domenica 7 settembre 2014

Sciascia avrebbe letto Malerba

Il grande grandissimo Sciascia è immortale e giocoforza è sempre presente sulla scena soprattutto racalmutese e quindi grottese e magari anche la Spillina se ne serve per far colpo. Non si rende conto che finisce col giovarsi dello scrittore a la page pur essendo mi pare giurgintana: questo lo posso assicurare - la città che Sciascia non amò. Tolti naturalmente la Lucchesiana, specie dopo il divertente episodio di un preside esperto in lettere antiche che prese una gran papera nel tradurre un cartiglio di quella biblioteca del vescovo Lucchesi-Palli  e cioè Bufalino, nonché padre de Gregorio che fascista quasi nazista corresse Bufalino e si mise ad adorare il laico Sciascia.
Quest'altra verità la posso affermare ancora io: Sciascia avrebbe letto Malerba, perché Sciascia leggeva tutto. Quanto poi a non fare il suo indisponente sorrisetto ironico non ci metterei la mano sul fuoco. Rimembro tre  episodi.
Ben Morreale, un uomo della CIA finito a Racalmuto ospite di questo e di quello, scrisse un romanzetto SORCI VERDI ove in definitiva si fa una grande parodia del giovane Maestro di Regalpetra che lo spione americano riteneva quello che Sciascia mai fu, un comunista. Sciascia ebbe quel libro, lo lesse, l'apprezzò persino e deferentemente lo lasciò in eredità alla Biblioteca Comunale di Racalmuto, che è una buona biblioteca, meglio che ricorrere alla evanescente Fondazione.
Padre Arrigo fu prete estroverso, avventuriero, amante di donne anche se qualcuna un noto avvocato imprenditore locale gliela fregò. Certo, era stato a Favara e lì fu ardito con le giovani Figlie di Maria. Quindi dovette far fagotto e approdare nella terra natia, al Carmine arraffandosi, sine titulo, il secentesco beneficio del Crucifisso. Entrato nelle paturnie del cinquantennio, ritenne la sua vita degna di futura memoria e si accinse a stilare un volume autobiografico. Considerava Sciascia un suo figlio spirituale e così
pretese che Sciascia leggesse e prefazionasse il suo gran parto letterario. Sciascia si prese avidamente il manoscritto. Molto interessato perché riteneva quella confessione veridica e di conseguenza alquanto pruriginosa. Ma ne rimase deluso: niente sesso, solo malignità verso i confratelli preti, specie il padre Calogero Picone.
Lasciò passare qualche mese. Un bel giorno restituì il manoscritto non all'autore ma al suo amico padre Fofò Puma Pagliarello. "Fofò - gli disse - teccà chistu è libru vuostro, cosa vostra. Iu nenti ci capisciu". Padre Puma riconsegnò il manoscritto a padre Arrigo che divenne una furia. "Strunzu, ma chi cazzu cridi di esseri". Il libro dal doppio titolo con disegno del nostro padre Fofò e cioè SVOLTA PERICOLOSA-LA BERRETTA DEL PRETE vide la luce tipografica con sussiegosa e ammiccante prefazione dell'altro genio racalmutese, sia pure in nero, il padre gesuita Salvatore Scimé (Garibardi) S. J.
Ho cercato di leggere quel libro: non sono mai riuscito a giungere alla fine: tedio e sonno me l'hanno impedito.

Terzo caso. Uno strano scriteriato del luogo credette di essere sapido narratore in quanto aveva una storia di famiglia che pensava esemplare. Scrisse il libro. Mi pare che s'intitolasse LA LUPA o simile. Si riteneva figliolino di Sciascia e a tutti costi pretendeva l'avallo dell'uomo della Noce. Avere udienza alla Noce era privilegio concesso a pochi, se racalmutesi: libero accesso invece alla miriade di presunti uomini di cultura se stranieri, meno i giurgintani: Lauretta credo non ebbe mai il piacere di stringere la mano al Nostro e Camilleri credo che venisse sbeffeggiato da un scettico Sciascia quando ospite di Moravia gli toccava stringere la mano a Pasolini essendo notoria l'omofobia di Leonardo e sorridere all'acida Maraini prima che questa si scatenasse contro Nanà reo di avere divulgato una grande verità: l'esistenza ancora in Sicilia del matriarcato. L'autore della lupa non ebbe mai possibilità di illustrare il suo risibile manoscritto a Nanà. Allora si rivolse a Giacomino Bellocchio, che discepolo - dice lui - alle elementari veniva tollerato dal Grande, anche perché Giacomino è ilare soggetto, gradevolissimo e non ha velleità né poetiche, né scrittorie, né giornalistiche. Ma se lo intervistano alla Radio della Pivetti è capace di oscurare il loquace autore di una Controstoria, il Taverna, cioè.
Giacomino consegna a Nanà il manoscritto onde trattasi. Nanà è visibilbente contrariato, ma a Giacomino concede: "lassalu ddruoccu. Forsi na talita cci la dugnu". Dopo molto tempo chiama Giacomino e gli riconsegna il parto letterario. "chi ta ddiri, iu nun sacciu scriviri accussì, ma nni sti tiempi ora si scrivi diversu,capaci ca chissu ha truvatu una forma moderna di scrivere. Dicci ca continua".
 
 
 
 
 

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