martedì 29 luglio 2014

blasfemie sicule

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Il Nanerottolo Romano
Il Nanerottolo Romano che non può reggere il mondo con la spada
di Melchiorre Gerbino

Nella seconda metà di settembre del 2003 pubblicavo sul sito Internet della casa editrice Asefi-Terziaria di Milano il saggio sul Vaticano Il Bambino Gesù mi vuole terrone in versione italiana e inglese. L’Asefi-Terziaria aveva già pubblicato tipograficamente il mio libro Area di Transito e Gianfranco Monti, il titolare, inviava ora 2500 e-mail de "Il Bambino Gesù mi vuole terrone" ad altrettanti suoi abbonati. Ne nascevano polemiche e i contatti giornalieri del sito triplicavano (da 40 a 120) e ne conseguivano derive su temi scottanti, come la politica del papa Pio XII verso l’Italia e la fine del papa Giovanni Paolo I, presumibilmente avvelenato dal Generale dei gesuiti Pedro Arrupe, quando, sul più bello, l’editore Gianfranco Monti veniva trovato morto su una rampa di scale di un condominio di Via Volta in Milano, dove possedeva un appartamento. Questa morte inaspettata avveniva l’8 dicembre 2003, a meno di 3 mesi dalla pubblicazione del saggio.
Appresa la notizia io lasciavo Calatafimi, il mio paese natale in Sicilia, dove mi trovavo, e l’11 mattina ero assieme a una quarantina di altre persone in un obitorio di Milano, per dare l’addio a Gianfranco Monti. Gianfranco Monti però, tre giorni dopo il trapasso, non riposava nel "rigor mortis", come sarebbe stato normale trovarlo, ma aveva i tratti del viso stravolti, e una benda era stata posta sulla sua bocca a celarne la smorfia. Nell’attonito ammutolimento degli astanti, Donatella, la vedova, rivolta a me disse ad alta voce "Vedi com’è diventato viola!". Sei giorni dopo, il 17 dicembre 2003, senza che fosse stata fatta l’autopsia e fuori dalla tradizione familiare, la vedova faceva cremare il corpo del marito, forse avendo ricevuto qualche "consiglio". Essendo la Asefi-Terziaria una casa editrice a conduzione familiare (Gianfranco e Donatella e i figli Giulia e Eugenio), la morte di Gianfranco ne menomava l’attività, tanto che de "Il Bambino Gesù mi vuole terrone" nessuno si sarebbe più potuto occupare. Se Gianfranco Monti è stato assassinato, lo è stato perché calasse il silenzio su "Il Bambino Gesù mi vuole terrone" e le polemiche che stava sollevando, e lo scopo era stato raggiunto da chi se lo era prefisso, e pur tuttavia, prima che fosse sospesa la partita, la Asefi-Terziaria inviava e-mail del saggio ai maggiori quotidiani del mondo, che li recepivano.

Due mesi dopo questi eventi mi recavo in Kenya a Mombasa (dove mi fermavo dal 21 febbraio al 20 marzo 2004) e lì mi convertivo all’Islam, recitando l’Atto di Fede alla presenza di testimoni musulmani.

Tornato a Milano mi ci fermavo fino a fine aprile. Poi rientravo a Calatafimi, dove possedevo una casa in campagna.
Il 14 maggio 2004 ero dunque a Calatafimi, e la sera mi recavo nel museo comunale per salutarvi Anita Garibaldi, pronipote di Giuseppe Garibaldi, la quale era stata invitata dal sindaco Nicola Cristaldi, per il secondo anno consecutivo, a presenziare alle celebrazioni della battaglia di Calatafimi del 15 maggio 1860. Essendole io andato incontro ed avendola abbracciata, grande fu il mio sconcerto nell’averla sentita scostante verso di me e fredda di ghiaccio! Tra lei e me c’era dimestichezza, avendola io conosciuta anni prima assieme al professor Salvatore Spinello, suo convivente, in una discoteca romana dove si progettavano manifestazioni per un’altra ricorrenza garibaldina e avendoli poi io frequentati assiduamente. Nella circostanza di quell’incontro nella discoteca romana, il professor Spinello m’aveva dato il suo biglietto da visita e m’aveva detto-"Sono un gran maestro di massoneria. Mi telefoni". Io, che ero curioso di conoscere l’ambiente massonico, l’avevo chiamato pochi giorni dopo e subito ero stato invitato a casa della Garibaldi, dove ero stato introdotto in una cerchia di persone con le quali mi ero intrattenuto. Fin da quella prima volta, e poi sempre, io non feci mistero di quello che pensavo del Vaticano, e quella sera stessa, argomentando sui rapporti che il Vaticano intratteneva con le nazioni dove numerosa era la comunità italiana, io ebbi a dire- "Il Vaticano, come prima mossa, vi manda un nunzio apostolico con i piani per introdurvi la mafia". Al che, il professor Spinello aveva troncato il mio dire con un brusco "Giovanotto!", che m’aveva lasciato interdetto, perché dalle mie letture sui massoni m’era parso evidente che essi fossero anti-papisti (vedono nel papa l’Anticristo, gli strappano l’anello dal dito e lo pestano tre volte sotto i piedi !). Il giorno dopo, nella Serenissima Gran Loggia Mistica degli A.L.A.M., dove andai a incontrarlo, il professor Spinello mi spiegò come nel 1912 un gruppo di massoni s’era staccato dalla Confessione di Palazzo Giustiniani (quelli che pestano l’anello) per dare vita alla nostra Confessione di Piazza del Gesù (purtroppo non riconosciuta da Londra!) e ch’era stato compiuto quel passo per andare incontro ai cattolici italiani, fin lì negletti, e portare loro la Luce.
Cominciai a frequentare la Serenissima Gran Loggia Mistica, incuriosito dalla figura del Professore. In verità non avevo mai conosciuto qualcuno più paradossale e indecifrabile di Salvatore Spinello. Egli gestiva una loggia dove non veniva nessuno, tranne il proprietario dei locali, che ogni giorno reclamava i soldi dell’affitto di sette mensilità arretrate, e se ne stava lì una buona ora a profferire minacce di sfratto, mentre il Professore adduceva scuse incredibili. Quando finalmente il proprietario se ne andava, il Professore, preso da un raptus di liberazione ed euforia, andava a scartabellare elenchi di "fratelli", non si sapeva più se "in sonno" o morti, e si metteva a fare proiezioni di quanti ne avrebbe potuto recuperare e calcoli di quante mensilità arretrate avrebbe potuto da loro riscuotere, per saldare i conti dell’affitto- e preparava memorandum per una segretaria inesistente, ma di cui si aspettava l’avvento. Io non mi spiegavo perché non mollasse tutto e si godesse in pace la vecchiaia. Il Professore non era un mitomane! Era stato durante la seconda guerra mondiale una sorta di Rambo, e s’era guadagnata una medaglia d’argento, e però, per la sua natura paradossale, non aveva mai imparato a nuotare e aveva terrore delle masse d’acqua.
Lì, nell’abbandono della Serenissima Gran Loggia Mistica, d’un tratto appariva il capo di una branca dei servizi segreti italiani, che a suo tempo aveva presentato il Professore a un capo dei servizi segreti americani, che aveva fatto un "provino" al Professore, che però non era andato bene, perché per quell’incarico in Italia era stato scelto Antonio di Pietro; oppure arrivava un vice-questore che gli veniva a raccontare di tutte le ammazzatine tra carabinieri e carabinieri, e tra carabinieri e poliziotti, e tra poliziotti e poliziotti (io ero tenuto lontano da questo genere di incontri: me ne accennava lui vagamente); oppure, a un tratto, come preso da una ispirazione, il Professore alzava il telefono e componeva un numero -"Signorina, sono il professore Spinello, mi passi, per cortesia, il cardinale Oddi"- che era un cardinale molto intimo del papa Giovanni Paolo II: e la signorina glielo passava. Stupefacente era poi la sua preparazione sugli articoli della Costituzione italiana e la sua capacità di interpretarli e di suggerirne modifiche, abrogazioni, miglioramenti, e stupefacente era la sua negazione per la politica, sia italiana che estera, di cui fraintendeva tutto. Dopo alcuni mesi mi stancai di frequentarlo e, stanco com’ero pure di vivere a Roma, mi trasferii a Milano. Ma qualche anno dopo, essendo tornato a basarmi su Roma, lo cercai ancora, e non fu impresa facile rintracciarlo, perché nel frattempo la Serenissima Gran Loggia Mistica aveva dovuto sloggiare alcune volte da un locale a un altro, sempre per inadempienza di pagamenti d’affitto. Avendolo finalmente rintracciato, trovai il Professore più solo e screditato di prima, e ancora più intestardito a volere andare avanti a ogni costo. Capii allora che egli era afflitto da una perniciosa forma di narcisismo senile, pur tuttavia continuai a credere che fosse custode di qualche verità esoterica, di qualche scaglia di pietra filosofale. E anche quella seconda volta gli fui molto assiduo, finché non lo misero agli arresti domiciliari, per una sua presunta trama per assassinare Umberto Bossi.
Di Anita Garibaldi, invece, non mi era stato difficile capire la personalità. Era di intelligenza comune e scarsa cultura, e si sentiva investita di carisma perché discendente di Giuseppe Garibaldi. Per ogni evento pubblico veniva imbeccata da Salvatore Spinello su ciò che doveva dire e fare, e puntualmente faceva disperare il Professore per come aveva detto e fatto. Perciò, quella sera del 14 maggio, io rimasi interdetto dal suo comportamento, perché, per la prima volta, non riuscivo a decifrarlo, né a spiegarmelo valeva il fatto che la Garibaldi fosse stata invitata da Nicola Cristaldi, il quale ce l’aveva a morte con me. Difatti costui, che è un altro protagonista della storia che sto descrivendo, era stato da me attaccato in comizi elettorali perché, per farsi rieleggere sindaco di Calatafimi, aveva fatto un plateale voltafaccia politico, passando da sfegatate posizioni laiche ad un grottesco e losco asservimento clericale. Grottesco, perché progettava la costruzione di tre enormi statue cattoliche nell’area archeologica di Segesta, per attirarvi turbe d’idolatri, e in combutta coi preti farvi un lucroso business tutto l’anno e un lavaggio di cervello di massa a ogni appuntamento elettorale. Losco, perché la sua seconda fascia di sindaco avrebbe puzzato del bruciato di un incendio doloso che aveva distrutto i locali che servivano da luogo di incontro degli anziani indigenti del paese, al cui posto sarebbe poi sorta la statua di un idolo detto "Padre Pio" (oh, il sublime miracolo!).

Il giorno dopo questo primo incontro con la Garibaldi, cioè il 15 maggio, ricorrenza della Battaglia di Calatafimi, ero presente alle celebrazioni sul Colle di Pianto Romano, dove Anita Garibaldi teneva un discorso. In esso evocava a più riprese le origini dell’Europa, cristiane e classiche (e sulle origini cristiane, tanto care a papa Vojtyla, il tono di voce di Anita Garibaldi era monotono, come di cosa scontata, mentre "e classiche" veniva detto da lei con voce indulgente e con un gesto di concessione). Intanto Nicola Cristaldi, impettito nella fascia tricolore di sindaco di Calatafimi, si prodigava in baciamani al vescovo cattolico di Mazara del Vallo... L’atmosfera era surreale, pareva che Giuseppe Garibaldi avesse vinto la battaglia di Calatafimi per intercessione della Madonna.

Dai primi di luglio e fino alla prima metà di settembre del 2004 mi stavo dedicando al restauro della mia casa di campagna, che era quasi ultimato, quando, il pomeriggio del 13 settembre, qualcuno mi diceva "Stia attento che la vogliono avvelenare!".
Era pomeriggio inoltrato e io sostavo in Piazzetta Beato Arcangelo Placenza, davanti al bar di Nino Mazara, dove avevo bevuto un caffè, quando mi veniva incontro un signore, a me sconosciuto, che con gran gesticolare e ad alta voce diceva "Oh! Signor Gerbino! Che piacere! Posso chiederle un autografo?". Poiché ero stato ospite moltissime volte del più famoso talk show italiano, il "Maurizio Costanzo Show", dove, parlando dei miei viaggi intorno al mondo, avevo fatto segnare i più alti indici di ascolto, ero conosciuto da milioni di persone e perciò non di rado mi si chiedevano autografi. Questo mio "fan" era alto più di un metro e ottanta, corporatura massiccia, carnagione scura, capelli neri corvini, età tra i 40 e i 50, portava lenti da vista leggermente affumicate, calzava mocassini Timberland marroni, indossava un completo estivo marrone, parlava senza inflessione dialettale. Avendomi raggiunto, in una mano reggeva un portafogli con un biglietto da visita girato dal lato in bianco, con l’altra mano mi porgeva una penna biro. Appena io ebbi firmato, mi bisbiglio "Stia attento che la vogliono avvelenare!"- e mi diede una pacca su una spalla e si allontanò con la stessa area teatrale com’era venuto. Decisi allora di tornare in macchina in campagna, per stendermi su un’amaca a riflettere, non avendo più dubbi dell’avvelenamento dell’editore Gianfranco Monti ed avendo realizzato di come si attentasse ora alla mia vita.

La prima volta che s’era attentato alla mia vita, era stato nell’aprile del 1968, nove mesi dopo la fine di Mondo Beat, movimento di rivolta giovanile di cui ero stato il leader. Qualcuno ha scritto che io fui colui che portò la Contestazione in Italia. É improprio. La Contestazione nacque a Milano e io la tenni a battesimo, quindi si sviluppò in tutta Italia, poi si propagò in Francia e nel mondo. Figurarsi se il Vaticano non faceva ammazzare un tipo così! E perciò un infiltrato in Mondo Beat, Gianni De Martino, che m’aveva seguito in Marocco, attirò me e la mia compagna svedese Gunilla Unger in una casa di freaks a Marrakech, dove si annidavano sicari che avrebbero dovuto eliminare con una overdose di morfina me, che non m’ero mai bucato, e rendere Gunilla Unger tossico dipendente, perché in Italia si potesse strillare ai 4 venti "Avete visto che fine hanno fatto quel drogato del direttore di Mondo Beat e sua moglie?!". De Martino in Marocco era stato in combutta con un altro agente, tale De Mattia, il quale lavorava sotto copertura diplomatica all’ambasciata d’Italia a Casablanca. (De Martino, guarda caso, ai tempi in cui si infiltrò in Mondo Beat era affiliato a una loggia coperta della Confessione Massonica di Piazza del Gesù, quella del professor Spinello, e c’è tuttora affiliato, oggi con l’incarico di infiltrare organizzazioni musulmane). Come volle Iddio, Gunilla Unger e io ci salvammo. Di questi eventi ho scritto nel mio libro "Viaggi", Editrice Grasso, Bologna, 1990. Subito dopo la pubblicazione del mio libro "Viaggi", la Casa editrice Grasso fu fatta fallire dai servizi segreti italiani, e migliaia di copie del mio libro furono fatte incenerire dal curatore fallimentare, a mia insaputa.

La seconda volta che si tentò di uccidermi fu a Calatafimi, nel settembre del 1988. Da dieci mesi avevo tenuto pubblici comizi e affisso manifesti coi quali avevo fatto scappare in Ecuador, da dov’era venuto, il reverendo Michelangelo Bruccoleri, un prete impostore che stava truffando soldi a tutto il paese, e avevo fatto dimettere, l’uno dopo l’altro, due sindaci di Calatafimi, democristiani dell’area di Sergio Mattarella. Ciò avevo fatto da solo, forte dei diritti di libertà d’espressione che garantisce la Costituzione italiana. Ma a Sergio Mattarella non gli può fregare di meno della Costituzione italiana! Egli è tra gli uomini più fidati che il Vaticano abbia in Italia, e perciò tra quelli che vi detengono la parte più oscura e perversa di potere. A lui si deve il "Mattarellum", legge elettorale per cui in Italia si sottrae un quarto dei deputati all’elezione popolare e li si fa assegnare "a divinis"; e a lui si deve la "Caramafia", cioè i carabinieri coordinati con la mafia, sistema messo a punto dal Mattarella quando aveva la delega ai servizi segreti nel governo Prodi e poi il ministero della difesa nei successivi governi De Mita e Amato. E perciò figurarsi se in Italia non si ammazzi uno come me, che fa scappare un prete e fa dimettere due sindaci dell’area di Sergio Mattarella! E così fu deciso di eliminarmi durante una tornata di omicidi che sarebbero occorsi, con frequenza settimanale, nel settembre del 1988. Il mio era stato programmato, in prima battuta, per il 20 settembre, tra quello di Alberto Giacomelli e quello di Mauro Rostagno. Non starò a descriverne la storia, perché la si può leggere dettagliatamente in una denuncia presentata al magistrato Ferdinando Pomarici del tribunale di Milano, finita per competenza al tribunale di Trapani, dove giace archiviata. Dirò brevemente che raggiunsi Milano, essendo riuscito a svicolare attraverso un prolungato accerchiamento di Caramafia, carabinieri di Calatafimi e di Alcamo, rinforzati da altri venuti da altrove, che davano copertura ai fratelli Rosario, Francesco, Filippo, Gianfranco De Gaetano, al geometra Salvatore Lucido e a "Nucciu Pilaturi", che formavano la squadra di fuoco locale che avrebbe dovuto eliminarmi. Arrivato a Milano io mi rifugiai nella sede del quotidiano socialista "Avanti!", dove dormii alcune notti. Alessandro Garlatti, ch’era stato avvocato di Mondo Beat, preparò la mia denuncia. Dopo di che Bettino Craxi aggiogò al carro socialista il Partito liberale italiano (si capirà più oltre perché) e si sa che ad Hammamet, nell’ultimo scontro a distanza con i suoi nemici, Craxi brandì le carte dell’omicidio Rostagno.
Nella mia denuncia io accusavo esplicitamente i gesuiti Bartolomeo Sorge e Ennio Pintacuda d’essere gli ideatori, e Sergio Mattarella e Leoluca Orlando i mandanti, dell’omicidio Rostagno e del mio mancato (e per logica conseguenza dell’omicidio Giacomelli). Io rimasi allora due mesi e mezzo a Milano, poi tornai a Calatafimi, dove mi ristabilii, e dove tenni un ultimo affollatissimo comizio in cui sparavo a zero sul cardinale Pappalardo e sui gesuiti, per come gestivano politicamente la Sicilia. Concludevo così la mia campagna per i diritti civili (7 comizi e 2 manifesti murali, di cui è conservata la memoria). Mi venne allora a intervistare la tv dove aveva lavorato Rostagno. L’intervista ebbe degli altissimi ascolti e fu replicata e l’intervistatore mi segnalò al "Maurizio Costanzo Show", che mi rese subito famoso, ma non cambiò la mia vita, perché non decisi di fare il comico, ma me ne stetti in trincea. Di fronte a me c’erano ancora i quattro fratelli De Gaetano, ma in male acque ora, tanto che il maggiore, Rosario, ch’era stato fin lì segretario del Partito liberale italiano della provincia di Trapani, aveva avuto troncata la carriera politica, e il partito tutto, che col ministro della difesa Zanone aveva fin lì orbitato intorno al presidente del consiglio De Mita e ai gesuiti, era stato da Craxi aggiogato al Partito socialista italiano. I quattro De Gaetano sotto ai miei occhi venivano ora derisi dalla gente di Calatafimi, allontanati dai politici locali, non ricevevano più contributi statali per la realizzazione di progetti fasulli, ma la loro vita sarebbe stata tuttavia risparmiata, perché protetti da don Giovannino Malerba. Don Giovannino Malerba, grande elettore di Mattarella padre, poi dei Mattarella figli, che perciò aveva ricevuto e riceveva una pioggia di contributi statali ed europei coi quali s’era costruito due cinema, una cantina vitinicola, aveva comprato terre, insomma, aveva creato da nulla un potentato, era zio carnale dei quattro De Gaetano, essendo la loro madre una Malerba. Ed era stato don Giovannino ad aver suggerito la loro candidatura per il lavoro sporco che nel paese qualcuno doveva pur fare, anche se, per le apparenze, li avrebbe poi tenuti a distanza. D’altro canto il sacerdote Diego Taranto, autorità morale del paese, che ammetteva però che del lavoro sporco vi si doveva pur fare (per il bene della Chiesa!), aveva anche lui pensato ai quattro De Gaetano, perché di madre apostata, avendo la signora Malerba abiurato alla fede cattolica per convertirsi ai Testimoni di Geova: ove i quattro De Gaetano fossero finiti male, Don Diego avrebbe potuto fare intendere, durante una predica, che stava parlando di loro, quando parlava dei castighi di dio in cui incorrono, per sé stessi e per i propri figli, quanti si allontanano dal sentiero della vera fede! Ma lì Don Diego si sarebbe fermato, e non si sarebbe interessato di regolamenti interni alla malavita. E così i quattro De Gaetano non vennero eliminati dalla "cupola" per la loro inefficienza, ma tenuti in stato di terrore, tanto che Rosario, l’ex segretario provinciale del Partito Liberale, camminava per la strada affiancato dal figlio decenne, temendo che gli sparassero. Né veniva eliminato il geometra Salvatore Lucido, che rimase in punta di sedia a continuare a fare approvare progetti fasulli, i cui contributi statali o europei sarebbero stati incassati a metà dall’amico che li aveva presentati, e metà li avrebbe trattenuto egli stesso, per la sua quota e per quella degli amici degli amici (mentre tutti i progetti non fasulli venivano bocciati dalle varie commissioni, e se alla scadenza dei termini rimanevano montagne di soldi non assegnati, venivano rimandati al mittente italiano o europeo, perché in Sicilia e nel Meridione d’Italia non deve crescere nulla che non sia benedetto dalla Chiesa, e la Chiesa benedice solo truffe, perché non vuole che in Sicilia e nel Meridione d’Italia cresca alcunché. Ed è per questo che la Sicilia e il Meridione d’Italia sono oggi l’area più povera e fuorilegge dell’Unione Europea). Né veniva eliminato il povero Nucciu Pilaturi, che prima aveva avuto la fidanzata soffiata dal reverendo Michelangelo Bruccoleri (quello che io avevo fatto scappare di notte verso l’Ecuador) e poi aveva avuto assegnato il compito di sparare a me che avevo fatto scappare chi lo faceva cornuto (sfumature di uomini d’onore!). Tutti costoro se ne stavano ora traumatizzati, e scornati di vedermi in tv... E un sospiro di rassegnazione tiravano i gesuiti e Sergio Mattarella, che avevano rimandato ad altra occasione il momento di introdurre il "pizzo" a Calatafimi... Mentre i carabinieri, che non avevano saputo nulla di nulla, e non avevano visto nulla di strano, cadevano dalle nuvole.

Ed eravamo ora alla terza volta che volevano ammazzarmi. Settembre 2004. Avevo compiuto da due settimane 65 anni. Cos’era cambiato a Calatafimi nei sedici anni intercorsi tra la seconda volta che avrebbero voluto eliminarmi e ora? Bisognava che ci riflettessi, per capire chi si sarebbe mosso, fermo restando che sarebbe stata la Caramafia: carabinieri che avrebbero dato copertura a criminali organizzati. Organizzati da chi? E come?... Il sacerdote Diego Taranto era sempre lì, ultra ottantenne si prodigava ancora a fare eleggere sindaci che girava al Vaticano: certamente sapeva, ma non interferiva, aspettava l’evento. Don Giovannino Malerba era pure lì, ultranovantenne continuava a scroccare contributi italiani e europei per la sua famiglia e per i suoi protetti. Certamente sapeva, non solo, ma agiva anche da referente locale della Caramafia. E i suoi quattro nipoti De Gaetano? Come ho già detto, avendo fallito di ammazzarmi e causato perciò un vespaio di grossi guai, non era stata tappata loro la bocca con la morte, ma col terrore, e poi col tempo erano stati confinati in una sorta di isolamento sociale, tranne il più piccolo dei fratelli, Gianfranco, che in qualità di professore di matematica era stato assegnato alla Scuola italiana di Istanbul. Ora, volete voi che un galantuomo siciliano, di stanza a Istanbul, non si svaghi con qualche traffico?! Dopo alcuni anni a Istanbul, il De Gaetano era stato trasferito qualche anno all’Asmara, e poi era tornato a Calatafimi, dove aveva ottenuto un ricchissimo contributo per la realizzazione, nel locale Bosco di Angimbè, di una villa e di un impianto agricolo da destinarsi ad agriturismo: "Villa del Bosco". Quando si nasce fortunati! Come se ciò non fosse bastato, ebbe pure la sorte che venisse allora rifatta ex novo la strada che da Calatafimi porta a Villa del Bosco e impiantata la palificazione dell’energia elettrica, che prima non c’era stata. E il tutto così ben fatto che non sembrava manco d’essere in Sicilia! Come quando, nel caos delle stazioni ferroviarie di Roma, uno arriva in quella di San Pietro, che é contigua al territorio del Vaticano, e sembra di essere arrivati in Svizzera!... E dunque Villa del Bosco, dove ogni morte di papa si vedeva un turista, serviva da copertura chissà a che cosa, e Gianfranco De Gaetano tirava le fila della criminalità organizzata a Calatafimi, che con la sua gestione si era rafforzata molto, e se ancora non faceva pagare il "pizzo" a tappeto, certamente ci si preparava.
Alla luce di queste considerazioni, mi venivano in mente particolari del rapporto intercorso tra me e lui negli ultimi tempi. Con gli altri fratelli io non ne avevo più avuti, Gianfranco però aveva fatto di tutto per ristabilire rapporti con me, sempre in incontri fortuiti a casa di amici comuni o in feste, e sempre lanciandomi l’esca dell’ acqua passata, non pensiamoci più!. Lo stesso aveva fatto un altro con cui sedici anni prima avevo rotto i rapporti, Salvatore Giurintano, detto Orso, un accolito del De Gaetano. Che Orso facesse parte della malavita locale non c’erano dubbi: aveva ricevuto un contributo statale per la coltivazione di origano(!), col quale s’era costruito in cima a una collina un palazzotto in pietra viva. Orso ci aveva messo di mezzo i suoi bambini per riagganciarmi al chiosco della villa comunale, dove si passavano le serate di quell’estate 2004, e tanto aveva fatto che c’era riuscito. Ora, questa è una tecnica mafiosa, stabilire rapporti di amicizia con una persona che si vuole eliminare, cosicché si è facilitati nel compiere l’omicidio, e si allontanano i sospetti su chi l’ha compiuto. Queste cose io le sapevo da 1600 anni, da quando i vandali che venivamo da Djerba prendemmo Segesta... Ecco, ora cominciavo a vederci più chiaro, perché negli ultimi 2/3 mesi, ogni volta che venendo dalla campagna in paese avevo attraversato la via Alcide De Gasperi, avevo visto sempre Orso, vuoi perché stava uscendo dalla sua pizzeria per entrare nella porta di casa, vuoi perché stava a prendere il sole appoggiato a una ringhiera che dava sulla strada, e se non avevo visto Orso che scrutava verso la mia macchina, allora immancabilmente avevo visto suo fratello Rocco fare la stessa cosa. Già 16 anni prima i De Gaetano e la loro squadra erano stati attrezzati elettronicamente per seguire gli spostamenti della mia macchina, figurarsi ora, con i passi da gigante che aveva fatto la tecnologia! E finalmente mi venne in mente che un giorno di quell’estate 2004, mentre mi recavo da mia madre, che ha casa adiacente al municipio, avevo incrociato Alberto Provenzano alla guida della sua macchina, che al vedermi aveva fatto una smorfia di furore vendicativo. Costui era stato segretario comunale a Calatafimi e, riferendomi a lui, senza citare il suo nome, ne "Il Bambino Gesù mi vuole terrone" avevo scritto: "Durante la presidenza del socialista Pertini e l’amministrazione del socialista Craxi, ci fu impegno politico a modernizzare l’Italia. Furono assegnate allora somme di denaro ai comuni perché rendessero telematici i loro servizi. Nei comuni a controllo vaticano, come purtroppo il mio, furono comprati scientemente computer obsoleti, e i responsabili di ciò, come premio, furono poi sollevati da cariche comunali a cariche provinciali!". Aggiungo ora che i computer obsoleti furono comprati a Castellammare del Golfo, il paese di Sergio Mattarella, nell’agenzia della Olivetti di Carlo De Benedetti (che dalla Santa Sede ha avuto assegnati i lavori più sporchi, dai computers obsoleti al complotto politico contro Craxi). Questo Alberto Provenzano, che aveva comprato i computer obsoleti, era stato promosso da segretario comunale di Calatafimi a segretario della provincia di Trapani, ovviamente da Sergio Mattarella, che in provincia di Trapani fa il bello e il cattivo tempo, quando a ogni tornata elettorale fa arrestare il senatore socialista Pietro Pizzo con le più vergognose montature giudiziarie; quando a ogni tornata elettorale fa escludere qualche partito dalla competizione per irregolarità nella presentazione del simbolo... E dunque Alberto Provenzano aveva fatto quella smorfia perché sapeva dell'attentato che si stava preparando contro la mia vita! E allora mi alzai dall’amaca.
Raggiunsi il paese che faceva già sera, e andai a cercare Orso nel quartiere Acquanova, dove a quell’ora se la soleva fare, e avendolo rintracciato gli dissi - "Ti devo parlare da solo". Ed essendoci spostati quel tanto per non essere uditi da altri, aggiunsi - "Ti devo dare una brutta notizia". Al che a Orso venne un vero attacco cardiaco, perché pensò che fosse successa una disgrazia a qualcuno dei suoi figli o a sua moglie. "La brutta notizia riguarda me" -aggiunsi. Gli diedi tempo perché si riprendesse dallo stato confusionale. Poi dissi "Sono al corrente di tutto. Fallo sapere ad Alberto Provenzano, perché fermino l’operazione. Muoviti subito!"- e lo lasciai li, paralizzato.

Martedì 14 settembre 2004 passai la giornata in campagna, a preparare una bandiera del Kenya, con la scritta "Melchiorre Gerbino partecipa la sua conversione all’Islam". Quella bandiera avevo comprata in Kenya una decina di anni prima, perché la sua taglia si prestava a pareo o a copritavola, ma non l’avevo mai usata. Ora, poiché la mia conversione all’Islam era avvenuta in Kenya, me ne ero ricordato. La bandiera sembrava tagliata a misura per pavesare un balcone della casa di mia madre, allineato con un balcone imbandierato del municipio di Calatafimi!... La mia conversione all’Islam... Verso i 17 anni avevo letto il Corano. Tra i miei 14 e 18 anni ho letto molto e di tutto, dalle lettere di Napoleone a Maria Walewska a trattati di psicologia animale come "L’istinto materno presso i topi". Avendo una buona memoria, ritenevo anche quello che capivo superficialmente, che poi avrei ruminato negli anni a venire. Negli anni '60, i miei vent’anni, la lettura che avevo fatto del Corano mi servì ad evitare di andar dietro a Marx e Bakunin, due che volevano cambiare il mondo senza conoscerlo. Nessuno dei due sapeva che da ben oltre un millennio nel mondo si propagava sempre di più una civiltà che condannava a morte l’usura. Per loro l’unità di misura della storia dell’uomo era il metalmeccanico tedesco! Lo stesso Wilhelm Reich, di cui apprezzo molto "La rivoluzione sessuale", ignorava l’Islam, dove ci sono, sì, delle regole draconiane nella sistematica dei rapporti sessuali, per cui lo zio e il fratello decapitano pubblicamente la principessa fedifraga, ma non si praticano politiche di repressione sessuale per il controllo delle masse, quel che avviene invece nel mondo cristiano, che oggi subisce l’impostura e la frode dell’AIDS. Al contrario, l’Islam esalta l’erotismo. Per capirlo, basta leggere le "Mille e una notte", dove il giovane fortunato che si può concedere due donne belle e giovani, le sposa, e trascorre le notti passando da un letto all’altro, e le due spose estasiate ed il valente marito lodano sovente Allah per la felicità che concede loro!... Poi uno entra in San Pietro e va a fermarsi davanti alla Pietà, e resta ammorbato dalla cadaverina subliminale che emana questo sconcertante modello di necrofilia incestuosa: che è l’emblema stesso del Vaticano, davanti al quale, per protocollo, si devono inginocchiare gli ambasciatori dei paesi che intrattengono relazioni con la Santa Sede, prima di esservi accreditati. L’Islam, che condanna e combatte l’usura e l’idolatria, che potenzia l’erotismo e dunque l’istinto di vita, nella mia ottica è tappa obbligata dell’umanità verso un mondo migliore. Che mi propone, in alternativa, il Vaticano?! Questo nanerottolo romano, afflitto di saturnismo, che non può reggere il mondo con la spada?! Nulla. Mi somministra cadaverina metafisica per affliggermi di bilharzia spirituale, paralizzarmi e rapinarmi, e se mi rivolto, mi fa uccidere dai carabinieri che io pago perché mi proteggano, mentre vecchie checche incipriate della Conferenza Episcopale Italiana belano bontà dalle tv. La bandiera era pronta.

Il giorno seguente, 15 settembre, esposi la bandiera da un balcone di mia madre.
Mia madre vive da sola. Solo lei avrebbe potuto opporsi. La gente di Calatafimi capì subito che qualcosa di grave stava succedendo, soprattutto i miei fratelli. Mia madre ne fu angustiata, per quello che avrebbe potuto dire il sacerdote Diego Taranto. Ma Diego Taranto, alla vista della bandiera dell’Islam, restò tramortito, e per giorni andò vagando per le vie del paese, senza meta, trascinandosi sempre più pesantemente, finché cadde a terra morto. Il suo feretro, dovendo passare per forza di cose sotto la bandiera, non fu seguito dalle autorità. Normalmente ci si sarebbe attesi di vedere il sindaco di Calatafimi, i vescovi di Trapani e Mazara del Vallo, una turba di religiosi, un manipolo di deputati e senatori cattolici capitanati da Sergio Mattarella... Nessuno! Addussero tutti scuse per non passare sotto la mia bandiera. Requisirono gli scolaretti delle scuole elementari e li fecero sfilare in doppia fila nella processione funebre. E con lo slogan "Tu sei sacerdote di Cristo per sempre!", uscì di scena un delinquente cinico e protervo, mai sfiorato dal dubbio che potesse essere crimine allevare un ragazzino alla carriera di magistrato, per poi metterlo in combutta con servizi segreti deviati e criminalità organizzata, né che potesse essere crimine concorrere a un omicidio, se ciò veniva fatto "per il bene della Chiesa"!

Ma torniamo all’ordine cronologico degli eventi.
Il 16,17,18 settembre, avvertendo che tutto va normalmente in paese, stringo i tempi dei lavori di restauro della casa. Qui, nella mia campagna, sento dal canto degli uccelli se tutto è normale, dalle corse delle lucertole sui muri di casa.

Domenica 19 settembre, un poco prima delle sette del mattino, arrivo al Bar Grazia, nel quartiere satellite Sasi, per vedere alla tv un gran premio di moto GP, se ben ricordo quello del Giappone (io non voglio televisore a casa, per non oziare a guardar tv). Piacendomi vedere cosa scombussola Valentino Rossi con una moto, i gran premi di moto GP li guardo. Saranno state dunque le sette e mezzo di quella domenica mattina 19 settembre, quando al Bar Grazia arriva Maurizio Saccaro, vestito con una elegantissima tuta di pompiere del Corpo forestale, e viene verso di me con un bel sorriso stampato sulle labbra, mi dice "Lo vuoi un caffè? ". Gli dico-"Grazie. Sì". - E allora egli va verso la macchina del caffè, che si trova in una stanza attigua a quella dove io sto guardando la tv, e intanto con pollice e indice va cercando qualcosa in una tasca della tuta, quella sul cuore. Non avrei avuto sospetti, se non fossi stato avvertito che mi si voleva avvelenare, e poi di Maurizio Saccaro! Gli avevo pure prestato 400.000 lire e 25 cantoni di tufo, e non gli avevo mai fatto premura per averli restituiti. E però mi alzai e lo seguii. Dissi al barman- "Il mio caffè un poco lungo, per piacere, ma non troppo"e presa la tazza tornai alla tv, seguito da Maurizio Saccaro che reggeva la sua. Ci sedemmo a sorseggiare. Allora entrarono nel bar due marescialli dei carabinieri, in borghese, il maresciallo Maiorana ed un altro di cui non conosco il nome, che ha un viso carnoso e sanguigno e un naso pronunciato, e con loro entrò il geometra Salvatore Lucido, quello che gestisce i contributi per i progetti fasulli (poiché a Calatafimi ha degli omonimi, do il numero di telefono del suo studio: 0924951358). I tre sostarono a guardare nella mia direzione.
Poiché io continuavo a sorseggiare beatamente il caffè, i tre capirono che il Saccaro non era riuscito ad avvelenarmi, e se ne andarono. Dopo un poco se ne andò pure il Saccaro. Devo dire che la faccia del maresciallo Maiorana era stata tesa e dispiaciuta, quella dell’altro maresciallo era stata professionale, quella del Lucido con una sfumatura di sorriso sardonico, quella del Saccaro tutto il tempo beata. Nessuno dei quattro aveva sospettato che io sapessi. Mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato avvelenato. Certamente i due marescialli, che s’erano trovati lì per caso, avendo visto che stavo male, mi avrebbero portato prontamente all’ospedale di Alcamo, dove un medico amico degli amici avrebbe stilato un certificato di morte per infarto, dopodiché un amico mio, e amico degli amici avrebbe esibito una mia falsa volontà scritta, in cui dichiaravo che in caso di morte avrei voluto essere cremato (per contestare il Vaticano!). Non avrebbero potuto farmi un funerale in chiesa, perché m’ero convertito all’Islam, ma in municipio ci sarebbe stata l’orazione funebre del sindaco Cristaldi, che avrebbe detto - "... Sì, ci sono state tensioni tra questa amministrazione comunale e Melchiorre Gerbino. Ma non è forse normale che in una democrazia ci possano essere disaccordi ?! Melchiorre Gerbino è stato un cittadino illustre di questo paese. É un cittadino illustre, perché egli vive! (applausi prolungati) e perciò i consiglieri comunali, all’unanimità, hanno decretato che le esequie siano a carico della comunità!" - e il forno crematorio sarebbe già stato incandescente.

Il giorno seguente, lunedì 20 settembre, in mattinata mi reco in località Tre Croci, nella campagna del frate francescano prof. Bernardo Critti, col quale sono in affettuosi rapporti. Gli porto una copia de "Il Bambino Gesù mi vuole terrone" e lo metto al corrente di tutto l’affare. Frate Bernardo Critti é uomo di potere della Chiesa in Sicilia. Lo prego, se può, di fare fermare l’operazione contro di me.

Durante le giornate 20,21,22 settembre lavoro intensamente con i restauri, e poiché frequentemente vado in paese per comprare materiale, noto quello che vi succede. Passando davanti alla caserma dei carabinieri, che è sul mio tragitto, vedo che vi sono parcheggiate 3/4 macchine civetta, cioè militari con targhe civili, che mai prima c’erano state (le finezze di servizi segreti italiani!). Inoltre mi vedo pedinato da gente del paese, e noto che ognuno di loro tiene la mano sinistra nella tasca della giacca, come a maneggiarvi un oggetto (quando si assegnano questi lavori a dilettanti!). Costoro sono: il bibliotecario comunale Giovanni Bruccoleri, fratello di quel don Michelangelo che io feci scappare di notte verso l’Ecuador; Giuseppe Scandariato, detto Pippineddu, che lavora da Gianfranco De Gaetano a Villa del Bosco; Gaetano Pampalone, detto Scarafaggio, cugino di primo grado dei De Gaetano; Damiano Coraci, che suole parlottare con Filippo De Gaetano, dopo che questi si è intrattenuto in municipio col sindaco Cristaldi. Inoltre comincio a chiedermi chi sia Nathan, l’unico turista che c’è a Villa del Bosco, col quale mi sono intrattenuto qualche sera nel chiosco della villa comunale e che qualche volta è venuto a visitarmi in campagna, dove, estasiato, s’è perso ogni volta nella natura per una buona ora: dice di essere uno studioso americano di cose siciliane, che prima s’è fermato a fare ricerche a Modica, e ora ne sta facendo a Calatafimi. Io non gliel’ho chiesto se é ebreo, perché lo vedevo da me che lo é, ma lui non me l’ha detto!... E ancora, dopo un mese di assenza da Calatafimi, torna Camillo Rizzo, con una potentissima macchina nuova e un accendino taser, di quelli che, al momento dell’accensione della sigaretta (Umberto Eco della pipa), emettono una scarica che colpisce la testa del nemico. Due volte l’aveva usato con me l’agente Gianni De Martino, una volta ai tempi di Mondo Beat, per paralizzarmi davanti a una cinepresa e prendere lui la parola; una volta in Marocco, per farne vedere il funzionamento all’agente De Mattia, quello che lavorava all’ambasciata d’Italia a Casablanca. Ora ne è stato dotato questo verme Camillo Rizzo da Caltanissetta, uomo del sindaco Cristaldi, che cura in Internet il sito del comune di Calatafimi. Rizzo ha venduto già la mia pelle, e s’è comprata una potentissima macchina a rate. Questo verme è venuto in questi giorni a trovarmi in campagna e ha tentato di usare l’accendino, finché non gli ho detto di tenersi a distanza se non voleva essere stecchito da un calcio.
Inoltre é stato mobilitato pure l’avvocato Gaspare Denaro. Poiché mi controllano seguendo elettronicamente gli spostamenti della mia macchina, sono andati in tilt allorché io, per andare a prendere del materiale edile ad Alcamo, avevo momentaneamente scambiato la mia macchina con quella di uno dei miei fratelli, che ha il portabagagli più ampio. Quando hanno visto che la mia macchina non era guidata da me, hanno temuto che io stessi per evadere dal paese e hanno creato posti di controllo in tutte le vie d’uscita da esso. Così io, tornando tranquillamente da Alcamo, ho visto Calatafimi presidiata dalla Caramafia, e tra gli altri ho visto appunto l’avvocato Gaspare Denaro. Costui quarant’anni fa ricevette un contributo statale grazie al quale sorse una potentissima cantina vitinicola, che ancora non ha prodotto una sola bottiglia di vino! Cosa vi è stato fatto in quarant’anni in questa cantina? Bisognerebbe chiederlo a lui. Certamente cose raccapriccianti.
E così la Caramafia, avendo considerato che io quella volta avrei potuto evadere, ha cominciato a controllarmi a vista, e ha mobilitato pure gli allevatori di bestiame, che controllano gli snodi stradali cruciali nel territorio di Calatafimi.

Il 23 settembre, mentre intorno alle undici mi avvio verso il Bar Mazara, mi raggiunge Maurizio Saccaro, sempre in tuta di pompiere, e mi dice con gran calore "Andiamo a prendere un caffè! ". Capisco allora che il francescano Bernardo Critti, cui avevo chiesto di far fermare l’operazione, non s’è mosso. Dico a voce alta al Saccaro - "Nessun caffè! E non venirmi a cercare in campagna per nessuna ragione! ". Il Saccaro resta penosamente interdetto. Da questo momento so che gioco a poker all’americana. E rilancio. Dal telefono di mia madre, ovviamente anche quello sotto controllo, chiamo Marco Philopat Galliani e gli dico che a Calatafimi mi vogliono uccidere. Egli sta scrivendo una storia della mia vita che, assieme a una storia documentata di Mondo Beat che io ho già scritto, darà corpo al libro "I viaggi di Mel", che entro novembre sarà pubblicato dalla Shake, casa editrice in cui egli lavora. Gli chiedo di stamparmi un manifesto murale, in cento copie, e gli detto il testo:
"Melchiorre Gerbino partecipa la sua conversione all’Islam, certo che si troverà sempre di più al fianco di siciliani onesti, assetati di giustizia, che vorranno dire basta alla sozzura istituzionalizzata e alla criminalità organizzata, generate e gestite in Sicilia dallo Stato del Vaticano.
Siciliani, è tempo di impegnarsi a portare la democrazia in Sicilia!
A quanti mi leggono, può venire spontaneo chiedersi: ’Perché convertirsi all’Islam, e non praticare altre strade?
La risposta è l’Islam perché la sua dottrina va forgiando la società più progressista e libertaria della storia del mondo. L’Islam non si basa sul sistema dell’usura e non si regge con l’industria dell’idolatria, anzi le condanna e combatte; né pratica politiche di repressione sessuale per il controllo delle masse. L’Islam si espande sempre di più nel mondo e vi si radica grazie ai dettami del Profeta che danno al musulmano grande capacità di realizzarsi nella sfera del trascendentale, nella dimensione erotico-sentimentale, nel sociale.
Sappiano gli uomini onesti che si vorranno convertire all’Islam, che non saranno abbandonati soli quando avranno a denunciare ingiustizie e vessazioni, perché al prepotente che dà lo schiaffo i musulmani non porgono l’altra guancia!
Voglia la volontà di Dio, e quella degli uomini che la osservano, liberare la Sicilia dalla palude di cadaverina satanica in cui va affossando e restituirla alla luce dell’Islam!"
Il Galliani resta scioccato dalla mia situazione, e preoccupato per quello che dovrà ora scrivere sulla mia vita nel libro che sta ancora stendendo. Mi dice di tenere duro, che mi manderà Francesco Galli con una macchina da presa per una intervista, ma non mi promette che mi stamperà il manifesto, perché oberato di lavoro. Dentro di me spero che lo stampi, ma comunque io ho fatto sapere a chi mi vuole morto che lo so e che vendo cara la pelle. E, per rincarare la dose, nella giocata successiva bluffo: chiamo l’Hermes Hotel di Mombasa, dove avevo vissuto un mese al tempo della mia conversione all’Islam, e dico a Matano, il recezionista dell’hotel, di riferire al capo che manterrò l’impegno a qualunque costo, e che si tengano pronti (Matano dirà al padrone dell’hotel che ha telefonato Mel che verrà a Mombasa e affitterà una stanza pagandola a mese anticipato, come pattuito: quello che avranno capito le teste di uovo della Caramafia non so, ma spero che facciano ricerche all’Hermes Hotel di Mombasa, per vedere se non sia un covo di terroristi islamici, i quali, se mi uccidono, mi vendicheranno con le bombe nelle chiese a Natale). Dopo le due telefonate comincio a muovermi in scioltezza. Vado ad Alcamo per incassare dei soldi da una signora cui ho venduto delle mie pitture su vetro; poi vado a Vita a comprare materiale per i restauri.

Nei giorni seguenti aumentano gli agenti in borghese che circolano come turisti per il paese; arriva pure un’altra macchina di carabinieri con quattro a bordo. Scarafaggio e gli altri continuano a pedinarmi. Sento però che è passata l’urgenza di ammazzarmi, perché devono mettere a punto un’altra strategia per farlo, ora che ho imposto loro il poker all’americana, cioè con parte delle carte scoperte, dal momento che faccio sapere che so che mi vogliono ammazzare. Come tutte le cose statali, anche questo genere di omicidi è macchinoso, e perciò ho tempo di dedicarmi ai restauri della casa. Mentre li eseguo rifletto molto. Mi arriva allora una seconda telefonata di Anna Maria Ballarati. La prima l’avevo ricevuta agli inizi di settembre, quando ancora non sapevo che mi volevano avvelenare. Con quella prima telefonata la signora Ballarati m’aveva chiesto se in quel periodo programmavo di recarmi a Roma, perché lei vi stava preparando degli eventi culturali ai quali le sarebbe piaciuto invitarmi. Ricevevo molti inviti di gente che vuole il volto noto alla sua mostra, e siccome solevo dare il numero del mio telefono cellulare a quasi tutti quelli che me lo chiedevano, ricevevo telefonate di gente di cui non mi ricordavo più e, per essere cortese, facevo finta di ricordarmene. In quella prima telefonata la signora Ballarati m’aveva chiesto "Ma tu, ti ricordi chi sono?", e io, per essere cortese, avevo risposto di sì. Or mi arrivava un’altra telefonata di questa Anna Maria Ballarati, la quale a un tratto mi diceva "Vieni! Che ti vuole anche l’Anita, che sta organizzando delle cose". Allora mi ricordai che la Ballarati era un’amica di Anita Garibaldi! Le dissi "In quest’istante ti devo lasciare, ti chiamo più tardi" - e mi andai a buttare su una poltrona!... E dunque la regia del mio omicidio era curata da Turiddu! Così io stesso avevo soprannominato Salvatore Spinello. E la Garibaldi, nella ricorrenza della battaglia di Calatafimi, era venuta a chiudere il mio omicidio col sindaco Nicola Cristaldi, che col mio omicidio e il precedente incendio doloso da cui era sorta la statua di Padre Pio, sarebbe diventato in Sicilia il referente politico di destra del gesuita Ennio Pintacuda, così come Sergio Mattarella lo era di sinistra. Ecco perché la Garibaldi s’era mostrata di ghiaccio con me! (sbagliando come al solito, perché l’assassino deve mostrarsi caloroso con la vittima predestinata!). E dunque Turiddu, che fin dall’inizio avrebbe preferito farmi eliminare a Roma, tornava alla carica, visto che a Calatafimi l’operazione diventava macchinosa. Ognuno nella vita ha una funzione. Chi lo capisce ha una missione. Né si può evadere dalla propria vita, se non con la morte: per questo bisogna fronteggiare l’una e l’altra... Inviai al cellulare della Ballarati questo sms "Salutami Turiddu". Ora anche Salvatore Spinello sarebbe stato costretto a giocare a poker all’americana. Due ore dopo mi arrivava un sms della Ballarati "Chi è Turiddu? Io non conosco nessun Turiddu. Io conosco Anita Garibaldi, Caterina Caselli; Vedi che ti Sbagli! ". E così questo vecchio demente, che si nascondeva dietro la porta della Serenissima Gran Loggia Mistica degli A.L.A.M., per non dare centomila lire, che non aveva, a uno che aveva sbattuto con la sua macchina, che era pure senza assicurazione, fungeva da capo dei servizi segreti italiani quando il Vaticano lo decideva! E se un giorno Salvatore Spinello, massone rinnegato, odiato dai massoni, fosse finito nell’occhio del ciclone, il Vaticano avrebbe detto "Ecco perché i massoni sono condannati dalla Chiesa a divinis, cioè con la bolla di un papa, ispirato dallo Spirito Santo, che mai più nessun papa potrà revocare". E che raffinata vendetta del Vaticano, se nell’occhio del ciclone fosse finita Anita Garibaldi, che porta il nome dell’Eroina di Porto Alegre e il cognome dell’Eroe che consegui l’unità d’Italia con la confisca dei beni della Chiesa!

C’erano state due settimane di stallo, durante le quali Salvatore Spinello aveva messo a punto una nuova strategia per eliminarmi, e io avevo avuto il tempo di finire i restauri della casa. In quelle due settimane a Calatafimi erano aumentati gli agenti in borghese e le macchine civetta.
Il giorno 8 ottobre, verso le 11 del mattino, attraversando in macchina il paese, per andare da mia madre, sono tanti gli agenti in borghese che vado scorgendo, che ho sentore che qualcosa di fatale mi possa succedere da un momento all’altro.

(Lei, onorevole Antonio D’Alì, sottosegretario agli Interni, che vivendo a Trapani è a un tiro di cerbottana da me, di tutti questi agenti segreti assegnati a Calatafimi non ha saputo nulla? É gravissimo se lei ne é rimasto all'oscuro! Ed è ancor più grave se ha saputo).

Appena parcheggio la macchina in Piazza Plebiscito e ne esco, mi corre incontro Maurizio Saccaro, quello che per due volte ha tentato di avvelenarmi, e con aria offesa mi dice "Ma scusa, perché ti sei arrabbiato l’altro giorno?! ". Senza rispondergli, risalgo in macchina e riparto sparato verso la mia casa di campagna. Col cellulare chiamo la mia amica milanese Pinuccia Bartolini e le dico "Prendi carta e penna e scrivi: A Calatafimi stanno uccidendo Melchiorre Gerbino. Mandante lo Stato del Vaticano. L’operazione è condotta da Salvatore Spinello, che dirige servizi che danno copertura a criminali locali, organizzati da Gianfranco De Gaetano. Manda e mail o fax al Corriere della sera, a Repubblica, ai maggiori quotidiani". La mia amica, poveraccia, è spaventata e confusa. Ma io in realtà non m’aspetto aiuto, ma parlo per essere sentito da quelli che tengono sotto controllo il mio telefono. E gioco una carta che tengo nella manica. Dico alla Bartolini - "Quello che sto per rivelarti non è necessario che tu lo scriva, basta che lo ascoltino quelli che tengono il mio telefono sotto controllo. Tu sai qualcosa dei turchi?! " - e la mia amica, poveretta, confusa "Ma quali turchi?. E io "Ma come quali turchi!! Quelli che giocano in quattro tavoli! Con gli Stati Uniti, con l’Unione Europea, con Israele, con l’Arabia Saudita. Tu vai a raccontare cose ai turchi ?! " - e la mia amica "Mel, ma sei ubriaco? ". E io "Non sono ubriaco! Gianfranco De Gaetano lo fa. Ci sono le tracce in Internet! S’è fatto incastrare quando curava i traffici a Istanbul. De Gaetano è una carta sporca che voglio tolta dal mazzo, la regalo a Spinello" - e mandai in tilt a Turiddu un’altra volta: Turiddu non avrebbe potuto procedere senza aver verificato quali fossero i rapporti di Gianfranco De Gaetano coi turchi. E che Gianfranco De Gaetano fosse una spia io ne ero convinto. Un hacker milanese m’aveva detto che avrebbe potuto esserlo.
Quella carta giocai per uscire da una situazione che m’era parsa disperata e per guadagnare tempo fino al giorno 16, quando sarebbe arrivato Francesco Galli a intervistarmi. E la carta fu vincente. Gli agenti in borghese si dileguarono come neve al sole. Pure la macchina extra con i quattro carabinieri scomparve da Calatafimi. I piccoli delinquenti, che mi seguivano con una mano nella tasca sinistra della giacca, avevano facce solenni. Su Calatafimi calò quel giorno un gran silenzio. La gente, tutti, continuarono a fingere di non avere notato mai nulla di strano. E non per omertà, ma per terrore, che mai, nella storia della Sicilia, dittatura é stata più funesta e vergognosa di quella che il Vaticano sta imponendo ai giorni nostri.
Io, durante la giornata, tempestai di sms gente che conoscevo. Sms dove citavo nomi e fatti, nell’intento di lasciarne memoria, ove fossi stato ucciso. Il più vigliacco di quelli che ricevettero l’sms, che per ironia della sua sorte si chiama Libero, mi mandò un sms con un "Come ti permetti?". Altri telefonarono terrorizzati a Marco Philopat Galliani, perché mi fermasse!... Due recepirono positivamente il messaggio: un altoatesino che mi rispose "Che succede? " e un celebre avvocato, che col suo silenzio mi fece intendere che recepiva, e che io da allora tenni aggiornato.

Il 9 e 10 ottobre mi dedico a lavori di campagna. Nei momenti di riposo faccio telefonate e invio sms. Uno ad Anna Maria Ballarati "Allontanati dalla coppia di assassini! Pentiti! Convertiti all’Islam". Un’ora dopo la Ballarati mi rimanda lo stesso testo con l’aggiunta "Vedi che ti sbagli di persona!".

Il giorno 11 ottobre, mentre di primo pomeriggio sto riposando sull’amaca sotto l’ulivo adiacente alla mia casa, arriva senza preavviso Nathan con un altro. Senza alzarmi, dico che ho dei problemi, e mi scuso di non poterli ricevere. Nathan, che con l’altro s’è fermato a una decina di metri di distanza da me, insiste nel volermi presentare il suo amico americano, ma io in maniera categorica mi scuso di non poterli accogliere, e se ne vanno. Sono tutti e due ebrei. Ma non mi sembrano americani: hanno qualcosa di poverello che mi fa sospettare che siano israeliani. Potrebbe essere allora che l’ingegnere Carlo De Benedetti, quello che fa i massimi lavori sporchi per il Vaticano, abbia fatto venire da Israele questi bravi ragazzi con delle sofisticate apparecchiature di monitoraggio?! Scarafaggio e gli altri che mi pedinano manipolano qualcosa nella tasca sinistra della giacca, mentre con la mano destra fumano sigarette, bevono caffè, e fanno quant’altro. E Carlo De Benedetti farebbe pure un buon business, se le sofisticate apparecchiature di cui si sta dando dimostrazione sulla mia pelle venissero adottate dalla criminalità organizzata nel Meridione d’Italia, che è tutta sotto il controllo del Vaticano... E cosi il quadro era ora tutto illuminato: in piccolo, a Calatafimi, c’erano i figli traviati della testimone di Geova, apostata della vera fede; a livello nazionale operavano l’oca oscena "Io sono Anita Garibaldi!" e Turiddu, il narciso demente che andava distribuendo biglietti da visita da serenissimo gran maestro di massoneria; per gli affari sporchi ai massimi livelli c’era Carlo De Benedetti, ebreo odioso. ...E si! Perché se l’Italia andrà in miseria a causa delle macchinazioni del Vaticano, che di miseria si nutre, allora il Vaticano la colpa la farà ricadere massimamente sugli ebrei e sui massoni e in minor parte sui Testimoni di Geova. Penso che solo se si è vissuta l’esperienza dei seminari cattolici, dove in tenera età si è stati traviati nello spirito e seviziati nella carne, si potranno poi concepire perversioni di potere come quelle del Vaticano.

Dall’11 al 14 ottobre mi dedico intensamente a lavori di campagna. A Calatafimi, dove mi reco una o due volte al giorno, sono sempre pedinato da quelli con la mano in tasca, che non si sono resi ancora conto che ho capito. Ma la pressione su di me è stata allentata, perché stanno indagando su Gianfranco De Gaetano e i suoi legami coi turchi e perché sanno che sta arrivando qualcuno a intervistarmi. Marco Philopat Galliani mi comunica che gli é stato chiesto un abboccamento da Gianni De Martino, colui che in Marocco aveva cercato di farmi assassinare. Dico a Galliani di buttarlo fuori dalla Shake a calci nel sedere. Mi assicura che è quello che farà.

Il 15 ottobre arrivano Francesco Galli e Tamara Vignati. Mi riprendono in casa, nella campagna, a Calatafimi. Il 16 sera ripartono per Napoli, dove stanno lavorando a un film. Non sono così stupido da partire con loro. Sarei intercettato subito e alla chetichella svanirei in un bagno d’acido. Se devo morire sarà qui, nel centro dell’arena, con tutt’intorno 6000 spettatori muti e terrorizzati.

Dal 17 al 20 ottobre viene predisposto un nuovo accerchiamento di Caramafia. Dalle telefonate di Galliani, che ha incontrato Gianni De Martino, capisco che s’è tirato i remi in barca, perché ha avuto paura delle minacce. Tronco con Galliani senza mezzi termini, per non esporre il fianco alla falsa amicizia di un vigliacco.

La mattina del 21 ottobre, mentre sono a Calatafimi, sento nell’aria che siamo alla stretta finale. Decido di non tornare in campagna, perché sarebbe facile kidnapparmi. Nel tardo pomeriggio, seduto sull’orlo della fontana dell’Acquanova, c’è Gianfranco De Gaetano in persona! É emaciato per gli interrogatori subiti. Gli siede accanto il mio falegname, Mariano Maimone, ex presidente del consiglio comunale di Calatafimi, ora avvicendato da un altro consigliere. Alla mia vista i due si allontanano. Perché dunque?!... Maimone è stato di recente alcune volte a casa mia, per restaurare un mobile. Se non è un mio amico, è quantomeno un mio conoscente, ed è pure socialista e laico: vuoi vedere che l’affideranno a lui quel famoso mio testamento col quale dichiaro che voglio essere cremato in caso di morte!... Dormo in macchina nel cuore del paese, a Piazza Plebiscito, dove sono nato.

La mattina del 22 ottobre faccio toilette a casa di mia madre. Quando vado a zonzo, mi accorgo che i bar che danno sulle strade di uscita del paese sono presidiati dai Gennaro, Pedone, Gerardi, tutti allevatori di bestiame. Immagino che se uscirò in macchina dal paese, sarò affiancato e avvelenato a forza. Non tocco la macchina e faccio vita di paese. Dormo su una coperta, nel sottoscala della casa di mia madre, di nascosto da lei.

All’alba del 23 ottobre mando al telefono cellulare del sindaco Nicola Cristaldi, che da alcune settimane attende a Roma che mi abbiano ammazzato, questo sms "Apprendo da Gianfranco De Gaetano del nuovo incarico a Mariano Maimone. Congratulazioni! Melchiorre Gerbino". Ne invio copia al verme Rizzo, sul cui cellulare scarico memoria degli sms di cui voglio che venga a conoscenza Turiddu. Andando a zonzo per le vie del paese, noto che la situazione è la stessa del giorno precedente: aspettano che esca in macchina dal paese per avvelenarmi con la forza. Verso le 11,30 mi metto in macchina e mi avvio come per andare in campagna, ma subito all’uscita del paese mi parcheggio. Di fronte c’è la caserma dei carabinieri. Suono, mi si apre il cancello, mi avvio verso l’edificio, entro, mi siedo nella saletta d’attesa. Sono solo. Arriva presto un militare- "Buon giorno, signor Gerbino". "Buon giorno. Vorrei presentare una denuncia". "Attenda un attimo". Tra me e i carabinieri c’è stato lungo tutto l’arco di questo affare un rapporto di cortesia: loro hanno mostrato, tutti, delle facce turbate per un lavoro che non avevano pensato che sarebbero stati costretti a fare, quando si erano arruolati nell’Arma; io ho espresso sentimenti di comprensione e di malinconia per il karma di terrone in cui ognuno di noi é costretto. Il maresciallo Tiziano Maggitti mi riceve con cordiale professionalità - "Di che si tratta, signor Gerbino? " (ricordiamoci che l’Italia è una grande democrazia, la culla del diritto!). E così il maresciallo Maggitti e io mettiamo in bella forma una mia denuncia, con la quale io querelo i quattro De Gaetamo, che sono recidivi, e quegli altri che mi pedinano con una mano in tasca; segnalo inoltre che degli agenti, presumibilmente israeliani, che alloggiano a Villa del Bosco, sono implicati anch’essi nell’affare. Chiedo copia del verbale per inviarlo al mio avvocato. Accontentato, dopo una cordiale stretta di mano al maresciallo, ritorno alla macchina e in paese. Dopo la mia denuncia, con tempestività da tecnologia satellitare, scompaiono quelli con una mano in tasca, ma sono rafforzati di un Pedone e di un Gerardi gli allevatori di bestiame, che io non ho denunciati. A questo punto decido di fare uscire dal guscio Turiddu, colpendolo nel suo narcisismo. Mando alla Ballarati questo sms "Ti prego comunicare al professor Spinello: Vecchio assassino fallito, tale è la tua meschinità, che non riesci a trovare la forza per suicidarti! ". Copia dell’ sms mando a un avvocato massone (vero), perché se ne parli nel giro; copia dell’sms che ho mandato all’avvocato massone mando al verme Rizzo (perché lo sappia Turiddu). Dormo nel sottoscala della casa di mia madre.

Domenica 24 ottobre apparentemente la situazione è la stessa delle due precedenti giornate, con gli allevatori che aspettano che io esca dal paese per prelevarmi a forza dalla macchina e kidnapparmi.
Nel tardo pomeriggio due nuovi turisti, che alloggiano a Villa del Bosco, circolano per il paese, mentre, dopo la mia denuncia, sono scomparsi Nathan e il suo amico. Anche questi due nuovi turisti sono ebrei. Impossibile che la CIA mandi quattro agenti su quattro ebrei! Saranno israeliani come gli altri due.
A sera l’illuminazione delle strade è abbacinante e tutto il paese è per strada... Ogni tanto, per deconcentrarmi, vado nei locali di Spillo, a guardare una partita di calcio. Quando esco da Spillo, mi trovo nella morsa degli allevatori, che oziano, chi davanti a un bar, chi a un sedile pubblico. Ma alla fine della partita di calcio, intorno alle 10 di sera, tutti gli allevatori si dileguano, mentre le persone in giro per le strade sono sempre numerose. Mi avvicino a una fila di macchine parcheggiate accanto all’edificio delle poste, sul cui marciapiede c’è un venditore di castagne e tutt’intorno a lui un’aria festosa. Appoggiata a una macchina scorgo allora la signora Guida, moglie di Filippo De Gaetano, il quale siede al volante. M’ero casualmente avvicinato tanto a loro, che dalle labbra della signora Guida avevo percepito come essa dicesse al marito "Sta venendo qui". Ma, abituato come sono a stare tra nemici, la cosa non mi aveva fatto né caldo né freddo. Stavo rientrando nei locali di Spillo, la cui entrata è in un vicolo, quando, voltandomi d’istinto, vedevo la macchina di Filippo De Gaetano bloccarsi all’inizio del vicolo e il De Gaetano digrignare i denti, come uno che non è arrivato in tempo per spararti! Io ero già dentro la soglia. Il De Gaetano faceva allora marcia indietro e ripartiva, e io andavo a vedere per dove: era tornato a parcheggiarsi là da dov’era partito. Allora io tornavo da quelle parti e mi appoggiavo a una ringhiera, a distanza da non potere essere raggiunto da un proiettile di pistola da De Gaetano, e cominciavo a fare boccacce in direzione di lui, per farlo imbestialire e farlo venir fuori dalla macchina con la pistola in pugno a inseguirmi tra la gente. Ma il De Gaetano seppe controllarsi. E allora me ne andai a rifuggiarmi nel sottoscala della casa di mia madre...
E così Turiddu aveva perso la testa! E aveva ordinato di spararmi... Ma sì! Quale sarebbe stato poi il problema?! Con tutti i magistrati che il Vaticano gestisce, non ci sarebbero stati problemi ... "La Mafia ha ucciso Gerbino!"... "La Mafia!"... "La Mafia!"... "Le indagini si estendono in tutte le direzioni!".

La mattina del 25 ottobre 2004 Calatafimi è deserta come una città disabitata. In giro s'intravede qualche sparutissima persona, che subito svanisce. A piazza Plebiscito, non lontana dalla mia Fiat Panda, c’è parcheggiata una macchina imponente, a vetri affumicati, quella dell’allevatore Pedone, che ha pecore nell’area di Sasi. Verso le 11 il Pedone siede sotto la statua di Garibaldi. Gli fanno compagnia un certo Michele e il bibliotecario comunale Giovanni Bruccoleri, fratello del reverendo che io feci scappare di notte, di cui ora egli vuole vendicare l'onore. Questi tre assassini siedono a pochi metri di distanza dalla mia macchina, alla quale io sto appoggiato. Facciamo tutti finta di niente. Io poi passeggio un poco nella piazza, e vado a casa di mia madre, che è di fianco alla piazza, ma non è visibile dalla statua di Garibaldi dove i tre siedono. Resto un paio di minuti chiuso dentro l’entrata, poi esco e torno in Piazza Plebiscito alla mia macchina, che apro per cercarvi qualcosa, che non trovo. Allora lascio la macchina aperta e ritorno a passi spediti verso la casa di mia madre, ma, quando sono fuori vista dai tre, scendo per un vicolo che comincia da un lato della casa di mia madre e arrivo in Corso Garibaldi, che percorro flemmaticamente, camminando nel centro della carreggiata. Calatafimi è deserta. I balconi tutti chiusi. Nessuno vuole assistere al momento della mia uccisione. In Piazza Pietro Nocito, quasi di fronte alla casa dei De Gaetano, c’è un arco da cui parte una stradina ripidissima, che io imbocco tranquillamente e discendo tutta, attraversando il quatiere Aciddittu e sboccando sulla circonvallazione che porta alla statale 113, direzione Trapani-Palermo. Lì blocco subito un camion che sta scendendo, parandomici davanti. Alla guida del camion c’è Paolo Donato, un ragazzo che io conosco bene, per le sue gare di moto cross. Paolo mi apre la portiera. Salgo. Gli dico "Sto male. Ho qualcosa che mi da fitte al cuore. Dove stai andando?".
"A Trapani -mi risponde- Lì ti posso lasciare in un ospedale" (per inciso, a Calatafimi non ci sono ospedali).
"Grazie, sì - gli dico- Permettimi di allungarmi nella tua cuccetta, per favore" - e lo faccio in tempo per non essere visto da quelli della Caramafia, che saranno stati certamente appostati al bivio della statale 113.
Dopo un viaggio di mezz'ora, arrivati a Trapani, Paolo insiste per portarmi in un ospedale, ma io dico che mi ci recherò da solo, perché prima voglio prendere una boccata d'aria di mare, e perciò scendo dal camion nell’area portuale.
Alle 21,30 salpo da Trapani col traghetto "Toscana" alla volta della Sardegna.
Alle 8,30 del mattino dopo sbarco a Cagliari. Ne riparto in treno alle 10,05 e alle 11,20 arrivo a Oristano, dove pranzo.
La proprietaria del ristorante mi riconosce dalla televisione, mi dice - "Signor Gerbino, lei deve assolutamente ritornare a Oristano per il carnevale!".
E io - "Signora, quanto mi piacerebbe, ma come posso prometterlo, con tutti gli impegni che ho!".
Riparto in treno da Oristano alle 13,20 e arrivo a Olbia alle 16,30. Da lì muovo subito in autobus per Palau e da Palau per Santa Teresa di Gallura, dove arrivo alle 21. Ceno al ristorante "Azzurra" e passo la notte tra cespugli di mortella, per non essere registrato in un albergo.
Alle 7,30 del mattino dopo, 27 ottobre, salpo con un traghetto della "Saremar" da Santa Teresa di Gallura e un’ora dopo sbarco a Bonifacio, Francia.
Ho con me qualche centinaio di euro, la patente di guida automobilistica e, sotto quello che indosso, la pelle, per volontà di Dio.
Ginevra, giugno del 2005
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Di quante altre volte e come, in varie parti del mondo, abbiano cercato di eliminarmi, scriverò altra volta.
Si suole dire che Fidel Castro sia colui che abbia scampato a più attentati. In tutta sincerità non so se questo record non venga sottratto a me. Con certezza questo lo sanno solo la CIA e il Mossad, che oltre ai lavori sporchi di casa loro fanno pure lavori sporchi agli ordini del Nanerottolo Romano.
Kuala Lumpur, febbraio 2014
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