sabato 25 aprile 2015

note ottocentesche su Racalmuto


19
1847
SALVATORE
ACQUISTA
A.49
 
 
 
37
1847
PIETRO
ALFANO
A.67    CARMELITANO PRIORE
 
45
1847
LUIGI
ARNONE
A.39 CONVENTUALE MINORE S.FRANC.
16
1847
CALOGERO
BARTOLOTTA
A.50
 
 
 
33
1847
ANTONINO
BURRUANO
A.31
 
 
 
18
1847
FILIPPO
BUSCARINO
A.49 CONFESSORE MONASTERO
39
1847
ANTONINO
BUSUITO
A.49 CARMELITANO BACCELLIERE
15
1847
CAMILLO
CAMPANELLA
A.52 CONFESSORE PRO UTROQUE
8
1847
CALOGERO
CAVALLARO
A.60 CONFESSORE PRO UTROQUE
42
1847
BONAVENTURA
CHIODO
A.46.CONVENTUALE MINORE S.FRANCES
25
1847
IGNAZIO
CHIODO
A.28 CONF.UOMIN. E DONNE AMMALATE
22
1847
VINCENZO
CHIODO
A.   CONFES.UOMINI E DONNE AMMALATE
40
1847
SERAFINO
DA CANICATTI'
A.   MINORE OSSERVANTE
 
41
1847
GIUSEPPE
DA GROTTE
A.   MINORE OSSERVANTE
 
36
1847
SALVATORE
FALLETTA
A   DEL NADORE
 
 
11
1847
ALBERTO
FIGLIOLA
A 52 CONFESSORE PRO UTROQUE
35
1847
CALOGERO
GIUDICE
A  CONF.UOMINI MUNITI  SACRAMENTI
27
1847
FRANCESCO
GRILLO
A.28 CONF.UOMIN.E DONNE AMMALATE
43
1847
ANTONINO
LAURICELLA (CANICATTI')
A.42 CONV.MIN.S FR. PR.GUARDIANO
31
1847
GIOVANNI
MANTIA
A.27
 
 
 
23
1847
SALVATORE
MANTIA
A.33
 
 
 
13
1847
GAETANO
MANTIONE
A 52
 
 
 
24
1847
FRANCESCO
MATTINA
A.28 CONF.UOMIN.E DONNE AMMALATE
3
1847
PIETRO
MATTINA
A.58 BENEF.CONFES.PRO UTROQUE
44
1847
FRANCESCO
MULE'
A.42 CONVENTUALE MINORE S.FRANC.
2
1847
FRANCESCO
RIZZO
A.87 CONFESSORE PRO UTROQUE
38
1847
ELISEO
SAVATTERI
A.70 CARMELITANO CONF.UTROQUE
6
1847
STEFANO
SCIBETTA
A.62 CONFESSORE PRO UTROQUE
26
1847
GIUSEPPE
SCIME'
A.31
 
 
 
34
1847
GIROLAMO
TIRONE
A.27 CONF.UOM.E DONNE MORIBONDE
4
1847
GIUSEPPE
TIRONE
A.66 CONFESSORE PRO UTROQUE
14
1847
SALVATORE
TIRONE
A.5O CONFESSORE DEL COLLEGIO

 

 

Il clero a quel tempo era, come si vede, davvero folto: ben 45 elementi, dato in ogni caso di molto inferiore alla spoporzionata quota ottanta che Sciascia avrebbe voglia di accreditare. Ma anche ridotta a 45 la ‘quota’ significa un religioso ogni 200 abitanti (calcolabili per quell’anno attorno alle 9.000 unità): cifra ragguardevolissima se si considera che nel 1988 il rapporto era a Racalmuto di un sacerdote ogni  2.584 abitanti: un decremento, dunque, di 1.292%.

L’orgia dura solo un anno: il 15 marzo del 1849 ritornano i Borboni. Gli Alfano rientrano dall’esilio, più potenti che mai. Giovanni Scibetta Giudice torna a fare il sindaco. Biagio Messana crede di potere continuare a fare il giudice: la solita lettera anonima costringe le Autorità a dimissionarlo.

Ma fu un fatto di sangue ad rendere incandescente il clima politico: si consuma uno dei tanti omicidi; stavolta a rimetterci la pelle è tale Calogero Rizzo Inzalaca. Il giudice-presidente Messana vuol però fare sul serio; ha seri indizi sulla colpevolezza di tale Rosario Agrò: lo “cedola” - cioè lo convoca nella sua casa per affari di giustizia. Lo intrattiene per 24 ore fino a notte fonda. All’uscita dell’Agrò, esplode una salva di schioppettate. Per caso - o così si disse - ebbe a passare tal Damiano Tulumello, e questi ci rimane secco. Si precipita in strada il Messana, accompagnato dal sacerdote Don Giovanni Bartolotta. Il Messana - appena trentaseenne - visto il Tulumello esclama: “Figlio innocente”. Era un suo amico. Si accende d’ira e va alla ricerca dell’Agrò. Alle due di notte, l’Agrò viene trovato, ricondotto innanzi al giudice, reinterrogato, consegnato alla forza pubblica. E qui in fatto oscuro: si afferma che avesse fatto resistenza alle forze dell’ordine e viene colpito a morte. Il giudice Messana fa il sopralluogo e appuratane la morte - a dire di suoi detrattori - “gli vibra per astio diversi colpi di stile”. Si fa l’autopsia ed alla bisogna viene chiamato il dott. Don Giuseppe Scibetta. Il medico vuol scrivere nella sua perizia di avere riscontrato ferite da arma da taglio. Gli si impedisce. Al suo posto un altro medico più compiacente chiude il caso secondo la versione gradita al giudice. Questa è almeno la ricostruzione dei fatti secondi i denunzianti del Messana, l’anno successivo in data 26 settembre 1849. E N. Messana - che pure è discendente di quel giudice - sembra credere a quei delatori e (cfr. pag. 215) informa e deforma «Il Messana nel vedere cadere il Tulumello accorse piangendo a raccogliere l’ultimo respiro, ma quando si trovò fra i piedi il cadavere di Rosario Agrò lo trafisse con uno stilo, pieno di odio perché aveva provocato la morte di un innocente. Il medico Giuseppe Scibetta periziò per arma da fuoco la morte dell’aAgrò e segnalò più trafitture sul cadavere.» Noi siamo molto scettici che un intellettuale quale Biagio Messana si sia indotto ad un atto di gratuita efferatezza come l’infierire su un cadavere e vilipenderlo. Non vogliamo cadere nella trappola tesagli dai suoi velenosi nemici politici (il barone Tulumello e la congrega degli Alfano). Ma è certo che vi fu al ‘casino della conversazione’ materia di che discutere. Con prudenza, però: gli spioni dell’una e l’altra consorteria si annidavano tra i più insospettabili soci. Come al circolo della concordia di Leonardo Sciascia.

La vita sociale scivola piuttosto piatta sino allo sconvolgimento politico della venuta di Garibaldi del 1860.

Il vecchio Gaetano Savatteri, che pure si era intruppato tra i fiancheggiatori di Biagio Messana, riesce ora, uomo di tutte le stagioni a farsi nominare sindaco al posto di don Giovanni Scibetta Giudice.

La terna municipale risultò essere composta dallo stesso Gaetano Savatteri e da suo cognato Leopoldo Muratori come primo eletto, nonché da Luigi Tulumello. Il Muratori non gradì la supremazia del suo affine e aspirando a subentrargli lo denunzia come vecchio cospiratore per la nota firma apposta al proclama di Biagio Messana. Ma l’intervenuto perdono regale non consente di riaprire quelle vecchie ferite: resta sindaco Gaetano Savatteri. Ci si dà allora da fare per conciliare i rissosi cognati. Tutto è vano: insolentemente il Savatteri risponde al giudice di Grotte che lo aveva convocato per la riappacificazione col Muratori in questi termini, rilevatori peraltro del ruolo che aveva ormai assunto il nostro circolo: «Se il Giudice mi deve dire qualcosa come Sindaco, che mi faccia un ufficio, se mi vuole come privato, che venga allora a trovarmi al casino di Compagnia.»

Dal 1851 al 1853 risulta sindaco il dottore in legge Giuseppe Tulumello fu Vincenzo: la potente famiglia si riappropria finalmente del comune: si torna ai tempi feudali del Settecento. Il sindaco viene affiancato da don Giuseppe Farrauto, don Giuseppe Tulumello e don Francesco Borsellini. [Seguiamo il Messana, sulla cui precisione abbiamo seri dubbi.]

Al Tulumello subentrò nella sindacatura don Vincenzo Grillo, poltrona mantenuta per il triennio 1853-1856. Ma nel triennio successivo il comune ritorna in mano alla famiglia Tulumello: è nominato sindaco infatti Giuseppe Tulumello Grillo.

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