sabato 13 agosto 2016



Non è con le risibili ciarle in vernacolo che si fa la microstoria di Racalmuto
[e neppure con le cervellotiche congetture]




Ecco come ricostruirei io Racalmuto sotto la Barona, in quello splendido scenario, attorno all'anfiteatro naturale fulcro della futura rievocazione storica e teatrale della veridica nostra cittadina, cacciati via al più presto codesti pretoriani di una ormai Ministra in Gonnella, fatta evaporare da un movimento che prima asordante con frinnico stridore oggi non può più esimersi di essere il nuovo che avanza, migliore e radioso.
Sotto la fondazione i dirupi fermati per le apriche abitazioni degli uomini che hanno fatto grande Racalmuto da quel paio di centinaia di casupole "copertae palearum" che inventariò nel XIV secolo l'arcidiacono Du Mazel, incaricato dal papa di ritorno a Roma dopo l'avventura di Avignone, per una tassazione  volta ad un perdono ecclesiale con ricatto di ottenere da Dio la salvezza dalla esiziale "mala ephitimia".






Ma andiamo a ritroso. Un cewnno alla Racalmuto Medievale:
BORGO ARABO AL TEMPO DEI NORMANNI

di Calogero Taverna

 

Del tutto singolare è l’assoluta assenza di una qualsiasi località chiamata Racalmuto nelle più antiche carte capitolari del vescovato di Agrigento per il periodo che va dal 1092  al 1282. Si suol dire che il silenzio nella storia equivale al nulla. In questo caso, però, si deve ammettere che per un paio di secoli Racalmuto non fu tributario in modo esplicito della potente curia agrigentina, nè ebbe a pagare censi, canoni e livelli agli ingordi canonici del capitolo della asfissiante cattedrale di San Gerlando. Basta scorrerle, quelle carte per rendersi conto di quanto fiscali fossero il prelato e la sua corte agrigentina sin dal tempo in cui Ruggero il Normanno istituì - o si pensò che avesse istituito - quella diocesi affindandola al santo, o santificato, consinguineo di Bretagna: Gregorio, uomo di bell’aspetto e di copiosa dottrina, secondo quel vogliono le cronache.

Non sono tutti originali i documenti più antichi: alcuni sono rifacimenti posteriori al Vescovo Urso (1191-1239), un prelato finito prima prigioniero dei saraceni in una loro storica rivolta, e poi riuscito ad affrancarsi insieme ad una parte dei privilegi, che ci sono stati nel complesso fedelmente conservati. Tra questi spiccano i diplomi che nel diligente studio di Paolo Collura  (P. Collura: Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento - Palermo 1961) recano i nn.i 8, 9 e 27 sui quali fu imbastita in tempi imprecisati un’impostura su Racalmuto e sulla sua chiesa di Santa Maria. Lo studio del 1961 dimostra intanto che trattavasi di posti collocabili presso Santa Margherita Belice. Una confusione davvero rimarchevole. E sebbene ciò, i canonici agrigentini, sin da prima del XV secolo, hanno tratto da quel falso un titolo giuridico per una loro pingue prebenda d’origine racalmutese. L’hanno legata alla pretesa fondazione ecclesiale di Santa Margherita, che fu invero una chiesuola sorta molto più tardi, “contigua e comunicante” «colleteralis et coniuncta», con la Chiesa di Santa Maria (stando almeno ai dati della visita di Mons. V. Bonincontro, Vescovo di Agrigento, effettuata  il 20 giugno 1608 [v. Curia Vescovile Agrigento: REGISTRO VISITE 1608-1609 f. 247 e ss.]).

L’incolpevole Pirri, nel 1641,  attribuisce il diploma n. 8 a Racalmuto: ma si sa che si avveleva di notizie di seconda mano perché il netino, data la sua età, non potè che affidarsi a corrispondenti locali e cioè a canonici che avevano libero accesso a quei documenti capitolari tenuti gelosamente custoditi (come del resto avviene tuttora). Sula scia dell’abate di Noto, il nostro Tinebra Martorana giovanilmente riproduce il falso a pag. 57 del testo ripubblicato nel 1982 dando suggello  alla secolare impostura secondo la quale «fu Roberto Malconvenant ad erigere sul nostro territorio la prima chiesa cristiana». Ed aggiunge, falso nel falso:  «la chiesa di S. Margherita vergine corrisponde alla nostra S. Maria di Gesù.»

 I racalmutesi a questa tradizione tengono come si evince dai cartelli pubblicitari che tuttora si ostendono. Si continui pure nelle credenze, purché  in definitiva si sappia che la chiesa di Santa Maria sorse in un periodo almeno di due secoli posteriore alla  pretesa data della sua fondazione: forse si può risalire al 1308 se accreditiamo in tal senso un documento vaticano delle decime avignonesi.

Che il Pirri si riferisse ai documenti contrassegnati dal Collura con i nn. 8 e 9 è fuor di dubbio e che quindi per il contesto di entrambi i diplomi siamo in località che nulla hanno a che vedere con il nostro paese è del tutto incontrovertibile: il falso, però, un elemento di chiarificazione per la storia di Racalmuto ce lo fornisce. Vi è come il paradigma di come sorgevano borghi arabi sotto i normanni nel perimetro della diocesi agrigentina. E Racalmuto - nullo o pressoché inesistente sotto Ruggero il Normanno, tanto che non vi si appuntarono in un primo momento gli appetiti tassaioli dei canonici agrigentini, - potè sorgere, attorno alla metà del XII secolo, sotto la spinta di un signorotto transalpino del tipo dei Malconvenant o per spinta di monaci dell’ordine dei benedettini, come siamo più propensi a credere. Villani o schiavi risultarono certi arabi, più o meno importati; padroni erano invece stranieri non residenti o abbazie distanti.









E’ una Racalmuto che va vista con occhi critici e razionali. Non può certo avvalorarsi la saga della venuta della Madonna del Monte del 1503,  così come, in buona fede, non può affermarsi che vi siano state tasse  per uzzolo dei Del Carretto con buona pace del “terraggio e terraggiolo” secondo la parabola del pur sommo Leonardo Sciascia. Noi valutiamo piuttosto positivamente la presenza del Del Carretto a Racalmuto. Reputiamo fucina di cultura clero locale, organizzazione parrocchiale, atteggiamenti della fede nel sorgere e nell’abbellimento di chiese, negli insediamenti di conventi, nel diffondersi di confraternite.
Il documento del 1108 che si vuole a base di Santa Maria è abbastanza complesso. Vi si ricava che il Malconvenant ebbe a donare ad un suo consanguineo delle terre con degli schiavi saraceni. Quel parente, un militare in disarmo,  vi costruisce una chiesa. Viene dal vescovo fatto chierico per amministrarla. Le terre di pertinenza sono vaste. Ad accudirle penseranno cinque saraceni i cui nomi astrusi sono:        ALIBITHUMEN, HBEN EL CHASSAR, SELLEM EBLIS, MIRRIARAPIP ABDELCAI, MAIMON BIN CUIDUEN. Scomunica per chi vi attenta; benedizioni per chi ne accresce la ricchezza: ' Si quis - aggiunge il vescovo - vero ecclesiam Sancte Margarite  Agrigentine Ecclesie omnino subiectam circa possessiones eius in aliquo defraudaverit, anathema sit; qui vero eam aut de rebus mobilibus aut immobilibus augmentaverit, gaudia eterne vite cum sanctis peremniter percipiat'

Nessun commento: