confronti del capobanda, badate bene, del capo-banda, certo Ferreri -- che per alcuni mesi da quanto risulta dai rapporti ufficiali dell'Ispettore di pubblica sicurezza della Sicilia -- è stato a capo delle bande dell'E.V.I.S., ed è qui descritto col nome di Salvatore d'Alcamo, cioè non è stato identificato, si elencano niente di meno che i seguenti delitti: "Era evaso da un penitenziario dell'Alta Italia e dal 1944 era stato il più influente luogotenente di Giuliano. Aveva preso parte alle aggressioni delle caserme dei carabinieri di Grisi, Bellolampo, Borgetto, Montelepre, Pioppo e Piano dell'Occhio. Aveva un odio particolare per i carabinieri ed aveva partecipato a numerosissimi conflitti, tra cui l'aggressione ad un autocarro, che incendiò e distrusse, ferendo il capitano dell'Arma Rocco Tinnirello. Aveva ucciso il carabiniere Vincenzo Meserendino; aveva tentato di uccidere l'ufficiale Mario Vistrianni, incendiando e distruggendo una camionetta di polizia; aveva ucciso i carabinieri Filippo Marino e Antonio Smeraldo nell'abitato di Montelepre; aveva aggredito, ancora in contrada San Cataldo di Terrasini, autocarri di soldati e carabinieri, uccidendo quattro soldati e ferendo due militi; aveva aggredito la camionetta dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza ferendo il vicebrigadiere Tuzzeo; era colpevole degli omicidi del carabiniere Giovanni Adarni, del carabiniere Sassano e del tentato omicidio dei carabinieri Vella e Gentile; era altresì colpevole dell'aggressione alla macchina del capitano dei carabinieri Pagano di Monreale; aveva organizzato una serie di conflitti con i militi di Montelepre, culminati con il ferimento di alcuni militari e l'uccisione del tenente Felice Testa; aveva pure organizzato l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Filippo Scimone ed il tentato omicidio del brigadiere Arcadipane sullo stradale di Sancipirrello, nonché attacchi ad autocarri carichi di soldati e carabinieri con l'uccisione del caporal maggiore Lombardo e del soldato Cinquemani. "Il Ferreri era anche specialista in sequesti di persona, dei quali i più importanti sono quelli di: Virga, Apostolo, Di Lorenzo, Agnello, Ugdulena, Vanella, Collicchia, Arcuri, ecc., ecc. ".
Questa la serie di orrendi misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali.
Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di socnfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
Ma è possibile che il Ministro Scelba si possa fidare di un uomo di cui si presume che conosca anche il passato? Lasciamo stare che Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!", ma Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato.
Questi i precedenti del commendator Messana, noti al ministro dell'Interno. Ci troviamo, come vedete, di fronte ad un uomo che per istinto è contro il popolo, e trova, nei legami con i nemici del popolo, il modo di esercitare la professione di massacratore di contadini. Oggi, sfacciatamente, questo non può farlo, per quanto nel clima creatosi in Sicilia è possibile -- in Sicilia, terra dei "Vespri" -- che i poliziotti di Scelba, ministro siciliano, aggrediscano un pacifico corteo di donne che dimostrano contro il carovita.
Oggi è possibile in Sicilia questo, perché agli interni c'è un ministro siciliano, così come nel 1894 a soffocare nel sangue il movimento dei fasci dei lavoratori fu un altro ministro siciliano, Francesco Crispi. Si è tentato, come nei primi decenni del secolo, di stroncare il movimento contadino, assassinando capilega e segretari di Camere del lavoro; a quest'azione di intimidazione il popolo siciliano risponde con la superba affermazione democratica del 20 aprile; allora l'agraria, la mafia ricorre al terrore di massa e si hanno Pian della Ginestra e le stragi del 22 giugno. Ma l'Ispettore Messana, che ha il compito di proteggere agrari e mafiosi, che è uomo che obbedisce a pressioni di parte, ordisce intrighi politici, suggerisce a Scelba la parola d'ordine che il Ministro fa subito sua: le stragi siciliane sono opera di banditi comuni, e Messana diviene il perno di una situazione infernale: Messana si allea ai banditi di strada. Il popolo siciliano, il popolo italiano tutto, hanno diritto di chiedersi come sia possibile il perdurare di un tale stato di cose.
All'annunzio dell'orrendo crimine di Pian della Ginestra, subito, d'impulso le più alte autorità preposte all'ordine pubblico in Sicilia hanno detto: "Questo è un tipico delitto di mafia; bisogna iniziare un'azione a fondo contro questi assassini"; ma è intervenuto il Ministro Scelba prima alla Costituente, poi in Sicilia; ma credete che sia andato laggiù per disporre l'azione di ricerca e pronta punizione dei veri responsabili? No; è andato solamente per salvare la mafia, per dire: "Niente; questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati". E degli ufficiali dei carabinieri sono venuti da me, piangendo, a dirmi: "Vedete, questi sono i telegrammi di contr'ordine che sospendono le operazioni di polizia che avevamo iniziato".
Ora, il diritto di sospettare che una collusione esista fra banditismo, certi partiti politici e, fino a prova contraria, governo è legittimo e allarma la popolazione siciliana, allarma e commuove giustamente tutto il Paese; è quindi assolutamente necessario uscire da questa situazione e oggi esistono condizioni favorevoli per farlo; c'è il movimento delle masse lavoratrici in Sicilia capace di aiutare questo processo di risanamento nel campo sociale; ci sono i partiti democratici che debbono costringere tutte le forze politiche della Sicilia ad assumere la propria responsabilità, a liberarsi dai legami con la mafia, con questa cancrena, con questo banditismo politico-sociale che continua a vivere di ricatti, di prepotenze, di estorsioni, di omicidi. Oggi esistono queste condizioni: sfruttiamole, poggiamo sul movimento delle masse, poggiamo sui partiti veramente democratici, e su questa azione inseriamo l'azione di polizia che sarebbe confortata da tutta quanta l'opinione pubblica.
 
L'eccidio di Portella non è il primo nella Sicilia dell'immediato dopoguerra, ma appare diverso da ogni altro: per l'elevato numero di morti e feriti, la singolarità del bersaglio, le curiose rispondenze con la politica che sta prevalendo nel governo del paese. Quanto basta, in definitiva, per legittimare il sospetto che dietro quel delitto si celino organi di Stato.
In effetti, dopo un breve indugio sui possibili esecutori e i mandanti dell'eccidio, in alcuni organi di stampa si punta dritto alla politica, corroborati da un certo sentire comune, che via via si rende manifesto, a partire dall'isola. Alberto Jacoviello è sicuro nel titolare un reportage da Montelepre per il "Nuovo Corriere" di Firenze, Giuliano sa tutto e per questo verrà ucciso, riassumendo le proprie convinzioni in questo passaggio: "Giuliano conosce esecutori e mandanti. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l'ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha". 
Il subbuglio suscitato da Portella è comunque discreto e, per certi versi, interiore. Manca quella subitanea e gridata marea di sdegno che è seguita al delitto Matteotti nel 1924, e che ha messo alle strette, sia pure per un solo attimo, lo stesso governo Mussolini. Nondimeno, il risentimento partito da quel pianoro siciliano è destinato a durare, per il succedersi puntuale d'altri delitti, e i riflessi che ne verranno negli ambiti della comunicazione e del costume politico. E fra coloro che, già a caldo degli eventi, si fanno portavoce di quello sdegno spicca il comunista Girolamo Li Causi, uomo di carattere, recante alle spalle oltre quindici anni di carcere fascista. 
Il discorso che il dirigente della sinistra pronuncia, in un clima di tumulti, alla Costituente nella seduta del 2 maggio 1947, giorno successivo a Portella, costituisce un po' il lancio ufficiale della sfida. Bersaglio del dirigente comunista non sono soltanto gli ambienti monarchici e mafiosi dell'isola, che in quei primi frangenti indica quali diretti responsabili del massacro, bensì anche "alti funzionari addetti alla polizia", alludendo anzitutto all'ispettore di PS Ettore Messana. Li Causi censura inoltre lo stesso ministro dell'Interno, che s'è affrettato a negare, con equivoca certezza, ogni politicità all'eccidio. 
Tale esordio risente, ovviamente, della concitazione di quei giorni; nondimeno è indicativo d'un percorso plausibile, che viene meglio esplicitato in occasioni successive. Alla seduta della Costituente del 15 luglio, infatti, comunisti e socialisti già espulsi dal governo, il leader siciliano si esprime con veemenza su possibili correità governative, mentre definisce gli equivoci di Messana, del resto tristemente noto nell'isola perché responsabile della strage di Riesi nel 1919, con trecidi contadini uccisi, massacratore in Grecia negli anni della guerra, implicato infine nella strana morte di un carabiniere. 
In quella seduta, Girolamo Li Causi si assume il compito di illustrare l'interpellanza presentata assieme con Giuseppe Montalbano, Riccardo Lombardi, Virgilio Nasi, Umberto Fiore e Luigi Sansone al presidente del Consiglio e dai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia sulla gravità della situazione in Sicilia.
Il giovane Ettore Salvatore Tancredi Messana poté comunque fare studi regolari e ben si laureò in legge in quel di Palermo. Risulta che finita la guerra del '15-'18 proprio a Racalmuto iniziò ad esercitare la professione di avvocato professando addirittura idee socialiste. Ma ben presto entrò in Polizia e in qualità fi Vice Commissario fu addetto al Commissariato di Mussomeli.
Apprezzato dalla Questura di Caltanissetta, nell'Ottobre del 1919 viene mandato in missione a Riesi per sedare i tumulti contadini volti ad occupare le terre di un feudo nobiliare.
Gli affidano un nucleo di soldati sotto il comando del sottotenente dell'esercito Di Caro da Acquaviva, appena ventenne, dotato di ben due mitragliatrici.
Il giovane Vice Commissario Messana mostra autorevolezza e riesce in un primo tempo a sedare quei torbidi ispirati da tale Angeletti che viene da lontano e il mestatore avvocato Calì. Tutto bene finché quegli agitatori non riescono a radunare una folla tumultuante nella piazza principale di Riesi. Messana dà ordine di sgomberare la piazza. Angeletti si oppone pretendendo di fare un comizio sobillatore. Mentre vi è una siffatta trattativa la folla assale il comando militare.
Partono dalla folla colpi d pistola, viene ferito un militare. La reazione dei militari sono il comando di Di Caro è immediata e feroce, Una diecina di morti, 50 feriti. Il comando militare si disperde, la folla tumultuante si impossessa delle mitragliatrici. Il Messana nulla può ma di nulla è responsabile.
Un colpo di pistola alla nuca fredda il giovane sottotenente Di Caro. Ovviamente veniva ritenuto responsabile di quella reazione eccessiva dei suoi soldati. Messana non viene per nulla molestato. Giungono forze nuove, commissari esperti e dopo un paio di giorni la situazione torna alla normalità.
Da Roma il governo Nitti, peraltro non ostile ai socialisti, manda un ispettore generale di polizia per una inchiesta. Passa al setaccio l'operato del Messana cercando di colpevolizzarlo ma i fatti sono quelli e nulla si può addebitare al Messana.
Viene restituito al commissariato di Mussomeli. Ma qui il Messana resta poco e forse per sottrarlo ai tentativi di linciaggio morale in cui esplode l'avvocato Calì che era stato messo in galera come sobillatore dei fatti delittuosi di Riesi, lo trasferiscono in Continente.
A Bolzano e fu la sua fortuna. Qui eccelle tanto da essere preso in considerazione dai suoi superiori al Ministero per una promozione a questore addirittura nella importante sede di Palermo. ma il ras fascista di Sutera Mormino ha altre mire e quella promozione sfuma.
Quando, però, c'è da scegliere un valido funzionario per andare ad occupare la direzione della neo questura di Lubiana in Slovenia si sceglie proprio il Messana. Da qui una grande storia ove il Messana svetta come preciseremo in altra occasione.
Muore a Roma, rispettato apprezzato anche da De Gasperi, probo, indenne da indebiti profitti e viene tumulato, come grand-commis dello Stato al Verano, il prestigioso cimitero di Roma. .
Calogero Taverna
Non neghiamo che sulla presenza del giovane vice commissario Messana a Riesi fummo scettici per un paio di anni fino a quando potei appurare che sì c'era stato ma con inciarichi ruolo e mansioni tutt'altro che criminali come si cercè di insinuare a cominciare da Li Causi per passare a Casarrubea e quindi all'ANPI di Palermo, al mio non disoprezzato ex sinaco Petrotto e in sintonia il reboante ma vacuo MALGRADOTUTTO; ho dovuto tamponare i vari Clogero Alaimo Di Loro, Gero Difrancesco, Gaspare Agnello e sotto sotto Pio Messana.