venerdì 28 ottobre 2016

Caro Padri PUMA
Tu sai bene che siamo stati amici, molto amici; dal 10 ottobre 1945 sino al dì del tuo trapasso, ininterrottamente. Mai abbiamo litigato (cosa per me rarissima) eppure la pensavamo agli opposti. Ti ho inviato una letterina indirizzandola al Regno de’ Cieli. L’hai ricevuta? Non mi è ancora pervenuta risposta. Ho l’impressione che invece di stare tra le nubi celestiali stia molto meglio tra le ombre dell’Ade omerico. Convenivi con me che quella storiellina di Sciascia, prima fu arabo (per via del cognome) e poi nacque, non regge. Meglio pensare che veniamo noi tutti racalmutesi autoctoni dalla Magna Grecia. Certo, osta la selva di tombe sicane. Tucidide voleva noi sicani, anche racalmutesi, risalenti a 700 anni  prima della caduta di Troia. Per questo le cartoline illustrate di Racalmuto datano quella gioiosa necropoli sotto la grotta di Fra Diego nel 1800 a.C., né un giorno in più né un giorno in meno. Solo che il professore La Rosa parla a proposito di giarmaliddi,  rinvenuti nella finitima Milocca, vecchi di otto-10 millenni a ritroso da oggi. E ciò per via di certi esami atomici fatti a Catania. A me quella storia convince ed a te? non puoi informarti presso l’attuale sempreterno tuo datore di gioie celestiali?
Tu hai lasciato una bella matrice (cioè, non esageriamo, una non fatiscente Matrice); il tuo successore che noi sappiamo bene chi è per essergli stati vicino nei suoi primissimi anni di seminario, mi pare che indulga in atteggiamenti ondivaghi. Intanto la lapide che i murifabbri della Matrice avevano lasciato a tua perenne gloria resta – mi pare – in basso quasi impercettibile accanto al paravento di fondo. Una mia idea di celebrarti per la tua poliedricità  l’avevano obliata ma ora in questo commissariato natale si sono portati al circolo di li galantuomini e scrivono che ti hanno incensato. Che patri ciucia metta nel turibolo incenso per te non mi convince tanto. Mi raccontavi che ti eri proprio incazzato quando ti regalò un libretto ove si insegnava come predicare ai fanciulletti. A dire il vero una cosa sola hai preso dal tuo predecessore, le lungaggini predicatorie  nella messa solenne della domenica. Ora il tuo vezzo l’ha preso il mio amico diacono che non l’ha di sicuro imparato quando cu chiuviddu si fece comunista da parrinaro qual era. Ora da repentito predica e lascia muto il caro amico Liddu Curtu, questo riuscito curato d’Ars di Racalmuto.
Per quel che ho letto, un ragazzuolo nel dire di te le ovvietà tanto scontate cioè quel tuo modo di interloquire con il tuo caratteristico “fratie’”, ti ascrive a merito una virtù che aborrivi: quella di respirare pruvulazzo d’archivio. Quando mi hai consentito di spaziare tra i rolli e i quinterni della matrice, un patto tacito c’era tra noi: quello che trovavo che te lo dovevo passare per farne l’uso che ritenevi più utile, visto che a te di fare ricerche d‘archivio non ti gustava tanto, ed in questo somigliavi a Nardu Sciascia. Io, la promessa l’ho mantenuta – diversamente da un nobile dei raggi X che invece usòo materiale mio e suo (poco) per fare un tomo ecclesiastico e tu che sapevi arrabbiarti a freddo lo infilzasti a San Franciscu. Ti diedi un dattiloscritto di quattrocento fogli A4. Cercasti di farti beneficare dal Comune per una pubblicazione a nome tuo, ma il volpino ufficio non se ne dette per inteso e quel malloppo storico finì obliato nei tuoi cassetti. Appena te ne sei andato lassù,il ragazzuolo se ne impossessò, ne copiò, qualche quinterno, fece finta che sì era robba tua ma ti era stata data dal professore di famiglia e le mie povere fatiche finirono sotto alieno autore.  Siccome già quella robba l’avevo per altri versi pubblicata non credo che verrò querelato per plagio. Tu che ne dici?.

Torna sempre la storiella della tua fraterna amicizia con il maestro Leonardo (Sciascia).  Debbo ammetterlo: di questa cosa ti vantavi troppo. Ma sapevi bene che non era amicizia corrisposta. Il maestro Leonardo, sul letto di morte, dando fuoco all’anima, ebbe dire che lui un solo prete buono aveva conosciuto (veramente ne aveva sentito parlare) quel vescovo di Patti dal Papa Giovanni derubricato ad arcivescovo degli infedeli e dal vescovo di Agrigento restituito come quasi “cappellano”all’arciprete di Caniattì; parlo di mons. Ficarra. 

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