sabato 14 febbraio 2015

Quel che MALGRADO TUTTO non ha pubblicato e che spero pubblichi



domenica 8 settembre 2013

la trasuta di li miricani

Calen di maggio; maggio mese dei fiori; maggio mese del mio compleanno. Siamo nel maggio del 1943. Il 10 di quel mese compio nove anni; frequento la terza elementare e pare che sia bravo a scuola: il primo della classe, dicono. Mio cugino, Giacomo Saccomando, non brilla molto a scuola, ma è davvero bravo con la "fileccia". Colpisce le colombe anche lassù nelle feritoie di "LU CANNUNI". Svelto coi pugni, si fa rispettare da quelli che vengono su LU CHIANU CASTIEDDU da SANTA NICOLA o da LA FUNTANA. Io dovrei essere un funtanaru, ma sto con mia nonna in una sorta di catoio DARRIERI SAN GNISEPPI, sopra la discesa di San Francesco. Mio cugino sta nelle CAMMARI di SUSU; il padre è militare in Grecia. Pur anzianotto è dovuto partire per soldato per il fatto che si era dovuto arruolare nella Milizia dopo un alterco con milite protetto da Carminu Burruano. Credo che allora mi invidiasse avendo io oltre che la madre anche il padre a casa. Da fanciullo mio cugino era piuttosto manesco e forse cattivo: con gli animali era piuttosto crudele. Io ero fragilino, tanto pio e volevo farmi parrino. A giocare al dottore con le bambine non andavo: non sapevo neppure cosa facessero. Ed Angila la figlia di Rita mi ebbe per superbo e ce l'ebbe con me persino a tardissima età. Era bruttarella, oltretutto, e semmai io arrossivo ed abbassavo gli occhi per una biondina di San Giuliano. A vederla dopo, piccoletta e rachitella, ebbi a dubitare delle mie capacità discernitrici.

 

In quel maggio, con mia nonna e con la sorella di mia nonna - la zza Turiddruzza, spirlungona rispetto alla sorella, ma con lo stesso jppuni, egualmente e totalmente in nero, meno il candido fazzoletto in testa - andai alla Curma a mettere la ticchiara a li ficara. Poi io, mia nonna e sua sorella, ci inerpicammo per lu Castidduzzu ove la zza Turiddruzza aveva una robba bella grande in una proprietà vasta e ben alberata. Anche là mettemmo la ticchiara. Laggiù, a Portoempedoche sparavano i cannoni in risposta alle cannonate delle navi americane, ma non ce ne curavamo. Eravamo abbastanza lontani e non era sera: allora sì che era uno spettacolo sembrava uno spettacolare castieddru fuocu. 

Mia nonna e sua sorella avevano i figli emigrati in America: a Buffalo la prima; a New York la zza Turiddruzza. Entrambe prima dello scoppio della guerra erano state fornite abbondantemente di zucchero e caffè. Mia nonna teneva sopra lu cantaranu una fila di burnie piene di quel ben di Dio, che era merce rara e preziosa ora durante il conflitto. Mio cugino, scendeva spesso di soppiatto e salendo su una siggiteddra, che mia nonna non alta di statura prediligeva, riusciva a scoperchiare la burnia dello zucchero e trangugiare pugni pieni di quella prelibatezza. A me sembrava che commettesse peccato mortale ed ero convinto che non si confessasse neppure, anche se si faceva la comunione. La prima comunione ce l'eravamo fatta insieme tre anni prima. Io avevo un completo di giacca e pantaloni lunghi che bianchi com'erano mi facevano apparire come un buffo angioletto: con libricino bianco in mano frammezzato da una coroncina pur essa bianca - mio padre ne faceva commercio - mi fecero la fotografia appoggiato ad una colonnetta piuttosto alta con sopra un vaso di fiori finti. La posseggo ancora.

 In quel maggio lì, in Africa era avvenuto quello che è avvenuto; per l'Italia la guerra era ormai irrimediabilmente persa. Toccava a noi subire l'urto della strabocchevole potenza alleata; all'America, all'amica America, alla terra promessa di tanti emigranti, a tanti nostri compaesani là emigrati, ai loro figli il compito di conquistarci. Fu liberazione? fu aggressione? Dopo le aspre polemiche dell'immediato dopoguerra, ecco riproporsi il quesito: Non credo che la parola sia davvero passata agli storici, alla ricerca obiettiva, anche se la querelle attuale mi sa troppo di pruriti eruditi, di voglia di contraddire, di correggere, di sapere, di potere essere più intelligenti. L'America ci è amica, la Germania ci protegge, i fascisti sono patetici ed innocui nostri consanguinei, la Sicilia non ebbe guerre partigiane (e se ciò è un male per la crescita culturale, è un bene per il relativismo che bisogna avere nelle militanze politiche).

Sfogliando una raccolta ben rilegata di un settimanale dell'epoca IL MATTINO ILLUSTRATO che il suocero di mio fratello teneva ben custodito, mi soffermo sull'ultimo numero della Sicilia fascista, l'anno XXI (ovverossia il 1943), mese di maggio.

 
Mi colpisce l'assenza assoluta di immagini di Mussolini; ma quel periodico mai mostra Mussolini; forse era questione di censura di guerra. Sembra ormai che la guerra non ci sia più. Almeno per la Sicilia. Sono amori ancellari che hanno spazio; voli aerei dell'epoca, romantici, vagamente sensuali. Sono le cene dei ricchi che affiorano, in tempi credo (e ricordo) di grandi privazioni. Vestigia dell'ancora imperante regime un VOI al posto del Lei ed un periodare caro a Starace (che invero non c’era più).


Dopo l'ultimo numero di maggio 1943, il periodico non arriva più a Racalmuto, nella casa dei solerti benestanti della famiglia Palermo.


Neppure le innocue rievocazioni storiche di un papa pur discutibile per il fascismo come PIO XI ci saranno più. Sparisce il settimanale con l'ultima pagina disegnata con scene soprattutto irridenti all'America.
 

A giugno sostenni gli esami di terza elementare; terrore di fanciullo il mio; soddisfazione paterna per il brillante risultato, il primo invero di tant'altri che hanno costellato la mia vita e che hanno riempito di orgoglio mio padre, che non lo celava al Mutuo Soccorso incassandone malcelate invidie. Io mi irritavo tanto; ma pover'uomo non faceva nulla di male. Ovunque tu sia, padre mio, questo tuo figlio, ora quasi ottantenne, ti ricorda con molto melanconico affetto e ti vuol bene come se tu fossi ancora fra noi.

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