mercoledì 24 dicembre 2014

Prima del fascismo a Racalmuto


Riportiamo una relazione della Prefettura di Agrigento, datata  16 dicembre 1919, sulle condizioni  dell'ordine pubblico e della  sicurezza nella Provincia (cfr. Archivio Centrale dello Stato  - Ministero Interno - Ps - 1919, b. 121).

 

«Da qualche tempo ad  opera di aderenti al partito socialista ufficiale, per sfruttare l'attuale momento critico di disagio generale, viene preso pretesto da qualsiasi argomento per creare agitazioni  più o meno "ingiustificate". Si cerca così di tener compatte le masse per le prossime lotte elettorali amministrative e di fare opera  proficua di propaganda per rafforzare il partito stesso in provincia, che finora ha potuto fare solamente assegnamento su nuclei di scarsa importanza.

 

 «Primo pretesto per il R. Decreto 2 settembre scorso, recante provvedimenti per l'occupazione delle terre incolte. Le associazioni agricole della Provincia, istigati da agitatori  messi in giro dalla locale Camera del Lavoro, iniziarono subito una campagna per ottenere dalla Prefettura l'applicazione del decreto suddetto; e tale movimento, iniziato apparentemente con carattere di legalità, degenerò  subito in vera e propria agitazione, tendente ad impedire ai  proprietari di terre l'aumento dei canoni annui di fitto e la modifica dei patti di mezzadria e si ricorse persino ad intimidazioni su fittavoli e mezzadri per indurli ad abbandonare le terre e renderle incolte, onde facilitare l'occupazione.

 

«Quest'Ufficio contrappose subito l'opera propria e dei dipendenti funzionari perché‚ l'agitazione non sortisse pratici risultati ed ottenere che i minacciati disordini abortissero ovunque, sia assecondando le trattative di componimenti colà dove i proprietari di terre si erano dimostrati proclivi ad intavolarle, sia provvedendo con i mezzi a disposizione, a tutelare l’ordine pubblico e a fare opera di propaganda per impedire l'abbandono delle terre e la sospensione delle culture intraprese.

 

 «Finita tale agitazione, i socialisti ne inscenarono un’altra  ancora. Forti del lodo arbitrale del collegio dei probiviri di Caltanissetta sulle pretese di aumento dei salari avanzate dagli operai di quel bacino minerario, inducono la numerosa classe zolfifera della Provincia ad invocare l'applicazione  anche in questa giurisdizione: Aragana, Favara, Cianciana, Racalmuto, Grotte, Comitini abboccano all'amo. 

 

«I proprietari delle miniere però resistono: gli operai di  rimando proclamano lo sciopero.

 

«Quest'Ufficio, nell’interesse dell’ordine pubblico, interviene nella vertenza e dopo pratiche loboriosissime ottenne ovunque la ripresa del lavoro, riuscendo a persuadere le organizzazioni zolfifere che non poteva il lodo accennato applicarsi alle industrie del genere di questa provincia, nella quale la vertenza sorgeva ex novo e che, in ogni caso,  dovevansi attendere le deliberazioni della commissione di  appello in Roma, cui era stata deferito su ricorso degli industriali la soluzione della controversia. Ottennero però nell’occasione gli zolfatari quasi ovunque aumenti di salario, con pagamento di arretrati da parte degli esercenti, che  accogliendo in parte le pretese dei propri lavotarori, volontariamente vi si sobbarcarono. 

 

«Visto abortire anche tale pretesto, i mestatori, che erano ricorsi per mantenere desta l’agitazione anche coll’ausilio di compagni, all’uopo qui venuti da fuori provincia, prova  cotesta che le fila del movimento vengono mosse dall’alto, si danno ad aizzare ancora le masse per pretese irregolarità nella distribuzione degli sfarinati nei vari comuni, per la  cattiva qualità della farina fornita e per invocare la distribuzione del grano in sostituzione della farina stessa, alla popolazione che ne avesse diritto.

 

«E così, a Favara si cerca di scimmiottare i Soviet pretendendo che una commissione di operai regoli la distribuzione degli sfarinati; a S. Giovanni, S. Biagio Platani, Cammarata ed altrove si minacciano torbidi e si  pretende l'aumento del contingentamento; a S. Stefano Quisquina, rocca del socialismo in Provincia, si crea una vivissima agitazione per ottenere grano invece di farina, pur  non disponendosi di mezzi idonei alla macinazione, prendendo a pretesto la cattiva qualità della farina, che, al contrario, è ottima perché‚ fornita da stabilimenti che approvvigionano altri Comuni, nei quali mai sono stati lamentati inconvenienti del genere. In quest'ultimo Comune, ove sorge a tale scopo  un comitato permanente di agitazione, si pretende persino impedire alla Commissione Militare di Requisizione il trasporto del frumento requisito e depositato in quei  magazzini statali. 

 

«A questo movimento, per ovvie ragioni di tornaconto e di  speculazione, è stata trascinata tutta la cittadinanza, e ciò ha costretto quest’Ufficio a dislocare colà  un forte nucleo di truppa allo scopo di assicurare il regolare funzionamento delle operazioni di requisizione e il conseguente regolare approvvigionamento della Provincia; d'altra parte si è interessato il Consorzio per addivenire a qualche aumento nell'assegnazione degli sfarinati  effettivamente non corrispondenti al bisogno e tali provvedimenti sono valsi ad  infrenare i più violenti e a tranquillizzare i più timidi,  esasperati al punto da indurre il Sindaco a telegrafare a diversi deputati della Provincia, sia pure di tendenze opposte, perché‚ patrocinassero presso il competente Ministero l'accoglimento dei desiderata della popolazione, anche a costo di dare soddisfazione ai socialisti, avversari irriducibili  con l'amministrazione al potere. 

 

«Anche tale agitazione è stata così ridotta in modesti confini. L’ordine pubblico anche in S. Stefano Quisquina tende a   ritornare normale. 

 

«E' naturale e logico che il succedersi ininterrotto di tutte queste agitazioni che io riferisco a codesto Ministero perché‚ si renda conto della difficoltà che quest’Ufficio attraversa quotidianamente per far fronte alle esigenze dell’ordine  pubblico e per evitare fatti che potrebbero avere su di esso grave ripercussione, ciò implichi lo spostamento continuo dei  mezzi limitati di cui dispone, e la peregrinazione continua dall’uno all’altro Comune della Provincia dei nuclei di agenti della Forza Pubblica che sono quindi distratti dai servizi di Istituto e di quelli di Polizia Giudiziaria, nelle campagne in  ispecie.

 

«Tali fatti influiscono evidentemente sulla recrudescenza dei  reati e conseguente allarme nella popolazione rurale che non  può accudire, con tranquillità, al lavoro dei campi.

 

«Si aggiunga a tali circostanze la soppressione della locale Tenenza Guardie Città, che contribuisce ad assottigliare il  numero degli Agenti disponibili, per quanto sostituiti dai soldati sui quali pochissimo assegnamento può farsi per i servizi di prevenzione e anche di repressione dei reati. 

 

«Anche ciò credo di portare a conoscenza di codesto On.le Ministero perché‚ si compiaccia esaminare benevolmente la possibilità di mettere quest’Ufficio in grado di ovviare agli  inconvenienti prospettati, aumentando convenientemente il numero dei carabinieri in Provincia, per potere, sia rafforzando le stazioni, sia costituendo nuclei speciali, porre almeno un argine al dilagare della delinquenza e della propaganda sovversiva che intenderebbe farsi a base di  intimidazioni, di sopraffazioni e di violenze.

 

 «IL PREFETTO:  Nannetti».

 

 

Un quadro di grave turbolenza sociale nella Racalmuto dell’agosto del 1920 emerge dai rapporti di polizia e dai ragguagli della prefettura al Ministero degli Interni ( [1]) Le avvisaglie della rivolta d'estate della popolazione racalmutese si erano avuti l’anno prima per il diffuso malcontento in seno agli zolfatai.

Un telegramma prefettizio (n. 4113 dell'8 luglio 1919) aveva informato il Ministero dell'Interno che «in Racalmuto centro minerario tutti zolfatai scioperarono scopo protesta contro caro-viveri ed iniziarono dimostrazione tosto sedata pronto intervento quel funzionario. Seguito promessa attuazione nuovo calmiere scioperanti si sciolsero.»

 

Nella successiva estate la faccenda si complica. Per tre giorni (dal 14 al 17 luglio 1920) si hanno -   precisa un telegramma della solita prefettura agrigentina:

 

 «dimostrazioni ostili amministrazione comunale Racalmuto, togliendosi a pretesto insufficienza e cattiva distribuzione sfarinati. Pro sindaco e giunta comunale cedendo intimazione folla tumultuante ha rassegnato dimissioni. Nomina R. Commissario imponesi perciò anche come mezzo calmare gli animi. Non avendo assolutamente come provvedere ho delegato  funzioni commissario prefettizio al V. Commissario di P.S.  Allisio Carlo già mandato in luogo finché‚ non sia possibile sostituirlo. Pregasi ratificare. Prefetto Nannetti.»

 

 Segue  un altro dispaccio al Ministero per segnalare che proprio quel diciassette luglio del 1920 una «colonna di circa tremila dimostranti tentò di saccheggiare e incendiare magazzino fave comm. Narbone (sic) un maggiorente dell'amministrazione comunale.»  Il prefetto Nannetti soggiunge        di avere chiesto al «Comm. Mori [che] sia colà [cioè a  Racalmuto] inviato oggi stesso parte nucleo carabinieri servizio rinforzo». La faccenda ha un corso che indispettisce l'on. Abisso[che] sia colà [cioè a Racalmuto] inviato oggi stesso parte nucleo carabinieri  servizio rinforzo». La faccenda ha un corso che indispettisce l’on. Abisso. Il Ministero chiede una prima delucidazione al  prefetto di Girgenti che tra l'amaro ed il velenoso così  replica il 19 luglio:

«on. Abisso che prima era un mio non desiderato laudatore sotto tutti i rapporti, oggi, per suo tornaconto politico, pare abbia cambiato giudizio [..] [E  tanto perché a Racalmuto] procedono accertamenti con arresto responsabili, ciò che non si vorrebbe dai partigiani on. Abisso, militanti partito avverso amministrazione comunale, contro cui disordini furono promossi sotto pretesto deficienza servizi approvvigionamento per i quali purtroppo si attraversa  un periodo di difficoltà non avendosi rifornimento stabile e  non riuscendo che, a stento, con grano requisito di produzione locale, soddisfare giornalmente bisogni popolazione.»           

 

I partigiani dell’on. Abisso, avversari del Nalbone ed altri componenti dell'amministrazione comunale, erano personaggi eccellenti della scena politica e sociale di Racalmuto. L'on. Abisso, per difenderli, lancia un'interrogazione parlamentare, a risposta scritta, il 7 agosto del 1920. Il prefetto è  costretto a difendersi. L'iniziale sicumera scema ed ora  chiarisce che

«V. Commissario Micucci fu da me fatto  sostituire con Allisio e Mazzora perché‚ Pro-Sindaco Racalmuto era fisso nell'idea che funzionario fosse stato influenzato dai suoi avversari, circostanza questa che dimostra infondatezza accusa on. Abisso. Quanto al tenente presidente gruppo requisizione, egli ha affermato non aver mai detto le  parole  attribuitegli da commissione zolfatai presentatasi 15 dic. mese a quell'ufficio p.s.- Ha pure affermato non avere mai ricevuto denunzie per vendite clandestine di grano a prezzi  superiori ai prescritti.»

 

 

Certo, l'on. Abisso era stato perentorio e sferzante nella sua interrogazione parlamentare. L'onorevole voleva sapere, senza mezzi termini, quali  provvedimenti intendeva prendere il Ministero «contro quei funzionari che nel loro impudente partigiano contegno  [avevano] provocato gravi tumulti nel comune di Racalmuto». La cronistoria di quei gravi tumulti la troviamo negli stessi documenti ministeriali.  

 «Telegramma 10417 da Girgenti 5.8.920: partenza ore 21.45  arrivo 6 1,30 - Min. Interni:

 

 «Dal prefetto di Catania è stato trasmesso telegramma ieri di codesto Ministero 17583 relativo interrogazione On. Abisso contro contegno  funzionari ai quali imputa tumulti verificatisi Racalmuto dal 14 al 16 decorso luglio. - Premesso che disordini Racalmuto ebbero inizio improvvisamente e che  malcontento per deficienza approvvigionamento servì per pretesto avversari amministrazione comunale per abbatterla costringendo pro-sindaco dott. ALAIMO a dimettersi, escludo  che unico funzionario in luogo Domenico Micucci all'inizio dei disordini e gli altri V. Commissario Allisio Carlo e dott. Marzani Francesco, colà andati giorno 15 per sostituirlo         perché‚ pro-sindaco ne dimostrò convenienza, abbiano provocato  essi i tumulti. Devesianzi ai funzionari P.S. se i disordini furono arginati e vinti senza conseguenze per le persone.»

 

   Segue 'dettagliata' del 23.

 

    «Aggiungo per quel conto che dovesse farsene e allo scopo di essere il più possibilmente preciso su ogni circostanza che il 15 luglio Commissione zolfatari, contadini ed operai presentossi ufficio P.S. Racalmuto reclamando sostituzione tenente quel gruppo requisizione cereali che dicevano non aver dato corso denuncia avuta vendita grano prezzo lire 170 al quintale e che alle rimostranze popolazione avrebbe risposto  "mangiate patate". In proposito riferii subito presidente Commissione Provinciale requisizione per provvedimenti caso.

 

«Presidente dispose inchiesta ma ancora non conoscesi risultato che perciò riservomi comunicare avendo fatto speciale  sollecitazione. - Prefetto Nannetti -.» 

                      

 In contemporanea, la Prefettura di Girgenti  ragguagliava il Ministero su quelli che definiva ‘i disordini di Racalmuto' nei seguenti termini:

  «Trascrivo - esordisce il prefetto Nannetti - il rapporto  presentatomi da quel V. Commissario di P.S.  - "Con riferimento a  precedente corrispondenza telegrafica, pregiomi riferire alla S.V. Ill.ma che in questo Comune serpeggiava un forte  malcontento per la deficienza degli sfarinati.                  

       

«"La mattina del 14 corrente un gruppo di circa 300 persone, all'arrivo di due autocarri carichi di pasta, li circondavano per impedire che la pasta venisse depositata nel magazzino        consorziale per tema di possibili sottrazioni. Intervenuto il V. Commissario sig. Domenico Micucci, detta pasta venne depositata in questo ufficio di P.S.  

                         

«"Nel frattempo si raccolsero circa 200 persone, che, precedute dalla bandiera nazionale, si avviarono presso l'abitazione del pro-sindaco con grida di abbasso, reclamando le di lui dimissioni.

 

«"Contro l'abitazione del pro-sindaco vennero lanciati sassi che frantumarono i vetri di tutte le invetriate.

 

«"Però, per l'intervento del V. Commissario Sig. Micucci, la  folla desistette da altre violenze e si diresse verso la casa  comunale con minaccia di saccheggiarla se il pro-sindaco non si fosse dimesso.

 

«"Poco dopo il dott. Alaimo fece sapere che egli aveva già presentate le proprie dimissioni e la folla ritornò in piazza continuando a protestare per la scarsa distribuzione degli sfarinati. Indi, mercé‚ l'esortazione del predetto funzionario, i dimostranti si sciolsero. Il quindici successivo, si ebbe altro tentativo di  dimostrazione, che, senza incidenti, venne sciolta.

 

 «"La sera del 16, alle ore 20 e 15, essendosi ad arte propalata la notizia che l'ill.mo signor Prefetto non aveva accettate le dimissioni del pro-sindaco e trattenuto a Girgenti, in segno di punizione, il V. Commissario sig. Micucci, in Piazza Umberto 1ø s’improvvisò una dimostrazione con grida 'Abbasso l'amministrazione comunale', e per l'abolizione del tesseramento al mulino per la macinazione del  grano. I dimostranti percorsero la Via Garibaldi, frantumando molti vetri delle abitazioni private, non esclusi quelli di quell'Ufficio di P.S.; e mentre lo scrivente parlamentava con il Presidente del gruppo della requisizione grano, sig. Tenente Veniero Giuseppe, per un componimento conforme ai desiderata della popolazione, parte dei dimostranti si avviò alla casa del comm. sig. Angelo NALBONE e, quivi, dopo avergli frantumato tutti i vetri, scassinarono la porta di un magazzino sottostante all'abitazione dello stesso e vi appiccarono incendio, per cui, il comm. Nalbone, per richiamare l'attenzione della forza, cominciò a sparare colpi d'arma da fuoco.

 

«"Recatomi sul posto con i pochi militari dell'arma presenti, dopo aver subito fugati i dimostranti, mi diedi con l'ausilio anche dei vicini di casa Nalbone, a fare opera di spegnimento. Durante le quali operazioni i dimostranti si riversarono verso l'abitazione del pro-sindaco, ove, oltre di avergli frantumato altri pochi vetri rimasti intatti il giorno avanti, gli devastarono la villetta prospiciente all'abitazione, gli abbatterono parte della ringhiera di ferro che cingeva la villetta dalla parte della strada e tutta quella laterale che divide la villetta dal cortile d'ingresso. Tentarono pure di forzare il portone di entrata, di scassinare la porta del magazzino con cereali e quella della cantina, che resistettero, rubandogli due paia di colombi, cagionandogli un danno complessivo di L. 2.000.-

 

«"Durante tale vandalismo il Prosindaco cominciò a sparare colpi d'arma da fuoco per fare ivi accorrere la forza in di lui  soccorso, ed in seguito ai quali colpi mi recai subito in luogo con i militari dell'arma, ma il furore popolare aveva già compiuto la sua opera, e, dopo non pochi superati stenti si riuscì a fare gradatamente allontanare la folla.

 

«"Dalle indagini successivamente svolte si è potuto stabilire che la causale dei disordini non è stato solamente il  malcontento per la deficienza degli sfarinati ma l'influenza politico-amministrativa locale dei maggiorenti del partito contrario, per rovesciare l'amministrazione comunale.

 

«"Accertata la responsabilità degli esecutori dei lamentati danneggiamenti, si è proceduto all'arresto di Macaluso Leonardo di Calogero, di Rizzo Eduardo fu Vincenzo, di Rizzo       Francesca di Pietro, di Ippolito Stefana di Gaetano, di Scibetta Luigia fu Luigi e Ansaldo Giovanna fu Mariano. E denunciati, per la loro irreperibilità, i nominati Grego Giuseppe di Vincenzo, Cacciato Pietro d'Ignoti, Chiodo Giuseppe fu Calogero, Campanella Salvatore fu Antonio, Cino Francesco fu Calogero, fratelli Giuseppe e Luigi Lo Bue e Giuseppe Castelli d'Ignoti, siccome tutti esecutori materiali;  e denunciati inoltre per istigazione il comm. Giuseppe Bartolotta fu Luigi, l'avv. Emanuele Cavallaro fu Felice, Luigi Messana di Emilio, Alfonso Vinci di Giuseppe, Nicolò  Sferrazza di Carmelo, Nestore Falletto fu Luigi, Francesco Caratozzolo fu Felice e l'avv. Calogero Picone Chiodo fu Giuseppe”. Il Prefetto Nannetti.»

 

                            

Quelle suffragette in formato paesano e racalmutese trascondono la nota di colore. Alla testa di quel codazzo manzoniano, tutto preso  dal pane e dalla farina in termini di un più o meno convinto populismo, erano donne fiere, irrituali, imperiose, ardenti e passionarie. Ombre fluttuanti nelle memorie dei racalmutesi. Annidda la Pisciara o Carmela l'Acqualora erano come loro se non loro. In una Racalmuto maschilista, prevenuta contro le donne, un po’  codina, quegli esempi di         ribellismo femminile sono eccezioni, ma pur sempre casi di rimarchevole ribellismo.

 

 



[1]) Archivio Centrale dello Stato - Ministero degli Interni - P.S. 1920 - busta n.° 89.

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