venerdì 23 ottobre 2015

venerdì 23 ottobre 2015




A sorpresa, questo è il quadro di Guttuso che Sciascia preferisce e predilige.

 «La fuga dall’Etna del 1938 e la Crocifissione del 1941 .. amiamo il primo più del secondo», cogliamo questa sorprendente preferenza di Sciascia in Cruciverba, nel lungo articolo su Guttuso.

Si rimane confusi o ammaliati nella girandola di richiami colti, di associazioni erudite e dissociazioni improvvise di uno Sciascia così diverso dalle soavi ipotassi del suo scrivere libri sempre più contratti ma trasparenti di concetto. Qui invece Sciascia spazia ed osa fino a qualche funambolismo non sappiamo davvero se convinto o ardito per cogliere la sfumatura di un pensiero che non riesce a far coagulare come vorrebbe.

E’ chiaro: si cimenta in critica che non è suo mestiere e valuta un amico, non siamo informati  se ancora nel pieno del rapporto di consuetudinaria amistà o già smunto per la nota controversia  sull’avere o non dovere avere famiglia dopo la faccenda con Berlinguer.

Un nostro personale assillo, da qualche tempo, quello di cercare di comprendere come Guttuso sia passato da una estetica dell’era fascista agli scarni disegni illustrativi delle Conversazioni in Sicilia di Vittorini alla teorica di Lukács del realismo per finire nelle decadenze delle borghesi voluttà

Il punto cruciale per noi  è l’essenzialismo del disegno dell’immediato post-fascismo di un Guttuso che cambia. Sciascia parte dai Pensieri bizzarri sul disegno di Diderot e dal suo dir francese: «Autre chosse  est une attitude, autre chose est une action. Toute attitude est fausse et petite; toute action est belle et vraie» E senza tradurre, contrappone la “posa” che sarebbe fallace e insufficiente all’ “azione” che sarebbe affascinante e verace.  Modelli dell’accademia quelli della “posa”, modelli della vita gli altri dell’ “azione”. E quindi uno sviluppo ed un affinamento del pensiero per giungere a questa formulazione: «la posa può essere azione o l’azione arridere alla posa solo che il disegnatore sappia e voglia, solo che il suo punto di vista si muova da fuori a dentro, da una situazione eccentrica ad una centrica)». Non è soddisfatto Sciascia e allora rincorre Ortega y Gasset (Sobre el punto de vista en las artes, 1924) per il quale la storia dell’arte occidentale da Giotto ai nostri giorni – secondo la lettura sciasciana – si compendia “in un gesto unico e semplice : lo spostamento, l’evoluzione e involuzione del punto di vista; il ritirarsi del punto di vista dall’oggetto al soggetto. Ma non vedrà  questo stadio del punto di vista al centro dell’oggetto, o non ne terrà conto”.

Sembra che possa giungersi a questo punto ad un aforisma, ad una sorta di definizione: “il disegno moderno, nel suo divenire autonomo, nel suo svincolarsi dalla pittura e nel suo – qualche volta – vincolare la pittura  … muove dal centro delle cose e perciò le rende alle cose”. E teso l’arco pare che la freccia colga il bersaglio: “un disegno di cui ci dà esempio Guttuso”.

Sciascia però non è del tutto convinto, Aggiunge:  “facciano ancora un passo avanti – per il disegno, per i disegni di Guttuso – con Baudelaire “.

Arriva il genio e tutto scombussola: Baudelaire non è banale, non può essere banale (ad onta di quello che si dispiegherà dopo). Zampilla una “fondamentale distinzione”: «quella tra i disegnatori esclusivi e i disegnatori coloristi.»
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”.  Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.

«I disegnatori puri si danno al colore – esordisce di suo Sciascia – e con maggiore autonomia e libertà i coloristi si danno  al disegno. E questi disegni di Guttuso sono appunto  i disegni di un colorista: e tanto più li riconosciamo per tali nell’assenza del colore , nel bianco e nero. Una riconoscibilità che viene da quello che Baudelaire  chiama ‘un metodo analogo alla natura’ ed è inutile dire che la natura non è mai naturalista. E quale metodo è analogo alla natura di quello dell’azione che viene  da dentro le cose, dal centro delle cose, dell’azione che è la cosa – nella ‘armoniosa lotta delle masse’, nell’aria, nella luce?»

Ma Sciascia non è appagato: reputa ciò approssimazioni, gradi di avvicinamento. A che cosa? «le cose di Guttuso sono quanto di più vicino alla vita si possa dare nell’arte; e il disegno è il mezzo espressivo suo in cui lo scarto tra l’arte e la vita si riduce al minimo. »


E non basta: sono da espungere il “come” e la sua ombra: «la vicinanza alla vita è data dal fatto che sono come la vita, che somigliano alla vita, ma appunto dal contrario. Non somigliano alla vita non sono come la vita: sono su un piano che non è quello della vita, la vita.»

Calogero Taverna


[continua]



A sorpresa, questo è il quadro di Guttuso che Sciascia preferisce e predilige.

 «La fuga dall’Etna del 1938 e la Crocifissione del 1941 .. amiamo il primo più del secondo», cogliamo questa sorprendente preferenza di Sciascia in Cruciverba, nel lungo articolo su Guttuso.

Si rimane confusi o ammaliati nella girandola di richiami colti, di associazioni erudite e dissociazioni improvvise di uno Sciascia così diverso dalle soavi ipotassi del suo scrivere libri sempre più contratti ma trasparenti di concetto. Qui invece Sciascia spazia ed osa fino a qualche funambolismo non sappiamo davvero se convinto o ardito per cogliere la sfumatura di un pensiero che non riesce a far coagulare come vorrebbe.

E’ chiaro: si cimenta in critica che non è suo mestiere e valuta un amico, non siamo informati  se ancora nel pieno del rapporto di consuetudinaria amistà o già smunto per la nota controversia  sull’avere o non dovere avere famiglia dopo la faccenda con Berlinguer.

Un nostro personale assillo, da qualche tempo, quello di cercare di comprendere come Guttuso sia passato da una estetica dell’era fascista agli scarni disegni illustrativi delle Conversazioni in Sicilia di Vittorini alla teorica di Lukács del realismo per finire nelle decadenze delle borghesi voluttà

Il punto cruciale per noi  è l’essenzialismo del disegno dell’immediato post-fascismo di un Guttuso che cambia. Sciascia parte dai Pensieri bizzarri sul disegno di Diderot e dal suo dir francese: «Autre chosse  est une attitude, autre chose est une action. Toute attitude est fausse et petite; toute action est belle et vraie» E senza tradurre, contrappone la “posa” che sarebbe fallace e insufficiente all’ “azione” che sarebbe affascinante e verace.  Modelli dell’accademia quelli della “posa”, modelli della vita gli altri dell’ “azione”. E quindi uno sviluppo ed un affinamento del pensiero per giungere a questa formulazione: «la posa può essere azione o l’azione arridere alla posa solo che il disegnatore sappia e voglia, solo che il suo punto di vista si muova da fuori a dentro, da una situazione eccentrica ad una centrica)». Non è soddisfatto Sciascia e allora rincorre Ortega y Gasset (Sobre el punto de vista en las artes, 1924) per il quale la storia dell’arte occidentale da Giotto ai nostri giorni – secondo la lettura sciasciana – si compendia “in un gesto unico e semplice : lo spostamento, l’evoluzione e involuzione del punto di vista; il ritirarsi del punto di vista dall’oggetto al soggetto. Ma non vedrà  questo stadio del punto di vista al centro dell’oggetto, o non ne terrà conto”.

Sembra che possa giungersi a questo punto ad un aforisma, ad una sorta di definizione: “il disegno moderno, nel suo divenire autonomo, nel suo svincolarsi dalla pittura e nel suo – qualche volta – vincolare la pittura  … muove dal centro delle cose e perciò le rende alle cose”. E teso l’arco pare che la freccia colga il bersaglio: “un disegno di cui ci dà esempio Guttuso”.

Sciascia però non è del tutto convinto, Aggiunge:  “facciano ancora un passo avanti – per il disegno, per i disegni di Guttuso – con Baudelaire “.

Arriva il genio e tutto scombussola: Baudelaire non è banale, non può essere banale (ad onta di quello che si dispiegherà dopo). Zampilla una “fondamentale distinzione”: «quella tra i disegnatori esclusivi e i disegnatori coloristi.»
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”.  Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.

«I disegnatori puri si danno al colore – esordisce di suo Sciascia – e con maggiore autonomia e libertà i coloristi si danno  al disegno. E questi disegni di Guttuso sono appunto  i disegni di un colorista: e tanto più li riconosciamo per tali nell’assenza del colore , nel bianco e nero. Una riconoscibilità che viene da quello che Baudelaire  chiama ‘un metodo analogo alla natura’ ed è inutile dire che la natura non è mai naturalista. E quale metodo è analogo alla natura di quello dell’azione che viene  da dentro le cose, dal centro delle cose, dell’azione che è la cosa – nella ‘armoniosa lotta delle masse’, nell’aria, nella luce?»

Ma Sciascia non è appagato: reputa ciò approssimazioni, gradi di avvicinamento. A che cosa? «le cose di Guttuso sono quanto di più vicino alla vita si possa dare nell’arte; e il disegno è il mezzo espressivo suo in cui lo scarto tra l’arte e la vita si riduce al minimo. »


E non basta: sono da espungere il “come” e la sua ombra: «la vicinanza alla vita è data dal fatto che sono come la vita, che somigliano alla vita, ma appunto dal contrario. Non somigliano alla vita non sono come la vita: sono su un piano che non è quello della vita, la vita.»

Calogero Taverna

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