sabato 19 luglio 2014

io e Sasà Grossi


Il mio carissimo amico dottore Salvatore Grossi non c’è più. Trovo questi appunti e voglio pubblicarli per come me li ritrovo come se il sapiente Sasà fosse ancora vivo.

 

 

 

 

Un grande banchiere oggi, un ispettore superiore della vigilanza sulle aziende di credito della Banca d’Italia, ieri -  il dottore Salvatore Grossi la pensa per tanti versi in modo differente rispetto a certe nostre convinzioni meno agiografiche verso questo glorioso istituto di via nazionale, 91. Eppure alla fine convergiamo. Occorre restituire alla Banca d’Italia le prerogative che un quinquennio di egemonia tremontiana hanno avvilito e svilito. Un surge che è nell’interesse di tuutta l’Italia, specie in questo superamento del guado montiano  che le recenti vicissitudini elettorali impongono e già determinano.

 

 

 

La storia delle nostre istituzioni bancarie, purtroppo, spesso ci mostra dissesti non raramente conseguenti ad eventi delittuosi che coinvolgono anche  la vita civile e politica della nazione.

 

La storia della Banca d'Italia, da parte sua, è punteggiata da interventi che, a seguito di tali eventi, hanno condotto a soluzione gli stati di crisi provocati dagli eventi negativi, senza eccessivi turbamenti delle aspettative della clientela e, soprattutto, senza perdite da parte dei depositanti.

 

Potrebbe addirittura affermarsi che il nostro istituto di emissione detiene nel proprio DNA la vocazione alla sistemazione dei danni provocati da irresponsabili atteggiamenti (o peggio da deliberati propositi )  di personalità alle quali vengono affidate anche le sorti della nazione.

La Banca d'Italia nasce , infatti, proprio per mettere ordine nel dissennato  sistema di emissione di biglietti di banca; concessione che restò affidata alle istituzioni bancarie già detentrici di tale privilegio nel periodo precedente l'unità statuale della nazione, senza alcun preventivo vaglio delle capacità di autocontrollo delle stesse istituzioni.

Valga in proposito rammentare esplicitamente la vicenda della Banca Romana, che coinvolse finanche la corona d'Italia e mise a nudo l'incapacità della burocrazia pubblica a contrastare gli eventi .

 

L'attribuzione alla Banca d'Italia della facoltà di emissione (è restata, è vero, ancora per qualche decennio, tale concessione anche al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia) costituì  la designazione di fatto della stessa Banca d'Italia quale Banca Centrale.

 

Si è ancora lontani dalla costituzione di una “vigilanza bancaria”, ma non mancano esempi che dimostrano come l'Istituto abbia saputo e voluto esplicitare la propria funzione pubblica. Fu la Banca d'Italia, infatti a sostenere gran parte dell'onere finanziario che incombeva sullo stato per partecipare al primo conflitto mondiale e fu la Banca d'Italia a coordinare il sostegno della incipiente industrializzazione del paese.

 Si è ancora lontani dalla organica coesione delle istituzioni bancarie in un corpo che possa essere qualificato “sistema bancario”, ma l'attività svolta dalla Banca d'Italia avvia alla formazione di un tutto organico e funzionalmente unitario; mancano le norme specifiche che ufficializzino e qualifichino, appunto, l'organismo  come unitario.

 

Bisogna arrivare al 1926 perché sia riconosciuta alla Banca d'Italia la capacità culturale e tecnica di cui dispone e quindi attribuire con legge a questa istituzione l'onere ed il privilegio divigilare sull'operato delle banche.

Ma è dalle crisi che emergono le capacità innovative atte a fronteggiare la congiuntura negativa. Dopo la debacle della borsa di New York e la crisi conseguente che investi il mondo capitalista, si avvertì la necessità di attivare le misura adatte alla ripresa provvedendo al riordino dell'assetto industriale e del sistema bancario.

Il periodo storico (anno 1936) consentiva una azione dirigistica  che fosse in grado di provvedere a tale riordino. Di qui la necessità di addivenire alla definizione del sistema bancario con un indirizzo eminentemente pubblicistico ( la classificazione delle aziende di credito ne è patente dimostrazione).

L'incarico fu svolto, nonostante il regime (o forse grazie ad esso) dalla intellettualità liberale il cui pensiero non si era mai dissolto e che dominava fra le forze vitali della cultura in genere e di quella economica in specie.

 Cultura che nella o accanto alla Banca d'Italia e nel mondo bancario spesso ebbe la sua sede.

 Cultura che anche successivamente trovò accoglienza e fertilità nella Italia nata dalla resistenza.

 (Appare superfluo ricordare i nomi dei padri costituenti e delle alte gerarchie dei partiti che avevano avuto alimento e ispirazione ideale dal pensiero liberale, pur variamente esplicitato  .)

Cultura che in Banca d'Italia fu guida e collaborazione nelle scelte economiche e che costituì guida ed indirizzo per i tecnici esperti di cose e procedure bancarie, grazie alla presenza di analisti sempre attenti alle evoluzioni o involuzioni della “congiuntura”.

Gli studiosi ed i tecnici hanno avuto e continuano ad avere il ruolo di diffusori di idee e metodi grazie alla continua frequentazione dei centri di studi universitari e/o dei circoli economici bancari e produttivi.

Cultura che in campo internazionale viene favorevolmente accolta per riconosciuta esperienza  e per elaborazione intellettuale e apprezzata applicazione tecnica.

Cultura che,  aldilà dei contributi che frequentemente apporta per la definizione di principi informatori della attività bancaria (Comitato di Basile), rappresenta non infrequentemente giusto temperamento dei possibili appesantimenti della operatività delle istituzioni cui i principi stessi sono rivolti.

 

Cultura che, almeno in passato, ha consentito di assumere provvedimenti tecnici riconosciuti come essenziali interventi che non potevano essere criticati o sanzionati da altre istituzioni di governo o di tutela dell'ordine pubblico.

 E' pur vero che le istituzioni devono essere ciascuna libera di espletare il proprio mandato in maniera indipendente e senza che  sia loro inibito di estendere controlli su espressioni di attività di altre istituzioni. Ma è altrettanto vero e giustificato che la cosa pubblica abbia campo libero, senza intralci e contrasti di opinione, allorquando sia alle singole autorità riservata la competenza tecnica specialistica necessaria all'esplicitazione della attività demandatale.

Talvolta raffigurare come impropria o addirittura quale reato una iniziativa dettata appunto da specialistica competenza (e pertanto non assoggettabile a valutazioni esterne alla materia) diventa abuso o intimidazione (sia pure non voluti) che portano a perplessità esiziali perché ritardanti , se non addirittura impedenti, provvedimenti utili al buon funzionamento dell'apparato da tutelare e/o vigilare.

 

I conflitti fra apparati statuali sono talora inevitabili allorquando trattasi di valutazioni sulla competenza della attribuzione della materia;  devono però trovare remora allorquando lo stesso evento voglia essere riguardato da punti di osservazione impropri.

E' quanto purtroppo accaduto nel recente passato nel giudizio su un evento di sicura competenza della vigilanza bancaria, sottoposto a vaglio anche tecnico da istituzione giudiziaria e  perciò in tale prospettiva  giudicato.

Né vale a sanare l'errore commesso il giudizio diverso successivamente espresso in sede di appello. La tardiva (presunta) riparazione, pur se restituisce onorabilità e stima al ricorrente, non ha potuto sortire alcun effetto dal momento che il tempo trascorso non consente nel caso di specie alcun intervento sostanziale.

Non sembra inopportuno qui sottolineare che una maggiore prudenza avrebbe potuto evitare la rinuncia al mantenimento di un assetto utile all'interesse nazionale.

 

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