giovedì 26 gennaio 2017

Gentile Presidente,
da neo socio della Pro Loco credo che mi spetti qualche piccolo spazio nel sito magari per provare, dopo oltre trent’anni di ricerche, che talune mie annotazioni critiche sulla storia locale (cui la Pro Loco assente, da decenni, per colpe altrui) è tenuta a salvaguardare ai fini della crescita, civile, culturale, economica, turistica della nostra adorata Racalmuto.
Calogero Taverna (tessera n° 268771), da ROMA, oggidì 8 gennaio 2012.

Fig. 1 Castello Chiaramonte
Racalmuto è davvero arabica?

di Calogero Taverna

Anni or sono L’AMICO DEL POPOLO pubblicava un’interessante corrispondenza da Comitini per informarci che il centro endrisiano di Gardûtah  andava attribuito non a Racalmuto ma a quel rinomato insediamento solfifero dell’agrigentino. Il corrispondente traeva spunto dal rinvenimento
di una locale necropoli araba. Secondo il valente articolista, si doveva pertanto abbandonare l’antica congettura dell’Amari non foss’altro perché Racalmuto equivaleva a Rachal.Maut. E qui il nostro dissenso è totale.

Prima del 1271 non si sa di alcun agglomerato racalmutese, comunque lo si voglia denominare. Abbiamo definito cervellotiche congetture le pur ricorrenti teorie di segno opposto, osando persino contraddire «la più autorevole penna del paese» (ci sia consentita l’autocitazione: C. Taverna, La signoria racalmutese dei Del Carretto). Silenzio nelle fonti arabe; buio nelle cronache del Malaterra; sorprendente reticenza nella geografia dell’Edrisi; mistero nelle più antiche carte capitolari di Agrigento. Appare per la prima volta un toponimo ragionevolmente riferibile a Racalmuto soltanto nel 1271 in un regesto del De Lellis che si custodiva negli archivi angioini di Napoli (sfortunatamente andato distrutto nell’ultima guerra ad opera dei nazisti).
Abbondiamo, invece, di tentativi volti a dare un senso al toponimo, ritenuto arabo già dai primi storici dell’agrigentino; per Fazello Rayhalmutum è un sarracenicum oppidum ; vi fa eco il Pirro per il quale Rahyalmutum era Saracenicum olim oppidum; l’abate Vito Amico elabora per primo una lettura etimologica e nel suo dizionario topografico Racalmuto «è paese saracenico, come si ricava dallo stesso nome, poiché fra gli arabi vale Rahalmut casale decaduto o diruto, indica perciò essere stata forse in quel luogo un’antica terra diroccata.» 


La trascrizione in arabo di Rahal-Maut quale Villaggio della morte è, come si sa, frutto del tardo apprendimento dell’arabo da parte del noto storico agrigentino Giuseppe Picone. Ma il Garufi definisce ‘cervellotiche’ tutte queste funeree etimologie. Da ultimo l’arabista Pellegrini sovverte ogni tradizionale interpretazione e in un suo autorevole dizionario etimologico fornisce questo originale significato: «Racalmuto deriva dall’arabo Rahl al Mudd = uguale Casalis Modi (Cusa 24, 25 e 221) ‘sosta, casale’ del Mudd<latino modium ‘Moggio’».

C’è da domandarsi che fine fanno le varie ipotesi degli eruditi locali che accennano a derivazioni dall’antico centro sicano di Mothion (Messana e padre Salvo) o dall’ultimo emiro di Agrigento, Chamuth (Parisi).

Uscendo dalle secche dell’etimologia, nulla abbiamo che ci conforti sull’esistenza di un centro saraceno a Racalmuto sia nel periodo della dominazione araba, sia nei due secoli successivi: il silenzio storico è totale sino al tempo in cui Carlo d’Angiò assegna a Pietro Negrello di Belmonte il casale di Rachal-chamuth, in pertinentiis Agrigenti,  sottratto al traditore Federico Musca, come si evince dal citato regesto del 1271 degli archivi angioini.




Non sappiamo neppure se la trascrizione del toponimo sia corretta o alterata e per la distruzione bellica del regesto non lo sapremo mai. Se però il casale si denominasse, nel XIII secolo, davvero Rachal-chamuth  (alla stregua di una denominazione per una contrada di Polizzi risalente ad un secolo prima), le tesi di quanti collegano il nome del paese ad un personaggio arabo di nome
Chamuth (gaito e emiro che fosse) risulterebbero più attendibili delle letture etimologiche di sì illustri arabisti. Ed il valore storico sarebbe più rimarchevole.

Racalmuto sarebbe sorto dopo l’esistenza storica di tali personaggi, successivamente quindi all’XI secolo, in prossimità del 1271 appunto. Ma fino a quando non vi saranno campagne di scavi interdisciplinari (del tipo di quelli che la propinqua Milena vanta), disperando che nuove fonti scritte si rinvengano al riguardo, quel che si afferma (e per Racalmuto e per Comitini) resta immerso nella evanescenza della gratuita congettura. Il sottosuolo della parte vecchia del Castello racalmutese fornisce già sin d’ora – e gli ultimi dispendiosi restauri vieppiù confermano – segni di una presenza araba tutta da studiare e da inquadrare nel tempo e nel succedersi degli sconvolgimenti politici. Pensiamo comunque che nei pressi si fosse insediata una comunità di ‘villani’ arabi, forse i successori di quei cinque saraceni assegnati nel 1108 da Roberto Malconvenant al consanguineo Giberto, intento a costruire una chiesa in onore di S. Margherita nell’ampia estensione di terra
concessagli i cui confini avrebbero lambito Pietralonga e Bigini, località di Castrofilippo ancor oggi esistenti in contiguità di Racalmuto. Ciò, ovviamente, sempre che si superino le obiezioni del Collura che reputa trattarsi del paese di S. Margherita Belice. Resta, ad ogni buon conto, assodato che anche negli antichi diplomi agrigentini nessuna località chiamata Rachal-Maut affiora e se il silenzio nulla prova, un qualche indizio è pur ricavabile, magari la remora ad accreditare casali arabi del tutto ignoti nelle coeve fonti scritte.





Ecco il suo vero nome:

Sternbergia lutea (falso zafferano)

L’avevo scambiato per crocus ed invece è pianta medicinale, come piante medicinali sono le tante altre di cui scrive e che fotografa il nostro grande dottor Giovanni Salvo.

N.B. Noi non siamo botanici. Ci siamo quindi rivolti al Linneo racalmutese che questa specifica ci aveva dato. Pare che ora, dicembre 2011, abbia cambiato idea. Da modesti navigatori abbiamo fatto i debiti riscontri e siamo arrivati alla convinzione che anche allora era tutto esatto. Persistiamo dunque nell’errore!

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