giovedì 3 marzo 2016



cosa è Malgrado Tutto, cosa è stato Magrado Tutto cosa è diventato Malgrado Tutto e verso quali orizzonti si avvia? Insomma chi è questo malgrado Tutto che fingendo di elogiarmi cerca di stroncarmi? Intanto pubblico tre masterizzazioni. Avrò tempo e modo di chiarirvi il mio concetto (se di conc

Quanta ipocrisia in questa ingloriosa pagina di Malgrado Tutto

La storia sono io. Litigio per un poliziotto morto mezzo secolo fa

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POLEMICHE. Fa discutere la figura di Ettore Messana, poliziotto originario di Racalmuto, protagonista della lotta contro la banda di Salvatore Giuliano nella Sicilia del dopoguerra. Anzi, avrebbe dovuto far discutere. Ma Calogero Taverna, dopo avere promosso un convegno a Racalmuto sul questore morto nel ’63, si arrabbia e sbatte la porta. Non gli è piaciuto il comunicato di presentazione dell’incontro fissato per sabato 23 gennaio. Così il passato non passa mai

Era tutto pronto. Anzi, è tutto pronto. Gli inviti sono partiti, le sedie sono state sistemate, le locandine stampate. Un parterre d’eccellenza per parlare di Ettore Messana, il poliziotto originario di Racalmuto che da molti storici è stato dipinto a tinte fosche per il suo ruolo nella strage di Riesi del 1919, per il suo ruolo in alcuni abusi nel territorio di Lubiana quando ne era questore, per il suo ruolo nella lotta contro la banda di Salvatore Giuliano quando fu messo a capo dell’Ispettorato di pubblica sicurezza per la Sicilia.
Ettore Messana (in primo piano) con Alcide De Gasperi
Ettore Messana (in primo piano) con Alcide De Gasperi
Il convegno che dovrebbe svolgersi (il condizionale, a questo punto, è d’obbligo) nella sala del Castello Chiarantomano di Racalmuto era stato fortemente voluto da Calogero Taverna. Ex dirigente della banca d’Italia, “superispettore Secit”, come lui stesso ama definirsi nel suo seguitissimo blog Contra omnia Racalmuto, Taverna è un polemista nato, appassionato della storia e della microstoria di Racalmuto, grande esploratore di archivi e di carte parrocchiali. E fin qui tutto bene.
Ma Taverna è così appassionato che quando si intesta una battaglia, a suo giudizio giusta – come tutte le battaglie che conduce, secondo il suo convincimento – non si ferma davanti a niente. Anzi, gli piace molto giocare il ruolo di bastian contrario, forte delle sue competenze, anche e soprattutto in forma di storia.
Il convegno, promosso da Taverna, lo ricordiamo, messo in piedi dall’associazione culturale Humus, puntava proprio a discutere attorno alla figura di Ettore Messana, secondo Taverna ingiustamente calunniata da storici, libri, giornali, giornalisti, politici. Tra i presunti calunniatori di Messana, per alcuni suoi comportamenti che sono appunto oggetto di studi, ci sarebbe anche questo giornale colpevole di avere pubblicato qualche tempo fa un articolo del compianto storico Giuseppe Casarrubea su Messana, un fascicolo sui fatti di Riesi recuperato dallo storico Vittorio Coco e lo stralcio di un libro dello stesso Coco sul ruolo di Messana sotto il fascismo.
Calogero Taverna al Serrone fotografato da Alessandro Giudice Jyoti
Lo storico Calogero Taverna
Ma discutere di storia è sempre bello. Così all’incontro di sabato 23 gennaio era stato invitato, tra gli altri, anche Gigi Restivo, collaboratore storico di questo giornale, al quale si chiedeva di sostenere il ruolo dell’ “accusatore” di Messana. Sarebbe stato sicuramente un bel duello dialettico.
Ma poche ore fa, improvvisamente, Taverna ha dato forfait. Anzi, per dirla con le sue parole pubblicate sulla sua pagina facebook: “Mi dissocio violentemente da una siffatta impostazione del convegno che doveva tenersi sabato pomeriggio. Mi scuso con le persone che mi hanno seguito e sostenuto in questi ultimi giorni. In codesto convegno – se si farà – non sarò neppure presente riservandomi ogni iniziativa culturale e politica per l’adeguata contestazione”.
Cos’è successo? A quanto pare, Taverna si è risentito perchè nel comunicato di presentazione del convegno, diffuso dall’associazione culturale Humus, parlando della carriera di Messana a un certo punto si legge: “In questi passaggi, gli storici hanno sottolineato alcuni comportamenti ambigui, ancora oggi oggetto di studi che riguardano lo stesso Messana”. Apriti cielo!
Ma il convegno non serviva proprio a chiarire, con documenti e nuovi contributi, i passaggi oscuri o insoluti di quei “comportamenti ambigui?”. A meno che Taverna (il quale sul suo blog ha detto di voler dedicare una strada di Racalmuto a Ettore Messana) non avesse inteso il convegno come una sorta di beatificazione di Messana. La storia però non serve a beatificare o a dannare, ma a discutere su persone che, con tutte le luci e le ombre, hanno avuto un ruolo nei fatti del passato.
Taverna sta molto simpatico a questo giornale, che infatti accoglie sempre con piacere le precisazioni e i  commenti che ci invia. Ci piace la sua passione, la sua verve polemica, la sua capacità di andare controcorrente e di saper pensare liberamente. Ci preoccupa invece quando la passione diventa furore, quando la polemica diventa sterile, quando il libero pensiero si intestardisce.
E ci preoccupa, soprattutto, questo passato che non passa mai. La memoria è importante. La storia è fondamentale. Ma a Racalmuto a volte diventa ossessione, nostalgia, ricerca di un passato felice (ma fu veramente felice il passato?). Ci stupisce assistere all’incaponimento nel tentativo di riabilitare questo o quel personaggio storico, questore o prete o sindaco che sia, come se la storia non fosse invece continua riflessione e revisione. Questo passato che non passa sembra una via di fuga dal presente.
La storia sono io, sembra dire Calogero Taverna. Gli rispondiamo con i versi di una canzone di Francesco De Gregori: la storia siamo noi. Noi tutti, con i nostri diversi pareri e opinioni sulla storia. etto si tratta).
L’ho pubblicata ieri e tutto tace. I miei paesani sono tutti presi dalle loro miserabili meschinissime cose (come arraffare 50 mila euro e ristorare la familiare di chi sta per essere fregato da Giochi di potere o magari cercare di evitare che il cognato famoso finisca infognato per avere reso inservibile il depuratore da miliardi di vecchie lire del pubblico denaro dato che non l’aveva fatto passare passare dai suoi orti cavolari… etc etc.)

 

 Non so se mi legge più la querula moglie di un avvocato che voleva fare il missionario credendo di poter guadagnare chissà quanto; ma gesuiticamente e stomachevolmente abbandonando il caso appena appurato che non c’è era trippa (molta trippa per lui).

 Tano Savatteri è ormai tutto dedito ai suoi successi cinematografici per dare un sguardo a questo suo peccato di gioventù. Camilleri lo stanno sbalsamando per disbalsamare il Montalbano del comunista dalle gambe storte Zingaretti cercando di riempirsi  di tanta liquidità  con le bollette della luce di Renzi, liquidità prosciugatasi per quell’antipatia di Berlusconi che almeno in questo lo rimpiango tanto.  Cavallaro lo conosciamo: è vizio atavico di famglia:  Non ti curar giammai degli altri. Adragna? E chi è costui? Sergio SciMè non ha più tempo per nient’altro dovendo tamponare le falle del suo novello sindaco. Malgrado Tutto ha da darmi colpi di spillo perché difendo la memoria del grande racalmutese (classe 1884) Ettore Messana. Studio 98 ha l’anima dei guai suoi. Lo stato di renzi lo vuol soprrimere questo STUDIO che invero non leggerà neppure questo Gorgia che per loro è mistero assoluto. Ma Gorgia qualche racalmutese lo noterà? Ma quando mai! il livello culturale di Racalmuto al massimo si eleva alle fotografie di certa lady Hamilton muntidurisa.

Che squallore signori! Né posso contare sulla solidarietà delle menti elette del mondo FB. Chi pensa ai fiori, chi gioca a Barraco, chi,ha solo paturnie erotiche, e chi stizze esistenziali. Amano molto il prossimo ma solo quello che fa loro comodo.

Calogero Taverna.

Questo è il testo che il mio diletto figlio selettivo mi chiede: vuole il libro. Il libro è testo molto più complesso. di Laterza.

Esercitazione scolastica quella di Gorgia per imparare l'arte del convincere.

Dovrei imparare anch'io l'arte del Convincere per convincere Tano Savatteri che non ha senso alcuno scrivere libri come i Ragazzi di Regalpetra e poi abbandonare al suo destino Alfredo Sole.

Non ha senso alcuno essere il vecchio Camilleri che piange senili lagrime perché non danno il vecchio computer ad Alfredo e poi abbandonarlo al suo destino,  tanto il computer dieci anni dopo Alfredo Sole lo ha avuto.

Non ha senso alcuno che il conclamato giornalista del Corrierone  Felice Cavallaro predica lotte alla mafia in nome per conto dell'antimafia e poi lascia che un magistrato dell'antimafia di cui non so ancora il nome, tra un  momento di accidia e tanta di lagnusia ventiquattro anni dopo stili un referto giudiziario sancendo l'ostatività di Alfredo senza il piacere di fare una telefonata al maresciallo dei carabinieri di Racalmuto.

Alfredo Sole è un ostativo ancora? e di che?

Quelli con cui stava si sono trucidati a vicenda;  quelli con cui non stava fanno i collaboratori di (in)giustizia strapagati mi dicono anche con i soldi del comune di origine  che poi è Racalmuto, cioè noi.

Indolenze, omissioni di atti dovuti, latitanza dal posto di lavoro anche se togato.

Il Consiglio Superiore della Magistratura non ha nulla da ridire?

Questi giganti dell'informazione racalmutese non sanno spendere manco una parola per chiedere magari una spiegazione se non una giustificazione  su una relazione palesemente falsa e bugiarda?

E se ne stanno con la coscienza tranquilla anche quelle mogli di avvocati che mi avevano contattato credendo che con il caso Sole chissà quanti soldi ne traevano versati magari dai compari mafiosi.

Ma Alfredo Sole per il mondo della mafia è morto e sotterrato da trent'anni. Lo sappiamo. Tantissimi  lo possiamo testimoniare (e non siamo certo tra gli schedati dell'Antimafia).

L'unico che non lo sa (o meglio non lo vuol sapere  per nequizia accidiosa)  è questo giudice dell'antimafia che chissà quanti soldi prende al mese anche per il rischio lupara e non ha neppure il tempo di chiedere informazioni alle autorità inquirenti sul campo in quel di Racalmuto.

Questa è casta e questa dovrebbero sputtanare questi facitori di grida manzoniane contro chi prende più di loro che invero nulla dovrebbero prendere per inettitudine costante e desolante.

Calogero Taverna

Gorgia, Encomio di Elena

Altro testo famoso di Gorgia è questo Encomio di Elena: il tema è scelto allo scopo di dimostrare la forza persuasiva del ragionamento e del linguaggio. Il brano nel suo insieme può essere considerato come esempio del tipo di lavoro, in questo caso di esercizio retorico, di arte della persuasione, che veniva svolto nelle scuole dei sofisti.

             (1) È decoro allo stato una balda gioventú; al corpo, bellezza; all’animo, sapienza; all’azione, virtú; alla parola, verità. Il contrario di questo, disdoro. E uomo e donna, e parola ed opera, e città e azione conviene onorar di lode, chi di lode sia degno; ma sull’indegno, riversar onta; poiché è pari colpevolezza e stoltezza tanto biasimare le cose lodevoli, quanto lodar le riprovevoli. (2) È invece dovere dell’uomo, sia dire rettamente ciò che si addice, sia confutare< il contrario; e dunque è giusto confutare> i detrattori di Elena, donna sulla quale consona e concorde si afferma e la testimonianza di tutti i poeti, e la fama del nome, divenuto simbolo delle fortunose vicende. Pertanto io voglio, svolgendo il discorso secondo un certo metodo logico, lei cosí diffamata liberar dall’accusa, e dimostrati mentitori i suoi detrattori e svelata la verità, far cessare l’ignoranza.

2             (3) Che per nascita e stirpe fosse prima tra i primi – uomini e donne – la donna di cui ora parliamo, non c’è chi lo ignori. Noto è infatti come sua madre fu Leda, e padre autentico un dio, putativo un mortale: Tindaro e Zeus; di cui questi, pel fatto che era, fu ritenuto suo padre; quegli, pel fatto che appariva, fu messo in dubbio; l’uno il piú potente tra gli uomini, l’altro il supremo dominatore di tutti gli esseri.    (4) Da tali generata, ebbe bellezza di dea, e, avutala, non nascose d’averla. Ché in moltissimi moltissime brame d’amore suscitò, e con una sola persona molte persone attirò di eroi superbi per superbi vanti: chi avea profusion di ricchezza, chi lustro d’antica nobiltà, chi pregio di innato valore, chi superiorità di sapienza acquisita; e tutti vennero, indotti da amore avido di vittoria e da invitta avidità di onore.

3             (5) Ma chi fu, e per qual motivo, e in che modo appagò l’amore colui che conquistò Elena, non lo dirò: ché il dire, a chi sa, ciò che sa, aggiunge fiducia, ma non porta diletto. E però, varcato ora, col discorso, il tempo d’allora, mi rifarò dal principio del discorso propostomi, ed esporrò le cause per le quali era naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia.

4             (6) Infatti, ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta con parole, <o presa da amore>. Se è per il primo motivo, è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina non si può con previdenza umana impedire. Naturale è infatti non che il piú forte sia ostacolato dal piú debole, ma il piú debole sia dal piú forte comandato e condotto; e il piú forte guidi, il piú debole segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza e nel resto. Che se dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia liberata.

5             (7) E se per forza fu rapita, e contro legge violentata, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, in quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subí una sventura. Merita dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli spetta l’accusa; legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu violata, e dalla patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe esser piuttosto compianta che diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí; giusto è dunque che questa si compianga, quello si detesti. compianta che diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí; dunque è giusto che questa si compianga, quello si detesti.

6             (8) Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile a scusarsi e a giustificarsi cosí: la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. (9) Perché bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere. Ma via, torniamo al discorso di prima. (10) Dunque, gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti, alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due arti, consistenti in errori dell’animo e in inganni della mente. (11) E quanti, a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo, delle presenti coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia sarebbe il medesimo discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel piú dei casi, i piú offrono consigliera all’anima l’impressione del momento. La quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci ed incerte fortune implica chi se ne serve. (12) Qual motivo ora impedisce di credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe di parole, e cosí poco di sua volontà, come se fosse stata rapita con violenza? Cosí si constaterebbe l’imperio della persuasione, la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu persuasa, in quanto costretta dalla forza della parola, a torto vien diffamata. (13) E poiché la persuasione, congiunta con la parola, riesce anche a dare all’anima l’impronta che vuole, bisogna apprendere anzitutto i ragionamenti dei meteorologi, i quali sostituendo ipotesi a ipotesi, distruggendone una, costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi della mente l’incredibile e l’inconcepibile; in secondo luogo, i dibattiti oratorii di pubblica necessità [politici e giudiziari], nei quali un solo discorso non ispirato a verità, ma scritto con arte, suol dilettare e persuadere la folla; in terzo luogo, le schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela anche con che rapidità l’intelligenza facilita il mutar di convinzioni dell’opinione. (14) C’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso rapporto che tra l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti certi farmaci eliminano dal corpo certi umori, e altri, altri; e alcuni troncano la malattia, altri la vita; cosí anche dei discorsi, alcuni producon dolore, altri diletto, altri paura, altri ispiran coraggio agli uditori, altri infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano.

7             (15) Ecco cosí spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma sventurata. Ora la quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu l’amore a compiere il tutto, non sarà difficile a lei sfuggire all’accusa del fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non è quale la vogliamo noi, ma quale è coessenziale a ciascuna; e per mezzo della vista, l’anima anche nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. (16) Per esempio, se mai l’occhio scorge nemici armarsi contro nemici in nemica armatura di bronzo e di ferro, l’una a offesa, l’altra a difesa, subito si turba, e turba l’anima, sicché spesso avviene che si fugge atterriti, come fosse il pericolo imminente. Poiché la consuetudine della legge, per quanto sia salda, viene scossa dalla paura prodotta dalla vista, il cui intervento fa dimenticare e il bello che risulta dalla legge, e il buono che nasce dalla vittoria. (17) E non di rado alcuni, alla vista di cose paurose, smarriscono nell’attimo la ragione che ancora possiedono: tanto la paura scaccia e soffoca l’intelligenza. Molti poi cadono in vani affanni, e in gravi malattie, e in insanabili follie; a tal punto la vista ha impresso loro nella mente le immagini delle cose vedute. E di cose terribili molte ne tralascio; ché sono, le tralasciate, simili a quelle anzidette. (18) D’altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi compongono in modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista. E figure umane scolpite, figure divine cesellate sogliono offrire agli occhi un gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura addolorano la vista, certe altre l’attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone inspirano l’amore e il desiderio. (19) Che se dunque lo sguardo di Elena, dilettato dalla figura di Alessandro, inspirò all’anima fervore e zelo d’amore, qual meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dèi la divina potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli? e se poi è un’infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come colpa, ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del caso, non per premeditazioni della mente, e per ineluttabilità d’amore, non per artificiosi raggiri.

 

8             (20) Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione divina, in ogni caso è esente da colpa?

9             (21) Ho distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso, che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico.

(I Presocratici, Laterza, Bari, 19904, pagg. 927-933)


 

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