sabato 14 febbraio 2015

sentenza Montalbano


28 giugno 11.21.17

Il primo maggio del 1947 si consumò l'infame stage di Portella della Ginestra. L'abile poliziotto Messana con encomiabile destrezza scopre che era stato il bandito Giuliano e la sua banda a compiere quell'esecrabile eccidio. Ne dà ovviamente subito notizia al Ministro Scelba che ne informa il Parlamento. La notizia esce sulla stampa di Roma e Palermo. L'onorevole comunista, l'avvocato professore Giuseppe Montalbano a ciò si aggancia per una denuncia contro il Messana quale responsabile del reato di violazione del segreto d'ufficio. L'abile appiglio rivela l'imbarazzo del parlamentare comunista nel difendersi dalla più grave denuncia per calunnia che il Messana gli aveva sporto contro. La denuncia per calunnia si originava da un infamante articolo del Montalbano che si chiedeva sul n. 152 de la "voce di Sicilia": "Messana correo dei delitti di Fra Diavolo?" A ben vedere l'odierna campagna di stampa diffamatoria verso il gr.uff. Ettore Messana si aggancia a quel vecchio articolo del 1947 per le sue dissennate insinuazioni calunniose. Ma per ora limitiamoci ad alcuni stralci degli atti di quel francamente risibile processo presso il Tribunale Penale di Palermo del 1947 che abbiamo già integralmente pubblicato. E' lo stesso Montalbano che attenua il carattere accusatorio affermando: "è vero che le mie accuse contro il Messana sono poste in quell'artcolo sotto forma ipotetica..." Ma quello che implacabilmente emerge già dopo mesi da quella insinuazione è quanto il PM nel chiedere l'archiviazione argomenta il 2 ottobre del 1947 dissolvendo senza ombra di dubbio ogni sia pure labile sospetto sulla figura del grande ispettore. " Va appena rilevato - vi si afferma - che non può farsi luogo a procedimento per calunnia contro il Montalbano, autore dell'articolo, non avendo egli presentato a carico del dr. Messana alcuna denunzia all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità designata dalla legge circa la pretesa - quanto mai assurda - di costui correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri". L'adamantino comportamento del nostro grande compaesano ha quindi il suggello del Procuratore della Repubblica Barone come si può riscontrare nello stralcio processuale che qui sotto pubblichiamo. Signor Casarrubea e accoliti della carta stampata vari quale dato, documento, conoscenza, competenza avete voi per potere ora dopo sessant'anni mettere in dubbio la certezza del Tribunale penale di allora che apoditticamente sancisce che l'Ispettore Generale di PS, gr. uff, Dottore Ettore Messana è un alto ufficiale di polizia non lambito da alcun sospetto circa "i delitti commessi dal bandito Ferreri" essendo solo pretesa ASSURDA quella del compagno comunista Montalbano (allora perché dopo travagliata fu la militanza politica di quest'uomo di Santa Margherita Belice). Se dite di possedere archivi, non avete dato peso a siffatti documenti priocessuali? Ma così non si fa storia, solo prodromica calunnia. PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PALERMO IL P. M. osserva che con denunzia del 25 giugno 1947, indirizzata al Procuratore Generale di Palermo, ripetuta il 30 stesso mese, l’on. prof. avv. Montalbano Giuseppe, deputato alla Costituente, lamentava che il «Risorgimento Liberale», quotidiano di Roma, ed «Il Mattino di Sicilia», quotidiano di Palermo, alcuni giorni prima avevano pubblicato la notizia che egli, citato dall’Autorità Giudiziaria come teste nel processo Miraglia, per due volte non si era presentato «perché cercava di sottrarsi dal deporre per paura di essere messo a confronto con un Ufficiale di Polizia Giudiziale». Nella persuasione che tale notizia fosse stata rivelata dal dr. Messana Ettore, Ispettore Generale di PS. per la Sicilia, denunziava costui quale responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio, previsto e punito dall’art. 326 C.P. Lamentava altresì che il «Giornale di Sicilia» del 22 giugno u.s., aveva pubblicato notizie molto delicate e riservatissime in merito alle indagini in corso sul selvaggio eccidio di Portella della Ginestra, riportando il tenore delle deposizioni rese nella fase istruttoria, non ancora chiusa, dai testi Riolo, Sirchia, Fusco e Cuccia, e che lo stesso giornale, del successivo giorno 25, precisava che le notizie pubblicate nel numero del 22 giugno erano state desunte da «atti ufficiali riferentisi all’inchiesta in corso». Ravvisava in tali pubblicazioni la prova che funzionari addetti alle indagini avessero rivelato segreti d’ufficio e denunziava gli ignoti informatori da ricercarsi presumibilmente [presso] l’Ispettorato Generale di P. S., diretto dal dr. Messana. D’altro lato quest’ultimo, venuto a conoscenza della denunzia sporta a suo carico, indirizzava, in data 16 luglio u.s., a questa Procura un esposto col quale chiedeva il procedimento d’ufficio per calunnia contro il prof. Montalbano, anche in relazione ad un articolo pubblicato nel n. 152 de «La Voce della Sicilia» del 1° luglio, a firma del Montalbano, nel quale egli viene fatto apparire come correo dei numerosi delitti consumati dal bandito Ferreri inteso Fra’ Diavolo, ucciso poi in conflitto in territorio di Alcamo. Ciò posto, va subito rilevato che la doglianza del prof. Montalbano per la notizia pubblicata dal «Risorgimento Liberale» e dal «Mattino di Sicilia» è pienamente fondata per quanto ottiene l’offesa recata alla sua personalità morale, essendo chiaro che l’autore dell’articolo scrivendo ch’egli, sebbene due volte citato dal magistrato istruttore, non si era presentato a deporre come teste «per paura di essere messo a confronto con un funzionario di polizia» si proponeva di presentare il Montalbano sotto una luce poco onorevole al pubblico dei lettori: è risultato, invece, dalla esauriente istruttoria compiuta da quest’Ufficio che il prof. Montalbano si presentò regolarmente tutte e due le volte alla Sezione istruttoria e che per la mancata presenza del giudice non fu messo in grado – sia la prima che la seconda volta – di rendere la sua deposizione. Intanto il magistrato inquirente dispose la nuova citazione del prof. Montalbano per il giorno 25 luglio e, nell’eventualità di dovere eseguire un confronto tra lui ed il dr. Messana, telefonò a quest’ultimo invitandolo a tenersi per quel giorno a sua disposizione nel proprio ufficio onde assicurarsene, occorrendo, la comparizione. Tosto che il prof. Montalbano poté rendere la sua dichiarazione, il giudice non ritenne di far luogo al confronto ed il dr. Messana fu sciolto dall’obbligo di tenersi a disposizione. Or poiché la notizia del predisposto confronto era nota soltanto al magistrato ed al dr. Messana, è sembrato logico al prof. Montalbano ritenere che il Messana ne avesse informato i giornali, rivelando così un segreto d’ufficio. Nel fatto lamentato non riscontra però il requirente gli estremi del reato p. ep. dall’art. 326 C. P. e ciò a prescindere da qualsiasi esame di merito sulla consistenza dell’addebito. Perché la citazione non è un atto interno del processo, non è, cioè, un atto segreto posseduto e custodito dal pubblico ufficiale: bensì è un atto esterno del processo, la cui funzione si esaurisce all’esterno, concretantesi nella chiamata del giudice, pel tramite dell’ufficiale giudiziario. Le notizie d’ufficio sono quelle che debbono rimanere segrete, come le dichiarazioni testimoniali, i verbali di confronto, gli atti generici ecc. Sicché la loro rivelazione da parte del pubblico ufficiale si risolve in una violazione dei doveri inerenti alla sua funzione. Come non costituisce segreto d’ufficio la citazione, a maggior ragione non può costituire segreto d’ufficio un semplice avvertimento fatto per telefono a persona ancora da citare pel caso di un eventuale confronto. Il reato di violazione di segreti d’ufficio è, invece, manifestamente configurabile nei due articoli pubblicati sul Giornale di Sicilia, rispettivamente sotto il titolo «Colpo di scena: a Portella della Ginestra ha sparato Giuliano» e «Soppresso a Portella della Ginestra perché testimone della strage», perché in entrambi gli articoli appaiono palesati fatti e circostanze che non potevano essere di dominio pubblico, e, quindi, oggetto di cronaca, siccome acquisite dall’Autorità giudiziaria e dalla Polizia giudiziaria durante le indagini tuttora in corso. Per di più lo stesso giornale nel n. 149 del 25 giugno 1947, riportava un articolo in cui si ribadiva che le notizie precedentemente pubblicate erano state desunte da atti ufficiali e da conclusioni ufficiali di una inchiesta accertante la responsabilità del bandito Giuliano. Nulla, tuttavia, autorizza a ritenere che il dr. Messana abbia dato ai giornali le informazioni in discorso. Ben vero il prof. Montalbano ha manifestato il convincimento che tali notizie fossero state propalate dall’Ispettore Generale di PS. nella considerazione che ancora prima che le indagini avessero preso una consistenza qualsiasi, il Messana si era affrettato a comunicare al Ministro dell’Interno che autore della strage era stato Giuliano con la sua banda, per cui avvenne che il Ministro ne informò l’Assemblea Costituente: da qui l’interesse del Messana di dimostrare al pubblico che egli non si era sbagliato. È evidente la buona fede dell’on.le Montalbano nella incolpazione fatta al Messana, ma, alla stregua delle risultanze istruttorie, l’addebito deve dirsi del tutto infondato. Parrebbe, infatti, accertato che i redattori degli articoli incriminati trassero le notizie, in discorso, da indagini direttamente fatte dai cronisti dei giornali, che abilmente seguivano quelle che si svolgevano nell’ambito della polizia giudiziaria e dell’Autorità giudiziaria (ff. 19 - 22 - 23 - 26, testi Pirri, Melati, Petrucci, Seminara, e Marino), ma anche se ciò non fosse vero, nessuna prova sussiste, atta a far ritenere che fosse stato proprio il Messana a rivelare le risultanze delle indagini ufficiali, specie se si consideri che i motivi posti a base dell’incolpazione contro il Messana valgono anche per tutti i funzionari e gli agenti dell’Ispettorato di PS. che collaborarono col loro Capo nelle operazioni di polizia, sicché per tutti poteva essere di soddisfazione far sapere che l’Ispettorato non aveva sbagliato nell’individuazione dei responsabili dell’efferato delitto. Non sono altresì da escludere altre ipotesi circa la fonte alla quale le notizie poterono essere attinte. Stando così le cose non si vede perché si debbano inseguire delle ombre, quando si ha la prova di un’attività giornalistica, abilmente, ma anche imprudentemente manovrata ai margini di uffici giudiziarii e di polizia. Il che non è reato. Non essendo penalmente punibili pel titolo di violazione di segreti di ufficio i fatti lamentati dal prof. Montalbano, discende la conseguenza logica e giuridica che non possono riscontrarsi gli estremi della calunnia nella incolpazione di fatti non costituenti reato. Parimenti non incriminabile pel titolo di calunnia è l’articolo pubblicato nel n. 152 de «La voce di Sicilia» sotto il titolo «Messana correo dei delitti di Fra-diavolo?». Il contenuto dell’articolo è diffamatorio, ma di ciò non si è doluto il dr. Messana, mancando in atti la prescritta querela. Va appena rilevato che non può farsi luogo a procedimento per calunnia contro il Montalbano, autore dell’articolo, non avendo egli presentato a carico del dr. Messana alcuna denunzia all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità designata dalla legge circa la pretesa – quanto mai assurda – di costui correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri. La pubblicità col mezzo della stampa di una falsa incolpazione di reato, fatta sia pure con l’intento di provocare un procedimento penale di ufficio, non ha nulla di comune con la denunzia che la legge richiede per la sussistenza della calunnia. Per l’anzidetto essendo il caso di provvedere ai sensi dell’art. 74 C. P. P. e succ. mod. CHIEDE Che il Giudice Istruttore voglia ordinare la archiviazione degli atti. Palermo 2.10.1947. Il Procuratore della Repubblica. Barone. PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PALERMO IL P. M. osserva che con denunzia del 25 giugno 1947, indirizzata al Procuratore Generale di Palermo, ripetuta il 30 stesso mese, l’on. prof. avv. Montalbano Giuseppe, deputato alla Costituente, lamentava che il «Risorgimento Liberale», quotidiano di Roma, ed «Il Mattino di Sicilia», quotidiano di Palermo, alcuni giorni prima avevano pubblicato la notizia che egli, citato dall’Autorità Giudiziaria come teste nel processo Miraglia, per due volte non si era presentato «perché cercava di sottrarsi dal deporre per paura di essere messo a confronto con un Ufficiale di Polizia Giudiziale». Nella persuasione che tale notizia fosse stata rivelata dal dr. Messana Ettore, Ispettore Generale di PS. per la Sicilia, denunziava costui quale responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio, previsto e punito dall’art. 326 C.P. Lamentava altresì che il «Giornale di Sicilia» del 22 giugno u.s., aveva pubblicato notizie molto delicate e riservatissime in merito alle indagini in corso sul selvaggio eccidio di Portella della Ginestra, riportando il tenore delle deposizioni rese nella fase istruttoria, non ancora chiusa, dai testi Riolo, Sirchia, Fusco e Cuccia, e che lo stesso giornale, del successivo giorno 25, precisava che le notizie pubblicate nel numero del 22 giugno erano state desunte da «atti ufficiali riferentisi all’inchiesta in corso». Ravvisava in tali pubblicazioni la prova che funzionari addetti alle indagini avessero rivelato segreti d’ufficio e denunziava gli ignoti informatori da ricercarsi presumibilmente [presso] l’Ispettorato Generale di P. S., diretto dal dr. Messana. D’altro lato quest’ultimo, venuto a conoscenza della denunzia sporta a suo carico, indirizzava, in data 16 luglio u.s., a questa Procura un esposto col quale chiedeva il procedimento d’ufficio per calunnia contro il prof. Montalbano, anche in relazione ad un articolo pubblicato nel n. 152 de «La Voce della Sicilia» del 1° luglio, a firma del Montalbano, nel quale egli viene fatto apparire come correo dei numerosi delitti consumati dal bandito Ferreri inteso Fra’ Diavolo, ucciso poi in conflitto in territorio di Alcamo. Ciò posto, va subito rilevato che la doglianza del prof. Montalbano per la notizia pubblicata dal «Risorgimento Liberale» e dal «Mattino di Sicilia» è pienamente fondata per quanto ottiene l’offesa recata alla sua personalità morale, essendo chiaro che l’autore dell’articolo scrivendo ch’egli, sebbene due volte citato dal magistrato istruttore, non si era presentato a deporre come teste «per paura di essere messo a confronto con un funzionario di polizia» si proponeva di presentare il Montalbano sotto una luce poco onorevole al pubblico dei lettori: è risultato, invece, dalla esauriente istruttoria compiuta da quest’Ufficio che il prof. Montalbano si presentò regolarmente tutte e due le volte alla Sezione istruttoria e che per la mancata presenza del giudice non fu messo in grado – sia la prima che la seconda volta – di rendere la sua deposizione. Intanto il magistrato inquirente dispose la nuova citazione del prof. Montalbano per il giorno 25 luglio e, nell’eventualità di dovere eseguire un confronto tra lui ed il dr. Messana, telefonò a quest’ultimo invitandolo a tenersi per quel giorno a sua disposizione nel proprio ufficio onde assicurarsene, occorrendo, la comparizione. Tosto che il prof. Montalbano poté rendere la sua dichiarazione, il giudice non ritenne di far luogo al confronto ed il dr. Messana fu sciolto dall’obbligo di tenersi a disposizione. Or poiché la notizia del predisposto confronto era nota soltanto al magistrato ed al dr. Messana, è sembrato logico al prof. Montalbano ritenere che il Messana ne avesse informato i giornali, rivelando così un segreto d’ufficio. Nel fatto lamentato non riscontra però il requirente gli estremi del reato p. ep. dall’art. 326 C. P. e ciò a prescindere da qualsiasi esame di merito sulla consistenza dell’addebito. Perché la citazione non è un atto interno del processo, non è, cioè, un atto segreto posseduto e custodito dal pubblico ufficiale: bensì è un atto esterno del processo, la cui funzione si esaurisce all’esterno, concretantesi nella chiamata del giudice, pel tramite dell’ufficiale giudiziario. Le notizie d’ufficio sono quelle che debbono rimanere segrete, come le dichiarazioni testimoniali, i verbali di confronto, gli atti generici ecc. Sicché la loro rivelazione da parte del pubblico ufficiale si risolve in una violazione dei doveri inerenti alla sua funzione. Come non costituisce segreto d’ufficio la citazione, a maggior ragione non può costituire segreto d’ufficio un semplice avvertimento fatto per telefono a persona ancora da citare pel caso di un eventuale confronto. Il reato di violazione di segreti d’ufficio è, invece, manifestamente configurabile nei due articoli pubblicati sul Giornale di Sicilia, rispettivamente sotto il titolo «Colpo di scena: a Portella della Ginestra ha sparato Giuliano» e «Soppresso a Portella della Ginestra perché testimone della strage», perché in entrambi gli articoli appaiono palesati fatti e circostanze che non potevano essere di dominio pubblico, e, quindi, oggetto di cronaca, siccome acquisite dall’Autorità giudiziaria e dalla Polizia giudiziaria durante le indagini tuttora in corso. Per di più lo stesso giornale nel n. 149 del 25 giugno 1947, riportava un articolo in cui si ribadiva che le notizie precedentemente pubblicate erano state desunte da atti ufficiali e da conclusioni ufficiali di una inchiesta accertante la responsabilità del bandito Giuliano. Nulla, tuttavia, autorizza a ritenere che il dr. Messana abbia dato ai giornali le informazioni in discorso. Ben vero il prof. Montalbano ha manifestato il convincimento che tali notizie fossero state propalate dall’Ispettore Generale di PS. nella considerazione che ancora prima che le indagini avessero preso una consistenza qualsiasi, il Messana si era affrettato a comunicare al Ministro dell’Interno che autore della strage era stato Giuliano con la sua banda, per cui avvenne che il Ministro ne informò l’Assemblea Costituente: da qui l’interesse del Messana di dimostrare al pubblico che egli non si era sbagliato. È evidente la buona fede dell’on.le Montalbano nella incolpazione fatta al Messana, ma, alla stregua delle risultanze istruttorie, l’addebito deve dirsi del tutto infondato. Parrebbe, infatti, accertato che i redattori degli articoli incriminati trassero le notizie, in discorso, da indagini direttamente fatte dai cronisti dei giornali, che abilmente seguivano quelle che si svolgevano nell’ambito della polizia giudiziaria e dell’Autorità giudiziaria (ff. 19 - 22 - 23 - 26, testi Pirri, Melati, Petrucci, Seminara, e Marino), ma anche se ciò non fosse vero, nessuna prova sussiste, atta a far ritenere che fosse stato proprio il Messana a rivelare le risultanze delle indagini ufficiali, specie se si consideri che i motivi posti a base dell’incolpazione contro il Messana valgono anche per tutti i funzionari e gli agenti dell’Ispettorato di PS. che collaborarono col loro Capo nelle operazioni di polizia, sicché per tutti poteva essere di soddisfazione far sapere che l’Ispettorato non aveva sbagliato nell’individuazione dei responsabili dell’efferato delitto. Non sono altresì da escludere altre ipotesi circa la fonte alla quale le notizie poterono essere attinte. Stando così le cose non si vede perché si debbano inseguire delle ombre, quando si ha la prova di un’attività giornalistica, abilmente, ma anche imprudentemente manovrata ai margini di uffici giudiziarii e di polizia. Il che non è reato. Non essendo penalmente punibili pel titolo di violazione di segreti di ufficio i fatti lamentati dal prof. Montalbano, discende la conseguenza logica e giuridica che non possono riscontrarsi gli estremi della calunnia nella incolpazione di fatti non costituenti reato. Parimenti non incriminabile pel titolo di calunnia è l’articolo pubblicato nel n. 152 de «La voce di Sicilia» sotto il titolo «Messana correo dei delitti di Fra-diavolo?». Il contenuto dell’articolo è diffamatorio, ma di ciò non si è doluto il dr. Messana, mancando in atti la prescritta querela. Va appena rilevato che non può farsi luogo a procedimento per calunnia contro il Montalbano, autore dell’articolo, non avendo egli presentato a carico del dr. Messana alcuna denunzia all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità designata dalla legge circa la pretesa – quanto mai assurda – di costui correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri. La pubblicità col mezzo della stampa di una falsa incolpazione di reato, fatta sia pure con l’intento di provocare un procedimento penale di ufficio, non ha nulla di comune con la denunzia che la legge richiede per la sussistenza della calunnia. Per l’anzidetto essendo il caso di provvedere ai sensi dell’art. 74 C. P. P. e succ. mod. CHIEDE Che il Giudice Istruttore voglia ordinare la archiviazione degli atti. Palermo 2.10.1947. Il Procuratore della Repubblica. Barone.

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