martedì 15 marzo 2016


[SESTO  ARTICOLETTO]

LA CONQUISTA ROMANA

di Calogero Taverna

Attorno al 282 a.C. si affaccia sul proscenio della storia un tiranno agrigentino di un qualche rilievo: Finzia. Fu lui a radere al suolo Gela e a trasportarne la popolazione nell'attuale Licata: in questa località il tiranno costruì una città in puro stile greco, cinta di mura e dotata di agorà e di templi. Racalmuto dovette essere terra subalterna a Finzia e dovette contribuire quindi al sostegno finanziario delle mire egemoniche del tiranno agrigentino. Fu però vicenda storica di  breve respiro. Sparisce ben presto Finzia e Akragas, ritornata debole e faccendiera, non sa ostacolare l'egemonia di Siracusa.

Nel 280 a. C. Siracusa sconfigge Akragas. Cartagine, vigile ed interessata, arma un imponente corpo di spedizione che presto raggiunge le porte di Siracusa. Akragas  ed il suo territorio -  ivi compreso Racalmuto - si estraniano, come sempre, dalla lotta armata ed assistono piuttosto indifferenti all'intrusione di Pirro, quel re dei molossi, passato alla storia per le sue risibili vittorie.

Akragas e Racalmuto, quale sua pertinenza, rientrano nella zona di influenza di Cartagine e  vi restano per quasi un ventennio fino a quando la Sicilia fenicia entra inspiegabilmente nelle grinfie espansionistiche della repubblica romana. Ancor oggi gli storici non riescono a spiegarsi perché i romani armarono uomini e navi contro i cartaginesi di Sicilia.

Nel 264 a.C. scoppia la prima guerra punica e la vicenda siciliana si avvia melanconicamente a divenire un'oscura appendice della lontana e suprema Roma. Per la Sicilia si creano le premesse per  l'infame detto ciceroniano: «prima docuit maiores nostros quam praeclarum esset exteris gentibus imperare». Già, la Sicilia ebbe l'ingrato compito di far gustare per prima ai Romani quanto fosse bello soggiogare popoli stranieri. A distanza di un secolo e mezzo, Sicilia, Akragas (e ancor più Racalmuto): tutto ciò era per i romani - anche se, come Cicerone, erano chiamati a difesa dei conculcati diritti da un tremendo Verre - nient'altro che «extera gens» [straniera gentucola] da dominare e da proteggere solo perché «ornamentum imperi».

Roma conquistò Akragas nel 261 e fu una crudelissima vicenda bellica romana: dopo un assedio di sei mesi, le bestiali furie dei romani si sfogarono ignominiosamente sui poveri cittadini agrigentini. Né beni, né donne e neppure gli stessi uomini furono risparmiati:  25.000 dei suoi abitanti furono venduti come schiavi.

Sette anni dopo, sono i cartaginesi a rimpadronirsi della città, dopo avere distrutto la flotta romana che ritornava dall'Africa. A farne le spese è ancora una volta la città di Akragas: i cartaginesi bruciano ogni cosa, abitazioni e mura.

Riteniamo che la terra di Racalmuto dovette essere alquanto decentrata per subire direttamente le atrocità di quella guerra punica. Ma i riflessi dovettero esserci, dolorosi e devastanti. Lutti fra i parenti che si erano stanziati nella vicina polis; distruzione di beni; spoliazioni, rapine, banditismo, vandalismi ed altro infestarono le campagne racalmutesi, con più che probabile ferocia e con sgomento degli sparuti abitanti locali.

Le antiche fonti nulla ci dicono sui successivi due decenni: verso lo spirare del secolo, Akragas  e la vicina Eraclea Minoa  appaiono saldamente in mano dei cartaginesi. Tra il 214 e il 211 a.C. un massiccio movimento di uomini armati - si parla di 40.000 militari tra i quali 6.000 cavalieri - su 200 navi parte da Cartagine per raggiungere la Sicilia. Punto di approdo è Akragas: sulle colture raculmutesi si abbatte il gravame di apporti alimentari a quegli eserciti tutto sommato stranieri. Nel 212 a. C. tocca a Siracusa cadere nelle mani dei romani ed il grande Archimede finisce ucciso per mano militare. Per i cartaginesi, nel grande scontro con i romani, le sorti belliche volgono al peggio: i fenici ripiegano su Agrigento, ultimo baluardo delle loro difese. Mercenari numidi consumano l'ennesimo tradimento. Akragas cade ancora una volta in mano dei romani; ancora una volta popolazione e beni diventano bottino di guerra per una vendita sui mercati del mondo e la triste sorte di cittadini akragantini, finiti schiavi da alienare,  ha il suo ricorso storico, sempre a vantaggio dei conquistatori di Roma. Levino a Roma  fa il suo trionfale rapporto. Per Racalmuto inizia l'epoca di agro ferace per le distribuzioni di grano nella lontanissima Roma.

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