La Resistenza antifascista in Slovenia e l’ispettore Messana

(Questa parte è illustrata grazie alla scrupolosa ricerca condotta dalla storica Claudia Cernigoi, direttrice della rivista “La Nuova Alabarda.” Si tratta di immagini tratte da una vasta collezione fotografica sui crimini fascisti dell’Italia in Slovenia)
III
L’ombra lunga del fascismo
La Sicilia, diceva Goethe, è un luogo da dove puoi capire meglio il mondo. E aveva ragione, ma non per motivi campanilistici, visto che l’illustre letterato era tedesco, quanto perché, a ben guardare la storia e gli uomini che l’hanno animata, dalla capitale siciliana partono e si concludono molte vicende umane e politiche che hanno segnato i caratteri del nostro tempo. Sono stati, talvolta, eventi apparentemente minuti, letti con una visione localistica, e che pertanto non ci hanno consentito di vedere più ingrandite le cose. Per capire, trarre una lezione. La Sicilia è legata, ad esempio, alla Slovenia da molti fatti su cui è doveroso riflettere. Legami che scopri se ti metti a fare il Marlowe della situazione, su una pista precisa, come un segugio. Basta un nome: Ettore Messana, siciliano di Racalmuto, classe 1888, di professione ufficiale di polizia. Nel 1919 lo troviamo impelagato nella strage di Riesi. Tiene “a battesimo”, a modo suo, le lotte contadine. Venti morti. Poi si specializza nel ventennio nero, grazie all’appoggio che gli forniscono uomini dell’apparato come Ciro Verdiani e Giuseppe Gueli, che di polizia e di spionaggio se ne intendono più dello stesso ministro fascista Buffarini Guidi. Nell’aprile del 1941 la sua carriera è a una svolta. Le truppe italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia e l’Italia si annette gran parte della Slovenia. Messana diventa questore di Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio 1942, per poi svolgere la stessa carica a Trieste, dove fu destinato con telegramma di Carmine Senise a decorrere dal primo giugno 1942.
Doveva assumere la temporanea reggenza della locale questura, ma vi rimase fino al 14 giugno 1943, quando fu nominato ispettore generale di Ps e posto a disposizione del Ministero dell’Interno. In un anno dovette combinarne di cotte e di crude fino al punto da suscitare le reazioni degli stessi poliziotti che mal lo tolleravano. La direzione generale di Ps era stata lapidaria e aveva comunicato alla questura di Trieste la decisione, già ai primi di giugno:
398111/333- Questore Messana Ettore cessa col quattordici corrente dalla direzione codesta Questura rimanendo at disposizione Ministero. Telegrafate partenza.[1]
Ma si dovette pervenire a quella decisione attraverso un lungo tempo di sopportazione e dopo vari tentativi degli stessi apparati fascisti del luogo di destinarlo ad altra sede. E di fatti si era registrato un tentativo di trasferire il Messana a Bologna, poi temporaneamente sospeso e prorogato al 5 maggio.[2]
Il suo arrivo in questa città, scriveva Feliciano Ricciardelli, della Divisione criminale investigativa della Polizia della Venezia Giulia, “produsse sia nell’ambiente cittadino che in quello del personale, serie apprensioni in quanto il Messana era preceduto da pessima fama per le sue malefatte quale questore di Lubiana. Si vociferava, infatti – continuava l’ispettore – che in quella città aveva infierito contro i perseguitati politici permettendo di usare dei mezzi brutali ed inumani nei confronti di essi per indurli a fare delle rivelazioni circa l’attività politica da loro svolta”.
Ma ecco cosa scriveva ancora il Ricciardelli:

“Fra le insistenti voci che allora circolavano vi era anche quella che egli ordinava arresti di persone facoltose, contro cui venivano mossi addebiti infondati al solo scopo di conseguire profitti personali. Difatti si diceva che tali detenuti venivano poi avvicinati in carcere da un poliziotto sloveno, compare del Messana, che promettevaloro la liberazione mediante il pagamento di ingenti importi di denaro.
Inoltre gli si faceva carico che a Lubiana si era dedicato al commercio in pellami, da cui aveva ricavato lauti profitti.
Durante la sua permanenza a Trieste, per la creazione in questa città del famigerato e tristemente noto ispettorato speciale di polizia diretto dal comm. Giuseppe Gueli, amico del Messana, costui non riuscì ad affettuare operazionidi polizia politica degne di particolare rilievo.
Ma anche qui come a Lubiana, egli si volle distinguere per la mancanza assoluta di ogni senso di umanità e di giustizia che dimostrò chiaramente nella trattazione di pratiche relative a perseguitati politici, responsabili di attività antifascista molto limitata. In proposito, si ritiene opportuno segnalare un episodio che dimostra la sua malvagità d’animo:
In una notte del gennaio 1943 senza alcun addebito specifico ed all’insaputa dello stesso Ufficio Politico della Questura, ordinò l’arresto di oltre venti ebrei fra cui si ricordano i nomi dei fratelli Kostoris Marco e Leone, Romano Davide, Israele Felice e l’avvocato Volli Ugo che vennero proposti al Ministero per l’internamento, perché ritenuti politicamente pericolosi. E che il Messana avesse agito per pura malvagità e, probabilmente, per cercare di accattivarsi la benevolenza della locale federazione fascista, con la quale non intercorrevano cordiali rapporti, lo dimostra il fatto che lo stesso Ministero respinse la proposta. Ordinando la scarcerazione dei predetti che furono rilasciati dopo oltre un mese di carcere (per più dettagliati particolari e per conoscere tutti i nomi degli arrestati, esaminare i precedenti al Ministero, poiché gli atti dell’Ufficio Politico della locale Questura, furono asportati o distrutti dalle truppe jugoslave di occupazione della città ai primi di maggio u. s.)
Risulta in modo indubbio che il Messana, quale componente la locale commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, infierì in modo particolare contro i denunziati. Difatti egli, anche per colpe di lieve entità per quanto riguardava i denunziati per il confino chiedeva sempre il massimo della pena. Tale comportamento veniva aspramente criticato dagli altri componenti la commissione e finanche dal Prefetto fascista Tullio Tamburini, presidente della commissione stessa.[3]
gli italiani uccidono 15 uomini e donne a Brdo presso Lubiana. Le vittimesi trovano al cimitero di Vic

Destituito Mussolini, nonostante avesse eletto domicilio a Trieste, se ne allontanò ben presto facendo perdere di fatto le sue tracce. Alla data del 2 novembre era ancora irreperibile e in tale veste fu dichiarato dimissionario d’ufficio”. [4]
*
Il questore non è uno qualsiasi. Il suo nome compare in un elenco di 35 ricercati per crimini di guerra. Aveva scatenato una lotta feroce contro gli sloveni, una crociata che portò lo Stato fascista ad una decisione abominevole: la creazione di decine di campi di concentramento per sloveni, sparsi tra l’Italia, e la Dalmazia. Su questi campi di internamento si è scritto poco, ma sappiamo dell’esistenza di campi a Monigo, Renicci, Arbe, Lanciano, Chieti, Tollo, Notaresco, in provincia di Teramo, e di altri in provincia di Novara, o in quella di Matera (Pisticci).[5] Vi trovarono la morte migliaia di civili, uomini, donne e bambini, stroncati dalla fame e dalle malattie. Solo a Gonars di morti se ne contarono 500 in un anno. Vi furono internati molti comunisti. Il folle obiettivo di Mussolini era snazionalizzare gli sloveni e renderli “civili” e italiani. Nel “sacro” nome di duemila anni di civiltà romana. Pulizia etnica allo stato puro. Vi lavorarono alacremente il generale Mario Roatta, che arrivò a concepire la deportazione dell’intera popolazione slovena; il comandante dell’XI Corpo d’Armata Mario Robotti, i generali Gastone Gambara e Umberto Fabbri e parecchi altri che come Messana o Verdiani, piuttosto che essere processati per crimini di guerra contro le popolazioni civili, attraversarono indenni la transizione dal fascismo alla Repubblica democratica, ottenendo spesso in premio avanzamenti di carriera. Si erano macchiati di delitti infami che avrebbero dovuto essere additati alle nuove generazioni come un monito per il loro futuro, e invece i fatti di cui si erano resi colpevoli sono stati rimossi dalla memoria collettiva degli italiani. Ma eccidi, come quelli compiuti dall’imperialismo fascista in Libia, Etiopia, Albania, Slovenia, Croazia, Grecia, Dalmazia, Spagna e Montenegro pesano sulla nostra coscienza come una delle pagine più tristi e vergognose della storia del Novecento. Tanto – si sa – ci si adagia sul falso mito degli “Italiani brava gente”, col cuore in mano, tra canti, spaghetti e mandolini. Come in un brutto film in bianco e nero degli anni Cinquanta.
Come vedremo, a tracciare un profilo del Messana è la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, su indicazione del governo jugoslavo. Era il 1945 quando questo signore, sul quale pendevano gravi atti di accusa minuziosamente documentati, anziché essere incarcerato dal secondo governo di Ivanoe Bonomi (che aveva Alcide De Gasperi agli Esteri e lo stesso presidente del Consiglio agli Interni) fu promosso ispettore generale di pubblica sicurezza in Sicilia. Diventò il referente principale della banda Giuliano e di Salvatore Ferreri, inteso Fra’ Diavolo. Due giovanotti che non erano montanari che “tenevano passo” nel palermitano, come ci hanno voluto fare credere rotocalchi e cinegiornali di cinquant’anni fa. Provenivano dritti dritti dall’eversione nera di Salò, i cui simboli erano le teste di morto e il gladio romano.
Il 1947 fu l’anno che chiuse la carriera di questo poliziotto potente e oscuro, iniziata nel biennio rosso. Nel 1945 pensava alla pensione e a qualche pellegrinaggio al suo santo protettore che l’aveva transitato incolume alla nuova Repubblica democratica. Ma dall’alto arrivarono altri segnali. Qualcuno gli ordinò di restare in carriera, ora che il nuovo pericolo si chiamava “comunismo”. Operò in un momento delicato, in quegli anni turbolenti di lotte contadine e di speranze di pace. In apparenza era il banditismo il nemico da battere. Ma, guarda caso, i fuorilegge dell’isola vissero il loro periodo migliore e il movimento democratico finì nella polvere. E ci furono due stragi terribili, il battesimo di fuoco della neonata Repubblica: Portella della Ginestra e gli assalti alle Camere del Lavoro. Tornavano in auge i criminali metodi attuati durante la guerra, quando a Trieste la banda Collotti infieriva contro comunisti e dissidenti sotto l’occulta regia delle autorità nazifasciste. Uno squadrone della morte al servizio dello Stato. Un comunista come Li Causi non ebbe peli sulla lingua e accusò Messana di essere proprio lui il “capo del banditismo politico” nell’isola. E forse alla banda triestina pensava anche il capomafia di Monreale don Calcedonio Miceli, quando al processo di Viterbo, interrogato dal presidente del tribunale su Giuliano, ebbe a dire che il “re di Montelepre” era il capo di un “plotone di polizia”. Per nostra fortuna, non era solo un boss ad avere una simile opinione. Tant’è che in un rapporto segreto del Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), scritto nell’immediato dopoguerra, leggiamo: “Alla questura di Lubiana si eseguivano torture. Il ten. Scappafora dirigeva le operazioni di tortura, mentre il questore Messana esortava personalmente gli aguzzini ad infierire contro le vittime. […] Messana era considerato uno dei maggiori carnefici.” E, a proposito dell’assassinio del grande dirigente sindacale di Sciacca, Accursio Miraglia (4 gennaio 1947), in un lungo rapporto della questura di Agrigento si evidenziano, nel dettaglio, le gravi lacune nella conduzione delle indagini: “Non si ebbe intuito felice – scrive il funzionario – nelle indagini dirette a far luce sul delitto, essendo state queste iniziate e proseguite con leggerezza e superficialità ed in direzione prefissata”.[6]
IV
Sulle tracce di un criminale di guerra
Devi prendere il taxi, se ci vai in aereo, perché la distanza di Ljubljana dal suo aeroporto è di parecchi chilometri. In compenso ne trai qualche vantaggio che, se non ti sei distratto, il volo potrebbe averti anticipato attraverso l’oblò.
Da Roma all’Adriatico vedi scorrere sotto di te la penisola e in mezz’ora rivedi di nuovo il mare e poi le isole della Dalmazia. A quel punto devi già essertene reso conto. Quando l’aereo si abbassa immergendosi nelle nebbie alte sopra i boschi, prima di atterrare, già senti di penetrare in un mondo nuovo. Lo avverti dalla freschezza del paesaggio, dall’assenza di inquinamento, dalle case frammentate nelle campagne, dalla scarsa densità demografica. La Slovenia conta un paio di milioni di abitanti; è meno grande della Sicilia e la sua capitale è una città di neanche trecentomila anime, con una storia piuttosto recente rispetto a quella che hanno molti comuni italiani che affondano talvolta le loro radici in memorie millenarie. Apprezzi subito la dimensione umana degli aggregati urbani, dei villaggi di campagna, delle case sparute che vivono di bosco e di legna. Misuri il vantaggio della vivibilità anche quando eviti l’inerzia dell’attesa davanti alla fermata di un bus che parte ogni due ore.
Il taxista ti conduce all’albergo e se questo non ti piace o non ha posti, ti accompagna da un’altra parte, lasciandoti poi capire che non ha un gran da fare con i turisti che scarseggiano, anche se la stagione è, come si dice, alta.
All’hotel Pri Mraku, tre stelle, ma pulito e con qualche pretesa di antica tradizione nel settore, l’addetto alla reception è disposto a trattare sul costo della camera. Una disponibilità ragionevole che apprezzi soprattutto se a Lubiana ci vai non da turista ma per sapere qualcosa degli italiani, anche se adesso qui, quasi nessuno parla l’italiano e molti negozi fanno persino difficoltà a ricevere euro piuttosto che “tolariev”. Non essendo, dunque, un vacanziere, ma un ricercatore sulla pista di qualcosa che sembrava essersi definitivamente smarrito una sessantina d’anni fa, avrei preferito la pensione Emonec, a quattro passi dall’Archivio Nazionale della Repubblica slovena, che a Lubiana è ubicato a piazza dei Congressi. Un Archivio dove non si conoscono, come in Italia, le chiusure d’agosto, e dove puoi restare dalle otto del mattino alle quattordici. Il personale è gentile. Vi lavora uno staff di donne all’altezza del compito: amano il loro mestiere, sono motivate, e si avverte l’attaccamento che hanno alla loro storia, la spinta civile e culturale che le induce a non volere smarrire le atroci sofferenze che gli Sloveni, come i fiumani, i croati, i serbi e altre minoranze etniche e linguistiche, furono costrette a subire, al tempo dell’occupazione fascista e tedesca del loro Paese, e, in particolare, tra il 1941 e il 1943. Vi lavorò, fino ad alcuni anni fa, Tone Ferenc, al quale si deve una sistematica e accurata raccolta di documenti intitolata La legge inflessibile di Roma. Vi lavorano ora la storica Nevenka Troha, i coniugi Gombac e una signora il cui padre tra il ’39 e il ’43, prestò servizio militare in Sicilia. Ma qui hanno fatto le loro ricerche sui crimini del fascismo Alessandra Kersevan e Claudia Cernigoi, nell’incuria più assoluta dell’intellighentia e del mondo accademico italiano.
Anche l’hotel Pri Mraku è in una posizione, per me, favorevole. Girato l’angolo sono in via Vegova. La percorro a piedi in pochi minuti, superato il Petit Café di piazza della Rivoluzione francese, sempre pieno di giovani. Così sono subito al Park Zvezda, a piazza dei Congressi dove, oltre all’Archivio, si affacciano i bellissimi edifici dell’Università (1902) e dell’Academia Philharmonicorum (1701) nonchè vari palazzi ottocenteschi. Il rispetto per la città lo noti dall’assenza di cemento nel centro storico. Nessun edificio ne è deturpato e avverti subito la vivibilità della città: nelle piste ciclabili, nei numerosi giovani che vi fanno ricorso, nell’uso che diversi ragazzi e ragazze fanno di pattini a rotelle, nella cura del verde, ecc. Questo contatto immediato con le strade, le mura, i giardini e le piazze è il regno della resistenza di una città non ancora del tutto contaminata dal modello occidentale dello sviluppo distorto, sempre più in agguato. Lo noti dalla presenza delle macchine, dei supermercati, delle boutique di moda, dall’eccessiva pubblicità televisiva, dall’invasione di prodotti ormai globalizzati, dalle fungaie dei grandi alberghi costruiti negli ultimi quindici anni nelle vicinanze del polmone verde di Lubiana che è il Parco Tivoli. Ma per me Lubiana non è oggetto di interesse sotto questo profilo, ma perché è una tappa obbligata delle mie peregrinazioni nella storia oscura delle stragi e dei fatti che hanno caratterizzato gli ultimi sessant’anni della nostra Repubblica democratica. Convinto come sono sempre stato che non puoi conoscere il presente e chi sei se non conosci il passato e quelli che ti hanno preceduto e che magari attraversarono un tempo, la tua stessa strada o quella dei tuoi antenati, ostruendone talvolta il cammino. Perciò mi sento in questa bella città una sorta di Marlowe sulle tracce di persone, di nomi, di facce concrete, oltre che di fatti realmente accaduti.
Ettore Messana, uno dei più pericolosi persecutori di “comunisti” e di sloveni, che la storia d’Italia abbia mai conosciuto operò, infatti, a Lubiana tra l’aprile del 1941 e il 15 maggio 1942, come questore. Per quanto non fosse l’inventore dei campi di concentramento fatti costruire a tutta furia dopo la primavera del 1941, tuttavia appoggiò e fornì il suo supporto operativo, al progetto di sterminio. Era questa, forse, una via breve per baipassare i tribunali ordinari o di guerra, e rientrare nelle meno dipendenti regole di alcuni grandi gerarchi del regime. Perciò penso che rispetto a quello che hanno patito, gli Sloveni siano un popolo paziente e tollerante.
Una figura da incubo quella di Messana. E non so se abbia una qualche connessione con questa il sogno che ebbi a fare la prima notte del mio arrivo all’hotel Pri Mraku. Sognai un mio conoscente che aveva una casa in costruzione e me la faceva visitare. L’edificio sembrava un vecchio rustico con una cucina a legna di quelle che usano i pastori nelle loro abitazioni di fortuna, durante la transumanza; vecchie pentole di rame dove non so cosa si stesse cuocendo. A parte, in un angolo della spelonca, sostava un’altra grossa pentola di rame. L’uomo rimuoveva con le mani gli strati superiori della materia di cui era riempita, che sembrava terra, e, come a volermi fare un dono o una piacevole, per lui, sorpresa, cercava più in profondità qualcosa che avrebbe voluto farmi assaggiare. Aveva già rimosso uno strato gelatinoso che un vecchio che gli stava accanto tentava di maneggiare per farne non so bene quale uso, quando, agganciata da un mestolo, saltava fuori una mano. Come nello splendido, grottesco angelo sterminatore di Bunuel. Ero sconvolto e mi ero messo a fuggire inseguito dal vecchio che, bontà sua, voleva farmi quel prezioso omaggio a tutti i costi. Mi svegliai di soprassalto con la sensazione che in quel posto dove mi trovavo fosse stato ucciso qualcuno, anche se nulla ancora sapevo, attraverso i documenti che solo dall’indomani avrei cominciato a leggere, che molti partigiani comunisti sloveni, perdurante l’attività di questore del Messana, erano stati uccisi in modo atroce, dopo essere stati arrestati, perseguitati, torturati. Per questo sento questa città a me vicina. Mi assomiglia nella storia personale, ma non rappresenta questo passato come io non voglio rappresentare le tragedie della mia infanzia. Ma Lubiana ed io abbiamo in comune questo personaggio oscuro, a capo delle forze dell’ordine prima in una città da lui saccheggiata col silenzio dei benpensanti del regime, e dopo in una terra, la Sicilia, che da allora doveva intraprendere un lungo cammino di sangue.
Lubiana è una città martire, come la Sicilia, Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato, Partinico e tutti gli altri comuni dove la virulenza del fascismo che non voleva morire, fece stragi dei lavoratori in festa. E come questi paesi molto lontani dalla Slovenia, anche Lubiana è oggi una cittadella piena di vita, con una grande capacità di sorridere e di accogliere. Molti sono i palazzi barocchi o liberty che si possono vedere attraversando il vecchio nucleo della città. Passando per Wolfova ulica si può vedere la statua dell’amore non corrisposto del poeta France Preseren, Julia Primic, scolpita da Tone Demsar, e quindi vagare per negozi, piazze e mercati, pizzerie, trattorie e pub (gostilna) che riempiono le due sponde del fiume Ljubljanica Hrbarjevo Nabrezje e Cankarjevo Nabrezje, ai piedi dell’imponente e sovrastante castello.
E’ una città molto antica. Le sue prime tracce risalgono ai Romani e al Medioevo, ma tutte le sue bellezze sanno di nuovo e di storia attuale: il parco Tivoli, la Galleria Nazionale, prima eretta come Casa del Popolo (1896), il Teatro Nazionale, il recente Cankariev dom, centro della cultura e della vita congressuale della città, i palazzi di Miklosiceva cesta, la via intitolata al linguista sloveno Fran Miklosic. Così, passeggiando per Lubiana e vedendone le strade, la gente e i palazzi, ascoltando il suono della lingua dei suoi abitanti, mi rendo conto di quanto sia stata assurda la pretesa dei fascisti di togliere il diritto di esistere e persino di usare la propria lingua, i propri nomi a individui e popoli che avevano avuto una storia secolare e di come l’anima nera che lo distinse abbia cercato di fermare la stessa ragione e il corso inesorabile della storia.
Inesorabile perché anche i morti possono tornare a vivere e con loro i fatti che furono all’origine di tante tragedie. Lubiana ha un Archivio Nazionale specializzato nella storia degli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Contiene una sezione speciale costituita dai fondi Kraljeva Kuestura Ljubljana, Carabinieri Reali, Alto Commissariato. I Carabinieri furono un’organizzazione militare e politico-spionistica al servizio del regime, specialmente negli anni della Resistenza jugoslava che più da vicino ci interessano (1941-1943). Così sappiamo di numerosi attentati contro la Milizia confinaria, alla quale erano state assegnate le “camicie nere”, e i militari italiani che procedevano a sistematici rastrellamenti di villaggi e popolazioni slave; di attentati a linee e stazioni ferroviarie, come le linee Lubiana-Postumia, sul ponte del Lubljanika (settembre-dicembre 1941), la linea ferroviaria Skoblica-Smaric (28 luglio 1941), nonché della fitta rete di propaganda antifascista e degli arresti conseguenti (28 dicembre 1941). Per l’aggressione al ponte sul fiume Lubljanika furono arrestati e consegnati al Tribunale militare di guerra della Seconda Armata, 48 detenuti, tra i quali Francesco Krasovec, Marian ed Herbert Lichtenberg, Antonio Giuseppe Kovacic. Degli arrestati 28 furono condannati a morte, tra i quali Antonio e Giuseppe Troha; 12 furono condannati all’ergastolo; 4 a trent’anni; 6 ebbero pene fino a dieci anni e 19 furono assolti. Per tale esemplare azione Mussolini propose che Messana, il questore di Lubiana, e Raffaele Lombardi, maggiore dei CC.RR., avessero conferita la Commenda dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e il cavalierato dello stesso Ordine.[7]
Con la destinazione di Messana a capo della questura di Lubiana, l’attenzione verso i cospiratori antifascisti si fa sistematica e minuziosa. Vengono presi di mira soprattutto gli ex arruolati nelle milizie rosse spagnole, i comunisti precedentemente schedati che si trovavano a fare i militari presso i vari battaglioni di stanza in Slovenia, i confinati politici, e quanti, come Mary Baltic svolgevano attività in favore degli sloveni già colpiti da provvedimenti delle autorità di occupazione.[8] Informazioni su contatti con elementi serbi e “sovversivi sbandati” nella zona di Verconico si registravano alla fine di agosto ’41. Qui erano presenti ufficiali dell’esercito jugoslavo soliti riunirsi presso una trattoria del Duomo in via Gradisca. Nonostante il frenetico controllo poliziesco la notte del 14 luglio ’41 ottanta “comunisti” prigionieri a Kerestine, pochi chilometri a est di Samobor, evasero e, dopo essersi impossessati di armi e munizioni, si diressero verso Zumberck-Planina. [9]
L’accanimento del regime contro gli sloveni, identificati tout court con i “comunisti”, è dimostrato dalla presenza di veri e propri squadroni della morte che avevano il compito, al di fuori delle vie ordinarie imposte dallo stato di occupazione militare, di eliminare i capi o gli elementi ritenuti pericolosi del fronte di Resistenza. Ma accadeva qualcosa di peggio. La Commissione per i crimini di guerra, istituita nel 1945, sulla base di documenti analizzati e testimonianze raccolte, ha calcolato che nei 29 mesi di occupazione italo-tedesca della Slovenia, nella sola parte italiana, i fascisti fucilarono come ostaggi 1500 civili; 2500 persero la vita nelle operazioni di rastrellamento, 810 civili morirono sotto tortura, e oltre cento vennero bruciati o massacrati; 7000 furono le donne, i vecchi e i bambini morti di stenti e di fame nei campi di concentramento italiani e quasi un migliaio di partigiani bruciati o passati per le armi. Se ci si prendesse la briga di andare a consultare quei documenti a Lubiana, anche attraverso un preliminare esame a campione dei materiali si scoprirebbero fatti inauditi. Si verrebbe a sapere, ad esempio, che alle ore 14,30 del 4 dicembre 1941, in via Vodnikova Lubiana, lo studente ventitreenne di Kranj, Francesco Emmar, residente in via Gledaliska 12, veniva ucciso con due colpi di pistola alla testa sparatigli da uno sconosciuto in bicicletta.[10] I casi sono innumerevoli ed è proprio difficile che si trattasse di una intensificazione dei fenomeni di criminalità comune nel periodo della gestione del Messana e dell’Alto Commissario Emilio Grazioli. Lo dimostrano parecchi episodi di persone uccise per strada, come, ad esempio, l’operaio comunista di Novo Mesto, Giuseppe Kocevar, 21 anni, colpito da quattro colpi di moschetto a Grosupllje, perché non si sarebbe fermato all’intimazione dell’alt della guardia di Finanza, Lino Spadaro.[11] Novo Mesto era un centro di propaganda molto attivo per la presenza non solo dei partigiani dell’Osvobodilna Fronta (OF), ma anche dei profughi provenienti dal territorio occupato dai tedeschi. L’attività organizzativa clandestina era indirizzata soprattutto al reclutamento di studenti e giovani operai. Tanto che il commissario locale di Ps scriveva a Messana: “ Ho l’impressione di trovarmi dentro un fabbricato in cui si sente odor di bruciato, ma dove per il momento non si riesce ad identificare il focolaio dell’incendio”.[12]Ma saranno i bollettini dell’XI Corpo d’Armata a riferire dettagliatamente dell’attività dei partigiani jugoslavi nelle varie zone. Esse erano sottoposte alle competenze delle divisioni Granatieri di Sardegna, Isonzo, Macerata, Cacciatori delle Alpi e Guardie di frontiera. Ma Messana, col suo apparato di poliziotti e carabinieri, non era da meno. Furono centinaia i partigiani aderenti all’OF denunciati al Tribunale militare di guerra presso la seconda Armata di Lubiana. Sbrigativi appaiono anche i soldati del primo battaglione Gaf che perlustrano l’abitato di Hrastje (Lubiana). Il militare Giovanni Bresciani, non tollerando che uno sconosciuto gridasse: “Viva la Russia”, gli spara uccidendolo, senza tanti problemi.[13] Poteva, al contrario, capitare che un sottufficiale della Regia marina, come Francesco Sossi di 28 anni, perdesse la testa per la slovena Maria Pirkovic di Velike Lasce (Lubiana), benestante, ma “di idee comuniste e avverse all’Italia”, e che, pertanto, i suoi superiori fossero messi di fronte alla necessità di “prendere opportuni provvedimenti”. Tom Joze, calzolaio di 30 anni, fu ucciso con due colpi di pistola nella frazione di Tancagora di Lubiana da uno sconosciuto. Sul cadavere l’assassino lasciò un cartello eloquente; “Morte alle spie, al fascismo, libertà al popolo”. Qualcuno sospettò che quella spiegazione servisse, invece, a nascondere che si era eliminato un partigiano e per giunta lo si era voluto fare passare per spia. Antonio Melec, 21 anni di Pograje (Venezia Giulia) fu ucciso a Lubiana il 28 dicembre 1941 e il suo cadavere fu trovato nei pressi del cimitero di Grovlje. Presentava cinque colpi di arma da fuoco: quattro alla schiena e una alla nuca.[14] Il numero rilevante delle persone suicidatesi o uccise perché ufficialmente in fuga o perché non si sarebbero fermate all’intimazione dell’alt, nasconde, in realtà un piano diabolico che costituì l’espediente di cui dovettero servirsi i fascisti italiani nella ex Jugoslavia occupata, per giustificare l’eliminazione di ogni focolaio di resistenza. Ebbe a occuparsene la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, che deferì Messana, il commissario di Ps. N. Pellegrino e il dott. Macis al tribunale per i crimini compiuti da detti soggetti durante l’occupazione italiana della Slovenia. A denunciarli fu per primo il Comitato centrale del Partito comunista sloveno con un proprio appello ciclostilato, datato 28 aprile 1941. Si esecravano il crollo della Slovenia sotto il dominio dell’imperialismo italiano e tedesco, gli arbitrari arresti in massa dei civili, le torture e i licenziamenti dai posti di lavoro. Si chiamavano, quindi, i partiti e gli Sloveni all’unità nazionale e alla lotta comune di liberazione.[15]
Questi delitti, come quelli compiuti dal regime fascista in Libia, Etiopia, Albania, Croazia, Grecia, Dalmazia, sono stati fino ad oggi poco indagati se non addirittura rimossi dalla memoria collettiva degli italiani. Pesano sulla nostra coscienza, come una delle pagine più tristi e vergognose della storia del Novecento. Ma tanto – si sa – ci si adagia sul falso mito degli “Italiani brava gente”, col cuore in mano, tra canti, spaghetti e mandolini. Come in un brutto documentario in bianco e nero degli anni Trenta.
All’Archivio di Stato della Slovenia esistono due importanti documenti della Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, in cui, anche sulla base della documentazione raccolta, si descrivono le atrocità di cui furono responsabili i fascisti nella conduzione delle persecuzioni contro la popolazione dei territori occupati:
Nel primo, scritto in lingua slovena, leggiamo:
Messana Ettore
Nato il 2 aprile 1888 a Racalmuto (Agrigento), fu questore della Questura di Lubiana dal giugno 1941 fino al 15 maggio 1942. Poi fu questore a Trieste. Nel periodo in cui fu questore a Lubiana, si verificarono arresti giornalieri degli aderenti e dei simpatizzanti del Fronte di Liberazione (Osvobodilna Fronta: OF). Si sparava agli Sloveni senza motivo e la causa delle morti si attribuiva alle loro fughe. Di questo operato della questura il Messana parla nei suoi rapporti quotidiani all’Alto Commissario Grazioli. Il documento del 31 dicembre 1941 non è reperibile nella copia originale. L’originale è presso la Commissione per i crimini di guerra a Belgrado. La Commissione per l’individuazione dei crimini di guerra ha raccolto numerose testimonianze di reclusi che vennero arrestati dai questurini sotto il comando del Messana, a Lubiana. Anche questo materiale è presso la suddetta Commissione a Belgrado.
Qualora si dovesse accertare qualcuna di queste testimonianze, soprattutto nelle modalità dell’interrogatorio, o durante la gestione del recluso da parte della polizia italiana, comunicatecelo.
Ettore Messana è responsabile della fucilazione dei primi ostaggi nel periodo che va dal 1 maggio 1942 (quando vennero fucilati Siper e Gasperlin) fino alla sua partenza da Lubiana.
Accludiamo due documenti presi dall’Archivio della questura di Lubiana, che parlano della responsabilità della questura nella fucilazione di ostaggi. Gli appunti originali sui due documenti sono del vicequestore Ferrante.
Gli internamenti vennero guidati dalle autorità militari ed il Messana in queste azioni ebbe soltanto funzioni di supporto e subalterne.
I documenti allegati sono presi da un incartamento che operativamente non fu mai usato. Escono dalle carte della questura e dell’Alto Commissariato e per questo vi invitiamo a restituirli.[16]
Nel secondo, scritto il lingua inglese, da parte della Commissione delle Nazioni Unite, e che ha per oggetto: “Accuse jugoslave contro i criminali di guerra italiani”,[17] leggiamo:
Riassunto dei fatti:
Sotto il mandato dell’Alto Commissario Emilio Grazioli, gli elementi civili dell’esercito italiano di occupazione hanno commesso innumerevoli crimini. Sono stati responsabili dell’ampia organizzazione di spie e poliziotti con l’obiettivo di introdurre il fascismo in Slovenia. Per raggiungere tale scopo, sono stati utilizzati tutti i mezzi possibili e chiunque cercasse di opporsi, soffriva i terribili metodi impiegati dai “2000 anni di cultura” degli italiani. Invece di occuparsi della sicurezza e dell’ordine della vita civile, essi hanno fatto l’opposto. Gli uomini venivano torturati con gli antichi metodi dell’inquisizione medievale; le ragazze venivano violentate senza tener conto della loro età; migliaia di cittadini innocenti e pacifici venivano internati e deportati. Uomini e donne venivano uccisi in massa senza capi di imputazione o processo. L’obiettivo consisteva nel trasformare gli Sloveni in “buoni” fascisti o sterminarli.
Trasmesso dalla Commissione di Stato jugoslava:
dott. R.Z., 14 luglio 1945
Il documento così prosegue:
Particolari di un presunto crimine
In data 21 ottobre 1941 Ettore Messana diede ordine (vedi documento 06633 – Regia Questura di Lubiana) di arrestare tutti gli abitanti dei villaggi e della città della Slovenia che non fossero abitanti permanenti di quei luoghi. Inoltre ordinò l’arresto di tutti coloro che fossero minimamente sospettati di essere collegati ai partigiani. Diede istruzioni ai suoi subordinati di confiscare denaro e valori e di minacciare ed arrestare la popolazione. Come si può vedere dai documenti originali del Tribunale militare di guerra, sezione di Lubiana, n. 634/42, accuse false vennero mosse da Pellegrino, commissario di polizia presso la questura di Lubiana, contro Anton e Vide Tomsic, Josipina Macek, Mialo Marino, Kolman Hodoscek, Josip Hodoscek e Martin Simacina. Come risultato Anton Tomsic fu passato per le armi il 21 maggio 1942, mentre gli altri vennero condannati al carcere a vita. Le false accuse di Pellegrino furono la causa della morte di un uomo innocente alla quale contribuì il giudice Macis con le sue procedure illegali. Di fatto, Macis è il responsabile di tutti i crimini commessi a Lubiana tramite “la legge italiana”. Documenti sequestrati mostrano come venivano gestiti i casi e come della gente innocente pagava con la vita. Per la Corte, era sufficiente che un poliziotto dichiarasse di avere un documento segreto per provare che l’accusato era colpevole. La persona accusata veniva condannata a morte senza che si chiedesse di esibire il documento in questione.
Basti un solo esempio: 16 persone sono state arrestate da un poliziotto senza che vi fosse alcuna prova di colpevolezza contro di loro. Alla fine si fece avanti un tedesco che voleva vendicare un suo lontano parente ucciso dai partigiani. Costui dichiarò il falso e tutte le 16 persone vennero fucilate. Macis era il responsabile.
La prova di questa accusa proviene dai documenti originali italiani della “Divisione Isonzo” e sono reperibili presso gli Archivi della Commissione di Stato Jugoslava.
U.T.

A ben guardare, Messana fu l’organizzatore principale della guerra dichiarata contro i “banditi” e, forse, l’inventore stesso del concetto di banditismo legato alla lotta partigiana. Per un motivo semplice: che questa in Italia si manifesta dopo l’8 settembre, mentre egli l’aveva già sperimentata un biennio prima. Il che dovette dargli ulteriori idee al tempo della sua presenza nella Sicilia del secondo dopoguerra, quando la cosiddetta banda Giuliano rimase per sette lunghi anni imprendibile.
Conflitti a fuoco tra i ribelli sloveni e i carabinieri si svolsero la notte del 22 ottobre 1941 a Ribnica, Monte Log (24 ottobre), Loz (19 ottobre), Osredek (28 ottobre), Begunie di Bezuliak (20 ottobre), nei boschi di Loski Potok (Lubiana, 23 ottobre), nei pressi della galleria tra Smanie e Skoflice (25 ottobre). La resistenza fu opera, soprattutto di studenti jugoslavi e fu contrastata da continui rastrellamenti da parte dei carabinieri delle varie compagnie, tutte del XIV battaglione dei CC.RR. ‘Milano’. Altri scontri si ebbero a Corice e Griblie di Cernomeli (28 ottobre). Il 4 novembre 1941 fu arrestato Josef Mihelcic, capo di una banda che si era scontrata con i reparti del 24° Fanteria. Non sempre si conosceva la destinazione degli arrestati, anzi era meglio che non se ne parlasse proprio: “L’Arma del luogo [Cocevie] non conosce dove gli arrestati furono diretti, né si ritiene il caso di richiederselo direttamente al maggiore comandante l’anzidetto presidio, per ragioni di opportunità”. [18]
Il 29 novembre, dopo il rastrellamento di Korinj vennero catturati Antonio Zupancic, 21 anni e Ivan Campbel. Durante un’analoga operazione dell’Arma compiuta una settimana prima fu ucciso Milan Licen di Mehinje, 21 anni, della “banda” di Adolfo Mihlo. Il 4 novembre era stato arrestato Josef Mihelcic, capo di una banda che si era scontrata con i reparti del 24° Fanteria. Gli arresti avvenivano spesso per le soffiate di alcuni confidenti prezzolati, come scriveva il maggiore cei carabinieri di Lubiana: “Desidero rafforzare il concetto della necessità di procurarsi dei bravi confidenti che possano fornire indicazioni precise sulla costituzione, forza, armamento e dislocazione delle bande datesi alla macchia”.[19] Il 10 dicembre una banda di sessanta uomini entrò in conflitto con la polizia tedesca, e tre giorni dopo trecento comunisti si diressero verso il vecchio confine italiano nei pressi di Montenero. Il confine italo-tedesco passava sopra Gorie Opale ed era continuamente interessato dalle bande di partigiani che operavano nella Slovenia tedesca tra il confine e la rotabile Skofie Leka. A questo proposito c’è da dire che l’occupazione del territorio sloveno da parte dei tedeschi spingeva molti abitanti delle zone occupate a spostarsi in territorio italiano, per cui diventava una zona calda la fascia di demarcazione tra Brezovo-Petrzie e Presti Javor.
Il 4 febbraio 1942 furono denunciati per partecipazione a banda armata Federico Kobilica, nativo di Vienna, Alfredo Klopic di Lubiana e Antonio Bogsa di Velike Iasce.
Il 31 ottobre Messana preannunciò al Comando della Divisione militare “Granatieri di Sardegna” di Lubiana che era in corso un concentramento di “bande armate” nella zona di Novo Mesto (dove il comandante la compagnia dei CC. era Carmine Fera) e Vrhpolje. A seguito della segnalazione, il 3 novembre, i carabinieri assaltarono i “ribelli” uccidendone diciotto nei boschi di Gornje Laze, in territorio di Cermosnice.[20] A loro volta Francesco Delfino, colonnello comandante CC. della seconda Armata, segnalò un’accentuazione di “bande comuniste” nel nuovo territorio annesso della provincia di Fiume, e il capitano Spatafora fornì un elenco di venticinque partigiani segnalando i militanti in formazioni militari, tutti operai appena ventenni, e quelli non militanti o favoreggiatori. Tutti comunque deferiti all’autorità giudiziaria. La sera del 17 novembre cinquanta comunisti penetravano a Karlovac, uccidevano due ustascia e alcuni carabinieri e quindi si dileguavano. Il numero dei partecipanti a questa azione sembra esagerato, perché, di solito le “bande” erano costituite da pochi elementi. Ad esempio, quella comandata da Adolfo Evas di Lubiana, era composta da tredici elementi, per lo più artigiani e qualche studente.
A dare manforte alle operazioni di pulizia etnica intervenne il Comando federale dei Centri di assistenza di Lubiana, emanazione del PNF. Il 28 maggio 1941 segnalò la presenza di un gruppo pericoloso per le forze di occupazione: Glavko Zaccaria, vicepresidente del Comitato di Azione di Oriuna e partecipante, nel 1926, all’attentato di Prestane, antimonarchico e antifascista; l’ing. Kreinz, comandante delle “squadre terroristiche antiitaliane” e del triestino Mario Pozar, “propagandista bolscevico” in contatto con “simpatizzanti comunisti” di Ribnica e abituale frequentatore dei caffé Metropoli e Mikliel di Lubiana. L’autunno invece fu segnato dalla proposta di confino di polizia per Giuseppe Mazovec di Dev Maria Polje, 37 anni, dirigente comunista, Giovanni Babsek di Borovnica, Alberto del Medico, Boris Grgurevic e Vladimir Klajnsek, colpevole, quest’ultimo di detenere il libro “comunista” “Slovenski Iorocevalez”. Gli ordini di mandati di cattura, gli arresti e le traduzioni in carceri di comunisti o presunti tali furono innumerevoli, come anche gli ordini di fermare gli ebrei. Un bando di espulsione dal territorio croato li aveva colpiti già in precedenza. Pertanto giornalmente giungevano a Lubiana dalla Croazia numerosi ebrei fuggiaschi che andavano ad unirsi a quanti non volevano soggiacere alle persecuzioni naziste. Ma gli italiani non si comportarono diversamente dai loro amici tedeschi. Bastava portare qualche distintivo sospetto, come quello dell’Associazione jugoslava Sokol, o semplicemente dimostrare “sentimenti antiiitaliani” per essere ipso facto arrestati. [21]In parecchi casi si procedette alla fucilazione di ostaggi. Perciò, che fossero uomini o donne, tutti quelli che entravano nel mirino del questore, non avrebbero certo avuto vita facile. Sorte che toccò anche a Zdenka Armic, 33 anni, moglie di Boris Kidric, uno dei dirigenti del movimento insurrezionale sloveno, e a Maria Slander, 30 anni, “pericolosa comunista”. [22] Praticamente, fino a quando non fu sostituito dal suo collega D. Ravelli, le disposizioni persecutorie di Messana furono sempre più accentuate, e si conclusero, nell’aprile-maggio 1942 con una serie di lunghe liste di arrestati, che il questore aggiornava costantemente, redigendo appositi elenchi ogni quindici giorni. Bastò che fosse trasferito a Trieste perché il numero degli arrestati scendesse. Così si contano ad aprile 180 arresti; a maggio 164; ma a giugno sono 124, a luglio 15, ad agosto 21. Risalgono di nuovo a ottobre, a 127. Evidentemente in estate le repressioni poliziesche cedevano il passo alle vacanze dei carnefici. Ma non c’è dubbio alcuno, però, che durante la gestione di Messana le persecuzioni avessero raggiunto caratteri di particolare violenza e sistematicità. Tanto che si riscontrano parecchie lamentele, di autorità slovene e di privati cittadini contro gli arbìtri del questore. Si può per questo avanzare l’ipotesi che il suo trasferimento a Trieste fosse dovuto a una situazione ormai divenuta insostenibile e che la sua nomina a ispettore di Ps per la Sicilia, fosse legata alla convinzione di un reale pericolo di successo delle forze comuniste e socialiste in lotta per le riforme. Un’azione di forza, insomma, sul governo, per determinare i futuri orientamenti del dicastero degli Interni. E’ altrettanto plausibile l’ipotesi che quando Messana viene nominato in Sicilia, si porti con sé un certo numero di fedeli che aveva avuto modo di sperimentare tra Lubiana e Trieste. Tra costoro, il tenente colonnello dei CC.RR. Luigi Geronazzo, già alle sue dipendenze al tempo dell’occupazione della Slovenia. Che si tratti di un caso di omonimia col Geronazzo di cui parla Girolamo Li Causi, in un discorso tenuto al Parlamento nazionale contro Messana, nel 1949, è difficile pensare. Il parlamentare non ci fornisce il nome, ma l’Arma dei Carabinieri, nel proprio sito web, nel riportare le varie decorazioni di cui fu insignito l’ufficiale, ci conferma il nome di Luigi, classe 1897. Quindi, in caso di omonimia, ci troveremmo paradossalmente di fronte a due tenenti colonnelli appartenenti alla stessa Arma e vissuti alle dipendenze di Messana in due periodi diversi: il primo è il soggetto che incontriamo durante l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia; il secondo, quello di cui parlò Li Causi quando ebbe a dire: “…soldato valoroso fino all’ingenuità, credeva che i banditi si affrontassero allo stesso modo con cui si affrontano i soldati”. E spiegava meglio: “Non so se il ministro Scelba sa che furono individuate le persone che favorirono l’uccisione del Geronazzo e che vennero arrestate; era un’intera famiglia il cui capo divenne confidente dell’Ispettorato di pubblica sicurezza”.[23] Allora c’è da chiedersi: – di quali segreti era depositario questo ufficiale? E perché i suoi traditori sono di fatto legati come confidenti a Messana?
A trovare una risposta potrebbe esserci di aiuto la motivazione della sua decorazione con medaglia d’argento al valore militare, concessagli dopo la sua morte, avvenuta in circostanze non meglio chiarite, la notte del 29 dicembre 1947:
Al comando di un battaglione Carabinieri impegnato duramente per più mesi contro una banda armata tristemente famosa per l’efferatezza dei gravi delitti compiuti, sempre primo nelle azioni più rischiose, dedicava tutto se stesso alla lotta, conseguendo proficui risultati e contribuendo a disorientare i fuorilegge. Di notte, mentre rincasava nella sede del comando, fatto segno, per rappresaglia, a scarica di arma da fuoco da malfattori in agguato, reagiva coraggiosamente, sebbene ferito mortalmente, facendo fùoco con la propria pistola. Montelepre (PA) – Partinico (PA) – Carini (PA) – Alcamo (TP) – Piana dei Greci (PA), agosto/novembre 1947“.[24]

A confermare l’identità del Geronazzo che troviamo impegnato, nel 1941-’42, a combattere ben altre “bande” sul fronte orientale, con Messana e Ciro Verdiani, allora ispettore generale di Pubblica sicurezza per l’oriente italiano in Croazia[25], si possono, poi, richiamare i numerosi riconoscimenti acquisiti da questo graduato nella sua carriera: nel periodo immediatamente successivo all’occupazione di Harar, nel 1936, e per le azioni condotte nell’Africa settentrionale, tra il luglio 1940 e il febbraio 1941. Insomma era un militare deciso e combattivo, tanto che, al momento della sua nomina a questore di Lubiana, Messana pensò di portarselo con sé in Slovenia. Quando poi fu dirottato in Sicilia il militare seguì il suo superiore. Senonché non poteva fare di testa sua, e proprio la banda Giuliano, l’unica tenuta in vita delle trentacinque che gli Alleati avevano trovato nell’isola dopo il loro sbarco del 1943, non andava combattuta sul serio e, anzi, era un’organizzazione intoccabile. Se non ci fosse stata si sarebbe dovuto inventarne una uguale. Ma questo Geronazzo forse non lo sapeva.
La sua morte potrebbe essere un anello di una lunga catena di morti ammazzati eliminati in ragione del loro ufficio. Tanto per non cambiare anche questa volta si tratta di due ufficiali posti sulla strada dell’assassinio del dirigente sindacale di Sciacca, Accursio Miraglia. Lo dovevano eliminare il primo gennaio del 1947 per inaugurare l’anno di piombo, quello di Portella. Ma i suoi assassini preferirono non perdere l’occasione del tradizionale banchetto di capodanno nelle loro case riscaldate dai camini, e rinviarono di qualche giorno, il tempo per digerire l’abbuffata. Come sempre anche questa volta l’ispettore Messana è come il corvo nero che si aggira attorno a quest’altro cadavere. Un’accusa di superficialità nelle indagini gliela rivolge l’ispettore generale di PS Fausto Salvatore la cui relazione al capo della polizia viene inoltrata dal direttore Capo della Divisione del Sis alla Divisione AGR di Roma. Nella relazione si legge “ non si ebbe intuito felice nelle indagini dirette a far luce sul delitto, essendo state queste iniziate e proseguite con leggerezza e superficialità ed in direzione prefissata”. Vi si lamenta inoltre il fatto che l’arresto – ordinato dal dottor Zingone e dal capitano Carta – di Curreri, Rossi e Di Stefano, il primo come esecutore del delitto, l’altro come mandante e il terzo come complice, fu eseguito da due carabinieri con “tattica sbagliata”, e che gli stessi arresti furono “ intempestivi” a causa “di prove insufficienti a carico dei mandanti”. Così proseguiva rammaricato l’ispettore Salvatore:

Purtroppo nessun accertamento, dico nessuno, risulta eseguito o appena iniziato da parte dell’ Ispettorato del Messana o dalla questura di Agrigento in tutto questo vasto settore. Nel fascicolo “Miraglia” dell’Ispettorato non vi sono che una decina di verbali d’interrogatorio degli arrestati, di coloro che accompagnavano il Miraglia e di qualche altra persona, tutti di irrilevante valore. Nel fascicolo della questura di Agrigento vi è ancora meno: qualche copia dei suddetti verbali e null’altro. In ambedue nemmeno un cenno biografico del morto e –purtroppo- delle sue complete generalità.
E’ canone fondamentale di polizia giudiziaria studiar bene ed a fondo la vittima di un delitto,conoscerne la vita, le attività, le amicizie, le relazioni d’affari, ecc.ecc.
Nulla, assolutamente nulla di tutto questo è stato fatto per il Miraglia, sia dall’Ispettorato che dalla questura. E sì che il Miraglia ha avuto una vita movimentata: giovane disoccupato, poi studente, poi impiegato a Milano, poi anarchico in cerca di espatrio, poi mancato fascista, poi fervente comunista, poi dirigente politico e sindacale ed uomo d’affari e commerciante di cereali, di ferramenta, e di pesce salato e quasi sicuro e vittorioso candidato alle prossime elezioni politiche. Un’attività dunque intensa, e multiforme, studiando la quale potrebbe trovarsi il filo conduttore del delitto”. E concludeva: “Si può dire che per la scoperta del delitto in esame bisogna ricominciare da capo ed eseguire con metodo, con pazienza e con costanza tutte quelle indagini che – ove non fossero state del tutto omesse- avrebbero potuto dare utili risultati”.[26]

L’ispettore quindi disponeva che le indagini fossero riprese ex novo da parte della questura “con la più volenterosa collaborazione dell’Arma” e che il dott. Zingone, titolare dell’Ufficio di Sciacca dedicasse “la propria attività quasi esclusivamente alle indagini” su Miraglia con l’aiuto del vicecommissario Tandoy. Il Salvatore, in sostanza, nell’asserire, ai fini delle indagini, la centralità della biografia del sindacalista saccense, sembrava scagionare la pista, allora sostenuta dalla sinistra, di un delitto consumato dagli agrari (“il proprietario terriero è in realtà il meno danneggiato dalla legge per la lottizzazione dei latifondi perché questa oltre a lasciare integro e illeso il diritto di proprietà garantisce il canone di affitto”) e orientava nella direzione della responsabilità di coloro che erano stati danneggiati dall’azione del dirigente: proprietari di terreni ceduti alla Cooperativa, fittavoli, mezzadri, pastori. Si trattava in realtà di un indirizzo fantasioso e depistante, ma nascondeva in realtà l’insufficienza delle piste fino a quel momento concepite. Infatti non fu mai avanzata l’ipotesi del delitto terroristico e sia gli inquirenti, sia anche la sinistra rimasero prigionieri dello schema economicistico, che ormai dalla strage di Alia (21 settembre 1946) contro i dirigenti della Federterra aveva assunto i caratteri dell’eversione.



[1] Prefettura di Trieste, Nota del prefetto Tullio Tamburini alla questura di Trieste e p. c. alla Ragioneria della regia prefettura di Trieste, con oggetto. Gr.Uff. Dott. Ettore Messana questore, 7 giugno 1943 XXI, gab. 018/2286. Il telegramma di Senise riportato dal prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, 30 maggio 1942, XX, gab. 062/6454
[2] Cfr. ibidem, il prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, fonogramma a mano, 28 aprile 1943, XXI, gab. 016/1724; e nota dello stesso prefetto del 16 aprile 43, gab. 018/1468 –2
[3] Prefettura di Trieste, Polizia della Venezia Giulia, Divisione criminale investigatica, Atti di gabinetto, b. 18, nota dell’ispettore capo Feliciano Ricciarelli al prefetto di Trieste, 6 ottobre 1945, prot. 481
[4] Prefettura di Trieste, Atti di gabinetto, b. 18, nota del prefetto Bruno Coceani alla Direzione generale di Ps del Ministero dell’Interno, 24 maggio 1944, gab. 018/1895
[5] Cfr. Archivio della Repubblica Slovena, Lubiana, Kraljeva Kuestura, AS 1796, 1941-1943, f. 1/II,2 31 agosto 1942 riguardante l’arresto di Antonio Tomsic; Rapporto del prefetto di Chieti al Ministro dell’Interno e all’Alto Commissario di Lubiana, riguardante l’internamento a Tollo di Miran Pozenel, div. Di Ps., prot. 05879, 12 giugno 1942; Ministero dell’Interno, direzione generale di Ps all’Alto commissario di Lubiana, Emilio Grazioli, per l’internamento di Giovanni Gradisek, prot. 447/05167 del 25 maggio 1942; Ministero dell’Interno all’Alto commissario di Lubiana, prot. 448/306997, 19 maggio 1942, per l’internamento di Rodolfo Fink a Pisticci; il prefetto di Padova Vittorelli alla R.questura di Chieti e all’Alto commissario di Lubiana, 22 giugno 1942.
[6] Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Sis, b. 36, fasc HP27/Agrigento, class.: segreto. Titolo: Sciacca (Agrigento), assassinio del rag. Miraglia, segretario di quella Camera del Lavoro, 18 marzo 1947

[7] Cfr. Repubblica Slovena, Lubljana, Archivio Nazionale, CC.RR. , vol. 155/I, nn. 8-9-10, n. 13; lettera del maggiore Raffaele Lombardi al Comando del gruppo CC.RR. di Lubiana, 19 gennaio 1942; il capo della polizia Carmine Senise all’Alto Commissario per la provincia di Lubiana, 6 aprile 1942; per l’attentato alla linea ferroviaria Skoblica- Smaric, il fasc. 16; per gli arresti per attività antiitaliane, fasc. 18.
[8] Cfr. ivi, Comando raggruppamento camicie nere d’assalto; il luogotenente comandante Renzo Mantenga alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, fasc. 154/II, n. 5, 1° novembre 1942.
[9] Cfr., ivi., CC.RR., b. 154, II, 1941, il questore Messana al comando gruppo CC. di Lubiana, 14 luglio 1941, e nota del luogotenente comandante Renzo Mantenga, Comando raggruppamento Camicie nere d’assalto alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, 1 nov. ’42.
[10] Cfr. ivi, Nota del capitano dei CC.RR. Salvatore Spatafora all’Alto Commissario e alla Regia Questura di Lubiana, prot. 75/299, 4 dicembre 1941; fasc. 42.
[11] Cfr. ivi, Comando del gruppo dei CC.RR. di Lubiana, fono 1/109 del 9 dicembre 1941; fasc. 42.
[12] Cfr. ivi, Kraljeva Kuestura, 1796, VI, R. Ufficio di Ps di confine di Novo Mesto, gab. 0239, 12 gennaio 1942; e ibidem, prot. I n.0952 del 31 gennaio 1942. Un importante documento della resistenza jugoslava, anche se parzialmente mutilo, è reperibile allo stesso fondo, 1796, n° 1, f. 1/II.
[13] Cfr. Ivi, Comando gruppo CC.RR. di Lubiana, fasc. 14, Battaglione CC.RR. “Milano, Tenenza Lubiana Esterna, il tenente Mario Guarino all’Alto Commissario di Lubiana, 9 dicembre 1941; fasc. 43.
[14] Cfr. ivi, segnalazione del capitano Salvatore Spatafora all’Alto Commissariato di Lubiana, 28 dicembre 1941; fasc. 47, per il caso di Tomc Joze al fasc. 45.
[15] Cfr. ivi, b. 154/II, n. 5. Sugli innumerevoli suicidi, CCRR., gruppo, b. 156/III, n. 5.
[16] Archivio di Stato di Lubiana, 1931, segnato RSNZ, SRS, Questura, 2022-3/ n. 59. Si tratta di un documento microfilmato, intestato a Ettore Messana e recante il n. 168013. La traduzione è stata effettuata dal prof. Boris Gombac, residente a Lubiana.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Lubiana, AS, 1551, Zbirka Copij, Skatla 98, 1502-1505. Caso n. R/IT/75- Nomi degli accusati: 1) Ettore Messana, questore a Lubiana (Fasc. 263); 2) N. Pellegrino, commissario di PS a Lubiana (Fasc. 266); 3) dott. Macis, tenente colonnello, procuratore del Re, tribunale militare di guerra a Lubiana (Fasc. 267). Data e luogo del presunto crimine: durante l’occupazione italiana della Slovenia. Numero e descrizione del crimine nella lista dei crimini di guerra: I) Assassinio e massacri- uso sistematico del terrorismo; III) Tortura di civili; V) Violenza carnale; VII) Deportazione di civili; VIII) Internamento di civili in condizioni inumane; XII) Tentativo di denazionalizzare gli abitanti del territorio occupato- Violazione degli articoli 4, 5, 45, 46, regolamentazione dell’Aia, 1907, e dell’art. 13, Atti jugoslavi per le Corti Militari, 1944.
[18]Cfr. Repubblica slovena, Archivio nazionale di Lubiana, AS 1781, f. 154/I, CC.RR, 1941, il capitano della Compagnia di Cocevie, Pasquale Luciano al Comando dei CC. di Lubiana, n. 113/77-1, prot. Div. .III, 6 novembre 1941.
[19] Cfr. ivi, il maggiore comandante del gruppo CC di Lubiana a tutte le compagnie dipendenti, n. 64/1, prot. Segreto, 12 ottobre 1941.
[20] Cfr. ivi, il Comandante la Tenenza, Augusto Fabri al Comando CC.RR. di Lubiana, 4 novembre 1941.
[21] Cfr. ivi, CC.RR., b. 155/III, e b. 156/I, il maggiore maresciallo Leonardo Capozzi alla regia questura, Lubiana, 22 settembre 1941; nota del tenente comandante CC di Longatico Filippo Falco alla R. Questura di Lubiana, 8 ottobre 1941.
[22] Cfr. ivi, CC.RR., b. 157, I (tutto il fondo CC.RR. porta il numero 1781 e comprende le buste fino a 185); sulla fucilazione di ostaggi, tra gli altri, il comandante la Compagnia del Gruppo CCRR di Lubiana all’Alto Commissario di Lubiana, b. 157, I, riservata del 25 maggio 1942; cfr. inoltre ivi, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-1943, 1796, corrispondenza di luglio-agosto 1941., n° 2, f.1, 1941; n°2, f.II/2; circolare di Messana al Comando CC di Lubiana interna, 17 marzo 1942.
[23] Cfr. Discorso di Girolamo Li Causi al Senato della repubblica, 23 giugno 1949, in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Atti relativi alla strage di Portella della Ginestra, parte prima, p. 90.
[25] Cfr. Archivio nazionale della Repubblica slovena, , AS 1796, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-’43, f. 1/I, documento a firma Verdiani del 29 maggio 1942.
[26] ACS, Ministero dell’Interno, Sis, Relazione dell’Ispettore generale di Ps Fausto Salvatore al Capo della Polizia, Roma, 18 marzo 1947, inviata dal direttore capo divisione del Sis il 29 ottobre 1947, div,. Sis, sez II, prot. 224/62345, b. 36, f. HP27 (titolo: ‘Agrigento’), oggetto: Assassinio del rag. Miraglia, segretario Camera del Lavoro di Sciacca