martedì 3 febbraio 2015

Padre Puma, mio amico dal 10 ottobre
1945, fu un grande uomo, né santo né demone. Sono oltre che suo amico amico della sua famiglia. Non sono certo obiettivo per farne lo storico. Da amico affermo che padre Puma da gran'uomo qual era ebbe grandi virtù e per le leggi fisiche degli equilibri anche alcuni difetti: quei difetti che me lo rendevano molto simile e quindi tra affini della mente e del pensiero abbiamo solidarizzato, facendo i conti per oltre 60 anni. A qualche criticona [alias Susanna senza panna]  faccio presente che la vecchiaia è sì un morbus (senectus ipsa morbus) - che non le auguro naturalmente - ma è una grandissima ricchezza, arricchisce incommensurabilmente. Padre Puma conosceva i suoi polli, li faceva starnazzare e spesso pareva persino assecondarli. Padre Puma ha fatto la storia della Racalmuto del dopo-guerra del '40: anzi è la nostra storia recente. Si dà il caso che io più che dovere scrivere la storia di Racalmuto da quasi un secolo in qua quella storia l'ho vissuta e vissuta sulla mia pelle.

Nella intervista che mi concesse nel 1995 (il 5 luglio), P. Puma con una voce stentorea, mentre io zoppicavo, aveva due grandi suoi misteri da occultarmi: l'intimo suo soffrire certe tentazioni cui credo che ben volentieri cedesse in contrasto l'abito che portava e il dovere fronteggiare truci faccende di famiglia che si erano anche listate a lutto per una feroce esecuzione d'indole malavitosa.


Mi sono ascoltata quella intervista. Il cipiglio loquace direbbe Bonanno camuffava ben altri sgomenti esistenziali. Puoi essere prete quanto ti pare, resti disperatamente uomo.

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