lunedì 26 ottobre 2015

[articoletto n.° 23]

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di Calogero TAVERNA
Il Cinquecento racalmutese che troverete descritto in questa silloge irride alle tante credenze locali, e cerca di documentare l’espandersi, il flettersi ed il riprendersi del popolo di Racalmuto nel primo secolo dell’era moderna, alle prese sicuramente con la protervia dei Del Carretto - invero in poche marginali questioni - ma principalmente con le varie curie agrigentine e parrocchiali, viceregie e spagnole, inquisitoriali ed episcopali; con il governatore del Castello, con i familiari dei Del Carretto, con un suo genero di nome Russo, uno scalcinato nobilotto che fa fortuna sposando la figlia spuria dell’omicida ed assassinato Giovanni del Carretto; con gli arcipreti - quelli buoni come l’indigeno arciprete Romano le cui spoglie appetisce l’ingordo vescovo Horoczo Covarruvias  e quelli latitanti come il napoletano Capoccio; con il chierico Vella, un religioso assassino che vescovo e conte si contendono per fargli espiare nelle proprie carceri il fio della sua colpa.
I falsi del Tinebra Martorana - che nel 1986 tornarono a gravare sulle casse del Comune e tornarono davvero visto che per l’amicizia con i famigerati Tulumello quell’autore studiava a spese del Comune come attesta un anonimo conservato nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma - sono talmente tanti e perniciosi da rendere irritante la lettura di quel volumetto. Altro che spingere alla “carità del natìo loco”. E purtroppo sono stati falsi fortunati. Per colpa di essi abbiamo uno sconcio, improbabile stemma comunale. Tinebra, invero,  lo voleva pudico “con un uomo non nudo, bensì con una gonnellina dentellata ai margini, come l’antico guerriero romano”. Altri volle o rispolverò lo stemmo con l’uomo nudo.  In ogni caso l’uomo invita  al silenzio: obmutui et silui; come dire: star muto, subire e starsene zitti. Lo stemma di Racalmuto scandisce manie, prevenzioni e visionarietà della borghesia postunitaria racalmutese. Il prof. Nalbone ha fotografato interessanti documenti dei primi anni del ’Settecento ove figura il timbro a secco del Comune di Racalmuto. Ebbene, lì non vi è nulla di tutto questo. Trattasi di uno stemma a bande e chiomato, totalmente austero, dignitoso, nobile. Non vorrò di certo io, con il mio laico scetticismo, riaccendere una guerra di religione su una bazzecola come è uno stemma. Ma francamente, a me racalmutese da almeno dieci generazioni - sia pure per tre quarti, visto che l’altro quarto è narese - dà fastidio lo sguaiato stemma comunale che sembra ammiccare al silenzio omertoso ed a qualche vezzo omosessuale.

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