domenica 14 settembre 2014

antisemitismo nella Racalmuto quattrocentesca


LIUNI DI RACARMUTO GIUSTIZIA L’EBREO SADIA DI PALERMO

 

Attorno alla metà del secolo, un grave episodio di intolleranza religiosa contro gli ebrei - in cui però preminente è l’aspetto di comune criminalità - si verifica nelle immediate adiacenze di Racalmuto. Era l’anno 1474: si perpetra una efferata esecuzione dell’ebreo locale Sadia di Palermo. In un documento del 7 luglio 1474 VII Ind., vengono narrate le circostanze raccapriccianti del crimine. Leggiamo: Il Vicere' Lop Ximen Durrea da' commissione ad Oliverio RAFFA  di recarsi  a  Racalmuto per punire coloro che  uccisero  il giudeo Sadia  di  Palermo, e di pubblicare un bando a  Girgenti  per  la protezione di quei giudei.

Continuiamo la nostra narrazione riportando testualmente il linguaggio dei funzionari di polizia dell’epoca, che ci torna particolarmente gradito svolgendosi il racconto in vernacolo siciliano: 

diviti sapiri comu quisti iorni prossimi passati Sadia di Palermo iudeu lu quali habitava in lu casali di Raxalmuto actendendo ad alcuni soy fachendi li quali fachia in lu  dictu casali fu primo locu mortalmenti feruto da uno Liuni figlastro di mastro  Raneri; et dapoy alcuni altri di lu dictu casali  quasi  a tumultu et furia di populu dediru infiniti colpi a lu dictu iudeu non  havendu  timuri alcuno di iusticia. Immo,  diabolico  spiritu ducti,  tagliaro  la lingua et altri menbri et  ruppiro  li  denti usando in la persuna di lu dictu iudeu multi crudelitati et demum lu  gettaru  in una fossa et copersilu di pagla et  gictaru  foco petri  et  terra.  La qual cosa essendo di  malo  exemplo  merita grande  punicioni et nui tali commoturi di popolo et  delinquenti volimo siano ben puniti et castigati a talchi ad ipsi sia pena et supplicio et a li altri terruri et exemplo. E pertanto confidando di  la vostra prudencia ydonitay et sufficiencia havimo  provisto per  sapiri la veritati e quilli foru a tali malici participi  et culpabili. et per la presenti vi dichimo commictimo et  comandamo che  vi digiati personaliter conferiri in lu dictu casali et  cum quilla  discrepcioni  lu casu riquedi digiati inquisiri et investigari cui dedi a lu dictu et li persuni li quali si trovaro a lu dictu tumultu et actu. Et eciam si lu populu fra loru accordaru amazari lu dictu iudeu et cui si trovau presenti  et partechipi a la dicta morti et delicto. Et de  tucti li sopradicti cosi fariti prindiri in scriptis informacioni et in reddito vestru li portariti a nui. Comandanduvi chi cum  diligencia  et cum quilla discrecioni da vui confidamo digiati  prindiri de  personis tucti quilli foru culpabili et si trovaro alo  dicto acto et quilli digiati minari in la chitati di Girgenti et carcerarili  in  lu castellu di la dicta chitati in modo  chi  non  si pocza  di loro fuga dubitari. E perche siamo informati che  a  lu dictu iudeu fu prisa certa roba et intra li altri uno gippuni  in lu quali si dichi erano cosuti chentochinquanta pezi d’oro, farriti di  lo  dicto gippuni e di tucta laltra roba libri  et  scripturi diligenti  investigacioni  et perquisicioni cui li  prisi  et  in putiri  di chi persuna sono.

Quel tesoro non fu più ritrovato. Non valsero neppure gli anatemi del sacerdote ad indurre alla restituzione  dei 150 pezzi d’oro trafugati dallo “jppuni” del povero ebreo Sadia di Palermo, racalmutese di vecchia data. Lo spaccato della società locale non appare molto edificante. Non possono comunque da un singolo episodio trarsi valenze generali che sarebbero solo generiche e fuorvianti. Ma l’indignazione rimane e la tentazione alla condanna di tutta la comunità ecclesiale dell’epoca è piuttosto irrefrenabile. Alcuni tratti, un marchio, un DNA, riconducibili alle famiglie citate nel quattrocentesco dispaccio, qualcuno potrebbe ravvisarli ancora in taluni personaggi locali.

Dopo abbiamo la cacciata degli ebrei e, al di là di un toponimo (lu iudì) e di un equivoco nome dato ad una specie di lumache (lu iudiscu) di giudeo a Racalmuto nulla resta, fatta eccezione di un tal Sacerdote che alla fine dell’Ottocento finisce nelle carceri di S. Francesco, mentre la moglie partorice un figlio in un malsano casalorare, assistita solo da una svogliata mammana.

La famiglia giudea quattrocentesca, resa saggia forse da quel nefando delitto, si premurò a prendere il battesimo; poté quindi mimetizzarsi e passare indenne al tempo del francescano furore antisemita di fine XV secolo.

 

Vagamente riferibile a Racalmuto è quanto il settecentesco canonico Giovanni di Giovanni narra sulla cacciata degli ebrei da Agrigento. [1] Ne riportiamo uno stralcio che ben ci illumina dell’ingordigia della curia vescovile che si appropria dei beni di una scuola ebrea, dissolvendo ogni centro culturale alternativo con riflessi oscurantistici sul circondario, Racalmuto compreso. stralcio per il facile rinvio alle cose di Racalmuto.

«Resta che diciamo una qualche cosa del benefizio Ecclesiastico della Scuola de’ Giudei di Girgenti: fu prima questo benefizio uno de’ Canonicati della Cattedrale della medesima città, e l’ebbe in primo luogo Guglielmo Raimondo Moncada. Tale benefizio si chiamò così perché fu fondato appunto in quel luogo medesimo ove gli Ebrei di questa comunità prima della loro espulsione avevano la loro scuola.» (v. pp.296-297)

E proseguiamo con la sintesi degli eventi che ci fornisce il nostro avv. Giuseppe Picone: [2]

«Alle istigazioni dei preti e degli ufficiali di governo, il popolo si era sguinzagliato contro i miseri ebrei, sì che nel 1487 avvennero tumulti in varie città, e moltissimi ne furono uccisi. Lo ammutinamento e le congiure non cessarono, e nel 1491 spinsero il governo ad accelerare la espulsione.  […] Invano dagli Ebrei tutti di Sicilia furono offerte al re trentamila monete d’oro. Il re tentennò sulle prime, ma vigliacco e superstizioso cedette alle minacciose insinuazioni del domenicano Torrecremata, fu inesorabile, e a trentuno gennaio 1492 soscriveva lo editto.

«Il viceré … a dodici agosto del 1492 scriveva a Giovanni Delpalazzo, segreto di Girgenti, che non se ne permettesse la partenza[degli Ebrei], se pria non avessero soddisfatto a tutte le gravezze perpetue in capitale!!! .. a ragione del quattro per cento!!

«Prolungavasi il termine della partenza fino a dodici gennaio 1493, ma stanchi gli ebrei del modo onde i regi ufficiali incrudelivano sovr’essi, partirono a trentuno dicembre del 1492, lasciando ai nostri avi il rimorso della violata ospitalità, lo scadimento sensibile della popolazione, lo invilimento del commercio, a far rifiorire il quale furono vani i proclami di Carlo II e Carlo V, onde gli Ebrei venivano richiamati in Sicilia.

«La nostra terra inospitale fu esacrata non solo dagli Ebrei,  … ma bensì da qualunque nazione commerciante.. Essi partivano, e il nostro popolo ne fece baldoria, e vittima dei falsati principi, propagati da un governo ignorante ed ingordo, e da preti non meno ingordi e fanatici, ne tripudiò! … ma ne pianse in seguito del pianto della miseria che gli sopravvenne!…»

Non siamo propensi a credere, sulla scia del Tinebra Martorana, che a Racalmuto vi fosse una fiorente comunità ebrea, diversamente da quello che scrive il Valenti. [3] Quanto sappiamo di storicamente certo è quel truce delitto che abbiamo sopra narrato, avvalendoci dei documenti pubblicati dai fratelli Lagumina. Solo qualche isolato ebreo, emigrato da Agrigento, poté approdare a Racalmuto e forse ebbe ad abitare nella contrada dello Judì. Il Sadia, ebreo di Racalmuto, ebbe presumibilmente famiglia, che con tutta probabilità sfuggì alla persecuzione del 1492. Sotto un diverso cognome, quel ceppo può continuare a sopravvivere nella patria di Sciascia. Il vivere decentrati poté alla fine risultare un vantaggio.

 

Lo sviluppo demografico racalmutese nel XV secolo.

 

Il secolo si chiude con un rivelo che viene datato 1505. Di questa specie di censimento abbiamo due fonti: una madrilena ed una palermitana (ms. della Biblioteca Comunale di Palermo: 3Qq B69); i dati non sono però coincidenti, come ha dimostrato la Cancila[4]. Per quel che a noi più preme, ci basta questo abbozzo esplicativo dei dati relativi al nostro paese:

RACALMUTO, terra baronale della Val di Mazara, prov. di Agrigento [estensione kmq 432,7], importo della tanda del donativo regio (censimento del 1505), prima del rivelo onze 10; dopo il rivelo onze 16; n.° fuochi 473 (che, moltiplicati per il coefficiente per fuoco del 3,53 fanno n.°  1670 persone).

Proseguiamo con alcune considerazioni d’indole fiscale: secondo la Cancila, [5] non è del tutto fuori luogo affermare che  «sulla base del censimento della popolazione del 1505 [ma era un censimento veridico e completo? n.d.r.]  nelle città demaniali ogni fuoco pagasse in media 2,45 tarì per ogni tanda e in quelle baronali 1,88 tarì, mentre la media siciliana equivaleva a 2,13 tarì per fuoco.»

Racalmuto stava di gran lunga al di sotto: con il suo un tarì per ognuno dei 473 fuochi aveva una pressione fiscale pari al 40,82% di quella delle città demaniali; al 53,19% della pressione delle città baronali e al 46,95% della incidenza media dell’intera Sicilia.

Può forse sostenersi che il dominio dei Del Carretto riuscisse a temperare di molto l’aggressione tributaria spagnola.

Secondo l’A.,[6] «il Val di Mazara contribuiva per il 31,9% con 2.559 onze e una media di 2,12 tarì a fuoco». Racalmuto, che rappresentava lo 0,04% dell’apporto di tutto il vallo, si ovattava ad appena il 47,17% della media dello stesso vallo di appartenenza.

Passando alle terre feudali di Val di Mazara (1,58% tarì a fuoco), Racalmuto non va al di là del 63,29% dell’onere per singolo fuoco dei centri similari del proprio circondario.

Dobbiamo dunque desumere, sulla scia della Cancila, che il paese fosse la terra più povera dell’intera Sicilia, più povera persino del Val Demone che pagava, fanalino di coda, 1,46 tarì a fuoco? oppure che era il luogo meno tartassato dell’Isola?

Scrive la Cancila che «i dati analitici [del censimento del 1505] andarono dispersi, mentre rimasero noti quelli complessivi grazie ai manoscritti seicenteschi della Biblioteca Comunale di Palermo, che ci forniscono il numero dei fuochi, delle anime e delle facoltà dei tre  Valli e riportano, separatamente i valori di Palermo, Messina con casali e Catania.

Solamente su questi elementi, dunque, hanno potuto lavorare gli storici che hanno studiato la popolazione siciliana degli inizi del XVI secolo»[7].

Col rinvenimento del manoscritto di Madrid, le possibilità di studio si sono allargate. Ma trattasi sempre del rivelo dei fuochi paganti: restano esclusi quelli dei «miserabili».

I fuochi dei «miserabili» di Racalmuto quanti erano? E’ domanda sinora senza risposta.

Sia pure in base ad una nostra mera congettura, non dovremmo essere lontani dal vero ritenendo che si sia trattato di un quarto dei fuochi. Nella tassazione dell’arcidiacono Du Mazel (di cui sopra), il riparto era avvenuto chiedendo tre tarì agli abbienti, due tarì ai ceti medi ed un tarì ai ‘poveri’[8].

I fuochi paganti (n.° 136), divisi in tre parti diseguali, avevano fruttato alle casse del Papa di Avignone 7 onze 28 tarì (ma la cifra è controversa).[9] Anche allora, è da supporre che i “miserabili” fossero stati esentati. I loro fuochi quanti erano? Per la quadripartizione della popolazione (agiati, medi, poveri e miserabili), dovevano essere per lo meno la quarta parte.

 

E così la storia, pensiamo, si è ripetuta nel 1505.

 

Nel 1376[10], in quel censimento dell’arcidiacono, vi saranno stati degli evasori. Un dieci per cento? e altrettanto si sarà avuto nel 1505.

 

 

 

Il Bresc [11]ci fornisce questi ulteriori elementi:

 

 
1282 Taxe
feux déduits
archers
1376 feux recensés
1404 taxe
Racalmuto
15
75
4
136
5

 


 

Allo scoppio dei Vespri Siciliani, Racalmuto è un borgo di buone dimensioni, per i tempi. Finito nelle grinfie dei Musca e subito sottrattogli da Carlo d’Angiò per essere affidato al fedele Pietro de Nigrel du Beaumont, subisce il morso della prima sistematica tassazione nelle vicende del 1282. Bresc - come visto sopra - deduce da quella tassazione 75 fuochi che equivalgono a non più di 264,75 abitanti.

Il secolo XIII si chiude dunque con appena 300 racalmutesi: altro che le 2095 anime che Tinebra Martorana pensava che vivessero a Racalmuto alla fine del IX secolo.

Nel XIV secolo la popolazione ebbe sicuramente a raddoppiarsi e sulla base dei documenti vaticani pensiamo a cifre dell’ordine di 600-700 abitanti.

Il secolo successivo è quello del consolidamento della baronia dei Del Carretto: nel 1505 il rivelo segna 473 fuochi che già di per sé e senza calcolare gli errori e le omissioni ci danno la ragguardevole consistenza di 1.670. Vi fu dunque per lo meno una triplicazione della popolazione.



[1] ) Giovanni Di Giovanni, L’ebraismo della Sicilia, Palermo 1748, p. 289 e ss.
[2] ) Giuseppe Picone, Memorie storiche agrigentine, Agrigento 1982, p. 515 e ss.
[3] ) Calogero Valenti, Grotte – Origine e vicende storiche, Grotte 1996, p. 59.
[4]) Rosaria Cancila: Il censimento della popolazione siciliana del 1505 e la nuova ripartizione del carico fiscale, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale - anno 1989 - p. 75
[5]) Cancila, op. cit. p. 84.
[6]) Cancila, op. cit. p. 85.
[7]) Cancila, op. cit. p. 73.
[8]) Illuminato Peri, La Sicilia dopo il Vespro - uomini, città e campagne - 1282-1376 - Bari 1982, p. 235.             
[9]) Da  ARCHIVIO SEGRETO VATICANO: REG. AV. 192,  fol. 419 v.
Cfr. Jean GLÉNISSON:  DOCUMENTI DELL'ARCHIVIO VATICANO RELATIVI ALLA COLLETTORIA DI SICILIA  (1372-1375) in Rivista di storia della Chiesa in Italia II 1949 pagg. 225-262.
 
[10]) Seguiamo  la datazione del Bresc (vedi nota successiva). I documenti che esamineremo dopo ndicano, invero, l’anno 1375.
[11]) Henri Bresc, Un monde méditerraneéen.  Économie et société en Sicile - 1300 - 1450 - Regione Siciliana Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione - Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo  - 1986, Tomo I, pag. 64.

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