domenica 7 dicembre 2014

La filiale di Rieti della Banca d'Italia (chiusa)


Nel caldo agosto dello scorso anno ebbi l’ardire di sollecitare una resipiscenza addirittura da parte del Signor Governatore della Bana d’Italia. Perdonatemi il sussiego stilistico (che apparirà vacuo e falso a chi un po’ mi conosce). Semel sacerdos, semper sacerdos … ed io in B.I. arrivai ad essere come dire un arcivescovo e per giunta giovanissimo: figuratevi se può cessare di scorrere nelle mie vene sangue servile verso il sommo mio superiore, come dire il papa di santa romana chiesa.

 

 

Economia

Lettera al Governatore di Bankitalia

di Calogero Taverna

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Ill.mo Signor Governatore dottor Visco, se Le dico che sono l’ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo un sorriso: Carneade chi era costui. Avventuroso siciliano bazzico di questi tempi la citta di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e mi dicono in vendita alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale BI. La realtà reatina è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o con la stessa provincia di Roma. Non riesco a comprendere come si proceda ad obnubilare, per discutibili lesine sulla spesa, gloriose istituzioni. Una sede provinciale è centro propulsivo propugna iniziative oculate e crea cultura, lega la periferia al centro, corregge distorsioni al momento del loro insorgere negli affari bancari e finanziari, svolge una vigilanza a stretto contatto con il territorio, ed altro, altro ancora. Giammai è vacuità dispersiva di fondi pubblici. Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito faccende di “interesse pubblico”, espressione che non convinceva i legulei ma che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi. Visto che in questo momento né Bertone né Tarantola si sono potuti impossessare dello scranno di via Nazionale 91, La prego Signor Governatore si conceda una pausa di riflessione, si convinca che risparmi per riforme dissennate ed “incolte” vanno dismessi. Gli “americani” che sono approdati a palazzo Koch vanno rettificati, corretti, ripensati e i loro errori gestionali devono essere superati ripristinando l’autoctona cultura italiana. E ciò glielo dico da Sinistra. Riapra Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il Paese gliene sarebbe grato.

22 agosto 2012

 

 

Nei pressi del Natale scorso, ricevuta una sostituzione della consueta strenna, ma stavolta in forma personalizzata ed intimista, riscrissi al signor governatore Ignazio Visco. Ne ho pubblicato il testo, ma emendato dalle confidenze che mi permettevo.

Tante volte avevo scritto ai miei ex superiori. Lo avevo fatto con Ossola, l’avevo fatto con De Sario, l’avevo fatto con Finocchiaro, l’avevo fatto soprattutto con Fazio: mai un rigo di risposta. Non mi degnavano.

Ma mentre me ne stavo in Sicilia, nel paese di Leonardo Sciascia, ecco una splendida sorpresa: mia moglie mi legge per filo un carinissimo pensiero personale nientemeno che del signor governatore Ignazio VISCO.

Codesta lettera per buona educazione dovrei tenermela riservatissima. Ma a me li stullicherie della buona borghesia mi danno fastidio. Io la pubblica. Spero che il governatore non se ne abbia a male. Non posso dire che sono in buonafede  .. in fondo mi sento dispensato da ogni obbligo di riservatezza perché trattasi di gesto gentile, signorile, democratico, rispettoso che segna un nuovo deal in Banca d’Italia. Ecco un segno che qualcosa sta cambiando in questo glorioso istituto con sede in via Nazionale 91 Roma. Che a dire il vero si stava sclerotizzando. Mi attiravo questa sera un sorriso compiacente di una bella signora (ed a me le donne piacciono anche se sono fedelissimo a mia moglie; se leggete La Donna del Mossad saprete  che assieme a De Sario ero l’unico monogamo dell’Ispettorato Vigilanza) facendole la genealogia dei successori nel massimo scranno di Via Nazionale, come per i papi a San Paolo fuori le mura. Tralasciamo i papi o gli antipapi dell’epoca fascista, dell’occupazione di Roma e partiamo dall’economo (sic) Einaudi (Andreini veniva malamente sbertucciato dalla signora governatrice quando si azzardava a lamentare il costo della bistecca per ottenere una busta in nero in più per il personale: la famiglia Einaudi correva il rischio di non mangiare più carne). Eccoci Menichella, cupo, serio o tetro nel parlare con De Gasperi ed altri d’altissimo loco, che pur di non fare strabordare il pinguissimo bilancio della banca di ultima istanza non assunse laureati per vent’anni. In Banca d’Italia si assumevano quindi solo applicati, uscieri e cassieri, semplici principali e centrali che figli di generali e dintorni andavano a lavorare in tight e cravattino. Certo poteva scapparci che nel liquidare certi assi ereditari in contanti chiedevano se c’erano tutti i DE CUIUS.

Venne Carli e fu il Risorgimento. Questa Italia non più contadina, non più pezzente, euforica, persino opulenta si deve alla ingegneria finanziaria del principe rinascimentale Guido Carli. Poi la notte dei lunghi coltelli del settembre 1974. Caso Sindona e Occhiuto che non vuole saperne di assistenze dissipatrici e si rivolta contro il nordico antagonista di due gradi superiore a lui, ma inidoneo a tenergli testa. Un senescente Baffi che passa dai libri ad un doppio talamo avrà gli osanna di chi glieli vorrà tributare, ma non i miei. Quando una volta ebbi a dovergli fare da commensale (i signori del Direttorio pensavano di democratizzarsi stando seduti nella frugale mensa aziendale - ma in stanzette riservate – con quattro o cinque della carriera direttiva): Oh! Ma lei è quello che l’avvocato Sindona la redarguisce con un “un tal Calogero Taverna”. La mia carriera era finita! Fece nervoso andarivieni per una intera notte preparandosi atterrito come uno studentello per il giorno dopo, convocato da Alibrandi. Ma Alibrandi fu cortesissimo: si alzò in piedi e andò ad ossequiarlo. L’interrogatorio fu un rispettosissimo declinare le generalità e il magistrato si scusò persino per l’incomodo.

Lascio Ercolani alle sue conquiste, anche ad ottant’anni e mi dovrei dilungare nell’ossequio a Ciampi: diciamo che nessun grande uomo è grande per la sua cameriera  ed io cameriere di codesti grandi uomini lo sono stato. Non fatemi parlare, finirei inquisito per vilipendio. Certo io a Ciampi glie ne ho dette .. ma lui me ne ha date. Chiamerei a testimoniare persino Sarcinelli.

Che dire di Fazio? In questi ultimi tempi mi ero persino impegnato a difenderlo, ma uno sciagurato Confiteor con risposte in latino ad un abile Mucchetti ha rovinato tutto: una condanna definitiva ed un rinvio al secondo grado da parte della Cassazione lo stanno squartando anche finanziariamente, persino il grande avvocato deve pagare di tasca sua: la Banca d’Italia non intende accollarsi spese legali di sorta.

Sull’americanino Gradi  che debbo dire? Non è che l’occultamento di derivati dalla finanza creativa di provenienza statunitense si deve a questo ex direttore generale del tesoro, emigrato in America e ritornato come estraneo ai vertici dell’ex istituto di emissione.

Ora che la Tarantola non è finita al top di via Nazionale per predilezione cardinalizia e per volontà del novello uomo della provvidenza un tal Silvio, insufflato da un tal Giulio junior  e al suo posto per un mancato regolamento dell’art. 19 ci sta il dottor Ignazio Visco io comincio a rasserenarmi. E’ uomo avveduto e colto, sa davvero di economia, è integro, educato e con qualche venatura rossa che ai miei occhi non guasta. Il MPS non gli appartiene: non è toscano, non è livornese, non è triglia. L’Italia può ben sperare. I dipendenti della Banca d’Italia un po’meno: si è messo in testa che la parsimonia si addice all’Istituto che una volta emetteva carta moneta.  Non mi piace che ogni lunedì nella sua sede di via XX settembre in quella strana cassa che si dice di sovvenzioni, c’è la fila da parte di postulanti qualche migliaio di euro chiesti in prestito sotto forma di apercredito.

Quello che Visco mi dice in risposta ai miei convenevoli (si fa per dire) l’accetto di buon grado e ringrazio. Peccato che non ho figli, diversamente quella elegante lettera gliela avrei lasciato come cespite di altissimo valore.

Quanto alla risposta per Rieti, sono molto costernato ma debbo dire che non sono d’accordo: se la Banca d’Italia ragiona con il metro mercantilistico dei costi/benefici scade in banale organismo con l’obbligo del profitto. E mi si dice che di questi tempi manco il conto economico riesce più a chiudere. Scempiaggine: mi chiamino e in quattro e quattr’otto pinguissimo ritorna il saldo sotto la linea patrimoniale. Certo quando la Tarantola faceva la ragioniera le cose sballottavano.  Vi sento puzza qui di vecchia gestione, alla Finocchiaro per intenderci. No! Signor governatore non si faccia infinocchiare: si sa che questo non è il suo campo. Non si fidi degli eredi dell’uomo che impoverì i dipendenti creando un ribellismo nella compagine impiegatizia che tanto ha contribuito al deterioramento del buon nome dell’istituto. Esiste l’Istituto della mobilità; non occorre licenziare basta spostare. Ai tempi di Carli (meglio di Occhiuto) l’ispettore capo alla Vigilana come cambiava e come migliorava il Servizio.

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