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Gentili signore e signori, come prima cosa, a scanso di equivoci, voglio dirvi che non sono affatto un critico d’arte. Sono solamente un vecchio impertinente che occupa il suo tempo interessandosi di critica letteraria e questo per i rapporti intensi avuti con Leonardo Sciascia, Consolo, Bufalino, Matteo Collura e tantissimi altri che gli hanno inoculato il virus della letteratura.
vinti mostra
Frequentando la letteratura si spazia nel mondo della poesia, in quello artistico che sono sempre ambiti culturali attraverso cui si cerca di capire il mondo e l’Assoluto che certamente è irraggiungibile e non comprensibile appunto perché assoluto e quindi al di fuori della nostra conoscenza.
Detto questo dovremmo brevissimamente parlare dell’opera artistica dell’Architetto Accursio Vinti che, nella pittura, ha trovato il modo di realizzarsi e di esprimere il suo io.
Accursio  ha sposato la tecnica del dripping che vuol dire sgocciolatura che è stata inventata dall’americano Pollok che certamente è stato un genio e come tutti i geni un folle che beveva e fumava e che ha logorato la sua vita che è durata appena 44 anni quanto quello di Francesco d’Assisi e che si è schiantata in un incidente automobilistico causato dal suo disordine.
Questo tipo di pittura nasce in opposizione alla grande pittura figurativa europea. Forse, come afferma qualcuno, l’America voleva trovare una sua nuova via artistica e ha adottato l’espressionismo astratto in contrapposizione al realismo socialista che in Italia ebbe grande seguito dopo la seconda guerra mondiale con Guttuso, il nostro Giambecchina e tantissimi altri.
Per la nascita di tale forma pittorica in America c’erano le condizioni perché c’era la tradizione della pittura di sabbia dei nativi, faceva capolino la teoria del Kaos, si affermava la psicanalisi di Jung con i concetti del subconscio e dell’incoscio.
C’era l’esigenza dell’assoluta libertà di espressione.
L’artista con l’espressionismo astratto non deve ubbidire a una precisa tematica ma butta giù la tela, manda via cavalletti e pennelli e si sfoga a parlare liberamente con essa tela che governa da tutti i lati e che penetra in un atto di amore proprio in senso erotico come in una danza di un satiro danzante.
Ho visto il satiro Urso danzare attorno alla tela, in una danza di felicità in cui i colori assumono un ritmico sinfonico mozartiano.
E poi è da dire che siamo nel cosiddetto secolo ‘breve’ o secolo nero, come io amo definirlo: il secolo delle due guerre mondiali, del disordine cosmico, dei reticolati che cingevano i campi di concentramento e quelli di sterminio per cui l’affastellarsi di linee, di colori, l’apparente disordine forse vogliono rappresentare questa terribile realtà del mondo che andava in disfacimento quei reticolati che hanno segnato la vita di sei milioni di esseri umani morti nei lager.
Un quadro del pittore Meli di Aragona è formato da una grande confusione di linee e colori e in fondo si vede il Duomo di Agrigento.
Io vi ho visto il disordine edilizio di Agrigento e l’imminente scricchiolio della Cattedrale. Certamente ognuno questi quadri li interpreta come li sente perché l’opera, appena finita, non è più del pittore ma del pubblico che la fruisce.
Accursio Vinti appartiene a questo mondo ma a differenza di Pollok è un uomo saggio che, per fortuna, non è dedito né alla droga né all’alcool per cui nelle sue tele emerge un mondo più quieto, più bello, più rasserenante.
Certamente c’è il dramma e la complessità del vivere c’è la vischiosità di un sistema di vita che tiene l’uomo irretito in mille adempimenti, ma c’è la gioia di vivere, c’è l’esplosione della bellezza della natura, ci sono i colori come nei giochi pirotecnici che sanno incantare lo spettatore.
Il quadro che dipinge la scala dei turchi è un grandissimo inno alla natura e alla sua ammaliante bellezza che riporta l’uomo alla creazione e quindi all’assoluto.
C’è un quadro con un occhio che scruta il mondo oppure potrebbe essere un faro che illumina il nostro cammino nel mondo buio di questo enigmatico percorso senza senso.
C’è la libertà dell’artista di esprimersi liberamente e di non essere legato a nessuna tematica, c’è la spontaneità della musa che si manifesta in uno sfolgorio di colori.
Insomma in queste tele, in cui il colore sgocciola liberamente, ognuno di noi può trovare i propri sentimenti, i propri desideri, le proprie ansie.
E non si pensi che il quadro è frutto del caso e di uno “sgocciolamento” incontrollato perché se così fosse invece di quadri verrebbero fuori ammassi mostruosi e informi di colori che sarebbero un’offesa per i nostri occhi e non direbbero nulla.
Questa tecnica, a mio avviso, è molto difficile da usare perché occorre che l’artista sappia creare ordine nel disordine, armonia di colori nella disarmonia del caos. L’Architetto Vinti aggredisce la tela bianca o altro tipo di supporto quale può essere il legno e l’aggressione avviene con mezzi informali quali impronte, colate, oli, tempere, smalti, colle che attaccano al supporto materiali vari quali polistirolo, vetri, legno, cubetti di colore che possono essere frutto di improvvisazione dando vita a una unicità pittorica irraggiungibile, l’unicum irripetibile. Qualche volta si attacca al quadro una catena e un catenaccio per indicare la necessità di incatenare la mafia che affligge la nostra società e questo dà una dimensione sociologica alla pittura di Vinti il cui atto di dipingere è un rito magico che lo coinvolge interamente nel corpo e nello spirito per mandarci messaggi di bellezza.
Per definire Accursio Vinti mi potrei rifare al Dr. Calogero Taverna Che scrive di Vinti :; “Il pittore astratto che più abbarbicato al reale non si può, il pittore ribelle, il pittore mite, il pittore filosofo, il pittore disadorno, il pittore giocondo, il pittore frantumato nella sua più cupa tristezza, il pittore allegorico, il pittore costruttivista, il pittore senza sogni, il pittore nichilista, il pittore profanatore, il pittore dell’occulta bestemmia, il pittore senza gioia, il pittore privo di speranza, il pittore cieco, il pittore immerso nella  indipingibile luce dei divini cieli, il pittore del minimo, delle scisti, dell’inutile, della frantumazione umana. Eccoccelo quasi policromo, quasi giulivo, quasi esoterico, quasi raffigurativo, quasi elegiaco, quasi irridente, coinvolgente, iridescente. In cerca del Divino, dell’amore, dell’immensità…”
Io, più semplicemente, quando ammiro un quadro di Accursio Vinti provo una immensa  gioia, mi assale una grande voglia di vivere, ed è come sentire una sinfonia Betoveniana al chiaro di luna.
Provo le stesse sensazioni che mi suscita il Duomo di Monreale che è l’unico posto dove vedo l’Assoluto.
I colori così sfolgoranti, bene accoppiati in maniera organica mi suscitano sentimenti di bellezza e di gioia e siccome i quadri devono anche avere valore ornamentale, io metterei ben volentieri una tela di Accursio Vinti nelle pareti della mia casa per renderla più viva e più allegra.
Per le parentele di questa pittura con la moderna Architettura mi rimetto ad altri relatori che ne hanno competenza.
Comunque a tal proposito voglio dire che una volta si costruivano chiese bellissime che avevano del divino, palazzi nobiliari che sono veri e proprio monumenti, però la gente comune abitava nei tuguri. Oggi non si costruiscono più monumenti ma la gente comune abita negli appartamenti godendo di tutti i servizi. I tempi sono mutati e in meglio.
Voglio solo raccontare un fatto che fa capire il senso del mutamento.
Un giorno una mia amica, non molto addottorata, è andata per la prima volta a Roma dove ha potuto ammirare le straordinarie basiliche di quella città che sbalordiscono e parlano di Dio.
Al ritorno mi ha detto: Dio è venuto nel mondo, è stato a Roma, ha costruito quelle basiliche e poi è ritornato in cielo. Quel miracolo architettonico è assolutamente irrepetibile mentre il miracolo della pittura può continuare.

Agrigento, lì 15. 5.2015
Gaspare Agnello

Gaspare Agnello
Critico letterario, Giurato del Premio Sciascia Racalmare e blogger. (Leggi di più)

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