giovedì 26 maggio 2016

I racalmutesi se lo mettano bene in testa: nessuna statua di marmo gaginesca o di scuola gaginiana è mai venuta dal mare a Racalmuto nel 1503.

I racalmutesi se lo mettano bene in testa: nessuna statua di marmo gaginesca o di scuola gaginiana è mai venuta dal mare a Racalmuto nel 1503.


Quarant'anni dopo il vescovo Tagliavia  ci attesta inequivocabilmente che nessuna chiesetta di Santa Lucia c'era o c'era stata in quel cocuzzolo del Monte a Racalmuto. C'era stata da vecchia data la Chiesa di Maria Santissima del Monte come dimostrabile dalle Visite pastorali. Il santuario settecentesco di padre Signorino ha una sua storia non tutta commendevole, vi è persino puzzo di ravvedimento da lussuriosa convivenza in contrasto con il sacerdotale voto di castità. Cose da me studiate anche se non divulgate molto più e meglio del Nalbone. Pronto a tutte le sfide di questo mondo. I soloni dei miei stivali di Racalmuto han da cianciare quanto par loro: io attesto (e non contraddico) per tabulas, forte della mia mentalità ispettiva inculcatami dalla Banca d'Italia, mica dalle scuole serali, o dal precariato magistrale, o da qualche miracolo di padre Scimè S.J. (Calogero Taverna)

Quando ho scritto qieste note, fuori dai gangfheri epr l'eterna gaffe dilegiante del signor Carbone , andavo a memoria e la memoria mi ha ha un po' tradito. Quindi rettifico.

Mi accorgo ora che il defunto signor Nalbone della novella famiglia crestomantica di fine Ottocento, si mise a pubblicare, a suo esclusivo nome, nel luglio del 2003, i risultati delle mie ricerche sulla Madonna del Monte cui ad un certo punto aveva partecipato ma in subordine.

Possedevo già la trascrizione della prima visita partorale che sotto la guida dell'eccellente paleografo mons. Collura aveva fatto una laurenda molto tempo prima. Mons. Noto ne aveva fatto degna réclame.

E là vengono fuori noterelle storiche su questa statua marmorea della Madonna del Monte.

Nel 1543, l'11 giugno (la prima delle particolari indizioni siciliane) tocca al vicario generale, don  Bartolomeo de Perinis, del vescovo aristocratico di Girgenti, Mons. Pietro Tagliavia ed Aragona , far previsita pastorale in quel di Racalmuto e tra l'altro si mette a d ispezionare quella che si chiamava ed era già a quell'epoca "Chiesa di Santa Maria di lu Munti". Si respira aria concililiare tridentina, ma l'interesse dell'alta gerarchia ecclesiastica agrigentina è per le cose di carattere economico. Al Monte operava come in altre chiese racalmutesi una di quelle ambigue confraternite laiche che molto lucravano curando le sepolture in quelli che erano i veri cimiteri dell'epoca, le chiese. Scattava un complesso interesse finanziario. Quelle sepolture costavano. Ogni singolo tributo si quadripartiva, nel linguaggio dell'antenato dell'ufficio tributi di Vittorio Lauricella si parlava di quartuarie: un quarto al vescovo, un quarto all'arciprete, un quarto al cappellano che aveva curato la buona morte e un quarto appunto a codeste forme di laica  fratelallaza, medievalmente dette "confraternite". L'ultima a residuare è quella dell'Itria, la "mastranza".  Vien poi il Vescovo e suggella la visita e quindi abbiamo interessanti inventariazioni. In quella del 1543 mi colpisce questo inciso che accenna ad : "una figura di nostra donna di marmaro, con sopra un Pavigliuni di cuttuni cum una frinza di sita russa ... et una cultra vecha".

Ne ho scritto e riscritto tante volte e per diversi frangenti molto prima del Nalbone come potrei ampiamente documentare se Pio Martorana continua a contestarmi.

Era il 18 giugno 1995 (ventuno anni fa), sotto l'illuminato  sindaco Prof. Salvatore Petrotto (l'unico a Racalmiuto che un riconoscimento "con ammirazione, riconoscenza e stima" me l'ha tributato) si svolse la cerimonia della concessione di quattro cittadinanze onorarie ad un Casuccio, a codesto Nalbone, al meritevole dottor Burruano ed a un medico padovano di eccelsa statura fisica.

Il Nalbone si credette obbligato  a fare una lectio magistralis di storia paesana. Ma era molto depresso e appena apriva bocca si metteva a piangere. Allora mi chiama a Roma per tenere  io quella lectio magistralis. Io la redigo e gliela passo in anteprima. Il signor Nalbone ha paura che vi possa essere qualche mia stecca antisciasciana. Ne sussurra notte tempo a tale Aldo Scimé. Alla Fondazione mi invitano a leggere quella Lectio. Inizio a parlare. Istantaneamente mi lasciano solo sul Palco. Anche il Nalbone mi abbandona. Solo lo storico di Grotte prof. Calogero Valenti resta ad ascoltarmi con religiosa attenzione. Giù inscenano una immonda chiassata per impedire all'uditorio di ascoltarmi. Io imperterrito continuo. E' una lectio lunghetta assai. Adiratosi uno dei fratelli Picone, che doveva recitare i suoi versi pitocchi in gloria della sua famiglia,  sale sul palco per invitarmi a chiudere. Lo mando letteralmente a fare in culo. Quella mia LECTIO MAGISTRALIS sta dattiloscritta negli armadi del  Circolo Unione e con dedica stava nella Biblioteca Comunale  (se c'è ancora non saprei). Non sta ovviamente ove dovrebbe stare e cioè alla Fondazione Sciascia. L'ostracismo nei miei confronti continua.

Caro Pio Martorana anche là sai quante scoperte vere sull'avvicendarsi storico della vita di questa Racalmuto! Altro che ammonimenti esortazioni collaborazioni o e non che altro tu pretenda che io dia ai tanti sedicenti poeti dell'inesistente storia racalmutese.

Calogero Taverna


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