sabato 19 dicembre 2015

Lectio magistralis prima



 
Quelli dei tronfi e vocianti siti dell'incolta sinistra disfattista l'altro giorno si sono messi  fare la voce grossa credendo di colpire il sistema: “la Banca d'Italia è una normale società per azioni in mano a quattro o cinque banche manigolde: è una normale società privata i cui padroni azionisti sono ..” e giù elenchi specchietti  griglie e grafici.

 

E bravi lor signori! si sono però  accorti che facevano appunto il gioco dei loro odiati avversarsi? Quello di ridurre un "istituto di diritto pubblico" apicale, che una volta quando occorreva lo si voleva addirittura farlo assurgere a istituzione di rilevanza costituzionale, sia pure in forza di una inesistente ‘costituzione materiale' ora cambiando tendenza, lo si vorrebbe nient’altro che una privatissima società di capitali ripartiti tra le più chiacchierate grandi banche italiane (e non so perché escludono le Generali). 

 

Certo una mano di aiuto gliela dà il D.LGS. 1 settembre 1993, n.  385  ove, fingendosi sistemate tutte le leggi in materia bancaria e creditizia, incostituzionalmente si delegittima l'"ordinamento sezionale del credito" con radice o appiglio nell'art. 47 (se non 41) della Costituzione Repubblicana.

E in quell'ordinamento svettava la Banca d'Italia ai sensi e per gli effetti della legge bancaria del 1936 che cessava di essere "fascista" per il recepimento costituzionale voluto anche da Togliatti (che per me è molto importante).

E all'artico 20 di quella legge magari così come canonizzata dall'ABI  leggo: "La Banca d'Italia , creata con la l. 10 Agosto 1893, N. 449, è dichiarata Istituto di diritto pubblico.

Il capitale della Banca è di trecento milioni di lire ed è rappresentato da 300.000  quote di mille lire ciascuna, interamente versate.

Ai fini della tutela del pubblico credito e delle continuità di indirizzo dell'Istituto  di emissione, le quote di partecipazione  al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:

- a) Casse di risparmio;

- b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale;

- c) Istituti di previdenza;

- d) Istituti di assicuraziene".

 

Certo tutta una impostazione giuspubblicistica possibile in epoca fascista (tutto nello Stato niente fuori dallo Stato) ma di ardua acquisizione costituzionale e ancor peggio di recepimento nella moderna impostazione dei bilanci societari a partita doppia e figuriamoci ora, con l'abbandono del buon Luca Pacioli e l'incolto sobbarcarsi alle pragmatiche visioni contabili di stampo teutonico.

 

Comunque sino ai tempi di Ciampi e Fazio  noi assistevamo a un bilancio serioso della BI ove in classica partita doppia di privatistica concezione e come potete vedere dell'acclusa foto di una di codeste esilaranti pagine a firma Fazio, quelle metafisiche quote delle partecipazioni  in realtà giuspubblicistiche, talune persino entità desuete, ecco come si esplicano, quasi la banca d'Italia fosse l'azionarietta dello zio buon'anima che si era arricchito vendendo occhiali.

Sottesi problemi irrisolti giganteschi, come quelli del fatiscente e ambiguo "Consiglio superiore della Banca d'Italia", una comica scimmiottatura dei CDA delle civilistiche società di capitali, come il rito delle annuali assemblee dei partecipanti in cui il Governatore ancora ha il destro della andreottiana predica del mese mariano.

Invero il problema se lo pose Tremonti d'ordine e per conto di Berlusconi e cercò di requisire la Banca d'Italia facendola fagocitare dal TESORO, cosa in astrato persino  encomiabile, ma che dimostrò la sua caducità quando quei due signori, sospinti da Bertone, volevano nominare la Tarantola prima governatrice in gonnella. Gioco non riuscito: una furbata di Napolitano e massoneria bancaria dietro poté braccare il Tremonti tarantoliano; la legge c'era (mi pare un art. 19) ma il regolamento no e quindi si doveva tornare come prima se non peggio di prima, di talché alla sala del San Sebastianino poté farvi ingresso addirittura l'ex comunista del servizio studi Visco (oggi in gran tempesta).
Calogero TAVERNA ex ... tante cose
 

[continua]

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