giovedì 16 aprile 2015

Padre Arrigo

Racalmuto nel 1956 era paese meschinello assai. Oggi è tutt'altra cosa ma i paesani stanno a buttare jastimi contro questo o quel politico del presente o del passato prossimo come l'artefice dell'inesistente disastro comunale. Vecchio vizio. Basta leggere Le Parrocchie di Regalpetra, che Sciascia pubblicò appunto nel 1956, per convincersene.
Dicevamo che in quel tempo Mons. Casuccio non era tra le massime repulse anticlericali del giovane Sciascia. Erano i preti nuovi che lo infastidivano. E tra questi, o meglio tra quelli di Racalmuto, era il prete nuovo, che tanto nuovo non era, don Giovanni Arrigo all'apice del suo sardonico dispetto.
"Di preti 'nuovi' - celia Sciascia ne LE PARROCCJIE - ce ne sono anche a Regalpetra, agitati e maneggioni, insofferenti di quel po' di autorità che l'arciprete conserva su di loro, qualcuno va dicendo corna dell'arciprete, la 'leyenda negra' dell'arciprete si arricchisce così di importanti contributi."
A prescindere dal fatto che in quel tempo non c'erano veri preti 'nuovi' a Racalmuto, la nostra memoria ci orienta verso il quarantaseienne  padre Arrigo come l'unico sacerdote che corrispondesse (e quasi su misura) con il rampante prete descritto da Sciascia.
Ma ritorniamo all'arciprete di allora, visto da un acidulo Leonardo Sciascia. "I preti nuovi sono la croce di monsignore: attivi e trafelati come se gestissero imprese commerciali, pipistrelli che svolazzano negli uffici regionali e nelle anticamere degli uomini politici [ ...]  e quando, oltre ad essere così attivi, sono belli come il don Gastone di Parise, i guai si fanno grossi, e l'arciprete ci perde il sonno."
Anche qui noi siamo disorientati: di preti belli non ce n'erano a Racalmuto, almeno di preti belli che fecero scandalo. Il prete cui dopo accenna Sciascia non me la sento di definirlo né nuovobello; fu storia d'amore e sta avendo un epilogo questo sì  bello. Non ho difficoltà ad ammettere che fu proprio il mio partito, il PCI, ma il PCI del nuovo arrivato E.N. Messana a sporcare per speculazione politica una normale vicenda di innamoramento  tra giovani, anche se uno portava ancora la veste talare.

Non ci sembra perspicuo Sciascia quando spettegola come una rivista rosa e ci parla di boccaccesca vicenda fiorita all'ombra del confessionale e della colpa di un giovane prete che cede alla tentazione e della ragazza che cede al prete. Dopo, a maggior maturità raggiunta, Sciascia si sarebbe tenuto lontano da siffatte espressioni da bottega di vino. Si redime in un certo qual senso censurando i regalpetresi pronti a scaricare "la colpa su monsignore (naturalmente, Casuccio) ---"quel poveruomo che in tutta la sua lunga vita mai da un sospetto boccaccesco è stato sfiorato". Elogio ambiguo, ma sempre nota di rispetto per il solito monsignor Casuccio quale si coglie nel  giovane scrittore, propenso ad un anticlericalismo non misericordioso.
Aggiunge Sciascia: "Monsignore ha vasta parentela, ha mobilitato tutti i suoi parenti nella DC e lui si è tirato in disparte, al di fuori di quel che compete per i decreti del Santo Offizio  e per le lettere pastorali del vescovo, non mostra di essere in preda a quel ballo di San Vito della politica cui tanti preti si abbandonano; del resto la miglior politica che può fare a vantaggio della DC è quella di non mostrarsi, ché farebbe deserta la piazza; e poi i parenti ci sanno fare, fanno un così compatto e attivo clan che nessuno riuscirebbe a scalfire. Questa sorta di nepotismo alimenta avversione contro monsignore, ma la verità è che in Sicilia la politica sempre diventa affare di tribù, e il membro più autorevole o rappresentativo di solito si tira dietro tutta la tribù, fino agli affini e ai famigli; e un partito politico diventa come una gabella di latifondo."
Qui Sciascia  supera se stesso: tratteggia una pagina di storia locale in modo magistrale e in certi punti persino profetica. A Racalmuto la famiglia Casuccio, già nell'oblio da circa trent'anni, con la morte appunto dell'arciprete ha celebrato la sua ultima esequie quest'anno con il decesso del rinomato professore Clemente Casuccio. Altri clan - tutti familiari- altre tribù si sono affermate: la musica sempre quella: ciarla politica a non finire, moralismo alla Savonarola, ma al momento del voto comunale tutti serrati a difesa della tribù che però ora non sempre sceglie come suo rappresentate il più autorevole o il più rappresentativo, anzi si preferisce l'appartenente più innocuo così gli affari di famiglia non danno all'occhio. Tutto in sordina. Il risultato? Come prima, peggio di prima.





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