sabato 25 aprile 2015

antologia microstorica racalmutese


Arciprete Alessandro Capoccio

 

Il Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:

«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 )

Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.

In Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).

Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:

«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».

 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.

Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600. Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.

 

Giurati a Racalmuto a fine ’500

 

I giurati di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono:

1.              Nicolò Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;

2.              Giuseppe Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella e Contessella;

3.              Giuseppe Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce  Franceschella, Costanza, Innocenza, Angela  e  Fania [Epifania];

4.              il notaio Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S. Giuliano al 167°  fuoco; si era sposato a Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con  Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro: compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.

 

Sono chiamati a fungere da delegati per il Rivelo:

per il principale e più popoloso quartiere di Santa Margaritella:

                Martino di Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;

                Vincenzo di Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369° fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni 9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia,  Jurla [Gerlanda];

per il  quartiere di San Giuliano:

                Giovanni Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto, non abbiamo il quinterno di dati demografici;

e per il quartiere della Fontana:

                Giovan Cola Capoblanco;

                Natale Castrogiovanni;

                Pietro Bellomo.

Di questi tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al quartiere Monte.

 

 

Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593

 

I ponderosi volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati, se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.

A quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza). In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S. Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di nord-ovest.

All’interno vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata.

 

 

 

Dettagli del Rivelo del 1593

 

Sembra fuor di dubbio che il monaco benedettino Vito Maria  Amico  ebbe tra le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del 1593. Nel suo Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è riportata in appendice al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota: «Contaronsi nel tempo di Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595», (secondo la traduzione del Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del censimento sotto Carlo V (che crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce il numero delle case (890) e non quello degli abitanti, per quello del 1595 (per noi 1593) fa l’inverso dandoci invece solo il numero degli abitanti. E dire che se l’Amico ebbe i due volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.° 597 ed il n.°  598) sarebbe arrivato presto a quel conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume delle numerazioni dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o quasi) ammontare dei fuochi di Racalmuto.

Il numero degli abitanti che ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha proceduto ad un analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se, invece, come crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce del quale è da presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del benedettino fu di poco conto.

Presso il Tribunale del Real Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito fondo dei Riveli, possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che riguardano appunto quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:

1.              alle pagine 807r - 807v del vol. n.°  596 abbiamo lo spaccato della finanza locale sopra riportato;

2.              allegati al volume stanno i quinterni delle rilevazioni fatte dagli appositi deputati, disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro quartieri (visto che è stato trafugato quello del Monte).  A parte ci diamo carico di farne la trascrizione;

3.              in due grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le dichiarazioni che i racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”, reiterando quanto già direttamente (o tramite un loro familiare) avevano segnalato ai ‘deputati’ ed aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va notato che ancora nel 1593 la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza che avrà poi nel XVII secolo.

Località e Rioni

 

La suddivisione amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S. Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati (rivelanti) e negli atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione topografica alquanto diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese e qualche volta alle particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e propri rioni, ma il concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:

                 

                il Carmine;

                S. Margaritella;

                S. Giuliano;

                S. Leonardo;

                la Fontana;

                il Castello (o Castrum);

                S. Francesco;

                S. Nicola;

                la Cava;

                Santa Maria;

                li Fossi;

                San Gregorio;

                S.Antonio;

                la Nunciata;

                il Monte (lu Munti);

                lu Spitali o S. Sebastiano o S. Bastianu;

                la Piazza (o Platea);

                Santa Rosalia;

                Sant’Agata;

                li Bottighelle;

                Zagarano..

                 

 

Molte di queste località si estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia, in tutti e quattro i quartieri.

 

Centro topografico del paese era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema decisione, ma certamente - come detto -  non lontano dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano botteghe e le abitazioni di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio Alaimo, il dott. Pietro; i Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli Afflitto, i Monteleone; i Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione più esclusivo sembra quello di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi): vi abitavano i potenti Piamontesi ed i nobili Ugo.

 

Molti militari stavano invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle dei benestanti - ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano attorno le case terrane  (di norma un solo locale) ove dimoravano i poveri.

Le maestranze riuscivano a farsi soggiogare dalle potenti confraternite di appartenenza delle discrete abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe) erano in mano  alle stesse confraternite e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai propri confratelli.

 

Il castello - rimesso a nuovo a metà del XV secolo dai del Carretto, come abbiamo sopra visto - era in piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano alcuni loro stretti parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i Russo il marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.

 

Il Carmine era piuttosto deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto l’egida dei del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche un altro carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori semplici frati rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e dal cognome sembra che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra Francesco Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe Ragusa e fra Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il quartiere di S. Margaritella e quello del Monte.

 

Rientravano totalmente nel quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di Dio), di S. Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa. Vi confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San Gregorio.

Erano annessi  amministrativamente al quartiere della Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del Castello, di San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche frangia di Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla Fontana. 

Il nome della Nunciata appare a cavallo tra Monte e  Fontana.

Se nel 1540 quella dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa principale; dopo mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha la grandezza dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del Seicento) ma è già abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto notarile del tempo.

Fino al 1608 S. Antonio era ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato. Persisteva comunque il toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona gravitante sul quartiere del Monte.

 

Lo Spitale era operante nel 1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli. Tale affidamento avvenne un secolo dopo nel 1693 per opera dell’ultimo Girolamo del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale Giovanna Vigni aveva soggiogato all’Ospedale due case per tarì sei annui con atto del notaio Gio: Vito d’Amella del 10 settembre 1585.

 

Giuseppe Gulpi gli aveva costituito un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di terra  con vigne, stanze ed alberi nel fego della Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di Racalmuto in data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò Monteleone in data 29 dicembre 1582. 

 

Un altro atto di dotazione dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti del notaio  Giacomo Damiano. Risultavano incisi quasi due secoli dopo  “Santo Cristofalo, Vincenzo e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.

 

Nel 1693 ecco com’era descritto il vetusto ospedale:

«Nella terra di Racalmuto vi è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che dall’antichità di esso non si ha certezza della fondazione e perciò li Prelati ... [ed i del Carretto] have dato la cura ed amministrazione di detto Spedale, e sue rendite alli Deputati di tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché s’havessero impiegato à tutto potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per le molte occupazioni, e per la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati patiscono della loro salute in tanto detrimento del publico di essa terra.»

L’ospedale era peraltro munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.

Qualche immigrato di spicco

 

Capitava che dalle vicinanze venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a Racalmuto. Ebbero così inizio famiglie oggi fra le più significative del paese. Dal libro dei matrimoni della Matrice estraiamo qualche esempio:

SAVATTERI (provenienza: Mussomeli)

7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio di Vito et Angila Carlino cum    Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di Mussumeli, servatis  servandis et facti li tri denunciatione inter missarum solenia  et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in  facie ecclesie et foro beneditti nella missa celebrata per me  presti Francesco Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj”.

 

BUSCEMI (provenienza: Agrigento)

Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti  cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis  .... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don  Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti”. 

 

SCHILLACI (provenienza: Cerami)

Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis ...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti  per don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti”.  

 

SCHILLACI (provenienza: Sutera)  

Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di li Grutti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si  trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.

 

 

RIZZO (provenienza: Scicli)

 Die 30 Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli  cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino, non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e Francesco Furesta”.

 

BONGIORNO (provenienza: Gangi)  

Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di  Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e  reverendissimo di Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la tercza a li  20 di Jnaro inter missarum solemnia, non si trovando   inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo Piyamontisi, lu  magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa quantitati di agenti

 

PIAZZA (provenienza: Mussomeli)

Die 8 Januarii  1594 - Minico di CHIACZA di la terra di Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don  Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo d'Aveda e multa quantità  di agenti”.                     

 

LO JACONO (provenienza: Aidone)

 Die XVo Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis .... contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter Leonardo  Spalletta, p.nti Ioanni di Vigna et Hieronimo Piruchio et  multa quantità di genti”.

 

 

Uomini e cose da segnalare

 

A Racalmuto sono stanziati come soldati di professione:

1.              Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che abita al Monte;

2.              Morriali Antonino di Federico, soldato di cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;

3.              Buxemi Currau anni 35, soldato, abitante anche lui al Monte;

4.              Barberi Petro anni 50; soldato cavallo, sempre del quartiere Monte;

5.              Matina (la) Gio, soldato di anni 70, residente nello stesso quartiere;

6.              Morriali Federico anni 40; soldato, vicino di casa;

7.              Sferrazza Mariano soldato di anni 22, che abita nel quartiere di S. Antonio.

 

In paese, a fine del secolo XVI, non è del tutto ignota la schiavitù.  Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.

La loro vicina Antonella, vedova del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi tempi, emula il singolare rapporto e tiene “Cristina sua serva seu scava” a farle compagnia.

Del resto a quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto manteneva una schiava addirittura dentro il convento che l’ospitava.

Sono invece ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:

1.              AFFLITTO (D')  CARLO MAGNIFICO

2.              AGRO'(DI) PETRO

3.              ALAIMO (DI) LU M.co PETRO

4.              BALDUNI M.co FRANCESCO

5.              CATHALANO MICHELI

6.              CHICCARANO ANTONINO

7.              GUELI (DI) JOSEPPI

8.              GUELI (DE) GIUSEPPE DI JORLANDO DI ANNI 29

9.              LA LOMIA JOSEPPI

10.           MACALUSO NICOLAO

11.           MACALUSO PETRO

12.           MONTILIUNI Not. Mco COLA

13.           PAXUTA (LA) MATTHEO

14.           PROMONTORO BALDASSARE LO S.r

15.           SALERNO JO:

16.           TODISCO Sp. ARTALI

17.           TODISCO Sra SALVAGIA

 

Sul finire del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato  52 mastri (il % dei fuochi). Non sono tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la massa della popolazione, a sfondo quindi proletario e spesso miserabile. I cinquantadue “mastri” sono:

 

 

1.              ALAIMO (DI) M.° ANTONINO

2.              ALLIGRIZZA M° CARLO

3.              AMICO (D') MASTRO PAOLO

4.              ARRIGO M° HYERONIMO

5.              BARBERI M° JOSEPPI

6.              BARUNI M° FRANCESCO

7.              BLUNDO MASTRO GRIGOLI

8.              BOCCULERI M° FILIPPO

9.              BONOANNO HYRONIMO M°

10.           BUFALINO M.° BENEDITTO

11.           CACHIATURI M.° FRANC.

12.           CACHIATURI M° PAULO

13.           CANSUNERI M° GERLANDO

14.           CAPOBLANCO NICOLO M°

15.           CATHALANO M° FRANCESCO

16.           DAIDUNI M° PETRO

17.           DI NOLFO M° HYERONIMO

18.           DILIBRICI MASTRO GIUSEPPE

19.           FACHIPONTI M° PAOLO

20.           GENTILE M.° LUCIANO

21.           GIGLIA (DI) M.° PIETRO

22.           GIGLIA (DI) MASTRO ANTONINO

23.           GIGLIA M.° ANTONINO

24.           GIGLIA (DE) M.° MARCO

25.           GISULFO M° SILVESTRO

26.           GUELI (di) M° ANT.no

27.           GULPI ANTONINO MASTRO

28.           JACONA (LA) M° MASI

29.           LA SCALIA M° ROGERI

30.           LO PILATO M° BARTHULO

31.           MANGIA M° JOANNI

32.           MANGIAMELI  Mastro HETTARO

33.           MEDIORA ? M° ANGILO

34.           MILACZO (DI) M° MATTEO

35.           MONASTERI M° BASTIANO

36.           MONTANA (DI) M° XANDRO

37.           MORREALI  M° MARIANO

38.           NOBILI (LO) M° FRANC.°

39.           NOBILI (LO) M° GIULIO

40.           NOBILI (LO) M° HORATIO

41.           NOBILI (LO) M° MASI

42.           NOBILI (LU) M.° PETRO

43.           PUMA (DI) M° FILIPPO

44.           PUMA (DI) M° LISI

45.           RAGUSA (DI) M° JULIO

46.           RIZZO M°  FRANCESCO

47.           SALVO (DI)  M° PETRO

48.           SANGUINEO M° MASI

49.           SPATAFORA M° PETRO

50.           TAIBI M°  FRANCESCO

51.           VILARDO ANTONI M.°

52.           XANDRA M° HYERONIMO

 

*     *    *

 

 

Fine di Giovanni IV del Carretto

 

 

Giovanni IV del Carretto fu trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono quel fosco delitto.

La cronaca, fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati nel 1869 da Gioacchino di Marzo.  Eccola:

 

«A 5 di  maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscro, allo palafango [parafango]di detto; e ci tirarono dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran maraviglia di tutti li agenti; e finìo.

 

« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento, dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi in premio a chi rivelasse.

 

«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non sia lu principali ci avissi fatto  detto delitto, et anco la grazia di S. M.».

 

Ci dispiace per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento la notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al suo castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»

 

 Nello stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31),  leggesi che successivamente:

 

 «A 20 ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari [Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.

 

«E fu perché il giorno che sindi andli galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travovauci certi faldetti che avia arrubati allo Casali.

 

«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti, ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.

 

«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia  alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».

 

 

In una pubblicazione dell’Archivio di Stato di Palermo  vengono fornite notizie sulla dovizia di documenti relativi al processo del presunto mandante dell’omicidio del conte Giovanni del Carretto.

 

Sono documenti che si trovano  nell’ «Archivo General» di Simancas e precisamente:

 

-  nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del  "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE LA MUERTE DEL CONTE DE RECALMUTO" CC. 123  - ANNO 1608 - VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.

 

Riportiamo integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:

 

 «Si tratta degli accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO ISFAR e CRUILLAS, barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di SOMMATINO, suo nipote, nel processo subito da quest'ultimo, come presunto mandante dell'assassinio di Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due baroni sostengono che il processo fu messo su in base a false testimonianze dal procuratore fiscale della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con la complicità del Presidente della Gran Corte RAO.

 

Il successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di Giacomo Scaglione e vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse mossegli a proposito del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del conte Giovanni del Carretto.»

In quei “legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un delitto in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I del Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del Carretto, evidentemente per interessi.

Ma è storia di famiglia che a noi non importa gran che. E’ in definitiva storia della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo altrettanta indifferenza.

 

La comunità ecclesiale di Racalmuto nei primi anni del Seicento.

 

Il nuovo secolo, il XVII, si apre a Racalmuto con un vuoto: non c’è ancora il nuovo arciprete. Questi viene solo dopo alcuni mesi e si tratta di

 

Andrea d’Argomento.

 

Questo nuovo arciprete di Racalmuto è comunque esaminatore sinodale ad Agrigento, ed è dottore in utroque iure; giunge nel marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa, prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia. Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del 1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete; all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le “glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di questo arciprete dottore in utroque. Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale.

 

 

Dopo il 1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile - vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione peccaminosa con la vecchia madre del primo.

La diocesi sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607 e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.

Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di Racalmuto, e non solo quella religiosa.

 

L’anno successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e completa la vista..

 

 

Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV del Carretto - don Vincenzo del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano, elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali: la bisettrice parte dal Carmino ed arriva a la Funtana lungo un percosso che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia, posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella parte terminale della vecchia via Fontana.

La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come abbiamo visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).

 

Giovanni IV del Carretto, familiare del Santo Ufficio, ma per interessi e per sottrarsi a tribunali laici molto meno accomodanti, non dovette essere molto religioso. Quel figlio legittimato che faceva il prete nel suo lontano feudo di Racalmuto doveva apparirgli come un povero diavolo che si arrabattava per superare le umiliazioni del suo essere stato concepito in toro non benedetto. Gli echi della vita religiosa della sede della sua contea gli saranno pervenuti, ma molto affievoliti, lasciandolo nella totale indifferenza. Non vi è documento che comprovi la sua presenza, anche saltuaria, a Racalmuto. Ma appena seppellito quel truculento conte, il figlioletto deve raggiungere la lontana dimora di Racalmuto, così diversa dai fasti di Palermo.

 

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