mercoledì 22 novembre 2017

Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia

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Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, al centro Gaetano Collotti
« I luoghi della memoria dell’oppressione e della lotta sono tanti. A cominciare da via Bellosguardo a Trieste, dove in una villa demolita ormai da tempo ebbe sede per un certo periodo l'Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia, l'organismo istituito dal regime nel 1942 con il compito di combattere il movimento partigiano ormai affermatosi anche nelle province giuliane. L'ispettorato si distinse per l'uso sistematico della tortura sugli arrestati e la villa di via Bellosguardo divenne nota per le urla dei seviziati che si sentivano dall'esterno. Un'altra sede dell'ispettorato fu l’attuale stazione dei carabinieri di via Cologna a Trieste, che è anche l’unica sede dell’organismo ancora esistente. Da notare che il torturatore più efferato, l’ispettore di polizia Gaetano Collotti, è stato insignito nel 1954 dalla Repubblica Italiana di medaglia di bronzo al valore per il comportamento tenuto durante un’operazione antipartigiana e che diversi componenti l’ispettorato caduti durante la guerra o nella resa dei conti a guerra finita sono ricordati sulla grande lapide che nell’atrio della Questura di Trieste ricorda i poliziotti caduti nell’espletamento del proprio dovere »
Nell'aprile del 1942 il Ministero dell'interno istituisce a Trieste un organismo di repressione a cui viene assegnato il nome di Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia. L'ispettorato viene incaricato della repressione dei movimenti antifascisti, sia slavi che italiani; è stato l'unica struttura esclusivamente dedicata a tale scopo in Italia e nelle aree occupate. L'uso di metodi di tortura fu sistematico e capillare con gli antifascisti catturati, e non si trattò di imitazione delle tecniche di interrogatorio dei nazisti infatti tali metodi furono usati già prima della caduta di Mussolini, come testimoniato da quanto dichiararono i componenti dell'ispettorato nel corso dei processi durante il dopoguerra.
La prima sede dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia era in via Bellosguardo 8, già nota come Villa Triste. Fu questa la prima fra le numerose "Ville tristi" che sorsero in Italia nel corso della II guerra mondiale[1] L'ispettorato generale era agli ordini di Giuseppe Gueli ed aveva un organico 180 uomini.


Dopo l'8 settembre 1943[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'Ispettorato prosegue la sua attività contro gli antifascisti ma essendosi messo agli ordini dei germanici si occupa sensibilmente della cattura degli ebrei.[2] Il governo repubblicano scioglie l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza e lo ricostitusce con il nome di Ispettorato Speciale; la catena di comando è comunque mantenuta sempre con a capo Gueli, lo stesso a cui Pietro Badoglio aveva assegnato la custodia di Mussolini dopo l'arresto.
« Allorché mi convocò, il capo della Polizia mi chiarì che si trattava di salvaguardare la persona di Mussolini e di impedire, in tutti i modi, che i tedeschi lo rapissero. In tal caso, bisognava far fuoco sul prigioniero e far trovare un cadavere. Risposi che ero un uomo di battaglia non un assassino e allora lui mi disse che della bisogna erano stati incaricati i Carabinieri. Badoglio volle conoscermi, e a presentarmi al Capo del Governo provvide Senise. Il Maresciallo ripeté a me la consegna già data a Polito e io, come Polito, assicurai che l'avrei fedelmente e, occorrendo, personalmente eseguita. Nella notte, trascorsa insonne, però, presi la mia decisione: poiché la sorte, fra milioni d'ltaliani restati fedeli al Duce, dava a me l'occasione favorevole, dovevo fare di tutto per salvarlo. L'indomani, mi recai in Sardegna e constatai che, per clima e per sicurezza Mussolini si trovava molto male. Se gli inglesi avessero avuto notizia della sua presenza alla Maddalena, avrebbero potuto facilmente impadronirsene o seppellirlo sotto le macerie della villa con quattro cannonate delle loro navi" »
(Giuseppe Gueli, Ispettore Generale[3])
Dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso Gueli si porta dietro diversi agenti che avevano tenuto "prigioniero" Mussolini e l'organismo appena formato dipende dal Ministero dell'Interno della Repubblica di Salò, ufficialmente, ma in pratica sotto controllo del comando SS con sede Trieste. Fra gli agenti più spietati vi è Gaetano Collotti. Sarà lui che si occuperà di torturare personalmente Ercole Miani, ex Legionario di Fiume e comandante partigiano.
Tullio Tamburini, prefetto di Fiume, innalza al grado di maresciallo Sigfrido Mazzuccato, ex squadrista fascista, con lo scopo di costituire un nucleo che si occupi degli interrogatori e costituito da un reparto di polizia ausiliaria, la cui sede è posta in via San Michele. Il nucleo è conosciuto al tempo come "squadra Olivares" e conta 200 membri, la cui maggioranza è cooptata fra gli squadristi fascisti locali. Il reparto verrà sciolto in settembre dalle autorità germaniche. Lo stesso Mazzucato fu inviato in Germania e se ne perdono le tracce fino al processo a Gueli.

Alcune testimonianze tratte dagli atti del processo a Gueli[modifica | modifica wikitesto]

il dottor Paul Messiner, di nazionalità austriaca, nel 1944 aveva l'incarico di capo-sezione Giustizia del Supremo Commissariato della Zona di Operazioni del Litorale Adriatico:
« Mi è stato riferito che nell’anno 1944 l’Ispettorato di P.S. di via Bellosguardo, trasferitosi dopo in via Cologna, procedette all’arresto dei fratelli Antonio e Augusto Cosulich (armatori che avevano finanziato il C.L.N., n.d.a.). Il barone Economo si rivolse al Supremo Commissario dott. Rainer per ottenere l’immediato trasferimento dei detenuti dall’Ispettorato alla sede delle S.S. di piazza Oberdan, a causa dei noti sistemi di tortura dei detti agenti italiani, usati contro patrioti. Il Supremo Commissario accolse subito la richiesta e disse che la polizia tedesca non usava i metodi crudeli e le sevizie escogitati dall’Ispettorato [26]… Ho saputo da diverse persone e tra queste dall’avv. Tončič, che la polizia italiana usava metodi barbari e sadici contro i detenuti. Ho parlato e fatto rapporto scritto al dott. Rainer... Mi sono state date assicurazioni in merito. (...) Il giudice Anasipoli sa che ho fatto arrestare due agenti dell’Ispettorato pur non rientrando nelle mie attribuzioni. (...) Ho dato ordine che i tribunali provinciali italiani non potessero giudicare antifascisti e che se avessero violato tale ordine sarebbero stati arrestati. (...) »
[4]
l'avvocato Tončič:
« Slavik mi disse di aver fatto un esposto al capo della sezione giustizia dell’ex-Commissariato dott. Paul Messiner e me lo mostrò. In tale esposto oltre a narrare quanto contro di lui era stato commesso dagli agenti (dell’Ispettorato, n.d.a.), espose anche i maltrattamenti e le violenze carnali commesse ai danni di una ragazza diciassettenne e di una signora di Trieste... Il dott. Slavik fu arrestato poco tempo dopo dalle S.S. germaniche e deportato a Mauthausen dove purtroppo trovò la morte »
[4]
Arrestato nel 1944, all'età di 16 anni, Pietro Prodan, insieme a Nives e Nerina, sue sorelle:
« Tra i poliziotti che procedettero al nostro arresto c’era anche Sigfrido Mazzuccato. »
Dopo un periodo ci circa un mese negli uffici del "gruppo Olivares" dove i tre furono percossi anche da Gaetano Collotti:
« mi hanno portato in Germania al campo di Buchenwald dove sono stato liberato dagli alleati. Nello stesso campo di concentramento è venuto nel novembre del 1944 anche il maresciallo Mazzuccato che la vigilia di Natale è stato, verso mezzanotte, trasportato nel forno crematorio e gettato in esso. Ho visto coi miei occhi la cartella scritta dai tedeschi in cui si diceva: “Mazzuccato, deceduto per catarro intestinale il 24 dicembre 1944 »
[4]
Il rebus della sparizione di Mazzuccato fatto rimuovere dal comando SS dall'incarico è stato risolto.
Agli atti del processo ci son numerosissime testimonianze sui "metodi di interrogatorio" queste testimonianze sono agli atti sia del processo a Carico di Gueli sia di quello relativo alla Risiera di San Sabba. Da tali testimonianze si deduce che il metodo della tortura non era occasionale bensì sistematico e lo stesso vescovo di Trieste, mons. Santin, intervenne tentando di porre fine a tal modo di agire nel 1942, dopo un periodo di incredulità su quanto era venuto a conoscenza, ma senza gli esiti che il prelato si era prefisso.

Specifico sulla caccia agli ebrei e l'uso dei delatori[modifica | modifica wikitesto]

Un altro dei compiti dell'Ispettorato, oltre la cattura e gli "interrogatori" di partigiani ed antifascisti, era quello di prelevare gli ebrei.
« Prima della seconda guerra mondiale gli ebrei triestini erano circa 5.000. Si trattava di una comunità di antico insediamento, assai radicata nella vita culturale ed economica della città. Dopo le leggi razziali fasciste del 1938 e l'istituzione anche a Trieste di uno dei famigerati "Centri per lo studio del problema ebraico" (uno dei 4 istituiti in Italia) molte famiglie decisero di emigrare all'estero, sottraendosi alla persecuzione fascista. Ciononostante fascisti e nazisti riuscirono dopo l'8 settembre a catturare e a deportare nei campi di sterminio più di 700 ebrei triestini »
[5] da inviare ai lager germanici e per questo compito specifico potevano disporre della non trascurabile cifra di 10.000 lire messa a disposizione dai nazisti per i delatori che avessero permesso una cattura. I catturati dopo un passaggio negli uffici del "gruppo Olivares" venivano inviati alla Risiera di San Sabba.
Quindi il gruppo si poteva avvalere di delatori organizzati sistematicamnete che riferivano alla "banda Collotti", nome con cui è meglio conosciuto il gruppo di agenti dell'Ispettorato, o ai preposti organi delle SS. Un caso è molto noto è quello relativo a Giorgio Bacolis, impiegato presso il Lloyd Triestino, il quale si travisava da pastore evangelico oppure valdese a seconda della bisogna, per poter ottenere più facilmente informazioni, anche da persone che non erano delatori, lui ebbe un "premio" di 100.000 lire per avere fatto catturare un membro di rilievo del CLN.

I processi del dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Nel dopoguerra furono istituiti processi a carico di alcuni membri dell'Ispettorato. Quello di maggior peso era riferito a Giuseppe Gueli, Umberto Perrone, Nicola Cotecchia, Domenico Miano, Antonio Signorelli, Gherardo Brugnerato e Udino Pavan. In seconda istanza Gueli ebbe una condanna ad 8 anni ed undici mesi, gli altri pene molto minori, a parte Cotecchia e Perrone che vennero direttamente assolti. Lucio Ribaudo con capi di imputazione gravissimi inerenti a un pervicace e continuo metodo di applicazione feroce della tortura fu condannato a 24 anni. Essendo stato Gaetano Collotti trucidato dai partigiani nel corso dell'eccidio della cartiera di Mignagola insieme alla fidanzata incinta, il difensore di Gueli si giocò la carta di impostare la difesa sul fatto che Gueli era "succube" di Collotti. Gueli fu assolto il 27 febbraio 1947.[6]

Note[modifica | modifica wikitesto]

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