lunedì 4 gennaio 2016

Giuseppe Adamo ha commentato il tuo post.
Prefazionavo il mio La DONNA del MOSSAD – Apologo sul caso Sindona non mancando di ringraziare un uomo che mi aveva salvato da guai gravi, da licenziamenti persino forieri di miseria: «Se non fosse stato per Ivo Turchetti – scrivevo – il sottoscritto sarebbe stato stritolato, messo alla gogna, mandato forse in galera dai vari Oteri, Ciancaglini ed un flaccido calvinista di cui mi sono scordato persino il nome».
Oggi, giornata di grandi fastidiose piogge a Roma sono stato al s...uo scarno, intimissimo funerale. Caro Ivo tu sei stato l’uomo che nella congiuntura più tragica della banca d’Italia hai saputo tenere la compagine impiegatizia di questo glorioso ma ambiguo istituto nella parte giusta, né istericamente ribelle né sornionamente plaudente.
Nei tuoi vari e diversificati ruoli puoi dirti colui che molto contribuì all’immagine del candido apparire della Banca d’Italia. Se democrazia, se apertura all’irrompente accesso nelle stanze dei bottoni della classe operaia, se senso civile, se bando alla iattante separatezza di Palazzo Koch vi furono, tu tanto contribuisti.
Oggi in quell’algida stanzetta della Residenza Salus non c’erano bandiere (e ti spettavano) non c’erano fiori d’alto bordo (e ti spettavano), figure rappresentative del potere, del governo dell’economia, del partito dei combattenti rossi (e ti spettavano). Ne fui felice, l’artefice di tante battaglie civili e democratiche era rimasto puro, candido, immacolato. Vi eravamo, oltre a tuoi cari parenti stretti, pochisimi che davvero ti avevamo voluto bene.
In una delle tue divagazioni professionali della Banca d’Italia, venisti con noi in una ispezione di vigilanza alla Cassa di Risparmio di Vercelli nel 1969. Non fosti fortunato: il capo missine (impersonava una lunga evanescenza nordica) da una parte, ed il sottoscritto, una crisalide allora in cerca della sua stazza ispettiva dall’altra. Ci stavi in mezzo, dignitosissimo ma estraneo. Ti spiegavo una volta cosa avevo trovato: un “sussidiario del conto economico” tra gli “effetti ricevuti per l’incasso”. Si adirò Guasco e ci redarguì imponendoci il silenzio come se fossimo due scolaretti. Certo che non gliela lasciai passare liscia. Stavo diventando il ribelle che poi sono stato fino ad essere cacciato via dalla Banca d’Italia. Ma senza infamia, per la tua difesa (potente e sapiente).
Al culmine delle assurdità: ad un rifornimento dell’autostrada, ci gridarono (erano gli anni di piombo): “fascisti, borghesi, ancora pochi mesi”. Ricordo che ti ci arrabbiasti davvero. A me .. dicevi; a me! Eri stato anche partigiano ed eri rosso integro.
Ora debbo dirti, carissimo Ivo: Addio, Addio per sempre , con tantissima pena nel cuore.
Calogero Taverna

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Commenti
Giuseppe Adamo U viaggiu dulurusu è il testo cantato durante la novena di Natale. la storia del componimento è abbastanza lunga e travagliata ma vale la pena di raccontarla:
l’orignale fu scritto da Antonio Diliberto, canonico Monrealese con lo Pseudonimo di Biniritt
u Annuleri intorno alla metà del ‘700. molti ipotizzano che abbia tratto spunto da racconti o canti già presenti in terra sicula e che li abbia recuperati e resi “più aulici”.
Lillo Taverna pubblicachiamoli divulghiamoli recitiamoli.

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