martedì 14 gennaio 2014

P. Puma

Padre Puma, mio amico dal 10 ottobre 1945, fu un grande uomo, né santo né demone. Sono oltre che suo amico amico della sua famiglia. Non sono certo obiettivo per farne lo storico. Da amico affermo che padre Puma da gran'uomo qual era ebbe grandi virtù e per le leggi fisiche degli equilibri anche grandissimi difetti: quei difetti che me lo rendevano molto simile e quindi tra affini della mente e del pensiero abbiamo solidarizzato, facendo i conti per oltre 60 anni.

A certa falsa monaca prostatica faccio presente che la vecchiaia è sì un morbus - che non le auguro naturalmente - ma è una grandissima ricchezza, arricchisce incommensurabilmente.

Padre Puma conosceva i suoi polli, li faceva starnazzare e spesso pareva persino assecondarli. Padre Puma ha fatto la storia della Racalmuto del dopo-guerra del '40: anzi è la nostra storia recente. Si dà il caso che io più che dovere scrivere la storia di Racalmuto da quasi un secolo in qua, quella storia l'ho vissuta e vissuta sulla mia pelle.


Nella intervista che mi concesse nel 1995 (il 5 luglio), P. Puma con una voce stentoria, mentre io zoppicavo, aveva due grandi suoi misteri da occultarmi: l'intimo suo soffrire certe tentazioni cui credo che ben volentiri cedesse in contrasto con l'abito che portava e il dovere fronteggiare truci faccende di famiglia che si erano anche listate a lutto per una feroce esecuzione d'indole malavitosa.

 

Mi sono riascoltata quella intervista. Il cipiglio loquace direbbe Bonanno camuffava ben altri sgomenti esistenziali. Puoi essere prete quanto ti pare, resti disperatamente uomo.


Riporto qui di seguito i passi più trepidi, più sibillini, forse meno schietti.



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