lunedì 29 giugno 2015

Grande Racalmuto


  • QUEL MALEDETTO IMBROGLIO DEI FIGLIOLINI DELLA NOCE
    Seriosa missiva di Calogero Taverna
    Tempo fa inviai questo mio post a GRANDANGOLO; tempo perso. Forse difetto in calligrafia.

    Scrive Sciascia: «Racalmuto … è un paese In cui LA MAFIA E’ STATA ESTIRPATA DA MORI. ….»
    Ho le traveggole? Ampliamo lo stralcio:

    «Il migliore osservatorio delle cose siciliane continua ad essere per me il paese in cui sono nato e in cui, anche se spesso ne sono lontano, effettivamente vivo: Racalmuto, in provincia di Agrigento.
    [omissis] E’ UN PAESE IN CUI LA MAFIA È STATA ESTIRPATA DA MORI, che non ha mai avuto un deputato né al parlamento nazionale né a quello regionale e dove dunque, il clientelismo è piuttosto vago; che non ha sottoproletariato; che ha completamente eliminato i fascisti dalla vita politica. [ Cioè si è votato] senza subire influssi mafiosi e clientelari, senza tener conto dei fascisti, senza rabbia qualunquistica e sottoproletaria. [….] Non vedo perché, in democrazia, si debba analizzare come positivo, come maturo, il no di chi sta bene e invece come immaturo, come qualunquistico, come mafioso, come razzisticamente diverso il sì di chi sta male. »
    [da Leonardo Sciascia: Nero su nero, gli Struzzi di Einaudi, 1979, pagg. 199-200]

    Da quel dì – mi si dirà – ne è passata di acqua sotto i ponti. diceva qualcuno; tutto scorre. Di deputati ne abbia avuto due, Sciascia compreso, di deputatini regionali, uno; di fascisti – ormai ben lucidati al valor democratico – abbiamo il mio parente Giuseppe, un ingegnere eruditissimo e prezioso (e se si porta a sindaco, lo voto) un geologo anche docente ed altri ancora: la creme dell’intellighenzia racalmutese. Quanto al clientelismo, la nuova legge elettorale porta il familiarismo (vince chi ha famiglia più numerosa, purché unita). Il qualunquismo? È cresciuto ma è più innocuo (vorrei dire, vacuo) di allora. Già, il busillis è tutto là: ora ci dicono le sacre carte giudiziarie e quelle della suprema struttura di governo che Racalmuto è esizialmente inquinato da una FAMIGLIA MAFIOSA, che tutto domina, che tutto travolge, che dappertutto si “infiltra”, anche nei sacrari del supremo governo locale; che se non affilia impone mefitiche collusioni, dispersioni finanziarie, truffaldine espoliazioni di fondi pubblici (comunitari, nazionali, regionali ed anche comunali e cioè anche quelli di un comune senza risorse e con voragini di bilancio); che impone assunzioni e tangenti, che si annida nel Palladium, nelle barcollanti imprese di fili elettrici, nei tentativi di creare a Racalmuto qualche cava per l’edilizia, nel riassettare qualche vecchia casa ( non parlo, ma mi pare che non parlano, del cimitero). E quanto a non parlare, nulla leggo sulle grandi imprese NON RACALMUTESI che i cospicui fondi a triplice mandata finiti al CANNUNI pur li hanno gestiti, non certo perché disponibili dall’infiltrato Comune; e nulla leggo sulla vicenda dell’aeroporto fallito; e nulla leggo sul gas, e nulla leggo sulle deroghe edilizie regionali; e nulla leggo su un inventato parere consiliare nel benestare regionale per l’estensione a zona B letteralmente inventata dalla Regione per il nostro ancora vigente Piano regolatore; e francamente non mi sorprende che nessuna verifica sia stata fatta nel profluvio delle intercettazioni telefoniche registrate e rimesse confusamente alla caserma dei carabinieri racalmutese negli anni ’70-‘80 (ma qui posso davvero essere male informato).
    Già che indagini occorrerebbero? Che dispiegamento di forze? Che diligenza e assiduità investigativa? Che coraggio militare? Che cultura? Capire e spiegare come d’incanto possa nascere una siffatta FAMIGLIA MAFIOSA, all’improvviso. Dopo i 1979? No, ancor dopo se torno a Sciascia. Allo Sciascia morente, quello di cui parla mica un quivis de populo, ma nientemeno Manuel Vàzquez Montalbàn in Lo Scriba Seduto, p. 176 e ss., quando tra l’altro dice: ebbi la fortuna e il dolore di essere presente a quello che fu l’ultimo incontro di coloro che resero possibile FUOCO ALL’ANIMA … destinato ad essere un testo rivelatore.
    Dice Sciascia:
    La vita del mafioso, oggi 1989, è “insicura perché è in lotta con i rivali che lo vogliono sovrastare” e ciò perché “contrariamente a quanto ritiene il giudice Falcone, non è un’organizzazione centralizzata. Sono diverse cupole, insomma, che si fronteggiano. E’ difficile che trovino un accordo tra loro. La cupola delle cupole non esiste.” Porzio: “Tu vedi il fenomeno della mafia come inestirpabile. Ma non ci riuscì il prefetto Mori?” Sciascia: “Non ci è riuscito. Ha messo in atto delle repressioni notevoli, ma non ci è riuscito”. Porzio: “E quindi durante il fascismo la mafia continuò ad esistere?” Sciascia: “Sì, continuò ad esistere ma con limitato potere.” Porzio: “Tutto merito del prefetto Mori?” Sciascia: “Sì.” Porzio: “Ma non è strano che il prefetto Mori non sia stato assassinato?” Sciascia: Allora c’erano delle regole. Il carabiniere faceva il carabiniere, il giudice il giudice, il mafioso il mafioso.” Porzio: “Infatti quando c’era don Calogero Vizzini, il capo di una delle cosche, quello sì restò in vita a lungo.” Sciascia: “Allora la mafia era la mafia.” Porzio: “Era una mafia per bene?” Sciascia: “Per bene no. Non lo è mai stata.” Parzio: “Ma di cosa viveva allora il mafioso? A parte occuparsi della difesa del povero e dell’amico che subiva dei soprusi?” Sciascia: “Nemmeno questo faceva. Si riteneva che lo facesse.” Porzio: “ E allora che compiti svolgeva? Faceva pagare le tangenti ai contadini e ai commercianti?” Sciascia: “Sì, imponeva le tangenti sull’agricoltura.” Porzio: “Ma i ricavati delle tangenti li versava anche ai poveri?” Sciascia: “No, no, no”.

    Ecco, dirà il solito ringrinzito erudito di paese: Sciascia rettifica, cambia opinione, la nuova realtà mafiosa racalmutese ben conosce e bene stigmatizza. Noi che come si sa non siamo Sciasciàlatri pensiamo al solito sotterfugio del diritto a contraddire ed a contraddirsi. Ma tutto sommato, a parte certe sbavature microstoriche, conveniamo nella sostanza delle cose: a Racalmuto in un decennio qualcosa era mutato; i dormienti sfilacciamenti dell’antica mafia dell’abigeato erano in fermento; premeva la famelicità d’influsso americano, di Cosa Nostra – per essere più espliciti – in quel mercato metaracalmutese dello spaccio della droga ed i vecchi ruderi che Genco Russo aveva baciato in bocca negli anni cinquanta erano impari; fremevano escrescenze delinquenziali, ribolliva aria di rivolta. Non v’è nulla negli archivi impenetrabili della locale caserma dei carabinieri? Nessuno dei nuovi inquirenti vi ha fatto capolino? Non vi furono indulgenze, insipienze, indolenze? Non fu davvero lontano lo Stato? Mi si dirà: questo vale per la storia! D’accordo. Ma le vivide intelligenze racalmutesi che facevano? Non vi fu un omicidio in piena piazza, provocatore, ostentato, ammonitore? Tutto finì con molestie in camera di sicurezza di innocenti ed innocui ed ignari cittadini. Ma perché questo Stato si ricorda di noi, meschinelli racalmutesi, solo per romperci l’anima e per toglierci il diritto a sceglierci noi i nostri amministratori? Certo, lo Stato può anche far l’atto di generosità di confezionare una superna Triade Capitolina, meritevolissima ed espertissima, non vacuamente siciliana. Ma come stiamo vedendo si sta già sfaldando in sul nascere. E il dono dell’ubiquità non ce l’ha nessuno: men che meno i solerti milites di piazza Viminale.
    Ecco, ecco: Sciascia antiveggente – dirà sempre quel ringrinzito erudito – prevede la mattanza di piazza Castello. E le altre mattanze. D’accordo, d’accordissimo. Ma questo non significa che nessuna potente FAMIGLIA MAFIOSA racalmutese poteva germogliarne? D’accordo, d’accordissimo con Sciascia che quella di cupole, di cupole che scimmiottano l’ordinamento statuale alla Santi Romano, di cupole delle cupole ad imitazione dei moderni soprastati alla UE, son baggianate, con buona pace di Falcone. Sciascia contro Falcone … ed io qui son tutto per Sciascia. So cose che i santoni della pubblica opinione non sanno o si son dimenticate. E Sciascia con Falcone ce l’aveva per quella faccenda dei consigli a Sindona di cui parla Sciascia stesso a pag. 64 di A FUTURA MEMORIA (se la memoria ha un futuro). Ed anche lì io so cose che occorrerebbe rispolverare. Perché oltretutto sono cose che vanno a maggior gloria di Sciascia (ed a scorno di Falcone). Noi racalmutesi dovremmo togliergli la via oltre il ponte del Carmelo. Ci verranno contro grintosissimi giornalisti indigeni? Riusciremmo a parare i colpi. Chi si è inventato uno Sciascia inventore di Racalmuto, PAESE DELLA RAGIONE, abbia il pudore del silenzio. A dire il vero quel falso slogan ci è servito per il turismo. Chi ha divulgato il topos di ragazzi racalmutesi eroi alla rovescia, mafiosi insomma, della sciasciana Regalpetra, faccia ammenda: ci ha molto nociuto turisticamente parlando. Mi sembra il colmo che anche il Teatro di Sciascia diventi l’ordito ligneo per farvi calcare nefandi impuberi omicidi regalpetresi. Dai tenori di un tempi non vogliamo passare ai tenori dei canti loschi di chi dice (o dicono) essere il capocoro di una cupola delle cupole di una terrificante FAMIGLIA MAFIOSA del paese del sale e dello zolfo; ma niente più sale soltanto zolfo omicida, lupara.

    Cara Signora Cancellieri: Ella è nobile, Ella non ebbe ritegno nel dichiarare le sue ambasce prima di varare un provvedimento che – sia sincera –Le appariva abnorme anche se non sapeva confutarlo. Evitò le visite di false chiese che volevano accreditarle. Fu sobria, pensosa, premurosa persino. Non capì però almeno totalmente la congiura culturale, l’orgia retorica, i predisposti proclami pregni di cialtrone moralismo, perbenismo istituzionale. Ha tempo per ricredersi. Lo faccia, Signor Ministro, a qualsiasi sesso appartenga. Stia attenta a chi Le offre collaborazione, consigli, delazioni. Mi lasci raccontare un ricordo tutto personale. Carli e Occhiuto mi mandano ad ispezionare la morente Banca Privata di Milano. Contribuisco con un biglietto di poche righe a non farla dare alla famelica banca di Roma. Chiedo ed ottengo la “liquidazione coatta” ex art. 67 dell’allora vigente legge bancaria FASCISTA. Mandano un liquidatore, di cui debbo dire tutto il bene del mondo, perché de mortuis nihil nisi bonum. Era giovane ed inesperto. Si affidò, tra gli altri, alle cure del dottor Pontello, di cui tanto si diceva nel mio rapporto ispettivo. Il dottor Pontello poté setacciare tutte le carte della banca di Sindona; setacciò anche le sue carte. La grandissima inenarrabile speculazione valutaria era stata da lui ordita. Con altri. Gli “altri” finirono in gattabuia inchiodati dalle carte selezionate dal dottor Pontello. Il dottor Pontello, vergine nelle carte divenute processuali, andò a dirigere, fare assorbire, far crescere elefantiacamente, sempre con lui dominus, la Banca Antoniana del brav’uomo dottor Giancarlo Rossi, naturalmente subito fagocitato.

    Ha un senso questo svolazzo esibizionistico? Se no, Signor Ministro, Le chiedo scusa.

    Calogero Taverna
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