martedì 7 luglio 2015

Racalmuto verso il feudalesimo

[articoletto n.° 20]

LA (PRETESA) BARONIA DI RACALMUTO
di Calogero TAVERNA





Caduta la favoletta di una chiesetta eretta nel 1108 a Racalmuto, anche narrata dal grande Pirri, svanisce anche la credenza di un dominio dei Malconvenant, così come è infondato ogni possesso baronale del Barresi; ed è del pari infondato quello che si vorrebbe attribuire agli Abrignano. Il Tinebra Martorana, che di queste signorie parla, si appoggiò agli scritti del Villabianca sulla Sicilia Nobile; senonché il settecentesco principe aveva in un caso interpretato liberamente una notizia del Fazello e nell’altro concessa una qualche credibilità - sia pure con espressa riserva - al Minutolo.
Un diploma angioino - autentico ed illuminante - fa giustizia di tali attribuzioni baronali e, sovvertendo tutte le congetture araldiche su Racalmuto prima della signoria dei Del Carretto, ci informa che il primo signore di Racalmuto ( o per lo meno il primo di cui si abbia notizia storica) fu tal Federico Musca, forse appartenente alla grande famiglia dei Musca titolare della contea di Modica. Senonché Federico Musca tradisce al tempo di Carlo d’Angiò e questi lo priva, nel 1271, del dominio di Racalmuto, casale nelle pertinenze di Agrigento, per conferirlo a Pietro Nigrello di Belmonte. I Vespri Siciliani ci mostrano un comune divenuto demaniale. Sotto Pietro re di Sicilia e d’Aragona, il casale è costretto a nominare dei Sindaci fra le persone  più cospicue, chiamati il 22 settembre 1282 a prestare il debito giuramento al nuovo re in Randazzo. Il che equivale a sottoporsi a tassazione piuttosto pesante. Il 20 gennaio 1283 Pietro incarica i suoi esattori di recarsi al di là del Salso per riscuotere di persona le tasse gravanti sulle singole terre: Racalmuto deve versare 15 once. Il Bresc ne desume una popolazione di 75 fuochi pari a circa 300 abitanti. Il 26 gennaio 1283 ind. XI «scriptum est Bajulo Judicibus et universis hominibus Rakalmuti pro archeriis sive aliis armigeris peditibus quatuor», cioè Racalmuto viene tassato per 4 soldati a piedi ed ha una struttura comunale con un baiulo e due giudici. Chi fossero costoro non sappiamo: crediamo che si trattasse di latini. I saraceni non potevano avere incarichi ufficiali. Ridotti probabilmente a pochi coloni, poterono forse starsene in contrada Saracino, a coltivare verdure con perizia di antica tradizione. Non erano più villani dato che il villanaggio - come dimostra il Peri - era già tramontato.

I Saraceni dell’agrigentino furono tumultuosi sotto Federici II. Nel 1235 essi furono in grado di prendere prigioniero il vescovo Ursone e di trattenerlo nel castello di Guastanella fino a quando non ebbe pagato un riscatto di 5000 tarì d’oro. Federico II ristabilì l’ordine confinando a Lucera quei sudditi ribelli. Il risultato fu una desolazione del territorio agrigentino che si ritrovò a corto di manodopera contadina. Nel 1248 v’è dunque un atto riparatorio da parte di Federico II verso la chiesa agrigentina che era stata spogliata dei villani saraceni, deportati in Puglia per le loro turbolenze. I danni sulla chiesa agrigentina per questa azione di polizia e per altri gravami imposti da Federico e dai suoi ufficiali furono così pesanti da ridurre il vescovo e la sua chiesa in condizioni tali da non avere più mezzi di sostentamento. Per risarcimento l’imperatore avrebbe concesso i proventi sugli ebrei e quelli della tintoria di Agrigento.

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