“Niente più pasti gratis: per ottenere rendimenti accettabili bisogna iniziare a correre dei rischi”. In questi anni caratterizzati da tassi d’interesse prossimi allo zero o addirittura negativi è questo il mantra pronunciato a ogni piè sospinto dagli esperti. Come far fruttare i propri risparmi? Quali strumenti offrono un rapporto rischio-rendimento accettabile? Come pianificare gli investimenti in funzione dei bisogni nostri e dei nostri cari? Mai come in questi anni il livello di cultura finanziaria dei risparmiatori italiani è apparso tanto inadeguato. Fioriscono così numerose iniziative istituzionali volte a promuovere l’educazione finanziaria e da anni la Banca d’Italia è in prima linea con i corsi nelle scuole (nell’anno scolastico 2014-2015 sono state coinvolte 2.800 classi per un totale di circa 60.000 studenti). La cosa curiosa è che i super esperti della Banca d’Italia non hanno però alcuna necessità di mettere in pratica ciò che predicano: in questi anni loro e i loro famigliari non hanno dovuto infatti correre particolari rischi per far fruttare i risparmi. Anzi, fino a tutto il 2015, lasciandoli sul conto corrente incassavano l’1,9% (1,65% i famigliari) e nel 2016 il tasso è stato poi ridotto all’1,5% (1% i familiari). Niente male, considerata la remunerazione media dei conti correnti bancari che è pari a zero. Si tratta di una delle molte condizioni particolari praticate dalla Csr (Cassa di Sovvenzioni e Risparmio), la banca popolare di cui sono soci esclusivi i dipendenti della Banca d’Italia. Un mondo a parte davvero.

Mentre l’intero sistema bancario italiano ha mandato in soffitta le operazioni pronti contro termine rese obsolete dalla politica dei bassi tassi d’interesse e dalla possibilità per le banche di finanziarsi a costo zero presso l’eurosistema, la banca dei banchieri centrali italiani resta invece saldamente ancorata a questo strumento che tra il 2011 e il marzo 2016 ha fruttato alla clientela il 2,75% annuo. Attualmente i soci di Csr beneficiano di un tasso del 2,2% sulle operazioni pronti contro termine.  Per capire le cifre in gioco basti pensare che a fine 2015 – nonostante l’introduzione di un massimale annuo di 500mila euro per ogni socio – il volume dei pronti-termine è quasi raddoppiato (+94%), arrivando a sfiorare i 220 milioni di euro e contribuendo ad aumentare notevolmente il costo della raccolta per l’istituto. Un’assurdità non giustificata da altro se non dalla volontà di assecondare il desiderio di elevati rendimenti da parte della clientela, anche a scapito di una sana gestione della banca. A riprova di quanto detto, si tenga presente che le condizioni contrattuali non riflettono in alcun modo le esigenze momentanee di provvista della banca: infatti i contratti pronti contro termine vengono stipulati in ogni momento su richiesta della clientela e a un tasso fisso predeterminato e sono definiti dalla banca stessa un prodotto da “investimento” nella relazione annuale sulla gestione.
Alla lunga, però, questa politica pare insostenibile e così Csr da qualche tempo ha iniziato ad applicare delle condizioni di minor favore su conti correnti e pronti contro termine (come testimonia la graduale riduzione dei tassi) per traslare i benefici soprattutto sugli azionisti attraverso la politica dei dividendi e attraverso un’espansione azionaria che sembra volta a favorire i soci più facoltosi. A maggio 2016 il numero massimo di azioni che ciascun socio può detenere è stato innalzato da 2.000 a 2.500, per un investimento complessivo di 92mila euro. Considerando che negli ultimi anni la remunerazione media in termini di dividendo si è collocata intorno al 4% e che di anno in anno il valore delle azioni è sempre cresciuto, si può dire che si tratta di un investimento niente male. Pochi mesi dopo, però, è stato rimosso il limite di 2.500 azioni stabilendo che il singolo socio non può detenere più dello 0,5% del capitale ed è stato varato il nuovo regolamento di negoziazione delle azioni della banca che prevede che ogni socio possa acquistare o vendere fino a 2.000 azioni al mese (due sessioni quindicinali con un ordine massimo di 1.000 azioni per ciascuna). Ciò ha ampliato oltre misura le possibilità di guadagno per i soci più facoltosi, che possono arrivare a investire in azioni della banca anche più di 70mila euro al mese. Il capitale della banca è variabile ma a fine 2015 era composto da oltre 13 milioni di azioni e il limite dello 0,5% corrisponde a oltre 65mila azioni per un investimento complessivo di circa 2,5 milioni di euro.
Csr è una banca popolare non quotata in Borsa che stabilisce autonomamente il valore delle proprie azioni e, guarda caso, questo valore non fa che salire di anno in anno. Addirittura cresce anche nel corso della stessa assemblea di approvazione del bilancio. E’ capitato ad esempio ad aprile 2016. L’assemblea ha stabilito in 36,57 euro il valore delle azioni (5 euro di valore nominale e 31,57 euro di sovrapprezzo “valevole per l’esercizio 2016”), salvo poi apprendere subito dopo che “in considerazione dei primi positivi risultati economici maturati nel corso di questo esercizio, il Consiglio ha deliberato di adeguare con decorrenza 1 giugno 2016, il controvalore dell’azione portandolo a euro 36,80”. In realtà – come precisa meglio la successiva delibera del consiglio d’amministrazione – si tratta di un “interesse di conguaglio” che incorpora nel prezzo dell’azione una quota dei dividendi che verranno distribuiti l’anno successivo, un po’ come accade quando si acquista un’obbligazione e, in aggiunta al prezzo, si paga il rateo d’interessi maturati.
Nel caso delle azioni, però, decidere di applicare un rateo ai dividendi che verranno erogati in futuro è una scelta curiosa, anche perché – come vedremo tra poco – l’andamento economico di Csr non è esattamente positivo. L’applicazione di un rateo presuppone, in buona sostanza, che la banca abbia già deciso quanto remunererà gli azionisti e lo farà a prescindere da come andrà effettivamente a chiudersi l’esercizio. Inoltre, il valore stesso delle azioni viene fissato annualmente sulla base di una valutazione che non sembra supportata da alcun parere “terzo” e non si trova – almeno nei documenti pubblici – alcuna considerazione al riguardo espressa dal collegio sindacale o dalla società di revisione. Ma dicevamo della gestione non proprio brillante dell’istituto:  nell’esercizio 2015 il margine d’interesse è crollato a 10,1 milioni di euro (-41%), i costi operativi sono più che raddoppiati (da 3,7 a 7,9 milioni) e – come si legge nella relazione sulla gestione – il risultato complessivo si è attestato su valori positivi grazie esclusivamente alle plusvalenze (38 milioni di euro) realizzate con la cessione di una parte dei titoli in portafoglio, come del resto era già accaduto nel 2014.
Insomma, per far quadrare i conti e remunerare adeguatamente i propri soci la banca dei banchieri centrali (che, a differenza di tutte le altre, non ha nemmeno costi di sede visto che è gentilmente e gratuitamente ospitata nei locali della Banca d’Italia) ha dovuto metter mano al portafoglio titoli, perché l’attività caratteristica è in realtà in perdita. Ciononostante, il prezzo delle azioni continua a crescere (nel 2014 valevano 34,34 euro, nel 2016 36,57 euro, il 6,5% in più) e vi è un’intensa attività di riacquisto e di vendita di azioni proprie da parte della banca che, a questo proposito, dispone di una riserva di oltre 80 milioni. Dunque i soci non corrono il rischio di restare a bocca asciutta. Cosa questa spinta all’espansione azionaria e alla compravendita di azioni della banca abbia a che fare con lo spirito mutualistico che dovrebbe animare le banche popolari è tutto da capire. Così come sarebbe da capire se ai consiglieri d’amministrazione di Csr sia consentito effettuare cessioni azionarie a fini speculativi e se questa operatività debba essere o meno portata a conoscenza del consiglio d’amministrazione. Nel corso della scorsa assemblea questa domanda è stata posta da un socio e la replica del presidente non si è fatta attendere: “Notizie del genere, attinenti comportamenti dei singoli soggetti, sono coperte da riservatezza”. Una risposta in perfetto stile Bankitalia.