domenica 22 marzo 2015

Le truffe storiche: S. Margheritella, i Malconvevant, i Barresi, gli Abbrignano. Pertinace protervia di preti, gesuiti, gerosolomitani e monsignori.


Le truffe storiche: S. Margheritella, i Malconvevant, i Barresi, gli Abbrignano. Pertinace protervia di preti, gesuiti, gerosolomitani e monsignori.


 

 

 

Il Fazello non mostra interesse alcuno verso quelli che dovettero apparirgli incolti e violenti nobilotti di campagna: i Del Carretto, appunto. Il colto storico è basilare nella storia di Racalmuto per avere ispirato due tradizioni che reggono imperterrite tuttora: la prima accredita Federico II Chiaramonte (+ 1313) padrone e barone del feudo, ove avrebbe fatto costruire l'attuale castello ("Lu Cannuni"), e ciò è congettura forse accettabile; la seconda tradizione è quella della signoria dei Barresi. Qui il Fazello è del tutto incolpevole. Si pensi che l'intera faccenda poggia - responsabili Vito Amico [1] ed il Villabianca, quello della Sicilia Nobile [2]  -  su un'evidente distorsione di un passo dell'opera storica del Fazello. [3] Questi, parlando dei Barresi, aveva scritto  [4]: Matteo Barresi succede ad Abbo, che aveva ricevuto da re Ruggero l'investitura di Pietraperzia, Naso, Capo d'Orlando, Castania e molti altri "oppidula" (piccoli centri). Chissà perché tra quegli oppidula doveva includersi proprio Racalmuto. Così congetturarono i cennati eruditi del Settecento, non sappiamo su che basi, e così si racconta tuttora dagli storici locali che hanno in tal modo il destro per appioppare a Racalmuto le vicende avventurose di quella famiglia.

Non è questa la sede per digressioni erudite: tuttavia ci pare di avere fornito elementi sufficienti per comprovare la validità dei nostri convincimenti in ordine alla nessuna attinenza dei domini feudali dei Malconvenant e dei Barresi con Racalmuto, a ridosso del Vespro. Resta da vedere se possa parlarsi della signoria degli Abrignano.

Il solito Tinebra Martorana (pag. 56 op. cit.) ci propina questa successione:

«Alla morte del conte Ruggiero Normanno, sia perché questa famiglia [cioè i Malconvenant] si fosse estinta, sia perché fosse caduta la fortuna dei Malconvenant, noi vediamo essi perdere domini ed uffici. Ciò che è indubitato è che il figlio del conte conquistatore, il gran re Ruggiero, concesse la baronia di Racalmuto alla nobilissima famiglia degli Abrignano [Minutolo: Cronaca dei Re]. E da questa passò ai Barresi. Degli Abrignano però non è sicura notizia e di certo, se essi governarono Racalmuto, fu per breve tempo, perché molti cronisti non ne fanno alcun cenno.» E tanto è davvero un modo curioso di far storia: ciò che viene asserito come “indubitato”, diviene subitaneamente - con contraddizione che non dovrebbe essere consentita - “non sicura notizia”. E dire che Sciascia continuò a definire quella del Martorana “una buona storia del paese”. [5] Eugenio Napoleone Messana (op. cit. p. 49) non ha dubbi che «nella cronaca dei re di Minutolo leggiamo che il re Ruggero II concesse la baronia di Racalmuto ai nobili Albrignano o Alvignano prima e ad Abbo Barresi dopo. Della concessione agli Abrignano ne fa menzione solo il Minutolo, altri la omettono e riportano solo la concessione ad Abbo Barresi.» Evidentemente, né Tinebra Martorana, né Eugenio Napoleone Messana avevano letto il Minutolo, diversamente non sarebbero caduti nell’abbaglio. Forse avevano letto soltanto Vito Amico che nella versione del Di Marzo specifica: «Minutolo Memor. Prior. Messan. Lib. 8 attesta essersi [Racalmuto] appartenuto alla famiglia di Abrignano, dato poscia a’ Barresi.» Una certa eco vi è anche nel Villabianca: « e la tenne [Racalmuto] pur anche la Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273.» Francamente ci dispiace che nell’equivoco cadde anche il compianto padre Salvo - nostro stimato amico. [6] Egli sintetizza: «La famiglia Albrignano - Decaduta la famiglia Malconvenant, Ruggero II concesse la Baronia di Racalmuto agli Albrignano o Alvignano nel 1130. Tale concessione è un po’ dubbia nelle storia o, se vi fu, ebbe a durare pochissimo. Certo è che nel 1134 la Baronia di Racalmuto era già nelle mani dei Barresi.» Un evidente sunto, con quella aggiunta della data che vorrebbe essere una precisazione e diviene invece una colpevole topica.

Il Minutolo fu un frate gerosolimitano di Messina  che nel 1699 scrisse le memoria del suo “gran priorato” [7] : raccolse le dichiarazioni dei vari suoi confratelli sulle loro ascendenze nobili. Essere nobili era indispensabile se si voleva essere ammessi fra quei frati cavalieri. Fra D. Alberto Fardella di Trapani nell’anno 1633 asserisce - in buona fede o fraudolentemente, non sappiamo - che un suo antenato era: «Hernrico Abrignano dei Signori di Recalmuto, nobile di Trapani, e Regio Giustiziero, e Capitano» nell’anno 1395. La falsità era talmente evidente da non doversi dare alcun credito al mendace frate, ma il Minutolo non se ne accorge ed incappa in una smentita a se stesso, quando trascrive l’albero genealogico dell’altro confrate, il nobile “Fra D. Alfonzo del Carretto, di Giorgenti, 1617”, il quale, in coincidenza della pretesa signoria di Racalmuto da parte di Enrico Abrignano nell’anno 1395, colloca , correttamente, al posto dell’Abrignano, il proprio antenato, il celebre barone Matteo del Carretto. Ma già un altro dei due monaci della famiglia Fardella (fra D. Martino Fardella di Trapani 1629) si era limitato a dichiarare quell’identico antenato come semplice nobile di Trapani  Enrico Abrignano Nobile di Trapani»).

Gli Abrignano con Racalmuto, dunque, non c’entrano affatto: forse una qualche parente di Matteo Del Carretto andò sposa al “mercante” Enrico Abrignano, attorno al 1391.

 

 

Quanto ai Barresi, è arduo ritenere che costoro davvero abbiano avuto il dominio di Racalmuto, in tempi antecedenti al Vespro, anche se il padre Aprile, scrivendo in epoca moderna, era propenso alla tesi affermativa. Si disse che Abbo Barresi I o Senior ebbe concesse dopo il 1130 dal re Ruggero il Normanno vari feudi, Naso, Ucria ed altri Castelli. Da Abbo a Matteo; da Matteo a Giovanni, la successione in quei domini feudali.

Il San Martino Spucches resta sconcertato dalla contraddittorietà delle notizie fornite dal Villabianca. Si limita allora a questa secca elencazione: «Il Villabianca, nella Sic. Nobile, dice che Ruggero re concesse Racalmuto ad Abbo Barresi (Sic. Nob., vol. 4°, f. 200). Lo stesso autore dice altrove che l’Imperatore Federico II concesse, dopo il 1222, Racalmuto ad Abbo Barresi che sarebbe stato figlio di Giovanni (di Matteo di Abbo seniore). A quest’ultimo successe il figlio Matteo: al quale successe Abbo ed a quest’ultimo il figlio Giovanni. Questi visse sotto Re Giacomo di Aragona e seguì il suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i Baroni di Racalmuto con numero progressivo[8]

Ma, così facendo, l’esimio araldista, allunga la teoria delle successioni, ricominciando il ciclo, per cui da Giovanni si passerebbe ad Abbo II iunior che avrebbe avuto dall’imperatore Federico II Racalmuto nel 1222 (per noi, a quell’epoca, ancora da fondare); da Abbo II a Matteo II e da questi ad Abbo III, cui sarebbe subentrato Giovanni Barresi che è personaggio storico distintosi nelle vicende del 1299, di sicuro signore di Pietraperzia, Naso e Capo d’Orlando.

Scettici sulle signorie pre-Vespro dei Barresi, non possiamo escludere che, con la restaurazione feudale di re Pietro, Giovanni Barresi possa essersi impossessato di Racalmuto, stante la latitanza di Federico Musca, cui invero sarebbe spettata la titolarità della baronia racalmutese. Con il passaggio tra le fila di re Giacomo d’Aragona - quando questi dichiarò guerra al proprio fratello, Federico III, che era stato proclamato re di Sicilia nella ben nota crisi di fine secolo XIII – poté essersi pur verificata la perdita da parte di Giovanni Barresi del recente feudo di Racalmuto alla stregua di quegli altri suoi possedimenti siciliani, finiti sotto confisca.

L’Amari, nella sua  guerra del Vespro siciliano, accenna ad un diploma del 28 dicembre 1300 (1299) tredicesima indizione, anno 15° di Carlo II d’Angiò, ove Racalmuto e Caccamo vengono concessi a Pietro di Monte Aguto. [9] Ovviamente si trattò di promesse dell’angioino che non ebbero seguito alcuno. Ma quella promessa sa di sonora smentita della tesi che vorrebbe feudatario di Racalmuto Giovanni Barresi: questi, ora, milita accanto all’angioino, sia pure sotto la bandiera di Giacomo d’Aragona; non è credibile che Carlo II d’Angiò arrivasse al punto di confiscare il feudo ad un amico per prometterlo ad un altro amico. Credibile, invece, che nella cancelleria di Napoli figurasse ancora la concessione a Pietro Negrello di Belmonte  e che si pensasse di girare ora il feudo al milite alleato Pietro di Monte Aguto.

 

 

*  *   *

Nell’Agosto del 1282 Pietro d’Aragona sbarca in Sicilia con quel misto di albagia spagnola e di «avara povertà di Catalogna»: a Racalmuto - come detto - giunge la prima stangata fiscale datata “Palermo 10 settembre”; il nuovo re esige subito che si paghi per l’armamento di 15 arcieri.

Sotto la stessa data, re Pietro crede di addolcire la pillola inviando al nostro periferico casale un resoconto delle sue recenti imprese. Siamo sicuri che ai racalmutesi di allora (come d’oggi) non gliene importava nulla di sapere:

«Doc. X - Palermo 10 Settembre 1282 - Ind. XI. [10] Re Pietro dopo aver enumerate al Baiulo, ai Giudici ed agli uomini tutti di Adrano le ragioni, per le quali ha creduto intraprendere la spedizione di Sicilia; e raccontato del suo sbarco a Trapani, nonché del suo arrivo, per terra in Palermo, il venerdì 4 Settembre; ordina che, adunati in assemblea, eleggano due fra i più cospicui della loro terra; i quali, come loro sindaci, vengano a prestargli il debito giuramento di omaggio e fedeltà; più, che tutti i cavalieri, pedoni, balestrieri, arcieri, lancieri, scudati si rechino, con armi e cavalli, in Randazzo, pel 22 Settembre al più tardi.

«Simili lettere a tutti gli uomini di tutte le terre al di là del fiume Salso.»

«[......] Item et infra fuit scriptum eodem modo videlicet.

« [...] [11] Burgio, Sacca, Calatabellota, Agrigento, Licata, Naro, Delia, Darfudo, Calatanixerio, Rahalmut [corsivo ns.], Mulotea, Sutera, Camerata, Castronuovo, Sancto stephano, Bibona, Sancto Angilo, Raya, Busaxemo [Buscemi], Curiolono, Juliana, [...]»

 

Nel successivo mese di gennaio del 1283, Racalmuto viene chiamato - unitamente ad altri centri - ad una sorta di tassazione aggiuntiva: dovrebbe approntare altri quattro arcieri oppure dei fanti armati. La missiva parte da Messina il giorno 26 gennaio 1283, XI indizione. Ed è diretta al baiulo, ai giudici ed a tutti gli uomini Rakalmuti. Perché mai questa resipiscenza? Evidentemente, la base imponibile che era stata calcolata a caldo, il 10 settembre 1282, si appalesava errata per difetto: i racalmutesi tassabili erano di gran lunga più numerosi; se prima si era pensata ad una tassazione di 75 fuochi o famiglie abbienti, ora si sapeva che almeno altri 20 fuochi erano in condizioni economiche tali da fornire mezzi aggiuntive alla guerra che Pietro d’Aragona andava conducendo - più o meno indolentemente - contro l’Angioino. Se questa nostra tesi è accettabile, l’area degli abitanti racalmutesi riconducibile alla platea dei contribuenti saliva da 300 a 380 (calcolando, come si è soliti, il numero dei fuochi per la probabile consistenza media del nucleo familiare, pari al coefficiente 4). Ma non basta, bisogna aggiungere quelli che riuscivano a sfuggire a quel censimento fiscale e quelli che di solito erano esentati come preti, non abbienti, ebrei ed altri: una rettifica, dunque, che non si è lontani dal vero assumendo una maggiorazione dell’ordine del 20%; di talché perveniamo ad una popolazione stimata di circa 456.

Re Pietro aveva voglia di scherzare quando il 10 settembre 1282 si rivolge ai racalmutesi - ed in latino - per dir loro che finalmente il tanto aspettato suo arrivo si era verificato; che il suo aiuto era già in corso; che quindi potevano e dovevano abbandonarsi ad una “tripudiosa giocondità”. Fidelitati vestre feliciter nunciamus. «Felicemente l’annunciamo alla vostra fedeltà». Ma occorrono gli adempimenti burocratici, i formalismi. Pertanto, come è di diritto, l’ Universitas è chiamata a prestare fisici giuramenti “corporalia iuramenta  della debita fedeltà e dell’omaggio al re. Nomini i suoi “sindici” e si inviino davanti al cospetto della “celsitudine” regale. Il re vuole fermamente che il nemico lasci il paese pressoché annichilito e sterminato. Quindi si mandino cavalieri, balestrieri,  arcieri, uomini armati di tutto punto, di scudi o di altri tipi d’armatura e «vengano presso di noi Re Pietro in quel di Randazzo o là dove stabiliremo. E tutti dovranno avviarsi entro il 22 di questo mese di settembre proprio a Randazzo. Se qualcuno disubbidisce, incapperà nella nostra reale indignazione.»

Non v’è storico che descriva quale stato d’animo abbia accorato quei siciliani del 1282 dinanzi a quelle pretese del nuovo padrone. Neppure i letterati, ci risulta, hanno saputo evocare quelle angosce e quello sgomento. Neppure Tommasi di Lampedusa, neppure Leonardo Sciascia, neppure quando sembra farne accenno sminuendo ogni cosa con l’approssimativa chiosa sulla locale storia, appena “descrivibile”, «dell’avvicendarsi dei feudatari che, come in ogni altra parte della Sicilia, venivano dal nord predace o dalla non meno predace “avara povertà di catalogna”; col carico delle speranze deluse e delle rinnovate e a volte accresciute angherie che ogni nuova signoria apportava.» [12] E questo sarà un bel dire, ma di scarso senso per quello che davvero avvenne, per quella vita racalmutese che è più che “descrivibile”, che ci pare tanto “narrabile”, tanto angosciante, tanto rimarchevole “storia”.

Chi spiegò quel “latinorum” ai racalmutesi? Dove? Come? Quali decisioni furono prese? chi fu eletto per ‘sindico’ - che onore non era ma pericolo per la vita e per i beni dovendosi recare tanto lontano in tempi calamitosi e per strade impervie e cosparse di agguati da parte di ladri e “prosecuti”?

C’è da pensare che già sin d’allora, i notabili furono adunati in chiesa al suono della campana, come sarà costume alla fine del ‘500. Un prete avrà tradotto la missiva. A dirigere i lavori assembleari colui che si era autoproclamato Baiulo e quei due o tre maggiorenti - il notaio, il farmacista-medico - che lo affiancavano. Un paio di “burgisi” - che disponevano di giumente - avranno dovuto accettare l’incarico di recarsi dal re nella lontano Randazzo. Con la ritualità che riscontreremo nell’adunata popolare del 7 agosto del 1577.



[1])  Vito Maria Amico Statella - Lexicon Topographicum Siculum - Tomi secundi pars altera, Panormi 1757-60 - voll. 6. [Biblioteca Nazionale V.E. Roma pos. 1.24.C. 19/24] In proposito, il passo in latino di pag. 115 è il seguente: « ... Barresiis subinde datum [Racalmuto, cioè]; Joannes subinde eiusdem familiae ad Andegavensium  partes deficiens, secum opida sibi subdita traxit, Petrapretiam, Nasum, Rahalmutum et alia.»  Gioacchino Di Marzo ne fece questa traduzione: « .... dato poscia a' Barresi; poichè Giovanni della medesima famiglia essendosi ribellato in pro delle parti angioine, seco trasse i soggetti paesi Pietraperzia, Naso, Racalmuto ed altri.»
[2]) F. M. Emanueli e Gaetani - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [copia anastatica dell'edizione Palermo 1759 - Parte II, libro IV, pag. 199 e segg. Invero, l'A. sembra voglia far ricadere la colpa al padre Aprile. Noi, a dire il vero, non abbiamo avuto modo di consultare l'opera di questo storico siciliano che scrisse nel 1725. Disponiamo solo di una bibliografia del Bresc ovè è così segnato: Francesco Aprile, Della cronologia universale della Sicilia, Palerme, 1725, XXIV-808 p. [centré sur Caltagirone]. Vedi Henri Bresc: Un monde méditerranéen - économie et société en Sicile - 1300-1450 - Palermo 1986, pag. 48. Ad altri studiosi quindi il compito ed il gusto di correggerci ed eventualmente integrarci.
[3]) Anche se non l'artefice primo della fantasiosa baronia racalmutese dei Barrese, il Villabianca è responsabile degli abbagli storici degli ereduti di Racalmuto - a cominciare dal padre Bonaventura Caruselli da Lucca [Sicula], non proprio indigeno, dunque, ma pur sempre autore principe del racconto della 'venuta' della Madonna del Monte. Questi a pag. 2 del suo libretto Maria Vergine del Monte in Racalmuto, Palermo 1856, testualmente annota: «L'ultimo di questa dinastia fu Giovanni Barrese, il quale al riferire del padre Aprile (Cron. Sic. cap. 1 f. 164) [corsivo ns.] si rese indegno del dono, oscurando col più turpe tradimento la fede siciliana. Nella guerra tra Carlo d'Angiò Conte di Provenza e Manfredi lo Svevo Re legittimo del regno di Sicilia e Napoli fu il primo che vilmente desertò le bandiere del suo Re, e passò al partito Angioino acquistandosi il nefando nome di traditore della patria e del suo Re, una marca indelebile di eterna infamia, e la perdita totale di tutti i beni, giusto e ben dovuto premio dei traditori. Ma l'infamia a chi tocca: il vespere Siciliano manifestò al mondo il valore dei figli di Sicilia, e la lor fedeltà ai legittimi Sovrani.» La frase che abbiamo riportato in corsivo svela la totale sudditanza del p. Caruselli dal Villabianca (a parte la diversa pagina: 164 al posto di 144, evidentemente un mero errore). Ecco infatti cosa aveva scritto il celebre autore della Sicilia Nobile a pag. 199 e ss. - parte seconda, libro IV: Racalmuto «credesi indi concessa dal Rè Ruggieri Normanno figlio del liberatore testè accennato ad ABBO BARRESE in consuso con quelle Terre, che sotto l'aggettivo di pleraque oppida per conto di esso Barrese numera FALZELLO nella sua Stor. di Sic. dec. 2. lib. 9. cap. 9 f. 184 avvegnachè sullo spirare del secolo decimoterzo stava ella in potere di Giovanni BARRESE, il quale al riferire del Padre APRILE Cron. Sic. f. 144 c. 1 [corsivo nostro] fu il primo tra i Baroni del nostro Regno, che nelle guerre fatte dall'armi dei Collegati Angioini in quest'Isola passasse al loro partito col suo vassallaggio consistente nelle Terre di PIETRAPERZIA, NASO, RAGALMUTO, CAPO D'ORLANDO, E MONTEMAURO, terra oggi disfatta, situata in quel monte, che si alza fra la Città di Piazza e 'l MAZZARINO presso il fiume Braeme. Sicchè dichiarato fellone esso Giovanni, cadde Tal Baronia nelle mani del Reg. Fisco.» (Vedasi: F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV).
Il padre Caruselli sicuramente non consultò il p. Aprile, come noi del resto. Ma fu abbaglio suo personale quello di credere che Giovanni Barrese sia stato privato delle sue terre per aver tradito Manfredi a favore di Carlo d'Angiò, grosso modo tra il giugno del 1265 ed il febbraio del 1266. Le turbolenze di Giovanni BARRESE avvennero invece nella contesa tra i due fratelli Federico III e Giacomo II d'Aragona e cioè tra il 1298 ed il 1302, circa vent'anni dopo il Vespro siciliano: Illuminato Peri (vedasi La Sicilia dopo il Vespro - uomini, città e campagne 1282/1376 - Laterza Bari 1982, pag. 39) data la dissidenza di quel nobile attorno al 1299 (ed era solo signore di Pietraperzia, Naso e Capo d'Orlando, come da pag. 39 e nota 44). Il padre Caruselli non era ovviamente ferrato nella storia medievale della Sicilia, e l'intrigo degli eventi lo giustifica. Ma quell'accenno ai Vespri Siciliani ebbe grande fortuna. Il Tinebra Martorana, con la sua «aura romantica e un tantino melodrammatica», per dirla alla Sciascia, vi si buttò a capofitto vergando il capitolo IV su Racalmuto e la famiglia Barrese (pag. 58 ed. 1982). Eugenio Napoleone Messana diviene incontenibile - da pag. 54 a pag. 58 - nella sua storia su Racalmuto (ed. 1969). Purtroppo anche il valido padre Calogero Salvo cade nella trappola, in ispecie a pag. 25 del suo Ecco tua Madre - Racalmuto 1994.  Non si lascia ingannare, invece, da quell'ambiguo parlare di un passaggio "ad Andegavensium partes" dell'Amico l'avv. Francesco San Martino De Spucches: Egli bene inquadra la congiuntura storica: «Questi [Giovanni Barrese] - scrive a pag. 181 del quadro 783, op. cit. -  visse sotto Re Giacomo d'Aragona e seguì il suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo, divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i baroni di Racalmuto con numero progressivo...» 
[4]) F. TOMAE FAZELLI SICULI OR. PRAEDICATORUM - DE REBUS SICULIS DECADE DUAE, NUNC PRIMUM IN LUCEM EDITAE - HIS ACCESSIT TOTIUS OPERIS INDEX LOCUPLETISSIMUS - Panormi ex postrema Fazelli authoris recognitione. Typis excudebant, Ioannes Mattheus Mayda, et Franciscus Carrara, in Guzecta via, quae ducis ad Praetorium, sub Leonis insigni, anno domini M.D.LX. mense iunio. [Biblioteca Nazionale - manoscritti e libri rari - 10.7.E.5] Barrese (origine e genealogia) pag. 592 - De rebus .. posterioris decadis liber nonus - cap. Nonum
Hic genus suum ad Abbum Barresium, cuius pater ex proceribus, qui cum Rogerio Normanno ad propulsandos  Sarracenos in Siciliam venerunt, unus fuit, ut Rogerij Regis diplomate constat, hoc ordine refert. Ex Abbo, qui Petrapretiam, Nasum, Caput Orlandi, Castaniam, et pleraque alia oppidula à Rogerio Rege adeptus est, Matthaeus.
 
 
[5] ) Leonardo Sciascia - Morte dell’Inquisitore - Bari 1967, pag. 181.
[6] ) Sac. Calogero Salvo - Ecco tua Madre - Racalmuto 1994 - pag. 24.
[7] ) MEMORIE DEL GRAN PRIORATO DI MESSINA - RACCOLTE DA FRA DON ANDREA MINUTOLO dei baroni del Casale di Callari, e feudi di Boccarrato - Cavaliero Gerosolimitano 1699 - dedicate all'illustrissimo Eccellentissimo Signo mio Padrone Colendissimo il Signor Fra D. Giovanni Di Giovanni de Principi di Tre Castagni ; Gran Priore di Messina, e già di Barletta, Capitan Generale della Squadra Gerosolimitana, e Condottiero di quella di N.S. Innocenzo xij nel 1692-1693. In Messina - Nella stamperia camerale di Vincenzo d'Amico 1699 - Con licenza de' Superiori.
 
[8]) Avv. Francesco San Martino de Spucches - La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni (1925) - vol. VI, Palermo 1929, pag. 181 e segg.
[9] ) Michele Amari - La guerra del Vespro siciliano, vol. i - Milano 1886, pag. 386.
[10] ) Cfr. l’opera precedentemente citata del Silvestri, Vol. V Palermo 1882, pag. 9 e segg.
[11] ) cfr. ibidem pag. 12.
[12] ) Leonardo Sciascia, presentazione della mostra di Pietro d’Asaro, Racalmuto 1984, pag. 20.

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