lunedì 8 dicembre 2014

Racalmuto paese di Sciascia? ma quando mai!

Giovanni Salvo è uno di quei racalmutesi paradigmatici che bisogna tanto stimare quanto guardarsene se si hanno pecche nascoste. Intelligentissimo, colto, elegante,sagace, incommensurabile, se vuole finge di adularti e ti stronca specie se intinge la penna nel suo micidiale vernacolo saturo di sardonico inchiostro. Ama qualcuno Giovanni Salvo? La splendida moglie certo l'incantevole figlioletto senza dubbio.
Mi ritrovo oggi citato nell'estraneo Grandangolo. Cristo di Dio quanto ho dovuto sbirciare per leggermi: subito una crucciata smentita: mai visto in faccia Sindona. L'ho visto a dire il vero una domenica sera all'aeroporto di Fiumicino. Io mi accingevo a raggiungere la noiosa Milano per ispezionargli la sua Banca Privata Finanziaria. Lui vi correva da Roma, dove ancora era stato in grado di comprare croste naif per trafugare i suoi ultimi risparmi ufficiali prima della grande fuga. Era nervoso, nevrotico ma altero e svettante sulla massa di noi viaggiatori verso cui il buon Dio aveva giocato al risparmio quanto a dotarci di congrua statura.
L'aereo partiva con qualche tollerabile ritardo, ma don Michele non amava aspettare; prenotò un volo vip  e sparì. Lui non sapeva nulla di me. Io qualche cosa di lui che magari avrebbe voluto tenermi nascosta.
Come disse Biagi: Sindona e Colombo, due belle metafore. Colombo partì perle Indie e trovò l'Ameria; Sindona scappò per l'America e si trovò nelle Indie. Tra l'altro nel sommo della forsennatezza si affidò alle pingui manacce di un tal Peppi che nell'America sentendosi già gangster si fece chiamare Joe Macaluso (nato però sempre a Racalmuto). Quanti guai gli combinò il debordante Joe. Anche al fratello stanziale a dire il vero. Cose da folli, cose da dare ragione a Sciascia quando facendo dei racalmutesi di ogni erba un fascio - lui che tanto saggio non era - ci descrive tutti pazzi; molto elegantemente scrive di noi che "aveva tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese ... spera(ndo) "di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione" e non da oggi commento (vedi Racalmuto nei millenni, pag. 195) che parla dunque di "una Racalmuto né libera, né giusta [come dire] nel grembo della follia".
Non ci facciamo un gran bella figura, orsù via! Si aveva qui scritto il nostro Nanà che Racalmuto era un paese che "amava". Falso. Il solito tirar prima il sasso e poi nascondere la mano. Sciascia non scoppiava di coraggio.
Aveva lasciato tra le carte, appunti, articoli, polemiche, stizze, schizzi,
banalità ed altro. Aveva detto alla moglie (me l'ha scritto lei stessa) che quelle carte dovevano restare seppellite là; non se ne doveva fare divulgazione alcuna; neppure alla Fondazione - che non voleva e che gli hanno appioppato politicanti locali di mezza tacca -  dovevano andare. La moglie mi scrisse che lei era ligia alle ultime volontà del suo celebre e celebrato consorte.
Niente da fare, non so chi e so perché (per il vil denaro) all''improvviso spunta nella Biblioteca Adelphi il n. 557 che riporta in copertina: Leonardo Sciascia. il Fuoco nel mare.
Non si deve faticar molto. A pag. 11 leggiamo il delizioso Paese con figure; il paese è ovvio Racalmuto, le figure siamo noi. Un esempio? "Ecco: don Giuseppe Savatteri è un imbeille detestabile. La sua voce sembra trascinarsi dietro un'eco molteplice, tanto è violenta e maleducata. Tutte le sue parole  ingombrano l'area del luogo in cui ci si trova come un ciarpame confuso, si accatastano come cose inutili dentro un vecchio solaio." Nulla a che fare con i Savatteri, ma il personaggio ben vivo ancora nei residui ricordi di Guglielmo S. al Circolo Unione esistette davvero e davvero era come Sciascia lo scortica.
Ma andiamo oltre. Colgo la dichiarazione di odio verso Racalmuto del grande scrittore della Noce.
" Quando saremo lontani da questo picolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano - di queste povere case ammucchiate, di queste persone che ogni giorno incontriamo, il nostro ricordo riuscirà forse a comporre una di quelle infantili e amorevoli costruzioni in cui cubetti di legno e figurine di coccio fanno affettuosa armonia: una povera e incantata armonia. Come uno di quei Presei a cui intorno al Natale si affaccendano grandi e piccini,  che, dal re all'acquaiolo, raccolgono tutte le umane attività e significazioni.  Quello sarà veramente il nostro paese: perché la lontananza darà dolci cadenze alla noia di oggi e al'angustia; e diventerà un po' amore quel che ora è insofferenza e reazione. Intanto, poiché ancora in nessun modo lo amiamo, una pausa della nostra insofferenza ci permette di immaginare come sarà nel ricordo di noi lontani, come nascerà quell'insieme nitido e minuscolo come un Presepe".

Solo che mai Sciascia finì amante di questo mio diletto paese. Liberatosene non vi tornò mai più; si rifugiò alla Noce come chi scrive si va a rifugiare a Bovo, solo che io lo faccio per eccesso di amore; lui, il grande, per soverchio noioso odio. Non volle ad esempio lanciare nessun racalmutese dedito alle arti scrittorie, e dire che ce n'erano tanti, e dire che qualcuno lo reputo persino valido, e dire che tanti gli scodinzolavano attorno in attesa di un pezzettino di carne  atta a sfamare la  fame se non di gloria di lancio nel truce mondo della letteratura a pagamento.
Racalmuto, paese di Sciascia? Ma quando mai!
 
 



 

 

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