mercoledì 22 marzo 2017

cosa era un biglietto da100.00o lire della Banca d'Italia?

 

 

 

Carissimo amico mio ho dato uno sguardo a quello che scrive la Consulenza Legle della Banca d'Italia. La cucchiacchiera in mano di li criatura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una topica colossale sin dall'esordio è allucinante

confondere la monetazione metallica di un tempo con quella cartacea ante CE è da bocciatura senza appello in diritto bancario.

Vedrò se i miei residui referenti in via Nazionale s'inducano a cacciarli via da AVVOCATI INTERNI DELLA BI.

Ho sempre celiato su Capriglione, ma in confonto quello era un dio del diritto. Come è caduta in basso la fucina furba assai di Molle e figliolini.
Ti mando uno studio serio ove troverai il tuo paradiso curialesco.
 
La BI era "ISTITUTO DI EMISSIONE " e come tale soltanto era Istituto di diritto pubblico (in epoca fascista) ai sensi dell'Art. 20 della vecchia Legge Bancaria (cosiddetta).

 Ora quella legge è stata maldestramenre messa in soffitta e per le ragioni che il sottostante studio mette in risalto.

La Banca d'Italia è un'anonima Società provata di capitali assoggettata a tutto il regime del privatistico diritto commerciale.
 
Come tale è assoggettata alla giurisdizione ordinaria ai sensi delle nostre scetre costituzionali.
 
Quanto alle funzioni pubbliche la Banca d'Italia ne è stata totalmente privata. Chi accede in banca  presta giuramento di fedeltà alla Costituzione. Emblematico.
 
Altro obbrobrio  è equiparare i vecchi biglietti BI ai titoli del Debito Pubblico (continuo a chiamarli così mentre la stessa BI, tramite i suoi ispettori di Vigilanza non li chiama neppure più PUBBLICI ma  NAZIONALI (v. ispezione MPS).
 
E quanto al MPS ricordiamo alla Consulenza legale che Fazio si è beccato sanzioni penali e monetari per avere creduto che potesse fare MORAL SUASION e non so come finirà a Visco che in tv candidamente confessa ch quanto all'Etruria  vi ha fatto ricorso. Ovvio cosa suggeritagli da questa consulenza legale di giovani ed inesperti.
 
Tutte le funzioni pubbliche della Banca d'Italia Tremonti gliel'ha sottratte per darle alla più manovrabile CONSOB.Vi sarà un pensamento? Lo spero.
 
Il debito pubblico appartiene al Tesoro e stava (cambiati i nomi la sostanza è la stessa) nel Gran Libro del Debito Pubblico.
 
Quelle belle carte filigranate della Banca d'Italia sono indefiniili. Ma volendo fare una classificazione son TITOLI DI CREDTO ASTRATTI ATIPICI. Insomma - banalmente - sono cambiali della Banca d'Italia come si evince da questo simpatico TITOLO MONETARIO ma a corso forzoso. I debitori qui sono il vecchio Menichella e un cassiere che non leggo (oggi vi si trovano ancora stampigliati Turchetti o l'ancor vivente Speziali. Nessuna firma di organi dello Stato né ministri e neppure Direttori generali alla Monorchio o chi vi pare. Roba del tutto privata. Lo Stato non c'entra proprio, la Ragioneria Generale dello Statto e il suo Ragionere Generale non c'entra. Ormai i titoli del debito pubblico non circolano più. Tutto informatizzato, tutto accentrato per legge nel Monte Titoli. Non far sapere al contadio quanto è buono  il fornaggio etc.
 

Ma dove stava e per quello che vedremo ove sta codesto oceano di carta " medio circolante"a corso forzoso?:
 

nelle passività della banale società per azioni denominata Banca d'Italia, in una posta.

In una  POSTA PATRIMONIALE PASSIVA.

Vi diamo un esempio quello dell' anno 1999: codesto oceano di cambiali camuffate della Banca d'Italia sta  alla voce sub 1) del Passivo dello Stato Patrimoniale della Banca Italia, mica del Tesoro!!

Miliardi di miliardi di milioni di migliaia di LIRE

Sia chiaro DEBITI DELLA BI, come allora dichiarati da una regolare ma privata banca gestitta autocraticamente  ai sensi del codice civile da un Governatore (Antonio Fazio e contabilizzata da un Ragioniere generale, Stefano Lo Faso e con un Cpnsiglio Superiore  che "in applicazioe degli articoli 54 e 57  detto Consiglio Superiore, udito il favorevole riferimento dei Sindaci, ha proposto che l'utile netto di euro 127.415.917 (24 miliardi di lire) conseguito venga ripartito:
 
- a riserve ..
- a PARTECIPANTI - nome atecnico per dire SOCI PRIVATI - vi era stata la privatizzazione delle bache di diritto pubblico e delle casse di risparmio Lit.:14  242.333.628.=
- e anora agli  stessi Partecipanti:Lit. 12.000.000.=

 
Certo con tutta quella massa di passività a costo zero (solo spese di stampa ma non alla Zecca a al Tuscolano) che era divenuta per  la regola della contabilità in partita dopia un subisso in attività lucrative disseminata tra le varie voci dell'Attivo.  poco anzi  si spartiva.

Pensate le pasività cntrate con la circolazione del tutto privatistica di biglietti BI come dire di cambiali senza valore, BI disponeva (non la so leggere ma la so scrivere) di una cifra   pari a
 
- Lit 143.343.891.236.340, ì centesimi ve li abboniamo.
 
Ma sapete a quanto ascendeva il capitale remunerato al 4%? soltanto trecento milioni di lire. E ora invece?  (te lo dirò appena trovo l'ultimo bilancio della BI).

Ma sono  nell'ordine di miliardi di Euro. Fu una  manovra volta a fare apparire in attivo il bilancio dela BI e così far finta di rispettare la griglia dei COSTI/ BENEFICI cara a Visco,  e dare ossigeno ai fortunati 'partecipanti': così  banche senza sufficiente attiva hanno potuto fare anche loro i bilanci e beccarsi il 4% delle enfiate partecipazioni bancarie  (nel caso la BI divenne niente  di più che una merchant bank;  altro che istituto di diritto pubblico sottratto alla giurisdizioe ordinaria.).  Mi chiederai: ed ora le cose come vanno con l'EURO? Peggio!

Guarda questa foto. Ora non più la sola BI quale emittente di carta moneta senza valore ma BCE ECB EZB EKT EKP stampano carta moneta. Ecco il miracolo: carta moneta stampata nel  2002 con scritto da cinque euro a 500  euro  circola adesso anche con firna Draghi senza cassiere.

Ma nel 2002 Mario Dragi dov'era?

Da ridere! Più falso di così non si può.  .Ma può  dirsi falso in ATTO PUBBICO?

No!  perché come il biglietto BI anche l'Euro è una cosette privata. La competenza è del TAR? Ma non scherziamo!
 
Certo caro amico mio avvocato non è facile spiegare ad un togato cose del genere. Tu forse ci riuscirai. In ogni caso chiede al giudice ordinario la nomina di un CTU  e nominami perito di parte.

Quanto mi divertirei.
 

 

 

lunedì 4 luglio 2011


La Banca d’Italia. Natura giuridica e funzionamento.

In Italia, dal 1936 grazie alla Legge bancaria (R.D.L. 375 del 12.03.1936 convertito nella Legge 441 del 07.03.1938) e al successivo “Statuto” approvato con R.D. 1067 del 11.06.36, la Banca D’Italia, trasformata in istituto di diritto pubblico, esercita in regime di monopolio la funzione di emissione della carta moneta (con esclusione delle monete metalliche la cui competenza esclusiva è riservata al Tesoro dello Stato).
Sin qui parrebbe che il potere sovrano di emettere moneta, essendo stato delegato ad un istituto di diritto pubblico, continui ad appartenere allo Stato e che sempre allo Stato vada il c.d. reddito da signoraggio. Ma non è così.
Per vedere come questo non corrisponda al vero è nenessario andare ad analizzare lo statuto della Banca D’Italia, il suo funzionamento e le sue “anomalie”:

I° Anomalia
I principali compiti, e funzioni, che la legge del 1936 affida alla Banca d’Italia sono:
         Istituto di emissione. (Anche se, come vedremo dopo, dal 1° gennaio 2002, con il Trattato di Mastricht, l’emissione delle banconote in euro aventi corso legale in Europa è compito della Banca centrale europea);
         Gestione della tesoreria provinciale dello Stato;
         Funzione di vigilanza sul sistema creditizio

L’organizzazione interna ricalca sostanzialmente quella che è propria di una società per azioni.
Così vi troviamo:

         un capitale sociale, suddiviso in quote detenute di partecipanti;
         un consiglio di amministrazione;
         un collegio sindacale;
         gli Organi Amministrativi e di Controllo, come avviene nelle società per azioni,sono nominati dall’assemblea Generale dei “partecipanti”: in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale e i due vice Direttori Generali[1];
         I portatori delle quote si riuniscono annualmente in assemblea generale ordinaria.


Inoltre i partecipanti, come gli azionisti di una società per azioni, hanno diritto;

         al rendiconto annuale della gestione sulla base del bilancio (da sottoporsi all’approvazione dell’assemblea);
         alla partecipazione all’utile della gestione;
         ai frutti derivanti dall’investimento delle riserve del patrimonio netto.

Questa analisi non ci porta ancora a privare la Banca D’Italia della qualifica di ente pubblico. Infatti, come ribadito anche dalla Cassazione, un ente si definisce pubblico quando, pur essendo privatizzato, ha un fine pubblico e un sistema di controlli pubblici. Ma la Banca d’Italia risponde a tali requisiti? Sul fine pubblico nulla questio, trattandosi di un istituto di emissione; il problema sono i controlli da parte dello Stato che nella sostanza non esistono. Questo perché gli organi amministrativi e di controllo della Banca d’Italia sono nominati dall’Assemblea Generale dei partecipanti (che sono al 95% dei privati). Il Governo può solo
approvare la nomina, o la revoca, di alcune cariche, ma l’approvazione da parte del Governo non influisce minimamente sulla validità della nomina. In soldoni è come se non esistesse.
In conclusione, la Banca d’Italia è un ente privato, strutturato come società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da parte dello Stato.

II° Anomalia

La Banca D’Italia abbiamo detto è per il 95% in mano a privati. Essi sono:

Gruppo Intesa (27,2%), BNL (2,83%)
Gruppo San Paolo (17,23%) Monte dei Paschi di Siena (2,50%)
Gruppo Capitalia (11,15%) Gruppo La Fondiaria (2%)
Gruppo Unicredito (10,97%) Gruppo Premafin (2%)
Assicurazioni Generali (6,33%) Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%)
INPS (5%) RAS (1,33%)
Banca Carige (3,96%) privati (5,65%)
Dall’analisi dei soci ci rendiamo conto che solo il 5% del capitale è dell’INPS, ovvero di una società pubblica[2].
Dunque la banca D’Italia è per il 95% in mano a banche private. Ma qui risulta evidente la seconda forte anomalia. Infatti abbiamo detto che con la legge bancaria del 1936 a Banca D’Italia è stato demandato il compito di vigilanza sulle altre banche. Ora, le banche sono proprietarie della Banca che dovrebbe su di loro vigilare ed, attraverso i consigli di amministrazione, nominano Governatori e Direttori; ciò vuol dire, in altre parole, che i controllati controllano i controllori, e non vicerversa.

III° Anomalia

Riguarda gli art. 54[3] e 56[4] del Titolo IV (BILANCI, UTILI, SPESE E PERDITE, RISERVE)
Vediamo perché:
In base all’art. 54 la quota di utili da assegnare allo Stato corrisponde circa al 50% dell’Utile di Esercizio del Bilancio Annuale, dedotto il 40% accantonato a riserve e il 10 % del capitale sociale attribuiti ai partecipanti.
L’art. 56, inoltre, prevede che una quota, a valere sul fruttato delle riserve medesime, sia distribuita ai partecipanti al capitale sociale (come annualmente deliberato dall’assemblea).
Analizziamo nei fatti le conseguenze di queste norme. Come sottolinea la CTU redatta dal perito nella sentenza n. 2978/05 del giudice di pace di Lecce, nella causa sul signoraggio, l’accantonamento dei frutti delle riserve (e l’assegnazione di parte di essi ai partecipanti) determina una incremento (e una decurtazione) delle riserve stesse quale partita negativa del conto economico e, pertanto, il risultato di esercizio è rappresentato in bilancio al netto
di tale posta.
Gli accantonamenti a riserve generano patrimonio e frutti ad esclusivo vantaggio dei partecipanti al capitale sociale dell’Istituto e, per converso, rappresentano un reddito sottratto alla competenza dello Stato.
Inoltre, la quota di riserve attribuita annualmente ai partecipanti (quota stabilita in assoluta autonomia dal Consiglio di Amministrazione della Banca d’Italia), ai sensi dell’art. 56 dello Statuto, è sovente sensibilmente superiore alla quota di utile assegnata allo Stato (ad esempio nel 2003 al netto degli accantonamenti a riserve, sia
stato corrisposto un dividendo per ogni quota di partecipazione unitaria pari a circa il 300% del valore della stessa.
Dividenti andati tutti a privati (le banche) e che formano il debito pubblico).
Insomma è evidente come la Banca D’Italia assolva ai fini che dovrebbero essere di natura pubblica in piena autonomia e indipendenza, ritraendone utili e frutti che divide tra i “partecipanti” privati.

Quindi, ricapitoliamo:
la Banca D’Italia è una società privata, detenuta per il 95% da privati;
gli Organi Amministrativi e di Controllo della Banca d’Italia, come avviene nelle società per azioni, sono nominati dall’assemblea Generale dei “partecipanti” (cui il 95% sono privati): in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale e i due vice Direttori Generali;
con la legge 82 del 07.02.1992 varata dal ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), è stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro. Ovvero autonomamente un gruppo di banche private decide per lo Stato italiano il costo del denaro.
Annualmente, il Consiglio di Amministrazione, autonomamente eletto (dai soci privati), stabilisce quote di riserva variabili che, spesso, producono una quota di utili superiore alla quota di utili che viene data allo Stato
tali utili (risultato degli interessi sul prestito) la Banca d’Italia li distribuisce tra i
suoi soci che sono al 95% privati;
gli utili distribuiti alle banche private costituiscono un debito contratto dallo Stato e vanno ad incrementare il debito pubblico.

Stante la situazione appena descritta appare chiaro che la sovranità monetaria è esercitata da una società a capitale privato con scopo di lucro che decide in piena autonomia il costo del denaro[5].

Da questi elementi può affermarsi che lo Stato, da tempo, ha ceduto la propria sovranità monetaria in favore di un ente privato (non certo pubblico), ovvero la Banca d’Italia.


Fonte :  Violazioni costituzionali nell’esercizio della politica monetaria di Solange Manfredi
http://felicitaannozero.altervista.org/doc/violazioni_costituzionali_e


[1] Il Governo, come stabilisce la legge, può solo approvare la nomina, o la revoca, di alcune cariche, ma l’approvazione da parte del Governo non influisce minimamente sulla validità della nomina, al massimo può influire sull’efficacia.

[2] Preme rilevare a questo punto che sino a pochi mesi fa l’art. 3 dello Statuto proibiva la cessione a privati di quote azionarie della BdI e prescriveva che fosse, per la maggioranza, in mano pubblica. Ora, grazie anche alle varie cause promosse da diversi cittadini contro Banca D’Italia con modalità prettamente italiana si è modificato l’articolo 3 dello Statuto cancellato quella fastidiosa frase che imponeva che la maggioranza fosse in mano pubblica

[3] ART. 54 - Ogni anno devono essere fatti il bilancio e l’inventario dell’attivo e del passivo dell’Istituto. Deve essere pure fatto il conto dimostrativo dei profitti, delle spese e delle perdite dell’esercizio annuale. I profitti sono quelli conseguiti durante l’anno tanto dalle operazioni ordinarie quanto da quelle straordinarie e dai ricuperi sulle sofferenze ammortizzate. Le spese comprendono quelle di ordinaria amministrazione, quelle per rifornimento della riserva metallica, quelle per l’emissione dei biglietti al portatore e simili, le tasse e gli altri oneri prescritti dalle leggi, e le somme eventualmente erogate a scopo di beneficenza o per contributi a opere di interesse pubblico nei limiti annualmente fissati dal Consiglio superiore. Alle dette spese devono aggiungersi, per accertare l’ammontare degli utili netti disponibili,anche le sofferenze dell’esercizio, gli occorrenti ammortamenti ed oneri consimili nonché lerate di ammortizzazione delle spese che il Consiglio superiore giudicasse ripartibili in più esercizi. Gli utili netti, conseguiti secondo il bilancio approvato, dopo di avere da essi prelevata la somma che il Consiglio superiore crederà di stabilire per la graduale costituzione di un fondo di riserva ordinaria fino a concorrenza del 20% degli utili netti, sono assegnati ai partecipanti, per la distribuzione di un dividendo fino ad una somma pari al 6% del capitale. Col residuo, sempre su proposta del Consiglio superiore, possono essere costituiti eventuali fondi speciali e riserve straordinarie mediante utilizzo di un importo non superiore al 20% degli utili netti complessivi e può essere distribuito ai partecipanti, ad integrazione del dividendo, un ulteriore importo non eccedente il 4% del capitale. La restante somma è devoluta allo Stato, in applicazione dell’art.3 del Decreto ministeriale 31 dicembre 1936 emanato in esecuzione del R. decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1647. La riserva ordinaria, se diminuita per ammortizzazione di perdite o per qualsiasi altra ragione, deve, salvo il disposto del successivo art. 56, essere al più presto interamente reintegrata.

[4] ART. 56 - Dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve, può essere, su proposta del
Consiglio superiore e con l’approvazione dell’assemblea ordinaria, prelevata e distribuita ai partecipanti, pro quota delle singole partecipazioni, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 54, una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve medesime, quali risultavano dal bilancio approvato nell’assemblea ordinaria dell’anno precedente.

[5] Infatti con la legge 82 del 07.02.1992 varata dal ministro del Tesoro Guido Carli (già Governatore della Banca d’Italia), è stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro.

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