sabato 28 marzo 2015

giovedì 28 febbraio 2013

Pagine sparse di storia racalmutese (con ECCESSO di testi latini)

la questione dei “maragmeri”.
Il Titone scrive (op. cit. pag. 58 nota 8): «Maramma val quanto fabbrica: masse e maramme si chiamano quindi le amministrazioni delle rendite destinate al mantenimento e restauri dei sacri edifizi». Il termine “maramma” è dialettale, ma risale a data antica (lo ritrovo in un diploma del 15 luglio 1489). E’ termine giuridico, tant’è che trovo un intero titolo del Codice Ecclesiastico Sicolo di Andrea Gallo (libro III, pag. 121 e segg.) dedicato appunto alle maramme. Stando ad alcune disposizioni del De Ciocchis, emergono la seguente terminologia e le seguenti locuzioni:

« XIV. Della riparazione delle chiese, delle Maramme e degli spogli dei prelati.»; « introitus Maragmatis»; «reditus Maragmatis  administrantur antiquitus per duos Maragmerios qui a rege tamquam Ecclesiae Patrono eligebantur»; «.. hi duo Maragmerii non ecclesiastici a solo Senatu [eletti]»;  «Caeterum quod expensiones, quietantiae, mandata syngraphe de recepto, ac omnes quicumque actus, ab utroque simul Maragmerio fiant sub poena nullitatis»;  «capsa depositi Maragmatis, servetur in thesauro Ecclesiae»

Ferdinando II di Castiglia Re di Sicilia e per lui Ferdinando di Acugna Vicerè di Sicilia sancisce che «niuno officiale marammiere che ha incarico della costruzione di una Chiesa, vi possa apporre, dipingere o scolpire le sue armi gentilizie.» [ Palermo 15 luglio 1489. Prag, Regni Siciliae Tom. II. tit. 42. pragm. Unica pag. 404].

 

Da quanto sopra mi pare che emerga che il “marammeri” o “marammiere” (alla latina “maragmeri”) più che un tecnico simile al nostro “geometra” era un amministratore (religioso, ma qualche volta laico) di istituzioni per la costruzione o la conservazione di edifici sacri (Fabbrica, massa , maramma, dice il Titone).

 

Quanto a Racalmuto, trovo tra i miei appunti questo passo del registro della “Fabrica” della Matrice:

 

2          31.8.1677        A m.° Vincenzo Picone mandato di maramma onze setti, e tarì dudici per haver fatto altri ripari alla matrice chiesa, cioe per fare lo Campanaro per gisso, mastri, petri et acqua, et altri -/ 4 - per molti adobbi al solo della chiesa -/ 1. per mettere tre legnami  ... per gisso et altre -/ 2.12. come per mandato spedito, et apoca in d. notaro a 15. 8bre p.ma Ind. 1677 dico -/     7          12

 

Alla luce delle precedenti puntualizzazioni, debbo quindi ritenere che il Picone non era ‘marammieri’ ma soltanto destinatario di incarichi da parte della “maramma” della Matrice. E ciò a rettifica di quanto un tempo ritenevo.

 

 

 

Spostiamoci di qualche decennio. A Racalmuto si ruba, si fa dell’abigeato. Del resto, accanto ai poveri in canna, v’è gente che possiede varie terre, ha frumento, ha casa in paese, possiede capre, si permette persino “una mutanda”. Tale Lorenzo Pitruzzella è uno di questi. E’ preso di mira dai paesani poveri – e ladri – e se ne dispera. Ricorre al vescovo: spera che una delle tante “monitoriali”, con la comminazione di gravi pene religiose, di plateale scomunica, possa commuovere il protervo ladro, sicuramente un vicino senza beni di fortuna. La Monitoriale arriva: i beni rubati - siamo sicuri – no.

 

Die 11 agusti 1643

Factae Monitoriales directae rev. Archipresbytero terrae Racalmuti ... Semo stati significati  da parte di Lorenzo Pitruzzella di ditta terra qualmenti ci sono stati sgarrati novi bestioli, rubati salmi  mutanda nella sua casasei di furmento nel suo magazeno, rubati dui crapi, una naca afforata alla Menta …»

 

 

Correva l’anno del Signore 1686: il francescano Francesco Maria Rini dominava la diocesi di Agrigento. Racalmuto sembra preso da un empito religioso, e, quel più conta, ha voglia di subordinarsi fino all’inverosimile alle autorità ecclesiastiche del capoluogo. Nella chiesa di San Michele – poi divenuta il Collegio per sopraffazione degli arrampanti Tulumello, più o meno in veste di neo-baroni – si vuole una sorta di perenni Quarantore: vi suol conservare il Santissimo in perpetuo. L’uomo “pio” è il racalmutese arciprete Vincenzo Lo Brutto, la cui ladipe funerea giace nell’abside dell’estreneo S. Giovanni Bosco in Matrice, almeno finché il calpestìo delle locali beghine – ed il loro furore postmestruale – lo consentiranno. Vi era in S. Michele la confraternita del Purgatorio: ve l’aveva dirottata l’autoritaria pietà di Donna Beatrice Del Carretto, nata Ventimiglia, sfrattandola dalla chiesuola di Santa Rosalia. Il vescovo francescano ha stima di quei “frati” laici e gratificandoli della “salute sempiterna nel nome del Signore” (Dilectis nobis in Xhristo filiis devotis Gubernatori e confratribus Venerabilis Societatis animarum S.ti Purgatorii fundatae intus venerabilem Ecclesiam S.cti Michaelis Arcangeli Terrae Racalmuti … salutem in Domino sempternam) gli affida nientemeno che l’ «augustissimum Eucaristiae Sacramentum.» La chiesa era, del resto, decenti muro et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives, iocalium omnium bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens.» Era il 17 giugno del 1686. Firmava il provvedimento il vescovo fr. Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus. Controfirmava il canonico Lumia. Rogava il notaio Vincenzo Calafato.

Qualcosa di analogo avveniva nella Chiesa del Monte ove era insediata la più coriacea confraternita di Santa Maria del Monte. Intermediario il solito arciprete Lo Brutto. Quando assistimiamo impotenti all’agiografico osannare il padre Signorino, pur meritevole prete racalmutese ma del settecento, ci viene in mente questa lapidaria descrizione della Chiesa del Monte risalente alla metà del Giugno del 1686: «ecclesia – vi si dice -   decenti muro et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives, iocalium omnium bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens», che sarà stata stantia formula rituale ma qualcosa di vero doveva pure contenere.

Forse è annotare che in tempi tanto calamitosi, con miseria e pessima nutrizione, con tanti braccianti alloggiati ancora in grotte o in case “copertae palearum” come ai tempi del’esattore papale, l’arcidiacono Du Mazel, tanta voglia di esporre il Santissimo in troppe chiese – sontuose al confronto del circostante ludibrio abitativo – appare irridente, forse addirittura sacrilega.

*    *    *

Francesco Lo Brutto aromatario

Scrivevo qualche mese fa:

Non sono disponibili dati anagrafici su Francesco Lo Brutto. Riteniamo che fosse molto più anziano del sac. Santo Agrò e gli sia premorto, ragion per cui non può avere sostenuto le spese di miglioria della nuova matrice, specie quella a tre navate che sappiamo operante solo dopo il 1662. Nella numerazione delle anime del 1660, il nominativo non figura per nulla e quindi era deceduto da tempo.

 

Una recentissima consultazione del Rollo Primo del Suffragio apre qualche spiraglio sulla identità di questo speziale del seicento tramandatoci dal Pirri. Ai fogli 72 e seguenti abbiamo la cronistoria di un legato di don Gaspare Lo Brutto alla Confraternita del Santissimo Suffragio delle Anime dei defunti fondata nella Matrice. La lettura degli atti ci consente di stabilire che il sacerdote è figlio di Antonino Lo Brutto e che l’aromatario Francesco Lo Brutto era un suo fratello. Gli atti risalgono al 20 ottobre 1616 ed al 3 ottobre 1617.

Da qui è piuttosto agevole risalire al nucleo familiare secondo quel che emerge dal Rivelo del 1593. Non vi dovrebbero essere dubbi che il “fuoco” in questione sia il seguente:

604
2
224
LO BRUTTO ANTONINO
CAPO DI CASA DI ANNI 48 - CONSTANZA SUA MUGLERI - VINCENZO SUO FIGLIO DI ANNI 18 - GIAIMO SUO FIGLIO DI ANNI 17 - FRANCESCO SUO FIGLIO DI 15 - JOSEPPI SUO FIGLIO DI ANNI 10 - GASPARO SUO FIGLIO DI ANNI 5 - ANTONELLA SUA FIGLIA -  NORELLA SUA FIGLIA

 

L’aromatario del Pirri dunque nacque a Racalmuto attorno al 1578 da Antonino e Costanza Lo Brutto. I suoi fratelli, oltre al sacerdote che morì molto giovane (il 4 ottobre 1617 secondo il Liber c. 2 n.° 31), furono Vincenzo (nato attorno al 1575), Giaimo (nato attorno al 1576) e Giuseppe (nato il 19.1.1585); le sue sorelle: Antonella (nata il 26.9. 1581) e Norella.

 Quest’ulima si sposò con un fratello di Pietro d’Asaro:

23 10 1622 D'ASARO BARTOLO di GIOVANNI q.am e di GIOVANNA  con LO BRUTTO Leonora di Antonino q.am e di Constanza. Testi: Curto cl. Panphilo e Sferrazza Mariano. Sacerdote: Sanfilippo don Gioseppe Trattasi del fratello del Pittore . Bartolo era nato il 10.12.1597.             

 

Don Gaspare Lo Brutto morì dunque all’età di 29 anni come dal seguente atto e fu sepolto a S. Giuliano:

4
10
1617
Lo Brutto
don Gasparo
S. Giuliano
per lo clero
gratis

 

Ecco come è ricordato nella visita del 1608:

cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord. die 19 maij 1606 Panormi

Un giorno prima di morire fa testamento e dispone il seguente legato in favore della Cappella del Suffragio delle Anime del Santissimo Purgatorio fondata nella Matrice chiesa:

Est sciendum qualiter iner alia capitula donationis mortis causa condite per condam don Gasparem Lo Brutto in actis meis infrascripti sub die iij octobris prime ind. 1617 extat capitulum pro ut infra:

Item dictus donans donavit et donat legavit et legat Confraternitati SS.mi Suffragij Animarum SS.mi Purgatorij fundate in Hac Terra Raclmuti tt.os viginti quatuor redditus de summa supradictarum unciarum trium anno quolibet debitarum per dittum Don Antoninum Capoblanco ad effetum celebrandi missas viginti quatuor de requie pro animas defunctorum anno quolibet in perpetuum scilicet: missas duodecim in quolibet nono die mensis novembris cuiuslibet anni et missas duodecim hoc est in die lune cuiuslibet mensis unam missam in perpetuum quoniam sic voluit et non aliter.

Ex actis meis not. Natalis Castrojoanne Racalmuti.

Il 20 ottobre del 1616 don Antonino Capobianco era ancora chierico. Egli è costretto a sistemare una intricata vicenda giudiziaria proprio con don Gaspare Lo Brutto. Questi è però già infermo e manda al suo posto proprio l’aromatario ricordato dal Pirri, Francesco Lo Brutto appunto. Il resoconto trovasi nell’atto del Rollo del Suffragio (f. 72)

Die xx octobris XV ind. 1616

Notum facimus et testamur quod Franciscus Lo Brutto Aromatarius huius terre Racalmuti tamquam commissariatus D. Gasparis Lo Brutto eius fratris a quo dixit habere tale specialem mandatum ... sponte quo supra nomine pro heredibus et successoribus dicti D. Gasparis in perpetuum vendidit et alienavit  .. clerico Antonino Capoblanco eiusdem terre Racalmuti ... unam vineam de aratro arboratam cum eius clausura in duabus partibus cum suis puntalibus domo torculari limitibus maragmatis gessi et alijs in ea existentibus sitam et positam in feudo predicto Racalmuti et in contrata Garamolis secus vineam Hyeronimi Capoblanco ex una et secus aliam vineam dicti clerici Antonini emptoris et secus vineam heredum quondam Nicolai Capoblanco minoris et secus vineam Antonini Curto Bartholi et alios confines; et eademmet bona quae possidebat Nicolaus Capoblanco maiori, dictoque don Gaspari uti ultimo emptori et plus offerenti predicta bona liberata per primum et secundum decretum et actum possessionis inclusive redactum penes acta curie dicte Terre Racalmuti diebus etc. banniata et subastata ad instantiam quondam Antonini Lo Brutto et pro ut melius est expressatum et declaratum in dictis decretis superius calendatis ad quae in omnibus et per omnia plena habeatur relatio et me refero et non aliter nec alio modo.

Totam dictam vineam cum omnibus supradictis etc. subiectam dictam vineam cum arboribus ... cum eius solito onere census proprietatis et directi dominii debiti et anno quolibet solvendi ill.i Comiti dicte Terre Racalmuti a quo ill.e proprietario prefati contrahentes ad invicem proprio eorum nomine licentiam auctoritatem et consensum reservaverunt et reservant cum debita et solita protestatione mediante

Et hoc pro pretio unc. triginta quatuor p.g. de pacto et accordio inter eos absque estimatione ... de quibusquidem unc. 34 quoad uncijs quatuor dictus clericus Antonius dare realiter et cum effectu solvere promisit et promittit dicto d. Gaspari absenti ..

Et pro alijs uncis triginta ad complementum dictarum unc. 34 dictus clericus Antonius  vendidit et subiugavit  dicto d. Gaspari Lo Brutto uncias tres redditus censuales et rendales .. super dicta vinea

Item in et super quamdam aliam vineam sitam et positam in dicta contratasecus supradictam vineam et secus dictam vineam Antonini Curto de bartolo et secus vineam dictorum heredum quondam Nicolai Capoblanco

Item in et super duabus domibus terraneis existentibus in dicta terra et in quarterio Fontis secus domos heredum quondam Vincentij Mannisi ex una et secus domos dicti Hieronimi Capoblanco ex altera

Testes Franciscus Manueli D. Michael Barberi et Joannes Franciscus Pistone

Ex actis meis not. Simonis de Arnone.

In actis curie juratorum ..Grillus mag. not. Franciscus

 

Anche don Antonino Capobianco ebbe breve vita. Crediamo che sia una delle innumerevoli vittime della peste del 1624. Già il 22 novembre 1626 risulta deceduto. Naturalmente la cappella del suffragio si fa parte diligente nella riscossione del legato. Tocca al solerte don Santo d’Agrò, nella sua veste di deputato della Cappella del Suffragio delle anime del santissimo Purgatorio, fondata nella chiesa Maggiore, di sollecitare gli eredi, come dalla seguente carta notarile  (Rollo Suffragio f. 75):

Die XXII novembris X ind. 1626

Fuit per me notarum infrascriptum ad instantiam don Sancti de Agrò deputati Capelle Suffragij animarum S.mi Purgatorij fundate in maiori ecclesia huius terre Racalmuti ... intimatum et notificatum Vincentio et Vito Capoblanco fratribus heredibus universalibus quondam don Antonini Capoblanco Sacerdotis olim eorum fratris presentibus et audientibus contractum de summa illarum unc. trium redditus annualium per ipsos de Capoblanco dicto nomine debitarum anno quolibet heredibus quondam don Gasparis Lo Brutto subiugantium per dittum quondam don Antoninum dicto quondam don Gaspari vigore huiusmodi contractus subjugationis facti in actis not. Simonis de Arnone die XX octobris XV ind. 1616, habeant et debeant anno quolibet solvere dicte Capelle Suffragij eiusque deputatis  tt. 24 redditus e sunt pro alijs dette Cappelle legatis per dittum quondam don Gasparem in eius donatione causa mortis fatte in attis meis not. infr. die iij octobris p. ind. 1617 et nemini alteri solvere sub pena anno quolibet .... unde

Testes Antonius Curto martini et Franciscus Curto Joseph

Ex actis meis not. Natalis Castrojoanne.   

*   *   *

 

Giaimo Lo Brutto morì pure giovanissimo, appena ventiquattrenne, ed era ancora scapolo: non può quindi essere quello del noto processo dei Savatteri che rivendivano il beneficio del Crocifisso in quanto eredi del nobile Giaimo Lo Brutto:

1
9
1600
Lo Brutto
Giaimo
Antonino
Carmino
per lo clero

 

La madre fu al contrario piuttosto longeva: morì nel 1636 e venen sepolta nella chiesa che il figlio aromatario avrebbe abbellita:

27
6
1636
Lo Brutto
Costanza
m. del q.m Antonino
Matrice
sepulta in questa magior eclesia.

 

Su Leonora (Norella) Lo Brutto, sposatasi con Bartolo d’Asaro, possiamo piluccare qualche dato: Nel 1636 era già vedova. Le amministra i beni il pittore Piero d’Asaro che li include nel suo rivelo come sue “gravezze”. Dichiara il 25 novembre 1636 nel documento intestato:

Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind. 1636

tra le altre, la seguente “gravezza”:

 

Gravezze mobili

 

Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra relicta dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di onze....................................200

Ella morì a 74 anni nel 1663 come dal seguente atto:

8
2
1663
D'Asaro
Leonora
74
uxor q. Bartholomei
Matrice
presente clero
Agro' Libertino

 

 

 

 

 

MANSIONARI 1690

 

[DALL’ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRI VESCOVI 1689-1690 - F. 898 E SS.]

 

“Racalmuto - Concessione di insegne corali pei 12 mansionarii”

 

Nos frater don Xaverius Maria Rhini ex ord. min. reg. observantiae Sancti Principis nostri Francisci Dei et Sanctae Apostolicae sedis gratia Agrigentinus Regiusque Comitus etc:

Dilecto in Cristo filio Ill.ri Domino nostro D. Hieronimo del Carretto principi comiti terrae Racalmuti huius nostrae agrigentinae dioecesis et salutem in Domino et nostram episcopalem benedictionem.

 

Perillustres hae imperialis familiae, et antiquissimae nobilitatis genus, multiplica servitia, quae ad suorum perillustrium Antenatorum imitationem, invictissimo nostro Catholico Hispaniarum Regi in muneribus militaris campi ad bellum in revolutionibus Civitatis Messanae, et in bello regio Galliae evidenti cum tuae vitae periculo in fonte inimicorum tuis maximis dispensiis manutendo societates militum siculorum, alemannorum et calabriensium, et vicarij generalis prius in civitate neti, et postea in hac Civitate Agrigenti, eamque repartimentis toto d. belli et revolutionum tempore contra Gallos ad singularem benefitium, et huius regni hi tamen prestiti, et in diem prestare non curans (?), quorum intuitu à predicto invictissimo Rege pias (?) ceteras mercedes habuisti munus Pretoris predictae Siciliae regni et clavem auream uti illius eques; aliaque innumera laudabilia  merita nobis satis superque cognita nos inducunt, ut te specialibus favoribus, et gratiis prosequamur. Praemissa igitur prae oculis habentes in exequtione provisionis de ordine nostro factae in domo tuae suppicationis, tenore pretium Bullarum perpetuo valiturum concedimus facultatem, Reverendissimum Archipresbyterum et duodecim Mansionarios, et Chorales distributionarios à nobis eligendos, et qui pro tempore erunt in Sacra distributione de numero duodecim iam ex nostra facultate erecta et fundata pro divini cultus incremento, et Sanctissimi Purgatorii anumarum suffragio, per alias nostras Bullas expeditas sub die 12 Januarii currentis posse deferre capuccium sive Almutium sericum, quò ad rev.m Archipresyiterum et Vicarium nigri, et subtus rubri colorum, et quò ad alios nigri, et subtus violacii colorum..

 

Mandantes etc. ....

 

die 13 januarii 1690

 

Officiati

1.   Santo d’Acquista terrae Racalmuti (ex 12 coristi);

2.   don Antonio de Amico;

3.   don David Corso;

4.   don Vincentio Casuccio Racalmuti;

5.   don Francesco Pistone;

6.   don Nicolao Carnazza;

7.   don Filippo Cino;

8.   don Giovanni Sferrazza;

9.   don Francesco Savatteri;

10.           don Pietro Casuccio;

11.           don Vincenzo Castrogiovanni;

12.           don Santo la Matina.

 

1.   don Caetanus Cirami (un casu vacationis mansionarium);

2.   don Fabritio Signorino (de suprannumerariis);

 

     don Sthefanus Faija (soprannumerario della sacra distribuzione);

     don Calogero Cavallaro (       ‘’               ‘’      ‘’         ‘’             );

     don Pietro d’Agrò          (       ‘’               ‘’      ‘’         ‘’             ).

 

E saltiamo al Settecento. Il Settecento fu un secolo di grandi sconvolgimenti per Racalmuto: uscito dalle grinfie dei Del Carretto – ormai totalmente decaduti per morti precoci e per debiti devastanti – il paese subiva uno dei più grossi grovigli giuridici del tempo e cadeva nell’ipocrita racapità dei Gaetano. Abbiamo già detto dell’ineffabile Macaluso, una scialba signora che si presta alle truffe feudali del duca di Naro. Patetico quel patrizio – che con Racalmuto non aveva avuto mai nulla a che spartire – quando, con impudenza tutta nobiliare, afferma che egli era niente meno che “mosso da pietà per i suoi vassalli” nel reclamare le due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata Siamo nel 1738 allorché sorse quella strana controversia feudale, esemplare per la storia del nostro paese. Ci si mettono pure i monaci di Milocca (dopo Milena): imbrogliano codesti feudatari in abito talare ed inventano privilegi da parte del vescovo di Agrigento che, anche se con l’avallo sacrilego della curia grigentina, sono il segno della protervia degli sfruttatori dei lavoratori racalmutesi con quelle aberranti pretese di terraggio e terraggiolo. In pieno Settecento, il retaggio barbarico dello schiavismo perdura ancora a Racalmuto. E gli ecclesiastici non ne sono certo immuni, come dimostra una controversia tra il Convento di S. Martino delle Scale ed il duca Gaetani. A noi, ivero, importa di più questa altra lamentela del neo conte di Racalmuto: abbiamo ragguagli di prima mano sullo stato economico e sociale del paese a cavallo del Settecento: Racalmuto era, dunque, quel centro oppresso, angariato e pieno di debiti che il seguente documento finisce per tatteggiare:

Ecc.mo Signore

il Ill.mo duca d. Luiggi Gaetano possessore del Stato e terra di Recalmuto N.bus nelle sue scritture dice a V.E. che il sudetto stato si ritrova in deputazione ed amministrazione da più anni, il cui giudice deputato ed amministratore attualmente si ritrova l’illustre Preside d. Casimiro Drago, e con tutto che la gabella corrente di detto stato si trova nella più alta somma che giammai non fu il pagato, tuttavia li creditori suggiogatarij non hanno potuto giammai ottenere l’intera annualità, anziche nemmeno l’intera mezza annualità, tanto perché le suggiogazioni apo.te trascendono di gran lunga l’introiti dello stato sudetto, quando ancora perché consistendo la maggior parte delli introiti  da ... molini situati in parte di lavanchi ki ricercano ogni anno spese considerevoli per riparo di esse lavanche oltre le vacature che si bonificano alli gabelloti di detti molini; per quei tempi che non macinano, motivo che riflettendo oggi il supplicante ed anche le grosse spese di salarij ed altri che cagionando da detta deputazione, ed amministrazione onde ha considerato l’esponente come possessore di detto stato di Regalmuto, intervenendo prima che la maggior parte dei creditori suggiogatarij sopra detto stato gradualmente fare abolire che a detta deputazione ed amministrazione in circostanza anche di non potere questa sussistere a tenore degli ordini di S.E. in data 16 agosto 1735 per il quale si stabilì come la deputazione che non possono pagare a creditori l’annualità ed offerire a detti creditori suggiogatarij per conto delle di loro respettive suggiogazioni, di pagarli il 60 per 100 ogn’anno per l’importo di anni dieci; nel qual tempo però si devono consentire che l’amministrazione di detto stato resti e si faccia per l’esponente, con che per il consenso prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij non se li possa dare nè inserire per detti dieci anni dalla minor parte di detti creditori suggiogatarij veruna sorte di molestia talmente che li detti creditori suggiogatarij in siffatta maniera vengono a conseguire  ogni anno durante la suddetta decennale   amministrazione dell’esponente non solamente l’intiera mezza annualità in due .. di decembre e maggio di ogni anno, che non hanno mai conseguito, ma anche vengono a conseguire un’altra sesta parte  oltre di detti pagamenti, ed inoltre tengono la futura speranza di conseguire doppo la suddetta decennale amministrazione maggior somma; per il che possedendo l’esponente senza deputazione il sudetto stato independentemente d’ogni altro potrà facilmente invigilare all’augumento delli introiti del medesimo in beneficio anche di essi creditori, onde in vista di tutto ciò, considerando l’esponente che abolirsi la sudetta deputazione ed amministrazione e contentarsi la maggior parte di detti creditori suggiogatarij .. samministri su detto stato di Recalmuto per detti anni dieci del .. con l’obbligo di pagare a detti creditori suggiogatarij il 60 per 100 come sopra ogn’anno e durante la sudetta decennale amministrazione dell’esponente viene à resultare anche in beneficio delli sudetti creditori suggiogatarij. Pertanto ricorre a V.E. e la supplica si segni servita provedere ed ordinare che prestandosi prima il consenso della maggior parte delli creditori suggiogatarij, che non solo si abolisca la detta deputazione, ma anche che la minor parte delli creditori suggiogatarij, che forse non interverrà a prestare il medesimo consenso, fosse tenuta ed obligata a concorrere colla maggior parte di detti creditori suggiogatarij dalli quali si presterà il consenso nel modo e forma di sopra espressati, ed acquiescerà e starà alla decennale amministrazione in persona del supplicante con l’obligazione come sopra per il medesimo senza che dalla detta minor parte di detti creditori suggiogatarij se li possa dare, a riflesso del  consenso forse prestando dalla maggior parte di detti creditori suggiogatarij per il spazio di detti dieci anni, nessuna sorte di molestia nè cancellare l’atti fatti per la medesima deputazione seu amministrazione, come s’ha pratticato per l’altre deputazioni fin oggi abolite;  vel ... si vorrà ordonare che sopra l’abolizione suddetta interverrà il consenso della maggior parte delli creditori suggiogatarij ed obbligare a detta minor parte delli creditori suggigatarii di concorrere ed acquiescere come sopra, come il tribunale della R.G.C. della Sede Civile, a cui spetta doversi provvedere vocatis creditoribus e in vista del consenso che si presterà per publici documenti della maggior parte dei creditori suggiogatarij, per resultare in beneficio delli medesimi. E ciò non ostante quasivoglia cosa che in contrario l’ostasse o potesse ostare, etiam che fosse tale che  .. se ne dovesse farre espressa ed individuale menzione quale s’habbia  .. per la sussistenza della presente, qualmente al tutto disponendo V.E. de plenitudine potestatis et ex certa scientia ... Datun Primo Junij 1736 ex parte G.S.d. Joseph Chiavarello  .. vocatis creditoribus per sp: de Paternò: Die sexto settembris 1736.

Jesus Maria

 

 

Abbiamo prima ragguagliato sull’interdetto del 1713, ora ci pare opportuno riportare alcune annotazioni disseminate nei registri parrocchiali della Matrice.

 

 

1713 (Morti dal 1714 al 1724)

Dopo il 28 agosto 1719:

L’interditto fu imposto dall’Ill.mo e Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con il consenso della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la Diocesi fu sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima seconda dal rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci (?) Can. Teo. E Vic. Generale Apostolico con l’Autorità della S. Sede.

 

Morti 1707-1714 (Die 3 7bris 1713 VII Ind.)

Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.

 

 

Battesimi 1711-1716 - pag. 450.

 

Ad perpetuam rei memoriam Die tertio septembris septimae inditionis 1713 Vigilia Sanctae Rosaliae nostrae Patronae hora vigesima, fuit affixum interdictum in Civitate Agrigenti et in eiusdem Dioecesi ab Ecc.mo et rev.mo D.no D. Francisco Remirens Episcopo dictorum

Archipresbitero D.re D. Frabritio Signorino 1713.

 

 

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Il Lo Brutto fu personaggio di spicco; arciprete, in simpatia delle varie autorità vescovili, di famiglia presso l’ultimo conte Del Carretto, dispensatore di benefici e di mozzette clericali, finì – come si disse – sepolto in Matrice, osannato da una lapide a spese del nipote dottor Antonio

:

 

Matrice ex Cappella dell’Annunziata.

 

Monumentum hoc mortalitatis, quod jure sacelli propriis sibi facultatibus ascito, ante aram Virginis huius templi patronae, familia Brutto paraverat, doctor don Antonius Pistone, hic situs, velut optimus heres, honorifico lapide, qui suos suorumque cineres decentius conderet, exornatum curavit, votumque expletum est. -

Kalendis Septembris MDCC - Post eius obitum anno sexto.

(Stemma - Pampini - leone alato  ... elmo chiomato del milite)

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