martedì 16 dicembre 2014

i del Carretto di Racalmuto


I DEL CARRETTO, SIGNORI DI RACALMUTO

 

Poco più che bisecolare risulta la vera signoria feudale che i Del Carretto ebbero  a dispiegare su Racalmuto: dalla prima investitura baronale di Matteo del Carretto da parte di Martino d’Aragona, il giovane   - che il Villabianca colloca nel 1392, il giorno 4 di giugno ([1]) - sino alla malinconica scomparsa della grande famiglia dei conti di Racalmuto, collocabile sotto la data del 10 Luglio  1716,  ([2]) corrono infatti 224 anni.

Bisogna, invero, aggiungere un preludio quasi secolare di presenza dei Del Carretto a Racalmuto  (dal  1307, data del matrimonio tra Costanza Chiaramonte ed il sedicente Marchese di Savona e di Finale, Antonio del Carretto([3]), sino all’investitura baronale di Matteo del Carretto), ma trattasi di ambigua signoria, malcerta e di sicuro intermittente, emergendo una egemonia sovraordinata della potente famiglia agrigentina dei Chiaramonte.

Il primo e vero storico della famiglia dei Del Carretto, baroni prima e conti dopo di Racalmuto, riteniamo l’arcigno Marchese di Villabianca con la sua diligente opera del 1759([4]): prima di lui il Fazello, il Pirri, l’Inveges, il Mugnos, il Di Giovanni, il c.d. Muscia, il Barberi  e - a seguire lo stesso Marchese di Villabianca -  il Ciacconio ([5]), il  Crescenzi ([6]), il  Barone ([7]), il Savasta ([8] ed il Sansovini ([9]), tutti costoro  avevano mostrato interesse per le vicende dei Del Carretto di Racalmuto, ma erano stati accenni qualche volta infelici, non sempre attendibili, in ogni caso incompleti. Quel signore settecentesco, reazionario e fieramente aristocratico e feudale ([10]), ci fornisce un quadro lucido, documentato ed appassianante - anche se lo stile è ovviamente vetusto - di quella che è stata la vicenda feudale della baronia e contea del nostro paese. Dopo il Villabianca, tanti si sono cimentati nella ricostruzione storica della pagina araldica dei Del Carretto, ma ci appaiono tutti tributari del nostro Marchese e, sostanzialmente nulla aggiungono a quanto saputo, ove si eccettui una qualche nota critica. Così è sicuramente per la ponderosa opera del San Martino-Spucches.

Ebbe di certo tra le mani l’opera del Villabianca il racalmutese Tinebra- Martorana e vi razziò ingordamente: era, però, appena ventenne e non aveva né voglia né tendenza ad analisi critiche: qualche documento locale, come quello del sarcofago di Girolamo del Carretto o come quelli fornitigli maliziosamente dai Tulumello sul terraggio e terraggiolo da corrispondere a quei conti di Racalmuto, gli fu sufficiente per imbastire una storia imprecisa e spesso erronea sulla signoria dei Del Carretto, la quale storia ebbe, a distanza di quasi un secolo, il non corrodibile avallo del grande Leonardo Sciascia. Non sarà facile per chiunque scalfire l’imperante ricostruzione Tinebra Martorana-Sciascia e così tanti continueranno a credere che nel seicento abbiamo avuto tre, anziché due, Girolamo del Carretto o che il terraggio e terraggiolo  fossero esose invenzioni dei Del Carretto ([11]).

Chi, da ultimo, si è industriato per recuperare alla memoria eventi certi del casato dei Del Carretto è stato il prof. Giuseppe Nalbone ([12]). Dall’8 aprile 1993  sino al giugno del 1994 ha scandagliato gli archivi di Stato di Palermo e la sua fatica è stata premiata con il rinvenimento di molteplici diplomi, privilegi e documenti che irradiano una vivida  luce sulla storia dei Del Carretto e finalmente ce la restituiscono nel suo intenso ed obiettivo defluire. Poco o punto è il risultato rettificativo dell’opera del marchese di Villanova, ma tanta è la portata esplicativa di istituti, interventi, ruoli, imposizioni, condizionamenti ed altro di una vicenda feudale trisecolare che investe l’essere ed il forgiarsi della vita civile e sociale dei nostri antenati racalmutesi. Riaffiorano nomi e cognomi di segreti, castellani, giurati, maestri notari, fiscali, capitani etc. Tanti di loro non hanno più eredi a Racalmuto, ma taluni sono  invece ricollegabili a figure tipiche del grande teatro che tuttora persiste tra la gente del nostro altopiano.

Generosamente il prof. Giuseppe Nalbone ci ha messo a disposizione la gran massa di microfilm della documentazione reperita.  Per chi, come chi scrive, non ha competenza professionale nella paleografia e nel latino medievale non è agevole districarvisi: il succo però non sfugge.

Tre gruppi di documenti scandiscono tre momenti salienti della storia di racalmuto sotto i Del Carretto.

Una serie di diplomi e privilegi è stata rinvenuta nella «REALE CANCELLERIA» dell’Archivio di Stato di Palermo: buste nn. 17 (anni 1390-1400); 26 dell’anno 1396 e 38 del biennio  1399-1401. Retrospettivamente, è una conferma di alcuni passaggi del marchese di Villanova sulle ardite mene matrimoniali dei Del Carretto con le ricche ereditiere dell’agrigentino, specie se appartenenti all’invadente famiglia chiaramontana.  Siamo nel pieno del trambusto trecentesco siciliano. Nei dettagli è una coeva articolazione del processo amministrativo di assegnazione della baronia di Racalmuto all’intrigante Matteo del Carretto.

Il prof. Giuseppe Nalbone ha, quindi, setacciato i processi d’investitura e si è procurata la microfilmatura di quelli che riguardano i Del Carretto, mettendo insieme la serie completa delle investiture a quella famiglia dal 1452 al 1600. Questa la sfilza delle pressoché ignote fonti documentali:

ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO 20\11\1993
SALA DI STUDIO CATENA . RIPR. N. 3253  - N. 259
COPIA DEGLI ATTI RIGUARDANTI
1) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1482 PROC. 21 - ANNO 1452 - FACCIATE 7
2) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1487 PROC. 1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11
3) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1514 PROC. 2162 - ANNO 1558 - FACCIATE 5
4) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1517 PROC. 2354 - ANNO 1562 - FACCIATE 11
5) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1538 PROC. 2872 - ANNO 1584 - FACCIATE 30
6) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1555 PROC. 3542 - ANNO 1600 - FACCIATE 9

 

La decifrazione dei  73 documenti consente l’abbozzo di un periodo storico racalmutese bisecolare: dal  1400 sino al 1600. Dal  processo n. 21 del 1452 stralciamo qui, per fornire subito una qualche idea sul contenuto dei documenti, alcuni passi sull’insediamento dei primi   tre baroni di Racalmuto: Matteo, Giovanni e Federico.

Item quod dictus quondam magnificus dominus  Mattheus de Garrecto et quondam magnifica domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus jugalibus natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et naturalis percipiendo fructus redditus et proventus usque ad eius mortem et de hoc fuit vox notoria et fama publica.([13])

 

 

Item quod ex dicto magnifico domino Johanne et magnifica domina Elsa jugalibus natus et procreatus fuit dominus magnificus dominus Federicus de Garrecto ad presens baro dictae baronie Rayalmuti et qui tamquam filius legitimus et naturalis subcessit in baroniae predictae percipiendo fructus redditus et proventus et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica. ([14])

 

Correva, come suol dirsi, l’anno del Signore 1453 quando veniva accordata a Federico del Carretto l’investitura della baronia di Racalmuto.  Le testimonianze istruttorie erano state raccolte a Palermo il 4 di agosto dello stesso anno.

 

Il terzo gruppo di documenti  accende i riflettori sulle tragiche uccisioni consecutive di tre Del Carretto: Giovanni III nel 1606 a Palermo, Girolamo II nel 1612 a Racalmuto e Giovanni IV giustiziato a Palermo nel 1650 ([15])

Sulla base della citata bibliografia, ma principalmente alla luce delle fonti documentali scoperte dal prof. Giuseppe Nalbone, è raffigurabile il seguente quadro sinottico dei Del Carretto, signori di Racalmuto.



[1]) F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV]: «....... MATTEO ottenuto avea prima l'invest. dello Stato di RAGALMUTO per privilegio di Rè MARTINO data in Palermo a dì 4. Giugno 4. Ind. 1392 (b) [R. CANCELL. lib. an. 1391. fog. 71], e per regie lettere di esso a 5. Frebbraro di detto anno, nelle queli viene egli chiamato da esso Sovrano col titolo di B. di RAGALMUTO, e con il trattamento, che più importa, di Marchese di Savona (c) [PROT. an. 1392. Sign. lit. E. f. 95].»
 
[2]) ibidem: «...... estinti essi in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passando detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716....»
[3]) ibidem, pp.200-201:  «..... Da questa Dama nacque Costanza unica di lor figliola, che nel 1307, nobilmente si sposò ad Antonio del Carretto Marchese di Savona, e del Finale [p.201] provieniente dalla Real Famiglia del Carretto derivata da Aleramo figliolo di Vitichindo Secondo Duca di Sassonia, e madre feconda di Pontefici di Porporati, [....] celebrandosi tal maritaggio nella Città di Girgenti per gli atti di Notar Bonsignor Tomasio Terrana di Girgenti a dì 11 settembre  1307, ratificato in Finale l'istesso anno, come riferisce Barone ragionando di quella Casa Carretto nel suo libro De Maiest. Panorm. lib. 3. c. 11. lit. C., l'istesso anche confermando il testamento testè cennato di esso Barone Federigo fatto  nel 1311. a 27. di Dicembre 10 Ind., e poscia pubblicato a 22. di Gennajo del 1313. negli atti di Notar Pietro di Patti  con tali parole: Item instituo, facio, et ordino haeredem meam universalem in omnibus bonis meis Contantiam fialiam meam, consortem nobilis Domini Antonini Marchionis Saonae, et Domini Finari. Cui Dominae Contantiae haeredi meae, eius filios, et filias in ipsa haereditae substituo; ita tamen, quod si forte, [quod absit] dicta Domina Constantia absque liberis statim annos impleverit; quod ipsa haereditas ad Dominum Manfridum Comitem Mohac, et Joannem de Claromonte milites fratres meos, legitimè, et integrè revertatur.... »
[4]) vedi nota sub 1).
[5]) Ciacconio Vite de'Papi, e Cardinali ediz. Vaticana del 1630 t.2. f. 1376
[6]) Crescenzi par. 1. narraz. 20. cap. I f. 568
[7]) Barone nel suo Anfit.  Sic. Nob. lib. Proc. f.
[8]) Savasta Caso di Sciacca tratt. 2 cap. 14 fog. 42
[9]) Sansovini Case Illustr. d'Italia  ediz. di Venezia del 1670 f. 317 e 319
[10]) valga per tutti quel che scrive Ernesto Pontieri in Il Tramonto del Baronaggio  - G.C. Sansoni Editore Firenze - pag. 97  - che tra l’altro vuole il Villabianca   «...  un vecchio patrizio fiero ed austero......».
[11]) Pagina di avvincente valore artistico, ma di populistica alterazione storica, è quella che Sciascia ebbe ad inframmettere nelle sue PARROCCHIE DI REGALPETRA, ritrascrivendo passi del Tinebra-Martorana. - «Oltre alle numerose  tasse e donativi e imposizioni feudali, che gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, - così Sciascia ricostruisce quella che  chiama ‘anonima memoria’, ma vedi Tinebra-Martorona pp. 125-126 -  i suoi signori erano soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i  del Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro stato, benhè le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti, avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi, e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di regalpetra dovevano pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in consiglio i borgesi di regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le tasse necessarie alla prelevazione  di quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada di Brenno  ... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il terraggio e il  terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse».  E nella MORTE DELL’INQUISITORE - pag. 180 -  Sciascia viene ancor  più allo scoperto  precisando e ribadendo che: «..una memoria della fine del '600 (oggi introvabile, ma trascritta in riassunto da Nicolò Tinebra Martorana, autore di una buona storia del paese) dice della vessatoria pressione fiscale esercitata dai del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il  terraggio e il  terraggiolo, che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed arbitrio: e non solo si esigevano da coloro che erano effettivamente enfiteuti nella contea di Racalmuto, ma anche da coloro che soltanto avevano domicilio  nella contea e avevano enfiteusi fuori del territorio; e non dovevano essere pochi in questa condizione. Per cui la fuga di contadini dai dominî dei del Carretto fu per secoli continua, e in certi periodi addirittura massiccia: e i ripopolamenti coatto o di franchigia non riuscivano a colmare dei tutto i vuoti lasciati dai fuggitivi.
Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la signoria di Girolamo II i   borgesi di Racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non si trattase di un riscatto da certe tasse, ma del definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra baronale a terra demaniale, reale.
Per mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.»
 
 
[12]) Nato nel 1924 da Luigi Nalbone e Vincenza Todaro, appartiene alla prestigiosa famiglia dei Nalbone di Racalmuto. Dal XVI° secolo sino ad oggi i Nalbone figurano nella storia locale e ne hanno di certo, specie a partire dal ‘700, condizionato la vita pubblica, civile,  sociale, economica ed anche - in modo marcato - quella religiosa. Il prof. Giuseppe Nalbone, medico ed accademico di vaglia, è vanto per Racalmuto andando ad arricchire la gloriosa tradizione dei grandi medici originari del luogo. Ritiratosi dalla professione, sollecitato dai quesiti genealogici di un lontano suo parente, figlio di emigranti racalmutesi del XIX° secolo, ha scoperto un impensato  interesse per le ricerche storiche ed archivistiche.  Dotato di acume scientifico e forgiato ai rigori della sua professione medica e radiologica, sta riesumando documenti ed episodi che giacevano sepolti negli archivi di Stato di Palermo ed Agrigento o in quelli vescovili di Agrigento, non mancando di recuperare quelli importanti, ma negletti, della matrice di Racalmuto. Fondamentali risultano  le sue ricostruzioni  storiche delle antiche e scomparse  chiese e chiesette di Racalmuto verso le quali nutre una  trepida passione.
[13]) Si attesta che inoltre il fu magnifico don Matteo de Garretto e la fu magnifica donna Alionora (Eleonora) furono legittimi marito e moglie, e dalle loro nozze nacque e fu procreato il fu magnifico don Giovanni de Garretto, il quale successe nel casalee nel castello di Rayalmuti (Racalmuto) percependone  i redditi ed i proventi sino alla sua morte, e di ciò fu voce notoria e fama pubblica.
[14]) Si attesta altresì che dal suddetto magnifico don Giovanni e dalla suddetta magnifica donna Elsa, coniugi, nacque e fu procreato il magnifico don Federico de Garretto, al presente barone della predetta baronia di Racalmuto, il quale come figlio legittimo e naturale ebbe in successione la predetta baronia, percependone frutti, redditi  e proventi, e di ciò fu ed è voce notoria e fama pubblica.
[15]) A mo’ di anticipazione, ci limitiamo per il momento a riportare qui un passo dell’opera di San Martino Spucches: « Questo conte prese parte alla congiura di alcuni nobili palermitani e di una classe eletta di intelligenti (1649) tendente a ristabilire in Sicilia un Re proprio, e curare la sua indipendenza. Di essa parla diffusamente Giovan Battista CARUSO nelle sue Memorie Storiche di Sicilia, volume II, parte III, pag. 132 e seguenti. Scoperta la congiura, il Conte di Racalmuto fu dichiarato reo di alto tradimento e giustiziato nel regio Castello di Palermo a 26 febbraio 1650 (AURIA, Diario Palermitano).»

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