giovedì 30 gennaio 2014

preliminare


Mediterranea – direttore Valvano

 

 

 

APPUNTO PRELIMINARE


 

 

Nel 1994 la Banca d’Italia imponeva l’estromissione della vecchia gestione a seguito di gravissime perdite e di fidi indebiti (gruppo Casillo in ispecie), aspetti anomali riscontrati dal proprio ispettore di Vigilanza Scattone.

 

Impose, in sostanza, l’inserimento della Banca di Roma attraverso la sottoscrizione di un pacchetto del 30% del capitale prima e l’acquisizione del controllo maggioritario assoluta (53%) dopo.

 

La gestione Banca di Roma risultò fallimentare tanto che in una seconda ispezione BI del 1999 apparve l’esigenza di prendere provvedimenti cautelari.

 

In particolare c’era in sostanza la perdita integrale del capitale sociale per cui occorreva procedere anche ai sensi dell’art. 2447 c. c.

 

La Banca Mediterranea procedeva invece ai soli sensi dell’art. 2446, prendendo quindi tempo: si stabilì infatti in una assemblea straordinaria del 9 novembre 1999 il rinvio di decisioni per la ricostituzione del capitale sociale a data da destinarsi.

 

Nel frattempo, anche per pressioni politiche ed a Roma, si formulò un progetto di fusione mediante incorporazione della Banca Mediterranea spa di Potenza nella Banca di Roma.

 

Si elaborò tale progetto che si articola nei seguenti termini:

-        fusione per incorporazione della Banca Mediterranea nella Banca di Roma ad un concambiodi 5 azioni della Banca di Roma del valore nominale di L. 500 per azione per due azioni della Mediteranea del valore nominale di L. 5000 cadauna;

-        costituzione di una nuova banca a “capitale totalitariamente posseduto” dalla Banca di Roma che assorba mediante scorporo l’incorporata Banca Mediterranea, con esclusione di tutti i vecchi soci minoritari.

 

Occorreva l’autorizzazione della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 57 TULB.

 

Solo una società di revisione, nella perizia fatta per incarico del Tribunale di Melfi, accenna ad una «lettera della Banca d’Italia del 21 marzo 2000 indirizzata alla Direzione Generale della Banca Mediterranea S.P.A in cui si rilascia l’autorizzazione ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 385/93 all’attuazione dell’operazione di fusione.» (cfr. pag. 5 della relazione RECONTA Ernst & Young. , designata dal Tribunale di Melfi a redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio).

 

Tale relazione è datata 24 marzo; la pretesa autorizzazione risalirebbe a prima: 21 marzo 2000.

 

Le doglianze si trovano già tutte in una relazione tecnica di parte fatta dalla Taleta.

 

Ora contestano l’operato B.I. i seguenti soci di minoranza:

Valvano Antonio;

Ferrara Michele;

ditta Russillo.

 

Al presente sembra sia stato avviato anche un “atto di citazione presso il Tribunale di Melfi.»

Si accludono

-        stralci della relazione Taleta in cui si precisano le anomalie BI e i danni patiti

-        stralci di un’autoconvocazione propedeutica all’assemblea del 26 aprile del 2000 ove per ineluttabile voto favorevole del solo socio di maggioranza (o quasi) si è approvata la fusione per incorporazione.

CONTRORELAZIONE DI STIMA DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO TRA LE AZIONI DI BANCA MEDITERRANEA E DI BANCA DI ROMA A SUPPORTO DELLE DETERMINAZIONI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI BANCA MEDITERRANEA.

Due o tre puntualizzazioni a mo’ di premessa.

 

 

Si dà per letta la congerie di documentazione messa a disposizione dei soci di minoranza della Banca Mediterranea in ordine a:

1)     al progetto di fusione per incorporazione della Banca Mediterranea SpA nella Banca di Roma Spa;

2)     al bilancio di esercizio 1999 della medesima Banca Mediterranea.

 

Nella prodromica assemblea del 9 novembre 1999, l’istanza di chi scrive a coinvolgere – anche in posizione oltremodo subalterna – i vari comitati di soci nella impostazione delle stime e delle controdeduzioni ai rilievi della Banca d’Italia della precedente primavera è stata totalmente disattesa.

 

 Non è stata accettata l’offerta di «…collaborare per una contrapposizione difensiva avverso la Banca d’Italia.»

Non si è dato peso al fatto che «se questa proposta dovesse essere accolta, si renderebbe necessario interrompere l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati che una siffatta commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre all’approvazione dell’intero sodalizio bancario.»

Men che meno si è dato spazio ai soci di minoranza intenzionati a «respingere l’intero o.di g. che viene proposto e predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa giudiziaria, il cui filo conduttore non può non essere il conflitto di interessi con il socio di maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi si sono accodati o vi si accodano.»

…omissis…

PRIME CONSIDERAZIONI CRITICHE


 

        

Nell’intelaiatura, nello spirito e nella lettera, tali contrapposizioni di taluni soci di minoranza  postulavano minuziose e precise rettifiche degli organi consiliare e di controllo. Emerge che non solo non è stata data risposta alcuna, ma risulta persino neppure presa in considerazione e manco verbalizzata l’istanza del socio Taverna sulla questione dei notori allegati ispettivi sul rischio creditizio al 31.12.1998.

Nulla si precisa sul divario tra la ricostruzione Scattone e quella di Barbagallo in tema di “sofferenza” (a quanto pare: L. 508,6 miliardi per il primo; L. 1.384 per il secondo). Trattasi di un vallo di L. 876 miliardi di deterioramento creditizio che s’impatto con la gestione “Bancoroma”.

E soprattutto nulla si rivela sulla ricuperabilità dei crediti secondo gli ispettori: per Scattone erano prevedibili perdite – oltre quelle segnalate alla Vigilanza - per L. 619 miliardi; per Barbagallo (stando alle notizie trapelate) la gestione post 1994 aveva pretermesso di considerare decrementi prospettici nella realizzabilità dei crediti per L. 257.587 milioni.

E’ questa cifra strategica nella valutazione di vari bilanci (specie quello ex art. 2501 ter 2° c.): se le L. 168 miliardi di “rettifiche in chiave tuzioristica” dei crediti, si riferiscono al recepimento delle doglianze ispettive (come sembrerebbe cogliersi dalla relazione di bilancio – pagg. 12-13) e vi si rifascino integralmente (il che appare dubbio), rimarrebbero scoperte ulteriori previsioni di perdita per L. 90 miliardi.

Ne consegue che qualora si aggiungono le certezze che in senso decrementativo della compagine patrimoniale si colgono nell’erosa assistenza creditizia alle quattro partecipate della banca (incomprensibilmente considerata “normale” dall’ispettore B.I.), si perviene ad una perdita integrale del capitale già nota alla data dell’ultima assemblea straordinaria dei soci. Le inadempienze ex art. 2447 c. c. appaiono coerentemente inoppugnabili.

Su tali scottanti aspetti, non pare che il collegio sindacale abbia mai avuto a ridire. Tali scottanti aspetti – che pure in sede assembleare traspaiono – non pare che siano stati adeguatamente vagliati dall’Organo di Vigilanza che pure – viene relazionato (cfr. pag. 4 della relazione Reconta Ernst & Young – abbia accordato in data 21 marzo 2000 (addirittura tre giorni prima della stesura di detta relazione) “l’autorizzazione ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 385/93 all’attuazione dell’operazione di fusione).

E – per quello che qui conta – le varie società di revisione non hanno ritenuto di porvi mente locale, pur potendo (e dovendo accedere) alla complessa documentazione ispettiva, almeno quella relativa alla cosiddetta “parte aperta” e pur dovendo recepire la vasta verbalizzazione delle doglianze dei soci di minoranza, non foss’altro per procedere alla puntualizzazione della irrilevanza giuridica, di bilancio e contabile di detti rilievi contestativi.

Non va dimenticato che ai sensi dell’art. 2501 ter, 2° c., «la situazione patrimoniale è redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio». Si sostiene in dottrina che, pertanto, tale bilancio deve rispettare «non solo la struttura .. ma anche i criteri prudenziali di valutazione per quest’ultimo stabiliti». E se è vero che viene così «espressamente risolto un problema precedentemente controverso», non potendosi più «sostenere che dalla situazione patrimoniale dovesse risultare il valore effettivo della società»  (cfr. Campobasso, Diritto delle Società, pag. 555), è ultroneo che dalla situazione de qua occorra partire per tutte le eventuali rettifiche e per gli occorrenti conguagli nel rapporto di cambio. Una base non veritiera, infedele, mutila inquina, senza ombra di dubbio, gli “elementi di valutazione ulteriori rispetto all’effettivo valore dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione” (cfr. ibidem p. 555).  Il bilancio semestrale fatto approvare il 9 novembre 1999 – aspramente rampognato dai soci di minoranza – è del tutto prodromico a quello di fine anno, preso a base per la fusione. Sui c.d. tecnici – specie quelli nominati dai tribunali – incombeva l’onere di asseverare la fondatezza o meno dei rilievi critici dei soci, potendoli certo superare ma motivatamente. Tanto non consta.

 

IL RAPPORTO DI CAMBIO SECONDO IL BILANCIO D’ESERCIZIO


 

Va qui peraltro precisato che siamo nel settore del credito, capillarmente disciplinato dalla normativa di Vigilanza e con un quadro contabile denominato della “Matrice”, ragion per cui non vi è molto spazio per i c.d. tecnici di inventarsi valori di concambio esorbitanti dal patrimonio di base o al limite dal c.d. “patrimonio di vigilanza”. Quello che debbono appurare i tecnici è solo l’osservanza dei principi di chiarezza e precisione, il rispetto del quadro fedele, ma soprattutto la rispondenza del fattuale alle segnalazioni di Matrice.

Il fatto che i vari tecnici del nostro caso neppure abbiano sfiorato siffatta tutt’altro che agevole problematica, è oltremodo rivelatore della incongruenza valutativa.

La “semestrale” della Mediterranea palesava scricchiolii informativi che potevano agevolmente rilevarsi dallo spettro critico dei soci dissenzienti. Ancor più inaffidabile si valuta qui il progetto di bilancio finale degli amministratori, traslato acriticamente nel bilancio di fusione ex. art. 2501 ter e recepito dai tecnici chiamati a stabilire la congruità del rapporto di cambio come mero e formale adempimento di una non significativa norma di legge.

Ma un’appena superficiale analisi dei bilanci di fusione della Banca Mediterranea e della Banca di Roma porta alle seguenti risultanze:

BANCA DI ROMA – bilancio a fine 1999

 

-        Patrimonio netto: L. 10.939.693.000.000;

-        Numero delle azioni: 5.350.016.750;

-        Rapporto PN/azioni: L. 2.044.

 

BANCA MEDITERRANEA – BILANCIO A DINE 1999

-        Patrimonio netto: L. 102.567.208497;

-        Numero delle azioni: 73.162.476;

-        Rapporto PN/azioni: 1.401.

 

RAPPORTO BR/BM = 1,4589

 

RAPPORTO MB/BE = 0,68542.

 

E’ codesto punto fermo da cui non si può divagare oltre misure e margini di iniqua ristrettezza. Non è un caso se in interrogazioni parlamentari (cfr. ad es. la n. 4-16400 del Sen. Giovanni Russo Spena ed altri) non si reputa prudente avventurarsi in valutazioni appena appena risarcitorie nei confronti dei soci di minoranza della Mediterranea.

Resta, poi, l’aleatorietà della valutazione del patrimonio del mega-gruppo bancario che si affastella sin troppo attorno al perno Banca di Roma. Le nuove acquisizioni del tipo Banco di Sicilia, Mediocentrale e similari sono al centro dell’attenzione delle autorità dell’antitrust e per converso impongono cautele in tema di integrità patrimoniali che la stampa specializzata prudentemente ma significativamente  fa percepire con espressioni criptiche del tipo «la qualità del credito dell’istituto romano è ulteriormente peggiorata. Alla luce di queste considerazioni si preferisce mantenere un orientamento neutrale/negativo sul titolo.»

In effetti si ha una griglia impeditiva di apprezzamenti in qualche modo rettificative delle strozzature di bilancio.

Quando i c.d. tecnici si sganciano dai valori di bilancio delle due banche e si proietanno in erratiche stime divaricanti si assumono responsabilità che in questa sede non vale la pena neppure di additare.

Non si ignora che una parte della dottrina giuridica è disposta a legittimare «un valore effettivo del patrimonio» (cfr. op. cit. p. 555) divaricati rispetto a quello emergente dal «bilancio di fuzione». Si afferma – con dubbio fondatamente, secondo noi – che «la legge si astiene … dal fissare criteri direttivi per la determinazione del rapporto di cambio; criteri che restano quindi affidati alla discrezionalità tecnica (ma non all’arbitrio) degli amministratori.» (ibidem). Eppure non si può non annotare che il rapporto di cambio è caducabile quando sono emergenti – o peggio evidenti - «dati incompleti o non veritieri» (ibidem nota sub 3) .. e nel nostro caso non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Per contro imbarazza il fatto che gli organi di controllo (interni ed esterni) sembra non si siano accorti neppure di dissennatezze come le seguenti. Per arrivare un rapporto di 5 a 2 - alquanto ipocritamente “per non danneggiare i soci di minoranza, in effetti per legittimare la riemersione di un ammortamento in sede di “semestrale” Banca di Roma dell’enfiata partecipazione nella Mediterranea – i c.d. tecnici si sono letteralmente inventati queste divaricate parabole:


 

In altri termini, mentre per la Banca Mediterranea v’è questo trend ascensionale del patrimonio di fusione:

-        da 102 miliardi a 176 miliardi e da qui  a 258 miliardi e da qui a 270 miliardi:

 

per la Banca di Roma, nel cui ambito quel trend doveva crescere a dismisura, si ha questa inspiegabile caduta:

-        da 10.940 miliardi si porta a 14.802 miliardi; ha quindi un contenuto assestamento raggiungendo quota 15.967 miliardi per ripiegarsi nella fase finale in un inverosimile risucchio verso il basso e cioè a quota 12.945 miliardi.

 

Il fatto che i tecnici si guardano bene dal fornire esplicitamente le masse patrimoniali terminali, a base del con cambio, non è certo segno di inidoneità professionale, ma indice di evidente imbarazzo espositivo. C’è da chiedersi se davvero la Banca d’Italia nel fornire – se l’ha fornito – il benestare di legge non si sia accorta della zoppa ed inaccettabile procedura estimativa.

 

Stante l’assoluta inattendibilità del bilancio Mediterranea – sia per gli argomenti sopra cennati sia per quelli che si diranno e sia ancora per quelli che si potranno addurre nelle competenti sedi, ova occorra – ogni ricostruzione estimativa è destinata a cadere.

 

L’UNICO CONCAMBIO ACCETTABILE


 

Disincagliandosi dalle secche del netto patrimoniale  apparente, è possibile rinvenire, ma a ritroso, un aggancio giuridicamente ammissibile per la costruzione del valore delle azioni della fondenda Mediterranea.

 

Solo riportandosi ad un istante prima della gestione Banca di Roma si coglie il valore di tale azioni. In tempo ancor utile per rinvenire l’ultimo istante dell’autonomia gestionale della Banca Mediterranea, questa azienda palesava un patrimonio oltremodo robusto. Ancor oggi è possibile appurare che ogni sua azione valeva L. 14.377,90.

 

Era evidente l’integrità patrimoniale – frutto magari di agevolazioni ministeriali connessi ai benefici che si intesero accordare a ristoro dei danni provocati dal noto terremoto dell’Irpinia – e coesa risultava la totalità degli azionisti (qualche dissenso non si originava certo da contrasti gestionali ma da moventi personalistici).

 

Si era nell’ultimo scorcio dell’esercizio 1993 ed ascendeva il patrimonio a L. 545.706.222.421 che ripartito tra le n° 37.954.498 azioni comportava un valore unitario appunto di L. 14.378.

 

C’era un frazionamento tale per cui nessuno poteva vantare un ruolo egemone; men che meno poteva atteggiarsi a socio di maggioranza e soprattutto non v’era nessuna maggioranza assoluta precostituita. In altri termini era la banca a base diffusa e la struttura della base poteva qualificarsi democratica.

  Tanto finché – per pressioni della Vigilanza – non intervenne la Banca di Roma che surrettiziamente ed attraverso manovre ancora non investigate poté acquisire posizioni di risalto prima (30%) e quindi di maggioranza assoluta (53% viene oggi dichiarato) senza esborsi di sorta a compenso di una tale scomposizione dell’assetto sociale e cioè senza liquidare e ristorare chi da posizione egualitaria finiva per passare a quella subalterna ed attualmente a quella di insignificante minoranza.

 

Tale valore unitario – L. 14.378 – può senza dubbio considerarsi ancora del tutto reale ed integro. Le varie tosature – che a cadenza annuale si sono lamentate e registrate dal 1993 al 1999 – non possono ascriversi ai soci di minoranza su cui il socio di maggioranza, divenuto egemone in termini assoluti, ha fatto ricadere il peso di onerose scelte gestionali per recupero di propri investimenti o per occorrenze della capogruppo.

 

Non è questa la sede per comprovare quanto qui affermato. All’occorrenza si produrranno prove ed argomenti che sarebbe tedioso e defatigatorio farne qui anche sintetico accenno.

 

La chiave di lettura è stata comunque fornita sin dal novembre 1999, in occasione dell’assemblea straordinaria. Qualche ulteriore spunto, a briglia sciolta ed a valore antologico, lo si vuole esemplarmente fornire pure in questa sede impropria.

 

IL PRESTITO subordinato di L. 100 milioni


 

Il 9 novembre 1999, nell’assemblea straordinaria ex art. 2446 c.c., il C.di A. della Mediterranea relazionava di avere «deliberato l’emissione di un prestito subordinato sotto forma di strumento ibrido di patrimonializzazione di L. 100 mld.»

Nella relazione al bilancio di fine esercizio 1999 lo stesso C. di A. fa sapere che «la banca di Roma, per riequilibrare l’assetto patrimoniale della Mediterranea ha emesso uno strumento ibrido di patrimonializzazione di lit. 100/miliardi» e, contraddittoriamente, soggiunge che «per il superamento della crisi vissuta dall’Azienda, la Capogruppo, di comune accordo con gli Organi Amministrativi della Mediterranea, ha individuato nella fusione per incorporazione della Mediterranea  nella Banca di Roma e nel successivo scorporo del ramo di azienda bancaria di Banca Mediterranea la soluzione più idonea.»  (Cfr. p. 1).

 

Qualche annotazione su tale strumento ibribo di patrimonializzazione:  esso a nulla poteva giovare, atteso il disastroso ordito valutativo cui gli uomini del socio egemone si sono indotti a chiusura d’esercizio. Si consideri che “le passività subordinate non possono eccedere il 50 per cento del ‘patrimonio di base’ (cfr. Appendice B.I. 1998, pag. 283); si consideri anche che per un processo di ardite svalutazioni dei crediti che gli stessi uomini del Banco di Roma dichiarano avvenute in “chiave tuzioristica” – il che significa attraverso gonfiature di “riserve” – non si era potuto raggiungere quel “minimum” di patrimonio di vigilanza; si sappia che  senza quel “minimum” nessuna banca può continuare ad operare per norme giuspubblicistiche di settore. Tutto ciò considerato, siffatto “strumento ibrido” è finito per palesarsi inutile e dannoso per la BM ed  indebitamente locupletativo per il socio a maggioranza assoluta [alias BR].

Quest’ultimo imponeva ai propri uomini – che recepivano – di contrarre un debito con la casa madre di cui la BM obiettivamente non necessitava: si frapponeva infatti il sovrabbondante  cash flow  alla cui lievitazione non mancava di contribuire la notoria riluttanza degli uomini del banco a finanziare l’industria locale (vedi la stasi degli impieghi, in decremento se si depurano delle pesanti capitalizzazioni degli interessi di fine esercizio). Aggiungasi il basso rapporto impieghi/depositi che ha determinato un ulteriore aggravio dei già critici saggi di rendimento gestionale.

 Ovvio che, presumendosi l’assolta inidoneità dei soci di minoranza – e di quelli più deboli in particolare, più numerosi e quindi più facilmente obnubinabili – il C. di A. della Mediterranea ha creduto sufficiente licenziare la precisazione che abbiamo appena sopra citata, nella relazione di legge a corredo della loro proposta di bilancio.

 

Quanto di contraddittorio e di capzioso si sottende nel passo citato è di tutta evidenza. Ma non può il socio di minoranza avere capacità tecniche sufficienti a contrastare la Banca di Roma  socia al 53% ad onta di tutte le norme anti-trust

 

Alla voce 110 di fine esercizio abbiamo – si pensi - una  “passività subordinata” di L. 100 miliardi  che stando a ciò che si annota – a caratteri piccolissimi a pag. 43 - è “passività subordinata” «… riferita ad un prestito di L. 100 miliardi ricevuto dalla Capogruppo Banca di Roma. Esso è regolato al tasso Eurobar a 6 mesi diminuito dello 0,10%, prevede una durata di almeno 10 anni e il rimborso in unica soluzione alla scadenza, previa autorizzazione della Banca d’Italia. Le clausole di subordinazione che disciplinano il contratto consentono, in caso di perdite di bilancio che determinino una situazione del capitale versato e delle riserve al di sotto del livello minimo di capitale previsto per l’autorizzazione all’attività finanziaria, che le somme rivenienti dal finanziamento e dagli interessi maturati possano essere utilizzate per far fronte alle perdite al fine di consentire alla Banca di continuare

 

Ammesso e non concesso che questa sia un’informativa accessibile ai soci sprovveduti, emerge ictu oculi che si è deciso aliunde di non far più “continuare” la Banca: è dunque venuto meno ogni motivo per un siffatto iugulatorio prestito. Ed era prestito che non poteva essere deciso dagli amministratori della BM, per evidente conflitto di interessi; che non poteva essere deciso dalla “maggioranza” dei soci, per lo stesso conflitto di interesse del socio tiranno; che semmai andava fatto decidere ai soli soci di minoranza, il che notoriamente non è avvenuto.

 

 

E così, con qualche disinvoltura e forse con reticenza, si adempie formalisticamente ai dettati della vigilanza sugli schemi di conto economico delle banche per affastellare incomprensibili cifre sul “conto economico riclassificato” (cfr. pag. 17). Il linguaggio algoritmico diviene ulteriore velame alla comprensibilità degli inspiegabili (e non svelati) crolli gestionali in tema di

-        “margine gestione denaro” (erraticamente contrattosi nel 1999 del 22,77%),

-        “utili netti operazioni finanziarie” (astuzia lessica per non dire “crollo reddituale”) contrattisi e ribaltatisi del 170,22%;

-        “risultato lordo di gestione” passato dagli 80,8 miliardi di resa del 1998 ad un valore pesantemente negativo di meno 93,7 miliardi;

-         “risultato ante imposte” di meno 272,887 miliardi, con un peggioramento di gestione al saggio decrementativo del 653,50%.

 

Tanto avrebbe dovuto mettere sull’avviso il perito di nomina pubblica – la RECONTA ERNST & YUNG di Roma – che si era in presenza di un bilancio dubbio e forse falso, apparentemente non veritiero; un bilancio concepito in sospetto conflitto d’interessi e quindi passibile di segnalazione alle autorità competenti, non mancandosi comunque di ragguagliare il Presidente del Tribunale di Melfi che mancava il requisito primo di una “situazione patrimoniale .. redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio” di cui al secondo comma dell’art. 2501 ter del codice civile; emergeva pertanto che – fino ad un nuovo progetto di bilancio vero e reale – non era praticabile alcuna seria e fondata quantificazione dei rapporti di cambio per la fusione. Ciò pare sia stato del tutto ignorato.

 

Ciò avrebbe dovuto spingere la Banca d’Italia ad essere forse alquanto più cauta nel concedere l’autorizzazione di cui all’art. 57 del TULB.

Del pari, qualche ripensamento avrebbe dovuto esserci presso la Consob: Banca di  Roma prima svaluta e poi ripristina al costo la partecipazione maggioritaria presso la Mediterranea. E ciò non tanto per supino rispetto verso i propri tecnici, ma, stando a quel che appare predisporre un’agile traslazione, senza inceppi rivalutativi del proprio specifico attivo nella divisata «società bancaria di nuova costituzione, controllata totalitariamente dalla Banca di Roma.»

 

E qui davvero c’è da pensare in ordine al fatto che possa darsi per scontato un nugolo di autorizzazioni della Banca d’Italia “ante litteram”, a futura memoria, in palese disapplicazione  delle norme avverso il “socio unico” e con elusione di quanto comunitariamente stabilito in tema di concentrazioni bancarie.

 

Né Banca d’Italia né Consob pare abbiano sinora ritenuto opportuno esigere rettifiche su questo passaggio della relazione al bilancio della società incorporante:

«Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226 miliardi [ma nella semestrale non era stata svalutata? n.d.r.] Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati che produrranno effetti a partire dal 2000, costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico.  Del resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico.»

 

Orbene, il c.d. “valore di carico” non può che essere questo:

-        Costo residuo della partecipazione: L. 226.000.000.000.=

-        N.ro azioni possedute: n.  38.840.319.=

-        Valore unitario: L. 5.818,696.=

 

Da qui forse il non pregevole itinerario estimativo di quei “advisor” che hanno portato prima il valore di bilancio della BM di L. 1401,91 a L. 2.435 (quasi un raddoppio) e poi a L. 3.570. Successivamente, essendo la stima ancora insufficiente, si salta ad un concambio di 5 a 2, senza precisare la  parametrazione patrimoniale, in base ad un presunto valore di mercato di banche consimili per la Mediterranea ed omettendo analogo calcolo per la Banca di Roma.

 

Sennonché quel  5 a 2 postula che le azioni della Mediterranea al massimo varrebbe L. 5.112. Quindi la Banca di Roma nel suo bilancio non appare encomiabile quanto a precisione. Si è lontani dalle proclamate L. 5818,696 così come inaccettabile è l’affermazione che vorrebbe «il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuito alla quota di pertinenza della Banca di Roma [avere] un valore che eccede il valore di carico.» 

Non può stupire se i soci di minoranza della BM tendono a considerare quell’affermazione alquanto lesiva dei loro diritti societari. La sincerità nelle rappresentazioni delle valutazioni; la veridicità delle appostazioni di bilancio; la correttezza nelle relazioni d’affari non paiono in questa occasione esemplari.

 Quando, poi, si afferma (cfr. pag. 2 della Relazione BM al progetto di fusione) che si è inteso adoperarsi per «la salvaguardia dei diritti patrimoniali degli azionisti di minoranza» si è in contraddizione con i citati assunti del socio egemone. Siamo in presenza di espressioni elusive che possono apparire accorgimenti eziologicamente rivolti ad espellere da una banca che solo nel 2000 prospererà (questo è stato detto nelle relazioni di bilancio) i soci indesiderati per conseguire un vantaggio per il socio egemone (dato che potrà traslare un attivo, in atto dubbio, in una costituenda nuova banca, tutta di sua proprietà, locupletando in proprio in correlazione al danno subito da altri). Per converso i soci minoritari finiscono per soggiacere ad una sorta di estromissione coatta, nulla potendo contro lo strapotere assembleare del socio di maggioranza assoluta.

 

LA PERDITA DEL CONTROLLO SOCIETARIO


 

Non appare questa la sede per rievocare la vicenda dell’ingresso della Banca di Roma nella compagine societaria della Banca di Roma. Qualche dato è stato già fornito. Non sembra del tutto corretto asserire che l’istituto romano sia divenuto socio quasi unico in un sol colpo, nel 1995. Le tante assemblee straordinarie del 1994 prima e del 1995, dopo, stanno lì a testimoniare il fatto che da una partecipazione minoritaria e pressoché irrilevante si è passati ad una partecipazione cospicua del 30% per finire in quella massiccia attuale che pare trascenda di fatto il 53% dichiarato.

 

E’ inoppugnabile che la Banca di Roma non ha mai pagato azioni Mediterranea sopra le L. 8.000; o meglio: il patto iniziale di acquistare a L. 15.000 si è modificato a seguito di valutazioni fatte con criteri non del tutto in linea con quelli che ora vengono proposti dagli advisor.

Fuor di dubbio che nessun premio di maggioranza è gravato sull’acquirente del tempo. Tanto ora non può che essere corrisposto ai soci del tempo – se sopravvissuti – a titolo risarcitorio. In altri termini è questione di equità, di giustizia applicata al caso concreto, recuperare in sede di estinzione della tradizionale Banca Mediterranea ciò che venne meno nei processi di aggiustamento della compagine societaria, in definitiva voluti dall’estranea Banca d’Italia.

 

Allora non si corrispose quella giusta integrazione di prezzo sia perché scriveva come scriveva il direttore della locale Filiale B.I. (vedi sopra) sia perché si diceva e si ammoniva l’assemblea dei soci che con la presenza della Banca di Roma cosiddette “sinergie” entravano nell’asfittica potenzialità di crescita della Banca Mediterranea.

 

Facile oggi richiamare i rilievi dell’ultima ispezione B.I. per sottolineare carenze addebitabili al nuovo assetto amministrativo come:

-        la circostanza che “ancorché note da almeno un quinquennio, solo da pochi mesi sono state avviate a soluzione le mancate problematiche del sistema informatico, obsoleto, scarsamente integrato ed assoggettato ad una disordinata e poco documentata opera di intervento manuale e di personalizzazione delle procedure”. E guarda caso, s’inizia il risanamento e si estingue la banca con l’istituto dell’incorporazione da parte del socio egemone;

-        rimarchevole «l’inadeguatezza dell’apparato contabile e di quello segnalatecico, nonché dei sistemi di controllo interno e direzionale.» Aspetto tanto più grave se si tien conto dello smantellamento delle connaturali strutture della Mediterranea e dei gravi costi per l’introduzione degli alieni ed abnormi sistemi consoni all’istituto romano;

-        «scrutinio e monitoraggio del credito – interessati da manchevolezze ed incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto.» E siffatto nevralgico comparto è quello che si contraddistingue con la pesante involuzione delle sofferenze prima additata e soprattutto con il deterioramento del grado di ricuperabilità dei dubbi realizzi;

-        «contenzioso lento ed incompleto» ad onta dei gravami del conto economico che hanno impedito all’azienda di prosperare;

-        «ritardi nell’appostazione di sofferenze»: i misteri di posizioni contrassegnati con i codice CR 4433672; 6439964 e 5114286 forse stanno avendo acconcio disvelamento, ma in sedi alquanto scabrose;

-        “numerosi rapporti … risultano di fatto abbandonati” forse sol perché ritenuti “di ammontare non elevato”, e tanti piccoli rivi fanno un fiume;

-        «le previsioni di perdita non sempre sono guidati da criteri univoci, volti ad assicurare una tendenziale oggettività e omogeneità valutativa.»

 

E si potrebbe continuare. Resta però inspiegabile perché i c.d. tecnici della fusione non sfiorino neppure siffatti scottanti aspetti. Avrebbero dovuto chiedere ad esempio la seguente documentazione e farne dei circospetti ma esaustivi ragguagli. Senza contemplare tali risvolti gestionali ogni giudizio sulla congruità del con cambio è a dir poco malcerto.

 

Non ci risulta che siano stati vagliati i risultati di esercizio tenendo presenti:

-        le decisioni degli amministratori delagati dell’ultimo triennio;

-        le pratiche di fido (centrali nella gestione di una banca);

-        la corrispondenza con la banca socia;

-        i rapporti ispettivi interni (vedi rilievo n. 8);

-        atti, lettere e corrispondenza idonei a controdedurre al rilievo sub 11);

-        la parte aperta delle due ultime due ispezioni della Banca d’Italia.

 

Sono pretermissioni che da un lato avvalorano la nostra stima sul giusto peso delle azioni Mediterranee, desumibile solo dalla pregestione Banca di Roma, pari cioè a L. 14.378 e dall’altro impongono la refusione del premio di maggioranza a suo tempo non corrisposto dal neo-socio Banca di Roma.

 

Non si nega che tale valore non è facilmente quantificabile, ma il giusto mezzo tra un minimo del 15% del valore dell’azione al tempo dell’ ingresso maggioritario della Banca di Roma ed un massimo del 20% porta ad un’integrazione pari a L. 2.500 per azione dei soci di minoranza. Siffatta integrazione esula dai vincoli dell’art. 2501 bis terzo comma, trattandosi di atto risarcitorio e può quindi essere corrisposta in contanti.

 

LA NUOVA BANCA MEDITERRANEA


 

 La Banca d’Italia si era premurata di far sapere in Parlamento che «Mediterranea e Banca di Roma, in qualità di capogruppo, [dovevano] redigere, in tempi brevi, un dettagliato piano di risanamento, nel quale fossero previsti adeguati interventi di ricapitalizzazione e fossero formulate coerenti previsioni di crescita degli aggregati patrimoniali, economici e finanziari.» Non pare che si privilegiasse l’ipotesi dello scioglimento della banca Mediterranea, sia pure sotto forma di fusione mediante incorporazione. Se qualche avvocato romano sostiene che tale ultima via fosse la sola percorribile per volere della B.I. si assume non poche responsabilità.

 

Purtroppo, dopo ondivaghi atteggiamenti, torna comodo alla B.R. tale forma di estinzione della sua partecipata. In effetti, basta l’emissione di n° 83.708.730 nuove azioni (al massimo) per un importo complessivo di L. 41.854.365.000 per tacitare tutte le ragioni dei vecchi soci della Mediterranea. Con una semplice scrittura contabile del tipo:

-        dare conto “fusione” avere capitale sociale: L. 41.854.365.000:=

per chiudere la partita.

Nasce un certo annacquamento del capitale che a nostro sommesso avviso rastremerà il valore contabile della singola azione BR forse attorno a L. 1.972 (con ulteriore lesione del concambio delle azioni della Mediterranea), ma tanto non risulta interessare alcuna autorità di controllo.

Al conto fusione accederà anche l’attuale partecipazione, riportata non al costo storico come si dice da parte degli amministratori della BR ma a quello del precedente esercizio al momento pari a L. 226.000.000.000 (salvo rettifiche per sopraggiunti acquisti o per emersione di sistemazioni varie).

Il complessivo importo di siffatta voce dell’attivo (L. 268 miliardi al massimo) ha già una sua destinazione: pare che verrà qualificato come effettivo e veridico apporto di capitali alla divisata nuova banca «al fine di preservare una serie di vantaggi competitivi connessi al mantenimento del marchio ed al radicamento territoriale» (Cfr. Relazione C.di A. Mediterranea, pag.1)

Si reputa di far sapere ai vecchi soci della Mediterranea che:

-        «vi è stata una sostanziale tenuta della Banca Mediterranea nelle posizioni sul mercato di riferimento» (cfr. ibidem p. 10»

-        «frutto di una costante ed attiva presenza sul mercato» (cfr. ibidem p. 11);

-        «grazie anche alla sviluppo di sinergie commerciali con le società del Gruppo Bancoroma» (ibidem p. 11);

-        In definitiva, «da tali linee di azione, unitamente alle scelte di riorganizzazione tecnologica ed amministrativa, alla valorizzazione delle risorse umane, alle sinergie derivanti dall’appartenenza ad un gruppo ampio, integrato ed in evoluzione, si attendono il continuo miglioramento della qualità degli impieghi ed il rafforzamento del ruolo della Banca quale interlocutore privilegiato del mondo produttivo e soggetto attivo di propulsione e di sviluppo, pronto a cogliere in via anticipata i segnali che vengono dai territori e dalle istituzioni» (ibidem, p. 12).

 

Invero non pare che l’Organo di Vigilanza sia d’accordo se in una «recente visita», sia pure «di norma», ha riconsiderato «in chiave più critica le componenti aziendali strutturali, patrimoniali ed economiche.» Ma, non pare equo che i soci di minoranza vengano radiati e non possano in alcun modo godere dei frutti dei loro ormai ultraquinquennali sacrifici.

Ai soci della Mediterranea viene infatti precluso ogni accesso nell’ente che risorgerà dalle ceneri della banca che loro hanno fondato, sviluppato, radicato nel territorio, consegnato al nuovo socio egemone con una dote cospicua patrimoniale e che altri ha affossato e dissolto in una “incorporazione” letale. Bancaroma scrive: «è stato peraltro predisposto un progetto di fusione per incorporazione nella Banca di Roma. E’ inoltre prevista, a seguire, un’operazione di scorporo di parte della Banca Mediterranea in una società di nuova costituzione, controllata totalitariamente dalla Banca di Roma. Questa soluzione offre al nostro Gruppo la possibilità di salvaguardare le importanti potenzialità competitive presenti nella rete della Banca Mediterranea, in funzione soprattutto delle sue caratteristiche di localismo e di radicamento territoriale, attraverso un nuovo organismo atto ad assicurare migliori prospettive di profittabilità.» (Relazione Bilancio BR, p. 61) Ma tali «potenzialità competitive» in parte sono di pertinenza degli estromettendi soci. Giustizia impone che vengano risarciti.

L’attribuzione ad ogni vecchia azione Mediterranea dell’opzione a sottoscrivere alla pari  le azioni della costituenda società bancaria – totalmente riveniente dalla Mediterranea – si rende quindi ineludibile: pena prevedibilissime azioni giudiziarie.

 

Del resto è la stessa Banca di Roma che implicitamente riconosce l’inadeguatezza del concambio di 5 a 2. A pag. 96 della cennata relazione si afferma: «Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226 miliardi. Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati che produrranno effetti già a partire dal 2000, costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista  fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico. E’ da aggiungere infine che la valutazione è confermata anche da offerte di acquisto pervenute da potenziali acquirenti.».

 Duole dover controbattere:

-       se positivi effetti sono previsti «a partire dal 2000», del tutto ingiustificata è la sostanziale soppressione di una banca vitale;

-       il valore di carico risulta forse pari a L. 5.094, mentre quello che percepirà il socio minoritario BM, dopo le dilatazioni del capitale della BR per estromissione dei soci di minoranza BM, difficilmente supererà le L. 4.930 (rapporti precisi non sono possibili per difetto di informazione societaria);

-       prudenza imporrebbe di non accreditare tesi azzardate in materia di azioni quotate in borsa e di evitare frasi come questa: «advisor indipendenti … attribuiscono … un valore che eccede il valore di carico»;

-       se «potenziali acquirenti» erano disposti a subentrare nella partecipazione, era quella la via non solo auspicabile ma da percorrere doverosamente per evitare i danni inflitti ai soci di minoranza. Se non si era stati in grado di amministrare, si poteva almeno essere avveduti nel vendere.

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Stralci da un documento di autoconvocazione dei soci dissenzienti.

 

al fine di:

a)   conseguire il giusto concambio che i nostri tecnici (presieduti dall’ex ispettore di Vigilanza ed ex ispettore SECIT, dott. Calogero Taverna) hanno valutato in 7,290764745 azioni della Banca di Roma per ogni azione della Banca Mediterranea (rapporto tra valore effettivo dell’azione della Mediterranea pari a L. 14.377,90647 e quello della Banca di Roma pari a L. 1.972,07110);

b)    evitare l’iniquo danno che discende dalle valutazioni della Banca di Roma che tramite suoi tecnici tanto fumosi quanto imprecisi vorrebbe scambiare un’azione della Banca Mediterranea del valore nominale di L. 5.000 con due azioni e mezza del valore nominale di L. 1.250 della stessa Banca di Roma;

c)   dichiarare la responsabilità degli organi romani della Banca di Roma che con tali accorgimenti tendono ad estromettere i soci di minoranza dissenzienti della Mediterranea onde si costituisca una «società bancaria … controllata totalitariamente (sic) dalla Banca di Roma»;

d)   dare i debiti incarichi ai legali di fiducia,

e)   diffidare le autorità tutorie (Bankitalia e Consob), richiamandole ai loro doveri giuspubblicistici di rigoroso ed imparziale controllo.

 

 

Contestazioni Carbonetti

 

 

 

 

 

 

 

 

Ove tra l’altro si cita per la prima volta l’autorizzazione de qua per intero:



 

 

 

 

 

 

 

Da BBTC 1994 pp.1-46 prima parte.

 

 

QUESTIONI RELATIVE ALLA BANCA MEDITERRANEA DI POTENZA

 

Premessa

 

Il profilo tecnico giuridico ed espositivo della documentazione ispettiva rispecchia smaccatamente l’intento di supportare l’obiettivo perseguito dalla vigilanza amministrativa di far confluire la locale banca del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di Roma. E’ un obiettivo che viene dichiarato persino in una sede impropria quale è la lettera ufficiale di ritualizzazione delle risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16 settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire una quota del 30% del capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal modo, codesto ente entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere considerato alla luce dei risultati della verifica ispettiva. In particolare, l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...» (v. pag. 5).

L’obiettivo, come noto, è stato totalmente conseguito. L’ordito ispettivo doveva quindi essere ridimensionato ed il suo compito andava considerato esaurito essendo state raggiunte pienamente le finalità perseguite. Sennonché, si è proceduto ad alimentarne una sorta di ultrattività con la postulazione di sanzioni amministrative e di investigazioni giudiziarie. Alla base, abbiamo  un taglio ispettivo sovrabbondante ai predetti fini sanzionatori. Nel contenzioso amministrativo in corso, le puntuali e ficcanti annotazioni della difesa mettono in risalto questo eccesso di zelo ispettivo. In sede giudiziaria, la verbosità e l’aggettivazione persino passionale degli atti ispettivi potrebbero indurre a valutazioni improprie e devianti. C’è dunque da augurarsi che la saggezza dei giudici colga appieno l’intento ispettivo e riconduca la strumentalizzazione nell’ambito suo proprio e non assuma comunque ad apodittica prova quello che gli ispettori più che dire, insinuano.

Prefigurarsi esaustivamente scenari accusatori è in questa sede del tutto defatigatorio e forse fuorviante. Ci si limita, quindi, ad estrapolare dalle carte ufficiali disponibili solo alcuni punti, e precisamente:

*     la questione della corretta rappresentazione in bilancio del complesso rapporto creditizio con il gruppo Casillo;

*     il tema dell’assistenza alla realtà consortile e cooperativistica facente capo alla FISVI;

*     le pretese agevolazioni a specifici soggetti, sottoscrittori di azioni della Mediterranea;

*     le incidenze economiche lamentate da piccoli azionisti, adusi ad un’opposizione preconcetta,   in ordine alla contrazione di valore delle azioni della Mediterranea;

*     il credito accordato alla defunta signora Maria Rosa Scozzi.

 

 

Questione preliminare.

Snodo dell’intero impianto ispettivo è il rilievo n. 43 e non tanto per la qualificazione dei crediti - dato che classificare “sofferenza” od “incaglio” un rapporto creditizio rappresenta un giudizio di valore cui un’assennata magistratura non dovrebbe attribuire soverchia rilevanza - quanto per la quantificazione delle perdite prevedibili. Qui abbiamo una contrapposizione tra valutazioni aziendali e quelle ispettive che coinvolgono la questione della prudente esposizione dei crediti per il loro presumibile valore di realizzo. Stando alle affermazioni degli ispettori, la banca si sarebbe limitata a rettifiche di bilancio insufficienti. A loro avviso, l’importo complessivo delle svalutazioni era da fare ascendere a L. 508,6 miliardi, contro le lit. 102,5 miliardi della previsione della Banca, con una differenza di Lit. 406,1  miliardi (vedi All. 3/B). E’ un assunto che va minuziosamente e fondatamente smantellato. La banca vi ha per il momento provveduto con le sue varie ponderose e ponderate controdeduzioni all’Organo di Vigilanza. Con note sintetiche di rara efficacia, ha rintuzzato tali censure nel reclamo prodotto alla Corte di Appello di Roma, avverso la proposta di sanzioni amministrative. Non vale la pena richiamare qui siffatta difesa (vedansi in particolare le pagg. 25; 26; 27;28 e 29). Risulta fornita a supporto degli assunti una vasta documentazione: si è sicuri che questa copra la quasi totalità dei crediti su cui vi è diversità di apprezzamento; che essa non venga contraddetta da altra che possa venire raccolta nel prosieguo delle indagini; che comunque i fascicoli prodotti comprovano e suffragano le seguenti tesi difensive:

«sono corrette tecnicamente e comunque ragionevoli, e quindi certamente tali da non consentire di configurare una condotta colposa a carico di chi le aveva eseguite, le classificazioni e le valutazioni effettuate dalla Banca Mediterranea» (pag. 26);

«sono viceversa irragionevoli, immotivate e del tutto fuori della realtà le classificazioni e le valutazioni eseguite dal gruppo ispettivo» (pag. 27);

«diverse posizioni classificate anomale sono agevolmente rientrate» (pag. 27);

«in molti casi, le imprese hanno trovato credito altrove e/o sono state in condizioni di offrire piani di ristrutturazione (consolidamento) pienamente affidabili» (pag. 28);

«molti affidati, a semplice richiesta, hanno concesso ulteriori garanzie spesso anche collegate a procure all’incasso nei confronti di P.A. ovvero a cessioni di credito» (pag. 28);

«per fidi assistiti da garanzie reali e/o personali, queste non sono state prese in considerazione dagli ispettori nell’ambito delle previsioni di perdite» (pag. 28);

«anticipazioni su pegno di merci o su crediti sono state classificate erroneamente tra gli incagli dagli ispettori, i quali delle menzionate fonti di rimborso non hanno tenuto conto alcuno» (pag. 28);

«a conferma dell’adeguatezza del patrimonio immobiliare degli affidati e/o dei garanti esistono perizie tecniche che smentiscono le previsioni di perdita operate dagli ispettori» (pag. 28);

«gli ispettori hanno erroneamente ritenuto un affidato (valutandolo tra le partite anomale) compreso in un gruppo viceversa del tutto estraneo» (pag. 29).

 

La documentazione prodotta è talmente “complessa” da spingere la difesa alla richiesta di un C.T.U. (o esperto particolarmente qualificato). Non risulta che sinora quel supporto cartaceo sia stato in alcun modo soppesato sotto il profilo tecnico e probatorio. Se lo sviluppo giudiziario lo esigerà, occorrerà naturalmente approntare un memoriale di parte orientato in tal senso. Al momento non è neppure disponibile il molteplice sistema contabile ed amministrativo che in vario modo ha attinenza con le pratiche di fido in questione.

 

  Il contrappunto argomentativo della Mediterranea un qualche segno l’ha di già lasciato nell’Organo di Vigilanza, se questo si limita ad arroccarsi in una “non condivisibilità, in generale” (p. 4 della nota n. 4626), omettendo, però, una puntualizzazione della erroneità e della falsità delle argomentazioni controdedottegli. Solo per due aspetti, la Vigilanza mostra di potere mantenere il proprio assunto: valutazioni del gruppo Casillo ed apprezzamento del gruppo FISVI (v. ibidem pag. 4). Su questi due rapporti si prefigureranno qui alcune aggiuntive argomentazioni difensive.

Sullo sfondo si staglia l’esimente di responsabilità, quale discende dal positivo andamento della gestione bancaria, che in atto ha redditività e forza patrimoniale. Se le analisi e le previsioni ispettive fossero state vere e fondate, non sarebbe stato sufficiente l’intervento del Banco di Roma  per evitare un dissesto bancario esiziale. E ciò è tanto più vero quando si fa mente locale che il nuovo assetto proprietario ha mantenuto nella sostanza la tradizionale valutazione dei crediti e non si è conformato al catastrofismo ispettivo.

 

GRUPPO CASILLO

 

Nel rapporto ispettivo il c.d. “Gruppo Casillo” viene, nei suoi supporti creditizi, censurato con eccesso di zelo e con prevenzione oltremodo accentuata.

 Il “Gruppo” - in cui vengono fatti confluire i crediti verso imprese a diversa configurazione giuridica e con varia rispondenza patrimoniale - viene, con riferimento al bilancio 1993, giudicato apoditticamente ed indifferenziatamente in sofferenza, omettendosi ogni considerazione sul comportamento della banca che aveva prudentemente e con ragionevolezza distinto - s’intende sempre con riferimento alla fine dell’esercizio 1993 - tra enti societari autonomi (SRL SILOS CASILLO; EDI GENTILE EDITRICE GENTILE SRL; FA SERBATOI; FOGGIA CALCIO SRL; ICEM; INVESTIND SPA; ITAL SERVICE SRL; LUIGI LIPPOLIS SPA; SALERNITANA SPORT SPA; SEMENTIFICIO MOLINO ROVATO; TOP SERVICE SRL) che fondatamente venivano reputati ‘normali’ alla luce degli elementi disponibili all’epoca della redazione di quel bilancio, ed enti  raffigurati in “incaglio” (CASILLO GRANI SNC; IND. SEMOLERIE MANGIMIFICI; ITALSEMOLE SRL; PARDINI FLLI SPA; SEICA - in sofferenza per di più dal 2/94). Per gli ispettori va in sommatoria di un unico gruppo qualificato dal solo nome del soggetto privato di riferimento la seguente esposizione creditizia cui si contrappongono le seguenti previsioni di perdita:

GRUPPO CASILLO

N.°
crediti  cassa
crediti firma
totale
previsione perdita banca
previsione ispettiva di  perdita
n.° 16
L.145.900 mln
L.12.783 mln
L.158.683mln
  ==
L.137.767mln

 

Gli ispettori non ci dicono quale previsione di perdita è da riferire ai crediti di firma. E’ un dato di grosso risalto, essendo rilevante la distinzione tra valutazione dei crediti per i quali vi è stata una variazione numeraria certa o assimilata nello stato patrimoniale (cui per tanti versi si riferisce la voce 90 del passivo del bilancio bancario) e gli accantonamenti per spese future tramite i quali si possono rettificare i crediti di firma (che non hanno alcuna esposizione all’attivo e che danno adito a movimenti nella voce 80 del passivo nel bilancio di una banca).

Ed è una delle tante carenze tecniche ispettive. Come diffusamente è stato fatto presente nel reclamo avverso le sanzioni amministrative, quel che la Banca d’Italia eccepisce in tema di perdite è solo l’apodittica affermazione della loro sussistenza, quale si desume dall’allegato 3/b al rapporto ispettivo.

Confusi fra loro disparati fatti gestionali in quello che genericamente l’Organo di Vigilanza indica come “caso del gruppo Casillo” (v. p. 4 lettera n. 4626 richiamata), scattano nel rapporto ispettivo giudizi di valore grevi quanto assiomatici e non provati.

 Nel rilievo n.° 1 si afferma «... nonostante le informative di volta in volta rese in ordine alle difficoltà del “gruppo Casillo” (L. 159 miliardi al 31.12.1993) [il Consiglio d’A. si era] limitato a prendere atto della situazione, senza esprimere alcun apprezzamento in merito alla congruenza degli interventi di sostegno proposti e alle reali possibilità di recupero dell’ingente creditoria.».

Nel rilevo n.° 3 si legge: « ... Avevano influito sul risultato le scelte adottate in materia di valutazione dei crediti, non improntate a criteri di ragionevole prudenza e di obiettiva considerazione del rischio; emblematica a tale proposito appariva la circostanza che non si fosse ritenuto di effettuare alcuna svalutazione dei crediti vantati nei confronti del menzionato gruppo “Casillo”, nonostante che le diverse ipotesi di ristrutturazione sottoposte all’esame del ceto bancario fossero tutte fondate sulla necessità di procedere ad un consistente abbattimento della creditoria in conto capitale. La soluzione prescelta di costituire accantonamenti per complessive L. 106,7 miliardi a presidio di eventuali perdite sui crediti dava luogo ad un improprio accrescimento delle componenti patrimoniali.»

Nel rilievo n.° 7 vi è un ritorno sul caso Casillo: «il sovrapporsi nel tempo di decisioni - vi si annota - da parte di organi amministrativi diversi si rifletteva sulla trasparenza e sull’efficacia stessa del processo di valutazione del merito creditizio, con effetti pregiudizievoli sul controllo dell’andamento dei rischi». E qui si fa riferimento - tra l’altro - «al citato gruppo “Casillo”».

Nel rilievo n.° 9 ci si lascia trasportare in avventate censure ad un (inesistente) “organo monocratico” che avrebbe - a dire degli ispettori - concorso ad «elevare la complessiva rischiosità degli impieghi (cfr. in particolare le posizioni facenti capo ai già menzionati gruppi “Fisvi” e “Casillo”).»

Nel rilievo n.° 28 il gruppo Casillo è citato come uno di quelli che avrebbero determinato «l’elevatezza dei rischi assunti».

Il rilievo n.° 32 è quello che intenderebbe focalizzare appieno la patologia del rapporto creditizio con il gruppo Casillo. Ad esso si fa rinvio per l’esplicazione di rilievi tendenti a dimostrare che:

*     «utilizzi largamente eccedenti le linee di credito concesse» venivano consolidati con «ripetute concessioni a ripiano» (mutuo alla Casillo Grani snc e fido temporaneo alla “Industrie Semolerie Mangimifici Casillo srl”);

*     «un incondizionato e crescente sostegno [...] si concretizzava anche mediante reiterate concessioni di proroghe di finanziamenti scaduti a fronte di ipotesi di rientro che non trovavano supporto su documentate analisi istruttorie»;

*     «un ammontare complessivo dei crediti del “gruppo” contabilizzati in sospeso tra le partite transitorie si ragguagliava ad oltre L. 18 miliardi»;

*     «talvolta, il mantenimento in essere degli affidamenti era avvenuto pure attraverso operazione di sconto di effetti di comodo» ( si fa riferimento all’operazione ove compare «tale Gnudi Pietro, nominativo risultato sconosciuto»);

*     «ulteriori sconti .. avevano riguardato effetti .. più volte rinnovati e successivamente richiamati con addebito tra le partite sospese» (credito alla “Investind”);

*     «in taluni casi proroghe o erogazioni di nuova finanza si fondavano sulla acquisizione di garanzie successivamente rivelatesi inesistenti» (finvaluta alla “Foggia Calcio srl” e finanziamento del giugno 1993 alla “Casillo Grani s.n.c.”).

 

Nel rilievo n.° 40 vi è ancora un riferimento al gruppo Casillo. Questo viene chiamato in causa molto di traverso e per normali operazioni sulle azioni della Lucania. L’allusione che vi affiora non sembra avere stretta attinenza con le censure verso “l’erogazione del credito” - cui s’intitola quella parte del rapporto -, sibbene ad una (non comprovata) facilitazione per il collocamento di azioni della Mediterranea. Citiamo per una più puntuale ricognizione della non lineare prosa ispettiva: «Le azioni [della Lucania] risultavano successivamente cedute a società del gruppo Casillo, anch’esso detentore di una quota significativa del capitale sociale della “Lucania”» Vari crediti bancari a privati «venivano estinti anticipatamente nell’ottobre 1992 con il ricavo della cessione dei titoli “ex Lucania” al “gruppo Casillo”, che provvedeva al relativo pagamento mediante assegni per complessive L. 4,6 miliardi tratti sulla “Comit” di Foggia; al riguardo si rilevava che la “Mediterranea”, in data 15.10.92, aveva concesso alla “Casillo Grani s.n.c.” un finanziamento per L. 5 miliardi utilizzato con traenza di assegni per L. 4,3 miliardi, negoziati presso la ridetta “Comit” di Foggia.»

 

Ad utilizzare un termine caro agli ispettori, è “emblematico” che si censuri in ben sette rilievi (nn.° 1; 3; 7; 9; 28; 32 e 40), producendo un abbaglio fittiziamente moltiplicativo, un unico rapporto creditizio. Aggiungasi a ciò, quanto rappresentato nell’allegato 3/b in termini vaghi e assiomaticamente accusatori (come la banca ebbe a lamentare nel cennato reclamo avverso le sanzioni amministrative quando obietta che tale elaborato è improntato ad “eccessivo rigore”, e le valutazioni sono “apodittiche”, “irragionevoli ed erronee” “inattendibili” “immotivate“ “segno di abusiva discrezionalità tecnica basata su fantomatiche ed inesistenti regole di vigilanza”).

 

Nelle controdeduzioni del Consiglio di Amministrazione della banca del 15 ottobre 1994, i cennati rilievi sul gruppo Casillo vengono puntualmente smantellati e contestati.

Quanto al rilievo n.° 1, si nota che il Consiglio di Amministrazione (e non un qualsiasi presunto organo monocratico) «ha seguito ed approfondito le cause dell’evoluzione e delle possibili conseguenze sugli equilibri aziendali: in particolare, ha seguito con puntualità le difficoltà del gruppo Casillo - assistito dal sistema creditizio nazionale per oltre mille miliardi - valutando e seguendo anche l’azione in proposito svolta dall’Associazione Bancaria Italiana (cfr. al riguardo le delibere 5-8-93 e 22-9-93 all. 1.3). Congiuntura sfavorevole, avverse evoluzioni del mercato dei cambi e sfavorevole andamento dei tassi non hanno certamente favorito la ripresa del gruppo Casillo, che pur controllava una quota pari al 30% del mercato nazionale di sua pertinenza. Non va altresì dimenticato che nello stesso periodo in cui si verificava la crisi delle aziende del citato Gruppo, maturavano situazioni di estrema difficoltà di altri rilevanti Gruppi nazionali con rischi per il sistema creditizio di varie migliaia di miliardi» (pagg. 9-10).

Circa le censure di cui al rilievo n.° 3, efficace è senza dubbio questo passo (pag. 12) delle controdeduzioni: «Premesso che non è accettabile la generalizzazione, che leggesi nella costatazione, in particolare su di un argomento così delicato [quello appunto del fido al gruppo Casillo], e che la Società di revisione Arthur Andersen, nel certificare il bilancio, ha mostrato di condividere le valutazioni effettuate dal Consiglio di Amministrazione, la posizione Casillo è stata oggetto di esame approfondito nelle riunioni dedicate all’approvazione del bilancio ‘93 e sono state assunte determinazioni responsabili confortate anche dal parere di noti giuristi (cfr. allegati N. 3.1 e 3.2). La soluzione adottata di costituire accantonamenti per complessive Lire 109,2 miliardi (non Lire 106,7 miliardi come scritto nella costatazione) a presidio di eventuali perdite sui crediti è stata assunta analogamente a quanto praticato da altre Banche, mentre presso l’ABI si sperimentavano da parte del sistema creditizio e di rappresentanti del Gruppo Casillo tentativi per la ristrutturazione dell’intera debitoria, tentativi portati a conoscenza dell’Organo di Vigilanza da parte dell’ABI stessa. Le riferite circostanze evidenziavano come fosse legittimo e concreto sperare nella capacità di ripresa del Gruppo e come, in tale situazione, non potesse che escludersi, coerentemente, ogni ipotesi di insolvenza e/o di perdita certa anche in considerazione delle gravose conseguenze (azioni revocatorie, violazione della par condicio creditorum, concorso in bancarotta, bancarotta preferenziale) in cui i creditori impegnati nelle trattative di rinegoziazione del debito sarebbero potuti incorrere ove tali prospettive non fossero andate a buon fine. Per altro verso è da tenere presente che, in ogni operazione di ristrutturazione del credito, così come in ogni situazione di “incaglio”, è presente il rischio, l’eventualità, che si verifichino, o meno, fatti che portano a rivedere e riconsiderare le valutazioni fino a quel momento effettuate: della possibilità di accadimento di tali fatti il legislatore ha voluto si tenesse conto in sede di costituzione di un fondo rischi eventuali al passivo dello stato patrimoniale, fondo che rappresenta una novità rilevante introdotta dal D. lgs. n. 87/1992. La relazione di certificazione rilasciata dalla Società Arthur Andersen si sofferma (pag. 1 e 2) sulla costituzione del “fondo rischi su crediti - voce 90” a fronte di crediti in ristrutturazione e sottolinea in particolare la difficoltà di valutazione di tali crediti in presenza di un piano non ancora definito e di una normativa del tutto nuova, che non consente agevolmente la definizione della categoria dei rischi soltanto eventuali. La Società conclude ritenendo il fondo in questione “congruo a fronteggiare le perdite complessive che dovessero emergere dai crediti iscritti all’attivo”, dopo aver sottolineato che tale fondo “correttamente non (è) considerato componente il patrimonio netto”. Per tutto quanto si è fin qui esposto, è da escludere in via assoluta - stante la legittima ed appropriata, oltre che estremamente chiara e trasparente, scelta valutativa da parte del Consiglio di Amministrazione - “l’improprio accrescimento delle componenti patrimoniali” di cui è parola nella parte finale della costatazione. D’altra parte, il Consiglio dopo le opportune consultazioni, ha evidenziato nella “Relazione sulla gestione” (cfr. all. 3.3) con assoluta chiarezza e linearità ogni valutazione e le decisioni adottate sono frutto di analisi sviluppatesi in tre sedute: 29-3-94, 7-9-94 e 13-4-94 (cfr. all. 3.4).»

Circa l’appunto - incidentale - contenuto nel rilievo n.° 7, la banca replica che dalla disciplina delle competenze per l’erogazione del credito - sempre comunque rispettosa delle norme di Vigilanza e, in ogni caso, rientrante, nell’autonomia dell’impresa - è abnorme far derivare «conseguenze negative in ordine alla posizione del Gruppo Casillo» (pag. 21).

Il rilievo n. 9 viene - per la parte che qui interessa - così ribattuto: «agli interventi presidenziali si fa risalire l’origine della pretesa elevata rischiosità dell’attivo della Banca, richiamando sempre e ripetutamente i casi Casillo e FISVI. All’osservazione [...] può agevolmente replicarsi che i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 27, ultima alinea, dello Statuto, riguardano affidamenti già deliberati dal Consiglio e dal Comitato Esecutivo (i quali negli anni 1991, 1992 e 1993 sono intervenuti sul caso Casillo con 68 deliberazioni  [...], come si evidenzia dal prospetto all. sub 9.1).»

Quanto al rilievo n.° 28, si lamenta il fatto che vengono chiamate in causa «le posizioni, sempre le stesse più volte citate dal gruppo ispettivo, concernenti i gruppi “Casillo”» ed altri cinque: questi ultimi, comunque, «non sono affatto connotate da “elementi di pesante immobilizzo”». Per il gruppo Casillo è, per altro verso, la stessa banca a considerarlo “in crisi”, non omettendo la dovuta trasparenza e le cautele del caso.

Quanto al basilare rilievo n.° 32, le controdeduzioni della parte sono ampie ed esaustive: «Replicare - si premette (v. pag. 82) - su relazioni creditizie che hanno avuto esiti negativi può apparire vano ed inconcludente. Del senno del poi son piene le fosse. Tuttavia come in ogni operazione creditizia finita con perdite per il sistema creditizio è fuori dubbio che sono intervenute evoluzioni negative, rischi questi che fanno comunque parte dell’attività dell’imprenditore bancario. Buona parte del sistema creditizio nazionale, era esposto per L. 1.000 miliardi ca. Il Gruppo è comunque incappato in una crisi valutaria che ha inciso sull’intera situazione finanziaria del Paese. Quanto, in particolare, allo sconto di effetti, ritenuti dal gruppo ispettivo di comodo, per Lit. 2 miliardi, si fa presente che il Sig. Gnudi Pietro, all’epoca di effettuazione dell’operazione era il maggiore esponente della società Calcistica Bologna Calcio, partecipante al Campionato Nazionale di Calcio serie B. In ordine allo sconto di effetti all’Adriatica Ionica di Costruzioni si fa rimando a quanto si dirà, cfr. sub cost. 43, sull’emittente gli effetti stessi. Relativamente al finvaluta di L. 7,6 miliardi al Foggia Calcio si fa presente quanto segue:

- nell’anno 1991 la Società ha fatto registrare sul proprio conto corrente movimenti dare per complessive Lit. 26,1 miliardi e movimenti avere per complessive Lit. 25,6 miliardi, con saldo liquido massimo avere di Lit. 1,6 miliardi e massimo dare di Lit. 2 miliardi ca;

 

- nel corso del 1992 ha fatto registrare movimenti dare e movimenti avere per Lit. 40 miliardi ca. per colonna;

- nel corso del ‘92 e sino al 31-3-93 ha depositato somme fino a Lit. 1.541 milioni.

Non risponde a realtà l’osservazione secondo la quale l’erogazione alla Società di nuova finanza si fondava su garanzie rivelatesi inesistenti: il finanziamento di Lit. 7,6 miliardi è stato accordato originariamente a fronte di procura all’incasso per crediti verso la Lega Nazionale Calcio relativi alla campagna acquisti 92/93; la Lega con nota del 27 - 1 - 93 confermava i crediti in Lit. 5,8 miliardi. La Lega, a seguito di richiesta Mediterranea del 21.1.94, ha ribadito che l’anzidetta procura doveva intendersi limitata alla stagione calcistica 92/93, non a quella 93/94. Ciò nonostante la Mediterranea ha ottenuto ulteriori cessioni di crediti in data 25-8-94 registrando i primi conseguenti incassi per Lit. 853 milioni in data 8-9-94, portate a deconto dell’esposizione verso il “Foggia Calcio”. Il merito creditizio della Società trova riscontro nel bilancio al 30-6-93. Cfr. su tutto quanto precede all. 32.1. Della circostanza richiamata per il pegno di azioni della Banca Popolare dell’Irpinia, la Banca è rimasta vittima di un comportamento fraudolento della Casillo Grani s.n.c.»

Circa il rilievo n.° 40, nel contraddittorio la banca non reputa di scendere nel dettaglio dell’operazione Casillo, facendo notare: «In via incidentale, per quanto possa occorrere si sottolinea che secondo la giurisprudenza consolidata le operazioni non comportano violazione diretta od indiretta della disciplina in materia di azioni (all. 40.1)».

 

 

*   *   *

 

Non è irrilevante il fatto che dei sette rilievi riguardanti specificatamente il caso Casillo, la Banca d’Italia non ne abbia ritenuto alcuno passibile di sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 145 T.U. in materia bancaria e creditizia (cfr. Contestazione formale della Filiale di Potenza del 16/9/94). Quanto al coinvolgimento incidentale di cui al rilievo n.° 43 ed all. 3/B, la Mediterranea ha già proceduto ad una contestazione riccamente articolata ed oltremodo convincente, come più diffusamente si dirà appresso.

Quel che è certo è che la Banca d’Italia conosceva perfettamente la questione Casillo, non foss’altro che per i riferimenti che l’intero sistema creditizio coinvolto ebbe a fornire anche tramite l’ABI (ed in proposito esaustiva ci sembra la cennata controdeduzione della banca).

Escluso quindi che vi sia stato nel caso occultamento di condizioni economiche o ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza, quel che si può temere in via di mera ipotesi è che si possa pensare ad una fraudolenta esposizione di fatti non rispondenti al vero in sede di bilancio 1993. Va innanzitutto rimarcato che per quell’esercizio nessun utile è stato distribuito, ed anzi appare ufficialmente una perdita di Lit. 62.633.378.006, peraltro correttamente fronteggiata. Siffatto disvalore tra costi e ricavi - è bene sottolinearlo - viene determinato, non certo per il verificarsi di fatti gestionali connaturantisi in valori numerari certi o assimilati, sibbene per il processo meramente estimativo e prudenziale di accantonamenti stimati a copertura di temute ma eventuali spese future per perdite su crediti. Se analizziamo il Conto Economico, riscontriamo le seguenti voci di oneri passivi al 31/12/1993:

Voci
Denominazione
importo
90
Rettifiche di valore  su immobilizazzioni immateriali e materiali
11.549.462.907
100
Accantonamenti per rischi ed oneri
8.544.066.793
140
Accantonamenti ai fondi rischi su crediti
106.763.898.373
150
Rettifiche di valore su immobilizzazioni finanziarie
5.931.848.192
 
TOTALE COMPLESSIVO
132789276265

 

Bastava dunque essere meno ragionevoli (ed era possibile), per contrarre siffatti valori di mera stima (realtà soltanto pensate, direbbe l’Onida) ed avere risultati di gestione favorevoli. Ma per prudenza gli esponenti aziendali se ne sono astenuti. Ovviamente, avendo dichiarato una perdita, hanno avuto la necessità di ben spiegare ai propri soci quanto si era verificato nella loro azienda. In definitiva, sol perché era entrato in crisi il coacervo di imprese Casillo si era dovuto fare quell’accantonamento ‘prudenziale’ di Lit. 106.763.898.373 eccedente di Lit. 51.957 milioni la perdita dichiarata (82,95%).

In più sedi e con esaurienti informazioni, la banca ha ponderato i fatti gestionali negativi e ne ha ragguagliato i soci, ben oltre il dovuto.

A tutto concedere ad eventuali censori, rimarca il fatto che l’elemento psicologico della fraudolenza è non solo in alcun modo non documentato né documentabile ma obiettivamente del tutto assente: circostanza questa, sì, abbondantemente acclarabile.

Soprattutto, non v’è dato o accenno nelle dispersive carte ispettive che possa in qualche modo suffragare una siffatta fraudolenza.

Per converso, in varie e pertinenti sedi vengono illustrate le traversie del Gruppo Casillo. Ai fini del ragionevole apprezzamento dei crediti vantati dalla banca, si tiene conto di quello che si è verificato tra la chiusura dell’esercizio 1993 e la data di approvazione del bilancio (aprile 1994). Non si tiene certo conto, perché nessuno è profeta, di quello che si è verificato dopo. Ciò, correttamente, viene acquisito con coerenza nell’esercizio di pertinenza, cioè in quello successivo del 1994. Senza indugio, quindi. Quanto viene contestato dagli ispettori poggia, e per di più solo in parte, su sviluppi negativi verificatisi tra l’aprile e la data di chiusura della verifica di Vigilanza, ovverosia quando il bilancio bancario del 1993 era definitivamente chiuso e non più modificabile. Ridotto all’essenza, il dissidio tra ispettori e banca sul caso Casillo si riduce al formale aspetto se il pesante sviluppo post 1993 era prevedibile nella sua interezza in sede di approvazione del bilancio di quell’esercizio o era prevedibile solo parzialmente (come ebbe a fare la banca). Per converso nel bilancio successivo del 1994, la questione non sorge più essendosi proceduto alla totale espunzione dall’attivo dei crediti verso il Gruppo Casillo a seguito della crisi divenuta irreversibile solo nella secondo metà del 1994. Per il principio della ‘competenza’ e della ’autonomia’ di ogni singolo esercizio, l’operato bancario è tecnicamente ineccepibile e per niente censurabile, specie sotto il profilo sanzionatorio in materia di società.

Atti e documenti invocabili a supporto di una tale difesa sono sovrabbondanti. Ci limitiamo qui a richiamarne solo alcuni di grossa valenza probatoria ed esplicativa.

Se, come sembra, sono stati acquisiti di recente il verbale del consiglio di amministrazione della Banca del 29.3.1994 ed il verbale di assemblea del 30.41994, vi si possono cogliere sottolineature difensive  che investono gli aspetti che qui si richiamano.

Le pagine 301-333 del verbale del Consiglio di Amministrazione del 29 marzo 1994 documentano il travaglio degli esponenti aziendali in ordine alla vexata quaestio della valutazione dei crediti, delle rettifiche occorrenti, delle modalità di esposizione in bilancio ed, in particolare e diffusamente, del valore dei crediti col grande gruppo Casillo appalesatosi nel frattempo in crisi. L’arrovellato dibattito, schietto e persino eccessivo, dimostra l’assenza di ogni intento fraudolento.

Il presidente invita il Direttore Generale a relazionare in merito alla “valutazione dei crediti” e questi si dilunga richiamando l’attenzione del Consiglio sulla complessità e novità della nuova disciplina di settore (pag. 301). E’ la base per una dialettica coinvolgente i singoli componenti l’organo collegiale, portatori come noto di vari e spesso contrapposti interessi; è il segno che il presidente si guarda bene dal monopolizzare l’informativa su questioni tanto scottanti; è un elemento di prova che siamo lontani da atteggiamenti di monocratismo.

Il Direttore generale si avvale del parere di un qualificato esperto per rendere edotti tutti i membri del Consiglio di amministrazione su:

*                  i criteri di valutazione nella nuova disciplina dei bilanci bancari;

*                  i criteri di valutazione in generale;

*                  i criteri di valutazione dei crediti;

*                  il fondo rischi su crediti e le problematiche connesse alla nozione di “perdita” su crediti. (pagg. 302-315).

 

Da riportare il seguente passo per lo stretto riferimento al caso del Gruppo Casillo:

«Quando si tratti poi, in particolare, di crediti verso grandi imprese in difficoltà per i quali siano in corso di elaborazione piani di ristrutturazione (nel caso di codesta Banca, si tratta dell’esposizione verso il Gruppo Casillo), detto apprezzamento offre profili di particolare complessità e delicatezza. Per un verso non appare a mio avviso sufficiente fare riferimento esclusivamente a schemi tradizionali (indicati ad es. da Giordano, op. cit., pag. 278 e ss.), ma bisogna tener conto del fatto che sia o meno intervenuto un accordo che sancisca in via (ragionevolmente) definitiva la perdita (nel caso Casillo, ciò non è avvenuto); occorre poi effettuare un apprezzamento generalizzato delle varie proposte di ristrutturazione del credito, delle prospettive che le stesse vadano a buon fine, dell’impossibilità obiettiva di prevedere e quantificare oggi possibili perdite anche con riferimento ad eventuali proposte di tramutamento del credito in assunzione di partecipazioni, e di altre eventuali circostanze ritenute rilevanti. Per altro verso, non può trascurarsi di tener presente che una valutazione avventata ed unilaterale potrebbe innescare una reazione a catena tale da determinare la crisi dell’impresa affidata, venendo ad incidere essa (e non viceversa) sulla recuperabilità del credito. Qualunque sia la scelta degli amministratori, della relativa motivazione andrebbe lasciata traccia certa. In particolare, qualora gli amministratori, nell’esercizio della loro particolare prudenza, ritengano ragionevole costituire un accantonamento a “fondo rischi su crediti” perché si tratta di rischio soltanto eventuale (ovvero optino per la combinazione tra la svalutazione parziale diretta del credito e l’accantonamento per la restante parte, ritenendo che ricorrano le condizioni per tale scelta), va tenuto presente che non sembra sia configurabile un obbligo specifico di motivazione nella nota integrativa al punto dove si descrive la voce “90”, essendo richiesto che ivi si indichino soltanto le motivazioni.. [..]» (pagg. 313-315).

Non è da addebitare un’assenza di dialettica in seno al Consiglio: «sulla base delle [predette] osservazioni - si legge a pag. 315 - si sviluppa un ampio dibattito; vengono formulati quesiti di ordine tecnico-giuridico e fiscale, ai quali il Direttore Generale fornisce puntuali precisazioni.»

Lo stato dei crediti viene quindi sviscerato (pagg. 315-329) per addivenire alla seguente delibera (pag. 329):

           fare propri i metodi di valutazione dei crediti aziendali proposti ed i risultati di dubbio esito che ne derivino;

           consentire le appostazioni contabili con rettifica diretta dell’attivo patrimoniale per 102.554 milioni (comprensivo delle quote già registrate e rettificate delle sofferenze in precedente delibera);

           consentire l’iscrizione al passivo di apposito “fondo per rischi ed oneri” ove riportare le poste relative a svalutazione impegni di firma 2.328 mln.;

           consentire la iscrizione al passivo di apposito fondo Rischi su crediti per lit. 61.574/mln. a presidio di eventuali deterioramenti dell’attivo patrimoniale (del totale impieghi);

           delegare il Direttore Generale all’esecuzione del deliberato apportando le eventuali modifiche di imputazione contabile che si dovessero rendere necessarie.

 

Al n.° 7 (pag.320 e pag. 324) risulta sottoposta ad analisi analitica l’esposizione verso il Gruppo Casillo: in proposito testualmente si annota (pag. 320):

«Le esposizioni complessive  per cassa sommano a Lit. 145.534/milioni. Al riguardo si osserva che sono in corso di elaborazione piani di ristrutturazione e di cessione ad imprenditori dotati dei necessari mezzi. Per siffatte partite, a prescindere da una rideterminazione del tasso applicato tendente a porre gli affidati in più favorevoli condizioni finanziarie, non è stato possibile escludere l’eventualità di perdite future, né d’altra parte è stata raggiunta la ragionevole certezza della perdita, atteso che al riguardo non sono stati ancora raggiunti accordi definitivi. Si è riscontrata, quindi, l’impossibilità obiettiva di prevedere e quantificare perdite certe o presumibili anche con riferimento a possibili proposte di tramutamento del credito in assunzioni di partecipazioni. E’ stato altresì necessario tener presente che una valutazione avventata ed unilaterale avrebbe potuto innescare una reazione a catena tale da determinare la crisi definitiva del prenditore del credito. Per una quota pari a Lit. 3.940.933.340 di interessi maturati sulle posizioni Casillo, ricorda inoltre il Direttore Generale, si è avuta imputazione di rettifica al conto economico.»

 

Non resta occulto o riservato il ponderato processo interno della valutazione dei crediti. Nel verbale assembleare del 30 aprile 1994, la questione è resa pubblica con esaustive esplicitazioni e con puntualizzazione delle ragioni operative. Mette qui conto richiamarne i punti chiave:

«Negli incagli - avverte il C.d’A. - sono presenti crediti verso grandi imprese in difficoltà per le quali sono in corso di elaborazione piani di ristrutturazione e di cessione ad imprenditori dotati dei mezzi necessari. Per siffatte partite, a prescindere da una rideterminazione del tasso applicato tendente a porre gli affidati in più favorevoli condizioni finanziarie, non è stato possibile escludere l’eventualità di perdite future, né d’altra parte è stata raggiunta la ragionevole certezza della perdita, atteso che anche al riguardo non sono stati ancora raggiunti accordi definitivi. Si è riscontrata quindi l’impossibilità obiettiva di prevedere e quantificare perdite certe anche con riferimento a possibili proposte di tramutamento del credito in assunzioni di partecipazioni. E’ stato altresì necessario tener presente che una valutazione avventata ed unilaterale avrebbe potuto innescare una reazione a catena tale da determinare la crisi definitiva del prenditore del credito, venendo essa (e non viceversa) ad incidere sul piano della recuperabilità del credito. In siffatta situazione di incertezza, acuita dalla circostanza che quella da applicare al settore bancario è certamente una normativa nuova, nel senso che le norme in materia di bilancio bancario costituiscono un’organica disciplina di settore prima inesistente e che con la stessa si è operato un ampio adeguamento del diritto interno all’ordinamento europeo mediante il recepimento di principi e regole (in parte) diversi da quelli propri della prassi e tradizione giuridica del nostro Paese, gli Amministratori hanno ritenuto prudente, anche al fine di salvaguardare in modo inequivocabile la stabilità e la solidità della Vostra Azienda, di procedere all’accantonamento a “fondo rischi su crediti” di un importo di lit. 109 miliardi. La dimensione dell’accantonamento deve essere, allo stato considerata prudente e comunque opportuna per un’Azienda di credito, in considerazione del fatto che la sua stabilità è affidata anche alla fiducia riscossa presso i risparmiatori, fiducia che deve trovare un radicamento soprattutto nei mezzi patrimoniali dell’intermediario creditizio stesso. Ulteriore accantonamento di Lit. 2.328 milioni al “fondo rischi su crediti” è stato effettuato in relazione alla circostanza che non è stato possibile escludere l’eventualità di perdita nei c.d. crediti di firma.»

Nel bilancio a stampa vien quindi ribadito:

«Il valore dei crediti in bilancio, comprensivo dell’ammontare degli interessi contrattuali e di mora maturati, coincide con quello del loro presumibile realizzo. Tale valore è ottenuto deducendo dall’ammontare complessivamente erogato le stime di perdita in linea capitale e per interessi, definite sulla base di specifiche analisi dei crediti in sofferenza ed incagliati, nonché del rischio forfettario di perdite che potrebbero manifestarsi in futuro sugli altri crediti.» (pag. 10).

«Fondi rischi su crediti. I fondi rappresentano gli stanziamenti, effettuati nell’esercizio ed in esercizi precedenti destinati a fronteggiare le perdite eventuali che possono emergere dal comparto crediti e che non presentano caratteristiche tali da comportare la svalutazione diretta del credito nell’attivo.» (pag. 12).

A pag. 20 viene incluso nella partite incagliate un “grande gruppo in crisi” con una esposizione per Lit.145.534 milioni” [alias: Gruppo Casillo] e dopo si specifica che «i crediti verso grandi gruppi in crisi sono quelli vantati nei confronti di società appartenenti a grandi gruppi industriali e finanziari anch’essi in situazione di difficoltà.»

A pag. 21 si è quindi inequivocabilmente chiari:

«I crediti nei confronti dei grandi gruppi in crisi sono stati valutati analiticamente, definendo per ciascuna posizione l’entità della perdita attesa sia in linea capitale che in linea interessi, sulla base delle informazioni disponibili. [...] Il processo di valutazione dei crediti vantati dalla Banca verso la clientela, sopra descritto, si è sviluppato secondo criteri di prudenza che hanno tenuto conto della ragionevole certezza della perdita al fine di adeguare il valore contabile al valore di presumibile realizzo dei crediti stessi per capitali ed interessi. Peraltro dal comparto crediti non è possibile escludere l’eventualità di ulteriori perdite future per le quali ad oggi non è stata raggiunta la ragionevole certezza della perdita stessa. Si è riscontrata quindi l’impossibilità obiettiva di prevedere e quantificare al momento perdite certe e presumibili per tener conto del particolare momento dell’economia, ancor più accentuato in termini negativi, nelle nostre aree meridionali ed anche con riferimento a possibili proposte di tramutamento di alcuni crediti in assunzioni di partecipazioni ed a gruppi che manifestano sintomi di difficoltà. E’ stato altresì necessario tener presente che una valutazione avventata ed unilaterale potrebbe innescare una reazione a catena tale da determinare la crisi definitiva dei prenditori di credito, venendo essa (e non viceversa) ad incidere sul piano della recuperabilità del credito. In tale situazione la Banca ritiene che i presidi costituiti in bilancio, rappresentati dai fondi rischi su crediti a voce 90 del passivo (Lit. 109.242 milioni) e dai benefici fiscali futuri connessi con l’eventuale utilizzo dei fondi rischi tassati, presenti sia alla voce 90 (lire 61.575 milioni) che associati con le rettifiche di valore operate sui crediti all’attivo, che non hanno ancora le caratteristiche di deducibilità fiscale (lire 25.157 milioni), siano congrui a fronteggiare le perdite solo eventuali che dovessero emergere dal comparto crediti e che non presentano oggi caratteristiche tali da comportare la svalutazione diretta del credito all’attivo.»

 

A pag. 46 viene ritualizzato il prospetto de: «il capitale, le riserve, il fondo per rischi bancari e le passività subordinate” con esclusione dei “fondi rischi su crediti” in qualche modo impegnati. L’allegato 2 “prospetto riserve ed altri fondi” è ancora più esplicito in proposito.

 

Il laborioso processo della redazione del bilancio 1993 ha avuto il qualificato avallo della autorevole società di revisione “Arthur Andersen”. Quel bilancio è stato assoggettato a revisione contabile e certificato. Nella nota del 31 maggio 1994 può leggersi:

«A nostro giudizio, il soprammenzionato bilancio nel suo complesso è stato redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della Banca Mediterranea S.p.A: per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 1993 [..];

«Per una migliore comprensione del bilancio d’esercizio, di seguito richiamiamo l’informativa rilevante già fornita dagli Amministratori nella nota integrativa:

*                  a carico del conto economico 1993 la Banca ha effettuato un accantonamento di lire 106.763 milioni, di cui Lire 61.575 milioni tassati, con contropartita contabile alla voce 90 “Fondi rischi su crediti”. L’ammontare complessivamente iscritto a tale voce, pari a Lire 109.242 milioni al 31 dicembre 1993, intende fronteggiare rischi eventuali connessi alle esposizioni creditizie in ristrutturazione e/o in transitorie difficoltà finanziarie. In particolare, la valutazione dei rischi effettivi insiti nei crediti in parola ha presentato notevoli difficoltà anche perché il relativo piano di ristrutturazione non è stato ancora definito. A motivo di tale difficoltà e tenuto conto delle incertezze interpretative della normativa vigente circa la definizione dei rischi solo eventuali, sentiti qualificati consulenti legali, la Banca ha ritenuto di non portare il fondo così costituito a diretta decurtazione del valore dei crediti bensì di esporre il medesimo alla voce 90 del passivo quale fondo a copertura di rischi solo eventuali e di darne informativa nella nota integrativa. Tale fondo rischi su crediti, correttamente non considerato componente il patrimonio netto, unitamente ai benefici fiscali futuri connessi con l’eventuale utilizzo degli accantonamenti e rettifiche di valore già assoggettati a tassazione, è ritenuto congruo a fronteggiare le perdite complessive che dovessero emergere dai crediti iscritti nell’attivo. Una diversa classificazione contabile del fondo rischi su crediti iscritto nel passivo non avrebbe, comunque, prodotto effetti sul risultato d’esercizio e sul patrimonio netto al 31 dicembre 1993.»

In sede di certificazione di bilancio, nessun rilievo viene dunque mosso, in particolare per quanto attiene alla valutazione dei crediti verso il gruppo Casillo.

 

La negativa evoluzione del Gruppo Casillo, quale si è fattualmente registrata nella seconda metà del 1994, viene - ripetesi - senza indugio fronteggiata dalla Banca. A riprova valga il seguente passo di pag. 50 del bilancio a stampa al 31.12.1994:

«A seguito della visita ispettiva la Banca ha ceduto alla controllata General Factor S.p.A: una parte del credito nei confronti del Gruppo Casillo, pari a Lit. 72 miliardi circa, ed al valore simbolico di Lit. 9. La posizione è stata ulteriormente ammortizzata per circa Lit. 23 miliardi. A fronte di tale cessione e passaggio a perdite la Banca ha utilizzato contestualmente il fondo rischi su crediti - voce 90 - preesistente; l’utilizzo è risultato pari a Lit. 95 miliardi. La posizione stessa ha subito ulteriori rettifiche di valore e accantonamenti (voce 80) per Lit. 35,4 miliardi.» Si perviene ad un valore complessivo di Lit. 130,4 miliardi collimante, nella sostanza, con le catastrofiche previsioni ispettive di cui all’allegato 3/B. Inoltre, (cfr. ibidem) «ulteriori rettifiche di valore ed accantonamenti (voce 80) per Lit. 44 miliardi circa hanno interessato esposizioni verso gruppi “incagliati” o “in sofferenza”.» Alla data di chiusura del bilancio 1993, pur considerando i quattro mesi disponibili prima dell’approvazione, la valutazione della Mediterranea era ragionevole allo stato dei fatti. I rilievi ispettivi, resi noti a fine giugno, non erano condivisibili, ma sono stati seriamente e responsabilmente presi in considerazione. Il comportamento della banca è consequenziale e rispettoso persino del catastrofismo valutativo cui indulge, in sede di soggettiva e non giuspubblicistica discrezionalità tecnica, il gruppo ispettivo. Solo a bilancio approvato, la Banca acquisisce gli elementi di valutazione del gruppo ispettivo. Solo il successivo bilancio del 1994 è quello “di competenza” per le rettifiche suggerite dal gruppo ispettivo. E nel bilancio 1994, ciò viene puntualmente recepito. Nessuna irragionevolezza valutativa dunque, nessuna scorrettezza, nessuno occultamento di fatti, neppure colposo, figuriamoci doloso.

 

Va rimarcato che gli appunti critici degli ispettori avverso l’esposizione Casillo, pur diluiti in sette rilievi, non aggrediscono la sostanza delle cose. Trattasi di aspetti marginali, di anomalie scarsamente significative e comunque di risalto solo tecnico, di sottolineature fattuali risultate non rispondenti al vero, di opinabilissime valutazioni poggianti su una dilatazione degli alvei della discrezionalità tecnica, di assunti non condivisibili.

In dettaglio, si può controbattere (andando oltre le valide osservazioni della banca):

quanto al rilievo n. 1:

si ammette che informative vengono di volta in volta rese in ordine alle difficoltà del “gruppo Casillo”, ma non si precisa la data d’inizio di tali difficoltà (da altre fonti sappiamo che essa era recente e risaliva al settembre del 1993). Nella sostanza, l’appunto viene rivolto al Consiglio di Amministrazione è quello di limitarsi a “prendere atto”. Ma scattate le difficoltà - che sappiamo essere dovute ad un fatto incontrollabile ed imprevedibile come lo sconquasso del mercato dei cambi - non si comprende quale “apprezzamento in merito alla congruenza degli interventi di sostegno proposti e alle reali possibilità di recupero” l’organo consiliare “fosse in grado di esprimere”. Non c’è comunque alcun anomalo comportamento, nessun atto dovuto che venga pretermesso; solo una pretesa ispettiva di sovrumana saggezza. Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuna portata censoria ha dunque l’appunto, ne può averla. Non vi è culpa in vigilando. Il rilievo si riduce ad un generico invito ad essere più espliciti e formali nelle ponderazioni demandate all’organo consiliare. In merito, la Banca d’Italia non ha attivato nessuna procedura sanzionatoria.

Quanto al rilievo n. 3:

non è vero che «non si fosse ritenuto di effettuare alcuna svalutazione dei crediti vantati nei confronti del Gruppo Casillo»: quanto precede smentisce pienamente tale addebito. Si persegue, per inoppugnabili ragioni, una via equipollente ma molto più consona alla natura di “perdite eventuali” che a quel tempo era possibile presupporre per l’esposizione creditizia de qua. La sconfessione matura nell’ambito dello stesso rilievo quando subito dopo si afferma: «la soluzione prescelta di costituire accantonamenti per complessive L. 106,7 miliardi a presidio di eventuali perdite sui crediti dava luogo ad un improprio accrescimento delle componenti patrimoniali.» E nello smentire se stesso, l’ispettore incappa in una vistosa topica. Gli atti ufficiali di bilancio - che prima sono stati citati - escludono tale posta “dalle componenti patrimoniali”. Ciò non sfugge ai certificatori di bilancio dell’Arthur Andersen (v. sopra). Soprassiede la Banca d’Italia tanto è vero che nessun provvedimento viene adottato (che sarebbe stato ineludibile, se l’ispettore avesse avuto ragione).

Quanto al rilievo n.° 7:

il richiamo del tutto incidentale - «oltre al citato “gruppo Casillo” » - solleva palesemente dall’onere di una qualche controdeduzione. Ma tutto può dirsi, non certo che «fosse mancata trasparenza .. nel processo di valutazione del merito creditizio, con effetti pregiudizievoli sul controllo dell’andamento dei rischi», almeno nel caso Casillo. Basterebbe acquisire la voluminosissima documentazione istruttoria disponibile presso la banca per dimostrare il contrario. Pertinentemente la banca fa notare nelle sue controdeduzioni che tale rapporto creditizio venne sottoposto al vaglio dei massimi organi collegiali per n. 68 volte (a pag. 26 si annota infatti: il Consiglio ed il Comitato esecutivo «negli anni 1991, 1992 e 1993 sono intervenuti sul caso Casillo con 68 deliberazioni ..»).

Quanto al rilievo n. 9:

 le posizioni facenti capo al gruppo Casillo non discendono certo dalla mancanza di “qualsiasi confronto dialettico” fra presidenza e  organi collegiali. Che cosa poi sia questo preteso “confronto dialettico” è arduo definire sotto un profilo fattuale, impossibile concretizzare ai fini di una fondata censura. Nel caso siamo dunque in presenza di una mera raccomandazione che lascia il tempo che trova.

Quanto al rilievo n.° 28:

siamo qui in presenza di una singolare “contestazione”. Il Gruppo Casillo viene aggregato ad altri n.° 6 rapporti sol perché tutti “rilevano per l’elevatezza dei rischi assunti”. Ma questo era stato detto ufficialmente dalla Banca in sede di bilancio. Di per sé l’elevatezza del rischio non dà adito a censure. Altra cosa sono gli “elementi di pesante immobilizzo  e le gravi anomalie nella gestione dei singoli rapporti”. Per saperne qualcosa in proposito dobbiamo però attendere, per il Gruppo Casillo, il rilievo n.° 32, che, come vedremo, non contiene alcunché di probante in ordine alle preannunciate censure ispettive.

Quanto al rilievo n.° 32:

la sua articolazione va decriptata. Nella sostanza e nel dettaglio, tutte le affermazioni ispettive vengono documentatamente contestate dalla banca nelle sue già citate controdeduzioni, cui qua si fa rinvio. Quanto alla genericità ed incongruenza del rilievo, si può ora notare che in definitiva gli appunti attengono alle seguenti circostanze che nulla hanno di quel “pesante immobilizzo”  e di quelle “gravi anomalie” preannunciate nel rilievo n.° 28. Ecco in sintesi gli aspetti messi in luce dagli ispettori:

*                  nei rapporti con due società del gruppo si erano manifestate inadeguatezze di fido - in tempi in cui la crisi dell’intero gruppo Casillo non si era ancora verificata - palesatesi con debordi degli utilizzi; la banca, correttamente e nell’ambito delle competenze statutarie, vi aveva provveduto, in un caso con un mutuo chirografario (con forma tecnica cioè molto più sicura patrimonialmente di un C/C e, comunque, non suscettibile di debordi nell’utilizzo), e nell’altro caso  con un conto corrente “temporaneo”, legato dunque ad effettive esigenze di liquidità;

*                  si afferma, ma non si precisa neppure in termini generici, che ipotesi di rientro non trovavano supporto su documentate analisi istruttorie. Un fugace sguardo alla ponderosa documentazione dimostra l’esatto contrario. S’intende in modo realistico e non secondo le scolastiche visioni ispettive;

*                  il fatto che L. 18 miliardi (l’11,39% dell’intera esposizione Casillo) dimorassero nelle “partite transitorie” ha poco rilievo se non se ne precisano le eventuali anomalie. L’intensa attività, anche di natura finanziaria e commerciale, del gruppo in questione ben legittima il verificarsi di ‘sospesi’, ‘ritorni’, ‘richiami’, ‘partite in attesa di imputazione’ e simili. Ciò è del tutto fisiologico nella prassi bancaria ed, in ispecie, nell’articolata assistenza ai grandi gruppi.

*                  gli effetti di comodo (limitati comunque a Lit. 2 miliardi, pari all’1,26 dell’esposizione totale) lamentati riguardano il signor Gnudi Pietro, chissà perché definito dagli ispettori “nominativo sconosciuto”, mentre trattasi di personalità notoria del mondo del calcio, come puntualmente emerge dalle controdeduzioni della banca;

*                  l’operazione per Lit. 3,1 (pari all’1,97% c.s.) in favore dell’Investind riguarda la rispondenza patrimoniale della “Adriatica Ionica di Costruzioni” appartenente all’estraneo Gruppo Marroccoli, come annotato dagli stessi ispettori, e trattasi di impresa in ordine alla quale neppure il catastrofico pessimismo ispettivo ha da muovere appunti circa la totale recuperabilità dell’esposizione bancaria (Lit. 22.582/milioni con previsione di perdite 0, secondo l’all. 3/B);

*                  la pretesa inesistenza di garanzie a sostegno del ‘finvaluta’ al “Foggia Calcio” - una società di serie A all’epoca in notoria condizione di forma - si riduce, in ultima analisi, come documentato dalle controdeduzioni della banca, in un qualche disguido con la Lega, non pregiudizievole patrimonialmente;

*      quanto al pegno di azioni della Banca Popolare dell’Irpinia - riguardante un finanziamento di appena 1,5 miliardi (0,9% c.s.) alla “Casillo Grani snc” - l’anomalia non investe di certo l’operato della Mediterranea, che semmai - come ben puntualizzato nelle controdeduzioni - è stata l’incolpevole vittima.

  

Per quantità e per qualità, gli appunti ispettivi, dunque, non sono tali da inficiare, nella globalità, l’assistenza creditizia al Gruppo Casillo: se alla fine del 1993 ed a seguito di eventi straordinari, imprevedibili e sostanzialmente estranei alla gestione imprenditoriale, non fosse sopravvenuta la crisi, nessuna nota critica avrebbe avuto senso. Scattata la crisi, il comportamento della Mediterranea è stato congruo e corretto. Pertinente e convincente, risulta la relativa rappresentazione in bilancio. Inconsistenti, limitati e marginali appaiono, in tale contesto, le note critiche degli ispettori. Nessun rilievo extra-ispettivo vi si confà.

 

 

GRUPPO FISVI

 

Sotto l’impropria denominazione di “gruppo” vengono dagli ispettori affastellate società, imprese ed enti economici del settore cooperativistico e consortile del potentino. Troviamo aggrovigliati in un unico coacervo azionarie, società cooperative a r.l., società a r.l., istituti finanziari, unioni cooperativistiche, cooperative di produzioni e cooperative alimentari, etc., i cui blandi legami fra loro non vengono neppure additati dal gruppo ispettivo e non sempre è facile coglierli. Apoditticamente, venti nuclei operativi cooperativistici vengono considerati in crisi economica, ma per due di questi gli ispettori non riescono ad andare al di là di una generica situazione di incaglio. Per l’esposizione di questi due affidati e di altri due rapporti, gli ispettori non prevedono alcuna perdita.

Stando al generico allegato 3/B, abbiamo questo quadro sinottico:

GRUPPO CONFCOOP./FISVI

N.° posizioni
crediti  cassa
crediti firma
totale
previsione perdita banca
previsione ispettiva di perdita
n.° 20
L.105.659 mln
L. 28.319 mln
L.133.978 mln
  ==
L.73.992 mln

 

Anche qui non viene indicata quale parte di perdita attiene ai crediti di firma, questione già sollevata per il caso Casillo, cui si rinvia.

A ben vedere, il nucleo contestativo della Banca d’Italia poggia su questo innaturale raggruppamento, oltre a quello facente capo a Casillo. Solo che qui emerge un incomprensibile atteggiamento censorio verso il mondo della cooperazione. In sede ufficiale, la Banca d’Italia (cfr. nota citata n:° 4626) rimprovera la Mediterranea di “fondare su eventi futuri ed incerti” “le prospettive di recupero” riguardanti il “gruppo FISVI”. Agevole sarà (e in verità lo è stato nelle controdeduzioni) dimostrare funditus l’assoluta arbitrarietà di siffatto assunto della Banca d’Italia, a meno che non si voglia un atteggiamento persecutorio da parte del sistema bancario avverso il movimento cooperativistico.

 

In sede ispettiva i rapporti FISVI vengono considerati nei seguenti rilievi:

*  Rilievo n. 1: La “FISVI” rientra negli esempi “di rilevante ammontare e oltretutto riguardanti nominativi legati alla banca da vincoli partecipativi” nei cui confronti non “risultava effettuato alcun approfondimento  sul merito degli interventi svolti che avevano comportato una crescita delle esposizioni ..”;

*  Rilievo n.° 7: «si fa riferimento in particolare alle posizioni del gruppo “FISVI spa”, oggetto di ricorrenti manovre di consolidamento e di ristrutturazione, tutte classificate tra gli incagli o in sofferenza con previsioni di perdita di considerevole ammontare.»;

*  Rilievo n.° 9: richiamo al menzionato gruppo “Fisvi” in relazione alla “mancanza di qualsiasi confronto dialettico”;

*  Rilievo n.° 28: si ritorna sulla elevatezza dei rischi assunti di talune posizioni fra le quali quella del gruppo “FISVI”;

*  Rilievi nn. 29 e 30: sono quelli centrali nell’impianto accusatorio. A tali rilievi si fa qui rinvio. In sintesi emergono questi aspetti:

  le erogazioni disposte dagli organi aziendali non trovavano sostegno in un’analisi delle condizioni economico-patrimoniali dei richiedenti;

           vi erano state proroghe di finanziamenti scaduti;

           non risultavano acquisite valide garanzie;

  prestiti in valuta erano serviti per sottoscrivere l’aumento di capitale dei consorzi “Ortofrutta” e “Corime”, che a loro volta avevano destinato quell’afflusso di capitali a deconto delle “proprie consistenti posizioni debitorie nei confronti della banca”;

  alcune posizioni «lievitate per effetto sia dell’addebito degli interessi, sia del peggioramento delle ragioni di cambio, venivano estinte nel febbraio 1994, con parte dei fondi rivenienti dal già menzionato finanziamento di L. 15 miliardi concesso alla “Fisvi spa” nel precedente mese di gennaio.»

*     Rilievo n.° 31: si censurano due finanziamenti alla “unione Regionale delle Cooperative della Basilicata” risalenti al 1991 quando la banca concedente era una popolare e pur dovendosi ammettere che l’organo deliberante era stato il Consiglio di amministrazione di allora; a parte la nota sull’utilizzo finale delle disponibilità (mancando un vincolo di destinazione, ciò è ininfluente), quel che in definitiva rileva è “il peggioramento del tasso di cambio”, evento straordinario ed imprevedibile. Nel marzo del 1994, il rapporto viene regolarizzato con un “mutuo ipotecario di Lit. 25,5 miliardi. Il valore novativo e adeguatamente cautelativo dell’intervento viene contestato con argomentazioni formali e pretestuose;

*     Rilievo n.°  45: addebito di una questione di forma ex legge 197/1991 (censimento a nome diverso da quello dell’effettivo presentatore di un accredito di Lit. 1.067 milioni registrato in data 22 settembre 1992 sul conto n. 14961 intestato alla Fisvi spa): la lontana ed ininfluente operazione (ai fini della rispondenza patrimoniale) risulta poi essere stata una svista di un dipendente, peraltro adeguatamente perseguito con procedimento disciplinare.

 

Puntuali le controdeduzioni della Banca che qui, ad ogni buon fine, si richiamano.

Rilievo n. 1

«Per i crediti di rilevante ammontare, riguardanti i nominativi legati alla Banca da relazioni partecipative - si scrive a pag. 10 - (cfr. ad es. “Fisvi” ...), la valutazione degli Organi è stata puntuale e responsabile, sia sulla base di esami della situazione patrimoniale e finanziaria degli affidati, che in virtù anche della conoscenza personale dei singoli imprenditori, nonché sulla base di pareri forniti da noti giuristi; ed è stata successivamente confortata dall’evoluzione fatta registrare,  [...];siffatta evoluzione è evidenziata dai prospetti acclusi alle osservazioni sub cost. 43. Detti nominativi, allo stato, vengono giudicati ottimi clienti non solo dalla Mediterranea - nei confronti della quale le debitorie sono nella maggior parte rientrate o si sono notevolmente ridotte -, ma anche dalle altre istituzioni creditizie. Sulla situazione degli stessi si è già riferito all’Organo di Vigilanza mediante la trasmissione delle delibere consiliari del 20 e 29 luglio e 24 agosto c.a. contenenti le specifiche ricostruzioni dei rimborsi intervenuti (cfr. all. 1.4) e si dirà con maggior precisione e con dovizia di dati in altra parte di queste “controdeduzioni” (Costatazione N. 43).»

Rilievo n.° 7

«... sugli affidamenti al Gruppo “FISVI” - sui quali come si è già detto (cfr. all. 1.4) e si dirà in seguito (cfr. infra Cost. nn. 28, 29, 30, 31, 32, 43) - non vengono da questa Azienda formulate previsioni di perdita. [...] I rischi di sovrapposizione [tra gli organi amministrativi] sono stati in concreto inesistenti.».

 

Rilievo n.° 28

Le posizioni Fisvi «non sono [..] affatto connotate “da elementi di pesante immobilizzo, oltre che da gravi anomalie nella gestione dei singoli rapporti”, neppure presso altre istituzioni creditizie. Quanto alle dimensioni delle medesime si osserva che queste non hanno mai superato il limite di fido previsto dalla normativa vigente. Circa le gravi anomalie nella gestione dei rapporti si rinvia a quanto si dirà infra in replica alle successive costatazioni.» (V. pagg.73-74)

 

Rilievo n.° 29

«Non si ritiene di poter accettare l’affermazione secondo la quale “le erogazioni degli Organi Aziendali” non trovano sostegno in un’analisi delle condizioni economico-patrimoniali dei richiedenti, né in un preventivo vaglio degli scopi dei finanziamenti e delle prospettive di rimborso” per le seguenti ragioni. Innanzitutto va fatto presente che la “S.p.A. FISVI ed il gruppo dei Consorzi e delle cooperative ad essa facenti capo” - si tratta di n.° 3 Società per azioni, di n.° 3 società a r.l. e di n.° 37 cooperative, costituite da n.° 17.277 agricoltori - oltre ad un indotto che occupa circa 5.000 unità - sono seguiti ed assistiti dalla Banca sin dalla fine degli anni ‘70, vuoi per ragioni connesse alla comune natura cooperativistica - a quel tempo e sino al ‘92 la Banca era una popolare - vuoi perché i predetti soggetti rappresentano e costituiscono la spina dorsale dell’intera agricoltura lucana, localizzata nella zona del Melfese, di Val d’Agri e nel Metapontino. Si osserva, altresì, che l’assistenza creditizia si è concretizzata, oltre che in aperture di credito in conto corrente e finanziamenti in valuta, anche, per una quota rilevante, in anticipazione su crediti (erogazione di contributi CEE e Ministero Risorse Agricole - crediti IVA - crediti garantiti da fideiussioni bancarie) e in anticipazione su merci. Più in dettaglio si precisa:

-   la proroga di finanziamenti scaduti è connessa ai ritardi con cui gli Enti Pubblici provvedono alla liquidazione dei contributi concessi; il finanziamento “Unioncoop” deliberato dal Comitato Esecutivo il 13.11.92 e prorogato dallo stesso Organo il 14.9.93 fino al 31.12.93 è rientrato il 10.1.94 ed il relativo conto risultava a credito, alla data dell’11 marzo ‘94, per Lit. 2.235.934.977 (cfr. all. 20.1);

-   lo stesso conto evidenziava accrediti per Lit. 4.607.100.000 l’11.1.93, che hanno fra l’altro determinato il rientro del finanziamento di Lit. 1.800.000.000 approvato con delibera di Consiglio del 7.7.92 (cfr. all. 29.1);

-   i finanziamenti erogati con delibere del Presidente del 22 e 25 novembre e 3 dicembre 1993 alla FISVI S.p.A, rispettivamente, di Lit. 400 milioni, di Lit. 250 milioni e di Lit. 1.100 milioni sono rientrati in data 14.10.1994, cfr. all. 29.1 bis;

-   il finanziamento di Lit. 1/miliardo deliberato dal Comitato Esecutivo il 3.11.93 è rientrato il 14.10.1994, cfr. all. 29.1 bis;

-  quanto alle garanzie acquisite a presidio delle ragioni creditorie della Banca, si osserva che alcune erano connesse alla forma tecnica del sostegno erogato (finanziamenti Ortofrutta: Lit. 3.560.000.000 - procura all’incasso contributi Ministero Agricoltura e Foreste, ora Risorse Agricole, del 7.8.92; procura all’incasso credito I.V.A. di Lit. 1.050.000.000 del 20.3.92; cessione di credito del 9.9.93 di Lit. 4.734.000.000, più interessi, assistito da fidejussione della Popolare di Milano, riconosciuta a favore Mediterranea dalla stessa Popolare, su tutto cfr. all. 29.2; finanziamenti Agrigel: Lit. 8.183.000.000, più interessi, cessione di credito garantito del 9.9.93 assistito come sopra dalla Popolare di Milano; mandato irrevocabile all’incasso di credito I.V.A. di Lit. 857.118.000 del 22.5.92; su tutto cfr. all. 29.3; finanziamenti Società Produzioni Agroalimentari Italiane S.p.A. - SPAI: delegazione di crediti derivanti da forniture e Conserve Italia per Lit. 3 miliardi del 13.8.93; procura irrevocabile all’incasso per Lit. 4.450.000.000 di credito I.V.A. del 29.4.94, cfr. all. 29.4; CORAC: procure irrevocabili all’incasso di credito Ministero Agricoltura e Foreste, ora Risorse Agricole, di Lit. 1.400.000.000 del 30.5.91, di Lit. 7.800.000.000 dell’11.8.92, di Lit. 2.700.000.000 del 18.12.91, quest’ultimo incassato il 29.3.94; procura all’incasso di credito I.V.A. di Lit. 760.000.000 del 19.3.92; custodia ed amministrazione con diritto di ritenzione a pegno a favore della Banca di azioni SPAI per nominali Lit. 12.000.000.000, l’operazione garantita di Lit. 4.800.000.000 è stata estinta il 12.10.1994, cfr. all. 29.5); finanziamenti a Coop. Sementi: anticipazione su q.li 48 mila di grano duro prod. ’93 di Lit. 1.400.000.000 del 12.8.93, ridotta a Lit. 1.150.000.000 al 10.10.94, cfr. all. 29.6; Coop. Agric. Fortuna: anticipazioni su q.li 22 mila di grano duro - prod. ‘93 di Lit. 660.000.000, estinta con versamenti del 10, 11 e 19 maggio 1994, cfr. all. 29.7; Coop. Il Granaio dell’Alto Bradano: anticipazione su q.li 30.510 di grano duro - prod. ‘93 di Lit. 915.318.000, estinta in data 8.7.94, cfr. all. 29.8.

 

«E’ improprio e non pertinente, quindi, quanto rilevato dagli ispettori in ordine alle proroghe, all’adeguamento dell’accordato, agli utilizzi ed alla valutazione delle garanzie, trattandosi di una complessa assistenza creditizia ad un movimento cooperativo che innerva l’intera economia agricola di una regione; se la stessa Comunità Europea, lo stesso Ministero delle Risorse Agricole e la Regione Basilicata ritengono  di intervenire con la concessione di contributi e con operazioni di riequilibrio finanziario, nonché con apporti diretti al capitale di rischio (cfr. L. 140/92 e L. Reg. Basilicata 26/92, cfr. all. 29.9), vuol dire che si è in presenza di operatori la cui situazione finanziaria non può essere valutata alla stregua di un normale prenditore di credito;  bisogna conoscere le ragioni, anche sociali, politiche ed economiche generali, che ne hanno determinato la nascita e ne postulano l’esistenza ed il continuo operare, così come avviene del resto per altre benemerite realtà industriali del nostro Paese e dell’Europa in generale. Queste considerazioni, tenuto conto di quanto, in fatto, significato in precedenza sono solo aggiuntive in ordine al complessivo discorso tecnico. Quanto, infine, alla fidejussione (non finanziamento) di Lit. 1,7 miliardi deliberata dal Consiglio di Amministrazione il 24 gennaio 1994, assistita da pegno su libretto di deposito di pari importo, si precisa che lo stesso non ha determinato un sostanziale incremento dell’esposizione e , comunque, il libretto suddetto è stato compensato a deconto dell’esposizione FISVI il 1°-8-94 (cfr. all. 29.10).»

Rilievo n.° 30

«Le operazioni di cui al “menzionato gruppo FISVI”, “autonomamente” - rectius ai sensi dell’art. 27 dello Statuto - deliberate dal Presidente vanno effettivamente inquadrate in un disegno di completo riassetto del Gruppo stesso. In particolare, sono parte integrante del rafforzamento patrimoniale e finanziario di due Consorzi, Corime nel settore distillazione vini e Ortofrutta nel settore conservazione e surgelazione di prodotti ortofrutticoli, nella logica della creazione di un polo agro-alimentare meridionale. I finanziamenti di originarie complessive Lit. 17,3 miliardi - realizzatosi l’intero disegno - sono completamente rientrati (cfr. all. 30.1). A ciò aggiungasi che è intervenuta anche la legge 140/92, della cui prossima emanazione si aveva già certezza nel 1991, che ha provveduto ad ulteriormente consolidare l’equilibrio finanziario di Corime ed Ortofrutta. Il finanziamento di Lit. 15 miliardi concesso alla FISVI S.p.A. ha trovato un primo parziale rientro, Lit. 4 miliardi, in data 14.10.94, grazie alla vendita alla Cirio-Polenghi-De Rica di azioni SPAI per un ctv. di Lit. 15,4 miliardi, che verranno utilizzate anche a rientro di altri finanziamenti goduti dal Gruppo, di cui sub cost. n. 29, cfr. all. 30.2)»

 

Rilievo n.° 31

«L’operazione oggetto di critica va collocata nell’ambito di una generale riorganizzazione e ristrutturazione finanziaria e rafforzamento dei mezzi propri dell’intero movimento cooperativistico lucano; l’Unione Regionale delle Cooperative di Basilicata era considerata uno snodo rilevante nell’intero progetto. Ad ogni buon conto, l’operazione è rientrata mediante accollo alla “Unioncoop”, giusta note fra le parti del 19 e 22 novembre e 2 dicembre 1993. L’accollo si è realizzato attraverso la concessione all’ “Unioncoop” di un mutuo ipotecario di Lit. 25,5 miliardi, per il quale il beneficiario ha chiesto l’assistenza del Fondo Interbancario di Garanzia, assistenza per la quale la Regione ha ritenuto che “ricorrevano le condizioni previste dall’art. 36 della Legge 454/61”. Quanto alle garanzie, tutte reali, sono costituite da ipoteche su beni immobili, da pegno su azioni SPAI per nominali complessive Lit. 11.877.500.000 e su quote Vini d’Europa s.c.r.l. per nominali Lit. 6.583.000.000. In ordine alla valutazione dei beni ipotecati si precisa che la stessa si basa su perizia redatta da organi tecnici regionali in data 9.5.89, 11.5.89 e 18.3.94; la delibera di concessione del mutuo in parola è del 31.3.94. Per l’immobile di maggior valore sono state acquisite ben tre perizie, redatte sempre in epoca antecedente alla citata riunione di Consiglio, cfr. all. 31.1. In ordine al merito creditizio della Unioncoop, si fa presente che alla stessa è stata assegnata la realizzazione di un progetto CEE che prevede investimenti per Lit. 75 miliardi, i cui flussi verranno accreditati su questa Banca, che i consorzi interessati hanno deliberato di procedere alla creazione, attraverso la loro fusione, di un unico centro agroalimentare meridionale, che, nel mese di marzo ‘94 il conto corrente Unioncoop è risultato costantemente a credito, cfr. all. 31.2»

 

Rilievo n.° 45

«Versamento di Lit. 1.067.264.440 sul conto FISVI. L’assegno versato, tratto da I.T.C. & P. su M.P.S. - Roma, è a favore di CORAC srl - Non trasferibile. Nell’A.V.I. informatico, l’operazione appare essere stata eseguita da Lamiranda Saverio Carlo per conto FISVI. Sulla distinta, la firma è di un soggetto diverso da Lamiranda. Per l’accaduto è stato sottoposto a procedimento disciplinare l’operatore di sportello disattento.»

 

*   *  *

Il raggruppamento cooperativistico viene dunque censurato solo per una sorta di pregiudiziale mercantilistica che ripugna ad una corretta visione dell’assistenza bancaria a siffatte realtà economiche: queste, senza dubbio non potenti sotto il profilo della consistenza capitalistica, hanno altre potenzialità economiche che fanno “affidamento”. Le agevolazioni tributarie, il supporto pubblico, le sovvenzioni comunitarie, la preminenza del fattore lavoro, il quadro normativo di favore e - trattandosi del Sud - tutte le previdenze che per il comparto approntano gli enti dello sviluppo hanno valenza suppletiva e spesso moltiplicativa della semplice rispondenza patrimoniale. Sorprende davvero che gli ispettori non ne abbiano tenuto conto. Hanno, per contraccolpo, un modo di valutare burocratico, irrealistico, punitivo e dispersivo del meritorio ruolo del mondo della cooperazione in generale e del suo imprenscindibile impulso in seno alla depressa economia del Mezzogiorno. Si fosse trattato di enti di comodo, decotti, inoperosi, fragili, illiquidi, senza mercato, privi di spazi nel campo delle agevolazioni meridionali, nazionali e comunitarie, si poteva pure ammettere un timore di stampo meramente economicistico in funzionari della Banca d’Italia, che pur son sempre pubblici e chiamati quindi a visioni di pubblico interesse, come recitava una volta la vecchia legge bancaria. E vigendo questa, sono stati allacciati i contestati rapporti con le cooperative, e per di più da una popolare. Allora sono nati gli istituzionali rapporti partecipativi; allora sono sorti gli affidamenti creditizi, in un quadro di massima trasparenza e di complementarità operativa. Le controdeduzioni della Banca sono al riguardo perspicue e sicuramente demolitive delle singolari pretestuosità ispettive. Un vero infortunio, non v’è dubbio. Se la Banca avesse seguito i dettami irresponsabili degli ispettori, avrebbe colpevolmente, forse peggio, disintegrato un settore vivo e vitale della fragile economia lucana. Non l’ha fatto encomiabilmente, e non l’ha fatto neppure la subentrata Banca di Roma. Non aveva questa legami né visioni cooperativistici; aveva ed ha preclusivi interessi imprenditoriali: eppure ha mantenuto i rapporti con le cooperative proprio perché erano rapporti validi, proficui, economicamente sani, appetibili bancariamente. Un avallo autorevole per l’operato dei precedenti esponenti; una esemplare smentita delle infondate previsioni burocratiche di emanazione Banca d’Italia.

Ancor più che per il caso Casillo, i tanti rilievi, la loro prolissità, la loro evanescenza non spiegano perché nel complesso i venti organismi raggruppati sotto la denominazione “FISVI”, sono soggetti non affidabili bancariamente, perché sono da ritenere indesiderabili (marchiati con il connotato della “sofferenza”) o in predecozione (si parla di “incagli”) e perché  sarebbero ormai caduchi economicamente e patrimonialmente (tanto che per gli ispettori è prevedibile una perdita del 70% dei crediti per cassa). Le controdeduzioni diradano incontrovertibilmente tali irragionevoli paure. Rientri già avvenuti, massicci sostegni finanziari pubblici, veri crediti tributari, mercati in sviluppo, irrobustimenti societari per qualificanti partecipazioni da parte di colossi nel settore agroalimentare e tanti altri aspetti che la Banca ha messo in luce, dimostrano a iosa che siamo in presenza di realtà valide, operanti, dalle effettive prospettive di crescita. Taluni contraccolpi di natura valutaria, per il noto trambusto del mercato dei cambi, possono avere determinato un qualche momentaneo disguido che rendeva necessari ritocchi negli affidamenti, peraltro legittimi, anzi meritori. Poca cosa rispetto a quanto è avvenuto per il terremoto valutario in campo nazionale e presso le grandi industrie, con i noti riflessi presso l’intero sistema bancario, grandi banche del Nord comprese. C’è allora proprio da credere che per gli ispettori della Vigilanza, le banche devono ritirare l’ombrello prestato al primo apparire di alcune gocce di pioggia, come irride il noto paradosso?

La Banca Mediterranea non l’ha fatto, non ha iniquamente distrutto il prospero mondo cooperativistico, non ha perso nulla, ha avuto fonti di reddito e le ha consentite; la subentrata Banca di Roma ha proseguito sulla via tracciata dai banchieri del Sud ed il suo ultimo bilancio conferma appieno la bontà delle scelte, quelle dei predecessori e quelle degli attuali amministratori.

Tralasciando i rilievi nn.° 1; 7; 28 e 45), ove il Gruppo FISVI è pretestuosamente additato, gli appunti di cui ai rilievi 29; 30 e 31 non vanno al di là di aspetti formali, marginali, e giammai di portata generale da inficiare i rapporti creditizi delle ben 20 società ed enti intruppati sotto un unico gruppo.

Si afferma che le erogazioni creditizie mancavano di analisi. Basterebbe acquisire le pratiche di fido per provare il contrario. La realtà cooperativistica del luogo poteva (ed era) conosciuta dai locali esponenti bancari, certamente molto di più di quello che ispettori romani sono in grado di valutare. Dove e quando, poi, fosse mancata quella analisi non è detto. Che quella assenza di analisi fosse stata pregiudizievole secondo un principio di causa ed effetto - allora sì censurabile - non è argomentato, precisato né tampoco provato. Il rilievo è assiomatico ed apodittico.

Vengono censurate, in modo generico,  proroghe di finanzianti scaduti. Al momento di precisare, il tutto si limita al rapporto con la “Unioncoop” le cui peculiarità vengono, invece, illustrate nelle controdeduzioni in termini tali da invalidare ogni sospetto di anomalia, nonché ad alcune agevolazioni del Presidente nel 1993 in favore della FISVI S.p.A cui nulla si può eccepire se non il fatto che i conti erano in precedenza sottodimensionati. Al limite una questione di inopportunità, inopportunità che tale appare solo agli occhi (irresponsabili) degli ispettori esterni.

E’ mera astuzia espositiva quella di voler far credere che “in tal modo veniva procrastinato nel tempo l’emergere delle condizioni di pesante immobilizzo della complessiva creditoria, ammontante ad oltre 150 miliardi al 28 febbraio 1994”. Ci si astiene dal specificare a che cosa si allude con quella “complessiva creditoria”. Postergando il riferimento al 28 febbraio 1994, non soccorre neppure la stringatissima elencazione di cui all’Allegato 3/B ex rilievo n. 43, che riguarda i dati di bilancio 1993. La “complessiva creditoria” dovrebbe comunque riguardare le autonome e variamente garantite esposizioni di tutte le 20 cooperative messe sotto tiro; dovrebbe includere e crediti per cassa e quelli di firma; coinvolgere posizioni d’incaglio con quelli in sofferenza (secondo il distinguo ispettivo; per la banca trattasi sempre di posizioni normali), includere indifferenziatamente crediti per i quali gli ispettori non prevedono perdite o ne prevedono in misura limitata. Scatta una confusione che di per sé rende risibile l’assunto., in nessun altro modo specificato e provato. Emblematica la circostanza che l’analisi era limitata ai soli rapporti FISVI S.P.A. e Unioncoop che al 31.12.1994  erano esposte per Lit. 39,7 miliardi per effettivi crediti di cassa.  Si critica che un libretto di deposito acquisito in pegno per l’importo di Lit.1,7 miliardi si potesse collegare con un finanziamento di complessive L.15 miliardi, erogato dalla banca: Trattasi di disponibilità che potevano venire spese dall’affidato e rendere più rischiosa l’esposizione: avendo invece l’affidato, con legittimi negozi giuridici, vincolato quelle disponibilità affluite in un titolo quale il deposito a garanzia di un mero credito di firma ha fornito alla banca un valido supporto cautelativo. Ha proprio ragione la Banca quando annota: «si precisa che il libretto non ha determinato un sostanziale incremento dell’esposizione e, comunque, il libretto suddetto è stato compensato a deconto dell’esposizione FISVI il 1°-8-94.» Emerge ad evidenza che in ogni caso trattasi di episodio insignificante, privo di ogni sostanziale anomalia.

Quanto diffusamente scritto al rilievo n.° 30 non ha alcun valore contestativo. Si constata soltanto che «l’operazione si risolveva in un riassetto della complessiva debitoria del “gruppo”, senza che ne conseguissero concreti benefici in termini di contenimento del rischio e di smobilizzo delle posizioni». Ma il riassetto è già di per sé un valore. Gli ispettori si arrogano il diritto di stabilire quando i benefici sono ‘concreti’ e quando no: ciò però è demandato alla valutazione degli amministratori, nell’ambito dell’autonomia imprenditoriale su cui notoriamente la Banca d’Italia non intende influire. Sotto il profilo censorio, il documento tecnico ispettivo è espressione di un avviso soggettivo, irrilevante  per quanto ha riguardo alla legittimità.

Sul peggioramento delle ragioni del cambio, si è avuto modo di controdedurre in precedenza.

L’operazione censurata al rilievo n.° 31 viene ricondotta al suo vero alveo di regolarità nelle apposite controdeduzioni della Banca. Viene anche qui contestata la validità sotto il profilo dell’opportunità di una scelta gestionale che rientra appieno nell’autonomia imprenditoriale delle banche, dichiarate dalla nuova legge bancaria imprese a tutti gli effetti (Art. 10 DL 1.9.1993 n. 385). E’ lo stesso ispettore che ammette che vi era stato un “peggioramento del tasso di cambio”. Necessitava un riassetto e la banca si è premurata di propiziarlo. Encomiabilmente.

Tra la visione tecnica degli ispettori di acquisire e valutare garanzie reali e quella (ancorata alla realtà ed alle specificità della zona) vi è diversità. Le argomentazioni addotte dalla Banca (cfr. pag. 81 e 82) invero non possono che essere considerate valide e preminenti. L’aspetto, comunque, ha una tale marginalità che non dimostra per nulla l’assunto ispettivo che aveva annunciato la prova di esiziali anomalie. Siamo solo al livello delle mere raccomandazioni, di cui ogni banca deve tener conto (ma dopo che ne ha avuto notifica) ed a cui non è giuridicamente vincolata. 

 

Emerge un divario tra l’impianto delle costatazioni ispettive - fragili ed evanescenti - ed il dato assiomatico di cui al prospetto sub All. 3/B al ril. n.° 43.

In termini di assoluta imponderabilità, gli ispettori prevedono una perdita complessiva di L.73.992 mln e la contrappongono alla prudente e ragionevole valutazione della Banca. E’ “fatto” rilevante ai fini della redazione del bilancio 1993?

La risposta è negativa in radice. A tutto ammettere - e condizioni di fatto e di diritto sono di diverso segno - l’apodittica affermazione ispettiva viene rappresentata alla fine di giugno 1993, quando il bilancio del 1993 era già stato chiuso, discusso, certificato ed approvato dall’assemblea dei soci proprio al limite dei tempi d’obbligo. L’imprevedibile e non condivisibile apprezzamento degli ispettori è dunque “fatto ignoto” nei tempi utili per le rettifiche di bilancio.

Le disposizioni di settore e quelle civilistiche saranno pur cambiate, ma resta pur sempre valido il nucleo centrale delle concezioni della più autorevole dottrina italiana in materia di valutazione di crediti. Specie sotto un profilo penale (art. 2621 cod. civ.) bisogna pur intendersi su che cosa significhi la locuzione “fatti non rispondenti al vero”. Sin dai primordi del diritto commerciale, quando si parlava di fatti falsi, nasceva la questione sulla portata delle valutazioni. Non si vuole arrivare all’assunto (ragioneristicamente ancor oggi non del tutto infondato) che “ogni valutazione è un apprezzamento e non un fatto”. (Alfredo De Gregorio: i Bilanci delle società anonime, Milano 1938, pag. 164). Col De Gregorio si può concordare che siamo in presenza di un ‘apprezzamento’, ma questo presuppone una serie di elementi di fatto dai quali esso possa dedursi, sia pure con la maggiore larghezza di criteri, senza arrivare a confondere tale larghezza con qualsiasi cervellotico arbitrio. Certo in questo campo le linee di demarcazione sono difficilissime; ma il buon senso aiuterà molto spesso ad escludere certe giustificazioni più o meno speciose: così non potrà, ragionevolmente, essere giustificato quell’amministratore che, conoscendo l’insolvenza dei debitori della società, porti per intero i relativi crediti..».

Nel nostro caso, gli ispettori della Banca d’Italia - dall’esterno - temono perdite  là dove non v’è insolvenza dei debitori, né questa è paventabile. Quale fatto v’è dunque? Nessuno. Ad adottare siffatti criteri ultraprudenziali (cervellotici) si finirebbe con il costituire delle riserve occulte di bilancio che davvero potrebbero dare adito a pesanti censure. Sono definitivamente tramontati i tempi in cui Azzariti (in Annali di diritto e procedura penale, 1932, fasc. I (pag. 12 dell’estratto) sosteneva. «La correttezza della riserva occulta mediante svalutazioni delle attività sociali, purché rimanga entro certi limiti, può essere ammessa senza esitazioni. Né qui in realtà si può parlare di esposizione di fatti falsi. Si tratterà, se mai, di criteri di valutazione non rispondenti alla realtà, criteri che l’assemblea dei soci potrà eventualmente non approvare, ma che non costituiscono esposizione di fatti falsi che la legge soltanto punisce. I giudizi, le opinioni o gli apprezzamenti non sono colpiti dalla sanzione penale.» La parte finale del teorema Azzariti deve far meditare. In definitiva, se la Banca avesse adottato - ammesso che fosse stata in tempo - le ultraprudenziali valorizzazioni dei crediti fatte dagli ispettori, senza ancoraggi fattuali, cerebralmente, con preconcetti, con dispregio della realtà cooperativistica ed infondatamente e men che meno documentatamente, davvero sarebbe incorsa in  “criteri di valutazione non rispondenti al vero”; davvero avrebbe sottovalutato indebitamente l’attivo; davvero avrebbe costituito censurabili riserve occulte; davvero avrebbe esposto “apprezzamenti non rispondenti al vero”. V’è poi un altro limite di legge che va pure contemplato, almeno da parte degli amministratori: sotto il profilo fiscale siffatte amputazioni dei crediti, in presenza di debitori solvibili, non sono deducibili. Oltre al danno delle supersvalutazioni, si avrebbe un aggravio di oneri tributari che vanno corrisposti a dichiarazione presentata. Ciò determina un ulteriore peso perché a fronte di oneri solo temuti e quindi non riconosciuti dal Fisco, scatta un esborso in contanti con riflessi onerosi sulla gestione di liquidità. Il denaro costa, anche e particolarmente alle banche. Gli ispettori di Vigilanza per costume ignorano i problemi dell’impostazione di bilancio sotto l’aspetto fiscale. Gli amministratori non possono esimersene e le complicazioni sono ben note agli addetti ai lavori. Il contemperamento delle opposte esigenze (e purtroppo delle opposte leggi) è demandato ai responsabili bancari. Il loro operato può venire censurato dagli ispettori solo in presenza di effettive anomalie, non per diversità di criteri nell’ambito della discrezionalità tecnica  di diversi punti di vista (interni quelli degli amministratori; esterni quelli degli ispettori).

L’argomento conclusivo che rasserena è, comunque, la circostanza che il gruppo di esposizioni verso il mondo cooperativistico è stato mantenuto dalla subentrante Banca di Roma, che ha ritenuto vivi e vitali quei crediti. A distanza di tempo, non solo non si è verificata alcuna pessimistica previsione, non solo quelli che la Banca d’Italia aveva ritenuti “eventi futuri ed incerti” si sono tutti verificati in senso positivo per il riflesso patrimoniale della Mediterranea, ma la valutazione è stata mantenuta sugli standard della precedente gestione e tale viene rappresentata anche in sede dell’ultimo bilancio 1995, a dimostrazione dell’assoluta correttezza, attendibilità e ragionevolezza dei criteri adottati nel passato, in ispecie nel considerato bilancio 1993.

 

 

Pretese agevolazioni a specifici soggetti, sottoscrittori di azioni della Mediterranea

 

Nella lettera di contestazione della Banca d’Italia (pag. 2) notasi una pesante insinuazione : «La crescita dei volumi è [..] affidata in misura non corrispondente alle effettive potenzialità economico-patrimoniali; in particolare, al fine di rafforzare i legami con l’azionariato di codesta “Mediterranea”, è stato offerto un ampio ed incondizionato supporto finanziario ai detentori delle più significative quote del capitale sociale dell’ente. Emblematiche a tal riguardo  sono le operazioni effettuate in occasione dell’ultimo aumento di capitale, deliberato dall’Assemblea straordinaria nel febbraio 1993: dalle verifiche effettuate è emerso che una parte delle azioni collocate è stata sottoscritta utilizzando fondi messi a disposizione dalla stessa Azienda.»

I rilievi ispettivi che pare siano chiamati in causa sarebbero:

Rilievo n.°  28: «Ampio ed incondizionato è risultato il sostegno creditizio fornito a clientela detentrice di quote significative del capitale della banca. Rilevavano, per l’elevatezza dei rischi assunti, le posizioni concernenti i gruppi “Casillo”, “Pafi-Icla”, “Fisvi”, “Mediofin” (ora Mediotermine Italiana srl), “Spezzati, “Dibattista” e “Russillo”.»

I rilievi nn.° 17, 18, 19, 20 e 21 che costituiscono l’ordito dell’intera parte del rapporto intitolata (allusivamente) Operazioni sul Capitale.

Quanto al rilievo n.° 28 , nell’aspetto messo in risalto si finge di ignorare che trattasi di ex soci della popolare e di operazioni creditizie risalenti ad antica data, sicuramente di gran lunga precedenti i tempi d’attuazione dell’aumento del capitale sociale del febbraio 1993.

Che una popolare possa assistere i propri soci è cosa notoria e non censurabile. Nella legge istitutiva delle banche sotto tal forma è esplicitamente previsto all’art. 9: «La società può accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge è demandata la vigilanza sulle Aziende di credito, limiti che non potranno in alcun caso eccedere il 40 per cento delle riserve legali.» Per di più, sussiste l’usbergo dell’art. 2522 c.c.

L’ex banca popolare non ha mai subito sanzioni di sorta per inottemperanza di siffatti limiti. Non si può far ricadere sulla Mediterranea l’obbligo di estinguere tutti i rapporti creditizi ereditati dalla fusione di una popolare, se volti a pro’ dei soci provenienti dall’assorbito assetto societario cooperativistico. Insostenibile sarebbe la tesi che volesse limitare la capacità di indebitamento bancario presso la propria banca a chi è stato socio della popolare d’origine.

A ben vedere, come fanno notare le controdeduzioni, la generica contestazione del sostegno creditizio a clientela socia va ridotta ai cinque casi del capitolo “operazioni sul capitale” e cioè alle operazioni di a) Mediofin (ril. 17); b) “Spezzati” (ril. 18); c) Parmalat Spa (ril. 19); d) “Russillo”(ril. 20); “Pafi spa” (ril. 21).

Le controdeduzioni (cfr. pagg. 38-48) della Mediterranea sono sicuramente esaustive e più che giustificative dell’operato bancario.

Comprovati sono i seguenti assunti:

L’aumento del capitale sociale del febbraio 1993 (da Lit. 138,5 miliardi a Lit. 207 miliardi) si è accompagnato al fatto che «la raccolta diretta dell’Azienda nel periodo di esecuzione dell’aumento di capitale è diminuita di circa Lit. 220 miliardi, utilizzate in buona parte per la sottoscrizione in parola».

«L’operazione di aumento in parola è stata successivamente chiusa con il capitale sociale a Lit. 190.768.480.000, cioè per un importo inferiore di nominali Lit. 17.093.720.000. Se la Banca avesse avuto l’intenzione di operare così come si sostiene nella costatazione, avrebbe potuto facilmente coprire l’intero aumento deliberato.»

Vengono quindi demolite le accuse specifiche:

Operazione “Mediofin”:

A sottoscrivere le azioni è MEDIOFIN in data 25 giugno 1963 con fondi rivenienti dalla Cassa di Risparmio di Puglia. Il fatto qui è solare: nessun prestito viene accordato per acquisto o sottoscrizione delle azioni. Gli ispettori - osserva pertinentemente la Banca - ricostruiscono «un complesso giro di fondi fra Società del Gruppo Degennaro che ha come momento terminale la concessione da parte della Mediterranea di un finanziamento in valuta di Lit. 14,9 miliardi alla s.r.l. “BARIALTO”, altra società del Gruppo.» E’ arbitrario però collegare, specie se si vuol far credere che vi sia un nesso di causa ed effetto, questo finanziamento in valuta con la sottoscrizione di azioni della Mediterranea. La banca controdeduce: «Si precisa che il finanziamento in valuta alla s.r.l. BARIALTO viene deliberato, nel febbraio ‘93, come una partecipazione, con una quota di Lit. 15 miliardi, ad un finanziamento in pool, capofila Cassa di Risparmio di Puglia, per complessive Lit. 70 miliardi, durata quinquennale, garanzie ipotecarie. L’operazione finanzia la costruzione di n.ro 850 ville bifamiliari [..] La Mediterranea aderisce al pool con una quota di Lit. 15 miliardi con delibera del Consiglio di Amministrazione del 5.3.93. La BARIALTO s.r.l. con nota del 17.5.93 rinunzia all’operazione in quanto ha reperito, a condizioni migliori, fondi presso l’ISVEIMER. Successivamente, considerato che il finanziamento ISVEIMER viene erogato su S.A.L., la BARIALTO chiede nuovamente alla Mediterranea l’affidamento di Lit. 15 miliardi di cui sopra è cenno. Il rientro è previsto in cinque anni. Vengono rilasciate a garanzia fideiussione di Mediofin S.p.A., Viterbi Giacoma e Degennaro Giuseppe, titolari dell’intero gruppo e di ingenti proprietà immobiliari. L’operazione viene accolta dal Consiglio di Amministrazione Mediterranea con delibera del 5 luglio per sopperire alle necessità finanziarie connesse agli investimenti dell’affidata. Nel luglio ‘93 il gruppo Degennaro ha presso il sistema creditizio provvista e titoli per complessive Lit. 90 miliardi, al 30.12.93 per Lit. 63,8 miliardi.»

 

Operazione “Spezzati”

 

Gli ispettori tendono a censurare tre diverse operazioni di sottoscrizione di azioni da parte di tre soggetti diversi (Immobiliare Spezzati srl, Gemelli srl e Spezzati Salvatore) considerato come un unico gruppo. La provvista viene dall’estranea Banca Popolare dell’Etruria. La data della sottoscrizione - chissà perché - viene taciuta. La regolarità della cointeressenza la si vuole revocare in dubbio sol perché il 22 luglio erano stati accordati “finanziamenti per complessive L. 15,5 miliardi   ... dalla Mediterranea ai nominativi sopraindicati”. La Banca controbatte: «In realtà, come gli stessi ispettori rilevano, la sottoscrizione è avvenuta a mezzo di assegni tratti sulla Filiale di Pescara della Banca Popolare dell’Etruria.» Circa le finalità dei finanziamenti, escluso ogni intento di prestito finalizzato all’acquisto di azioni della stessa Mediterranea, resta evidente che essi furono concessi «per sovvenire alle esigenze finanziarie dell’intero Gruppo Immobiliare, come emerge dalle relative delibere del Consiglio di Amministrazione (cfr. all. 18.1). Nel giugno ‘94 il Gruppo Spezzati aveva disponibilità depositate presso la Banca Mediterranea per circa 2,5 miliardi. La gestione della tesoreria del Gruppo è di diretta pertinenza del suo titolare. Le relazioni bancarie con il Gruppo Spezzati hanno avuto origine nel 1987 e si sono via via incrementate con affidamenti di rilevante importo in connessione all’aumento dell’attività del Gruppo.»

 

Operazione Parmalat

 

Il colosso dell’imprenditore parmigiano Calisto Tanzi si sarebbe prestato - a dire degli ispettori - ad un fittizio sostegno nei confronti della Mediterranea. La tesi, evidentemente bislacca, poggia sul fatto che dopo la regolare sottoscrizione di azioni della Mediterranea, con fondi provenienti da banche diverse e di rilevanza nazionale, la medesima Mediterranea, in data successiva e per importo non coincidente,  ebbe ad accordare un finanziamento di Lit. 15 miliardi in favore della (sola) ITC.  Si controdeduce da parte della banca (pagg. 42-44): «Il pacchetto azionario è stato sottoscritto mediante versamento di assegni COMIT, Banca Roma, Monte Parma e Piacenza, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza di Collecchio (Parma), nonché di assegni di Bancoper, Banca Toscana e Banca di Roma di Roma. La tesoreria del gruppo, che ha una dimensione internazionale e quindi con problematiche non controllabili da parte della Banca Mediterranea, né da parte di altre Banche, viene gestita a Collecchio (Parma). I fidi concessi dalla Mediterranea al Gruppo Parmalat sono connessi agli investimenti dallo stesso effettuati nel Sud. Gli affidamenti vengono utilizzati nei limiti dell’accordato ed il conto corrente della Capogruppo Parmalat ha un indice di rotazione molto elevato, con saldi anche creditori.»

 

Operazione “Rossillo-Di Battista”

Per gli ispettori “gli acquisti di azione da parte degli imprenditori Carmine Russillo e Dibattista Domenico risultavano effettuati con fondi approntati dalla Mediterranea”. Si soggiunge che entrambe le posizioni sono state giudicate in sofferenza con previsioni di perdita. Per la banca (pag. 44) «sia la posizione Russillo che quella Di Battista devono considerarsi normali: si rinvia al riguardo a quanto si è detto sub. const. n. 3, e a quanto si dirà infra in replica alle cost. nn. 35 e 43.»

In merito all’ operazione “Russillo”, la banca precisa: «la sottoscrizione .. è avvenuta con versamento di assegno Monte Paschi - Pz - in data 25-5-93», mentre il finanziamento in valuta, cui forzatamente gli ispettori collegano l’operazione di sottoscrizione da parte della persona fisica Carmine Russillo, era stato accordato alla società di capitali “Impresa Russillo srl Tecnologia e Costruzioni” ed era stato deliberato da un organo collegiale della banca, il Comitato esecutivo, non contestualmente, ma ben otto giorni prima. «Il finanziamento in valuta - precisa la Mediterranea - di Lit. 1 miliardo concesso il 17 maggio 1993 alla impresa Russillo S.r.l. - Tecnologie e Costruzioni, assegnataria di appalti da Enti pubblici e privati per complessive Lit. 92 miliardi, di cui ancora da eseguire circa Lit. 24 miliardi, sovviene alle esigenze finanziarie connesse all’esecuzione di detti lavori. L’affidata viene assistita dalla Banca sin dal 1982 e vanta crediti per circa Lit. 7 miliardi a fronte di lavori già eseguiti. L’esposizione della Mediterranea al 30-9-94 è pari a Lit. 4.850 mln, mentre a dicembre ‘93 era pari a Lit. 6.081 mln.»

Quanto alla sottoscrizione di azioni da parte del Dibattista, gli spunti critici pare si debbano desumere dal fatto che la sottoscrizione da parte di costui era stata regolata ”mediante il versamento di un assegno di Lit. 8,5 miliardi tratto su di un conto intrattenuto dalla società “Dibattista Costruzioni srl” presso la filiale di Gravina della Cassa di Risparmio di Puglia il 30 luglio 1993”. Ma cosa può avere di anomalo siffatto giro, non è detto. Francamente nulla, a meno che non si voglia indagare sui fatti interni del Gruppo Di Battista, fatti interni comunque né indagabili né conoscibili né, tampoco, censurabili da parte degli amministratori della Mediterranea e, comunque, irrilevanti ai fini della responsabilità ex art. 2630 c.c. degli organi amministrativi della Banca. In data 6 agosto, e cioè sei giorni dopo la sottoscrizione, avvengono fatti extra banca Mediterranea così sintetizzati dal gruppo ispettivo (ril. 20): «.. risultavano effettuati bonifici di importo pari a Lit. 8,3 miliardi su diverse banche delle piazze di Gravina e di Bari disposti dalla medesima società a debito del proprio conto corrente in essere presso la “Mediterranea”, sul quale erano state create le relative disponibilità con la concessione di un affidamento per scoperto di conto corrente di Lit. 10 miliardi, deliberato  dal Consiglio di amministrazione il precedente giorno 5 agosto.» Se nel successivo mese di febbraio 1994 ed in quello di maggio 1995 (a distanza di oltre sei mesi per il primo caso e di oltre 10 mesi nel secondo) il Di Battista può cedere, regolarmente e legittimamente, parte delle sue azioni e lucrarci sopra una plusvalenza di Lit. 1000 ad azione (Lit. 600 milioni in totale), beh! non si vede che cosa possa esservi di censurabile in ciò, e quale rilievo possa avere ai fini di una fattispecie come quella vagamente sospettata di omesso rispetto da parte degli amministratori della Mediterranea delle disposizioni ex art. 2358 c.c.

 Chiarisce, ad ogni buon fine la Banca: «Anche la sottoscrizione Di Battista è avvenuta con assegno di altra Banca, Caripuglia - Gravina di Lit. 8,5 miliardi. Il finanziamento di Lit. 10 miliardi concesso nell’agosto del ‘93 era destinato a fronteggiare necessità finanziarie nelle more di incassi per crediti ammontanti a circa Lit. 30 miliardi nei confronti di Enti Pubblici. L’esposizione del gruppo al 30.9.94 si ragguaglia a  complessive Lit. 7.137 milioni, rispetto ad un utilizzo di Lit. 15.101 milioni al 31.12.93. Il Gruppo Di Battista, assegnatario di appalti per complessive Lit. 99 miliardi circa da Enti Pubblici, è ritenuto nel mercato creditizio Meridionale fra i più efficienti e patrimonialmente solidi del settore edile. Anche per il Gruppo in esame vale la considerazione che i movimenti intergruppo sono ispirati da esigenze di tesoreria e non possono farsi risalire alla responsabilità delle banche erogatrici.».

 

Operazione “Pafi spa”

 

Le “modalità anomale” - affermazione palesemente sproporzionata rispetto alle circostanze di fatto che si additano - si riducono in definitiva a non condivisibili appunti circa la procedura di negoziazione di assegni. A tutto ammettere, balza però evidente che le pretese “modalità anomale” non comportano alcuna ipotesi di “prestiti accordati per acquisto o sottoscrizione di azioni”. Ogni forma creditizia non è neppure lontanamente ipotizzata. La successiva costituzione in pegno avviene presso l’estranea e non sospettabile - specie a quel tempo - Banca di Roma.

«L’acquisto da parte della Banca, -  si precisa più che controdedurre  a pag. 64  - in data 16.7.93, delle n.° 759.117 azioni è avvenuta a seguito di istanza del cedente PA.FI S.p.A: motivata dalla necessità di provvista da immettere nei conti intrattenuti con il sistema creditizio. Ritardi nella realizzazione di incassi a fronte di lavori eseguiti avrebbero diversamente prodotto oneri finanziari ingenti alla predetta PA.FI-. Parte (Lit. 920 milioni) del corrispettivo (Lit. 11,4 miliardi) è stata versata nel conto ICLA S.p.A intrattenuto presso la Mediterranea. Successivamente (20/7), realizzati gli incassi di cui sopra (cfr. all. 21.1) e creatasi sufficiente disponibilità nei conti intrattenuti presso altre banche del sistema, la cliente ha sottoscritto nuovamente azioni Mediterranea e per un numero superiore (n.° 1.288.514) a quello prima ceduto. Inoltre, l’operazione rientra nell’azione svolta dalla Banca al fine di creare sul proprio titolo un vivace mercato: nel 1993 sono state effettuate n.° 123 operazioni di acquisto relativamente a n.° 3.568.779 azioni e n.° 1.940 vendite che hanno interessato n.° 2.364.970 titoli. Le modalità tecniche di realizzazione di quanto sopra non pare abbiano impedito al gruppo ispettivo di risalire agli effettivi soggetti operanti. Quanto alla negoziazione per cassa dell’assegno di Lit. 18,3 miliardi tratto sulla Banca di Roma di Potenza, essa è avvenuta previa intesa realizzata sulla stessa piazza fra Banca Mediterranea e Banca di Roma e cioè seguendo le modalità d’uso e con le dovute cautele. Fra l’altro i titoli azionari sottoscritti e liberati non sono stati consegnati al titolare e neanche erano stati stampati a quella data! E’ motivo di soddisfazione per la Banca Mediterranea rilevare, poi, che la Banca di Roma ritiene valida garanzia il pegno su titoli Mediterranea.»

 

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Le locuzioni usate dalla Banca d’Italia sono purtroppo tanto allusive quanto incongrue rispetto ad effettive fattispecie di “prestito” o “garanzia” per (al diretto fine, dunque) “acquisto o sottoscrizione di azioni proprie”. Si parla di “utilizzazione di somme messe a disposizione dalla stessa banca” (ril. 17); di “analoghe modalità” (rilevo 18); di “acquisto di azioni con fondi forniti dalla stessa banca” (ril. 19);  di “acquisti di azioni .. effettuati con fondi apprestati dalla Mediterranea” (ril. 20); “sottoscrizione delle azioni .. con modalità anomale” (ril. n. 21).

Scendendo dalle premesse alle circostanze di fatto, non emerge alcuna operazione in cui un prestito (fido, apercredito, anticipazione o prestito su proprie azioni) sia stato accordato al dichiarato fine di supportare o agevolare l’acquisto o la sottoscrizione di azioni della Mediterranea. Gli ispettori, in 5 casi su sei (il sesto, quello della PAFI è del tutto estraneo alla fattispecie che qui ci occupa), credono che vi sia un risalto anomalo nella circostanza che prestiti paralleli possano essere confluiti nella costituzione dei fondi utilizzati per la sottoscrizione di azioni. Sotto un profilo tecnico è, invece, dimostrabile che ciò non è sostenibile o non è sostenibile che vi sia stata un’attività del Consiglio di Amministrazione della Banca volta a simulare un prestito diretto alla sottoscrizione di azioni della stessa banca.

Non v’è mai una contestualità quantitativa e temporale; non v’è mai una confusione soggettiva; non vi è mai un’inottemperanza dei doveri di diligenza amministrativa ed esecutiva. Le operazioni che ad avviso degli ispettori possono essere compensative, o al limite simulate, avvengono tutte fuori della Banca, presso altri istituti di credito. Gli ispettori sono magari in grado di conoscerle perché hanno accesso agli inviolabili segreti bancari esterni alla Mediterranea: gli amministratori e gli operatori di questa mai e poi mai possono avervi accesso e men che meno possono interferirvi. L’estraneità è tanto ovvia che sarebbe veramente ozioso volervi intravedere elementi di responsabilità o culpae in vigilando. Nelle controdeduzioni della Banca questo aspetto è messo in luce con ricchezza di elementi e con pertinenti argomentazioni, nonché con sottolineature delle improprie valutazioni ispettive circa quella che è la gestione di tesoreria dei soggetti affidati. Forse non va dimenticato che per i prestiti bancari non v’è un vincolo di destinazione che postuli un controllo attivo della banca affidante sull’effettiva utilizzazione dei fondi da parte dei prenditori di essi.

La preoccupazione, l’assillo di impedire che i prenditori di fondi li utilizzino per sottoscrivere azioni della banca affidante è tale da spingere gli operatori della Banca a non accettare mai titoli tratti su propri conti affidati in occasione di sottoscrizioni o acquisto di azioni di diretta pertinenza. E a nostro avviso, una volta che il fido non viene concesso “per acquisto o sottoscrizione delle proprie azioni”, nulla impedirebbe di utilizzare le disponibilità conseguite legalmente per sottoscrivere o acquistare azioni della banca.

Il tuziorismo bancario è tale che si costringono i propri clienti a fare e utilizzare fondi presso banche terze per accedere alla partecipazione bancaria. Tali operazioni non possono considerarsi giammai né simulate né di comodo: osta se non altro il fatto che sono tutte operazioni onerose (e quanto onerose sa chi utilizza servizi bancari), vere e reali, legittime e con causa valida. E gli oneri non ricadono sulla banca che mette sul mercato azioni proprie, ma sui sottoscrittori. Non vi è dunque nessuna interposizione soggettiva di comodo. Non si vede, infatti, perché terzi debbano favorire una banca quando a pagare il salace conto della provvista presso altre banche sono solo loro.

In dettaglio abbiamo che:

nel caso sub n.° 17, la sottoscrizione di azioni Mediterranea avviene con assegni di un diverso ente creditizio, Cassa di Risparmio di Puglia, per natura giuridica e per effettività operativa, ben distinto e per nulla strumentalizzabile per operazioni di comodo o simulate della concorrente banca azionaria;

nel caso sub 18, i titoli di pagamento provengono dalla Banca Popolare dell’Etruria della lontana Pescara;

nel caso sub 19, il sovrastante colosso della Parmalat fa pervenire i fondi da grandi banche quali la Banca di Roma, la Banca Nazionale del Lavoro, la Comit,  o da lontane ed estranee casse e monti di credito quali il Monte di Parma e Piacenza e la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza;

nei casi sub 20, il pagamento avveniva con assegni del Monte dei Paschi di Siena (caso Russillo) o della Cassa di Risparmio di Puglia (caso Dibattista).

La questione Pafi (ril. 21) non rileva qui, in alcun modo.

A ben vedere non vi è neppure nessuna esatta corrispondenza quantitativa tra le operazioni infondatamente messe in collegamento dagli ispettori.

Nel caso sub 17 si collega una sottoscrizione per Lit. 13,3 miliardi con un finanziamento in valuta (a soggetto ed in tempi diversi) di Lit. 14,8 miliardi, peraltro nell’ambito di «consistente “giro” di fondi  per L. 122,9 miliardi » (pari al 924% della sottoscrizione di azioni).

Nel caso sub 18, tre sottoscrizioni di tre soggetti diversi per complessive Lit. 14 miliardi vengono collegate con finanziamenti per complessive Lit. 15,5 miliardi.

Nel caso sub 19, la sottoscrizione da parte della Parmalat per Lit. 8 miliardi viene messa a confronto con un (successivo) finanziamento di Lit. 30 miliardi. La collegabile sottoscrizione da parte della ITC per Lit. 5 miliardi avrebbe punti in comune con un finanziamento di Lit. 15 miliardi.

Nei casi sub 20,  la sottoscrizione per Lit. 954,5 milioni viene collegato con “un accredito di Lit. 998 milioni riveniente da un finanziamento in valuta concesso alla società dal Comitato esecutivo”. Gli ispettori non ne precisano l’importo. Sappiamo dalle controdeduzioni che trattasi di un finanziamento in valuta di Lit. 1 miliardo concesso a soggetto diverso assegnatario di appalti da Enti pubblici e privati per complessive Lit. 92 miliardi, di cui ancora da eseguire circa Lit. 24 miliardi. La sottoscrizione da parte del Dibattista per L.8,5 miliardi viene riferito, con evidente forzatura, ad un postumo “affidamento per scoperto di conto corrente di Lit. 10 miliardi, deliberato dal Consiglio di amministrazione il .. giorno 5 agosto”.

Quel che, poi, ancor più rileva è che nessuna contestualità temporale si riscontra nelle cennate operazioni di sottoscrizione.

Nel caso sub 17, la sottoscrizione avviene il 25.6.93; l’affidamento chiamato in causa il 5 luglio 1993. Nel caso sub 18, la sottoscrizione è del 30 luglio 1993; il collegamento vien fatto con un fido concesso il 22 luglio 1993. Nel caso sub 19, una sottoscrizione è dell’8 luglio 1993, mentre il fido risulta “erogato” il 13 luglio 1993; l’altra operazione è del 12 luglio 1993, mentre il fido viene “deliberato” il 19 luglio 1993. Nei casi sub 20, la sottoscrizione del 25 maggio 1993 viene arbitrariamente collegata con un fido deliberato il 17 maggio; quella del 30 luglio con uno scoperto in C/c deciso il 5 agosto.

 

Quel che è grave nell’ordito del rapporto ispettivo è l’intreccio tra fatti emergenti presso la banca e fatti verificatisi in  aziende creditizie estranee. Questi ultimi fatti non vengono tenuti distinti né precisati. Si ha l’impressione - falsa - che possa trattarsi di circostanze note agli esponenti aziendali. Invero i fatti di altre banche sono coperti dal rigido segreto bancario. Non sono dunque in alcun modo conoscibili da parte degli amministratori della Mediterranea. Gli ispettori li hanno potuto appurare avvalendosi di parallele ispezioni o in forza della loro funzione pubblica, cui non si può opporre il segreto bancario. Era doveroso pertanto distinguere fatti a conoscenza degli amministratori e fatti verificatisi all’esterno della banca, di cui gli stessi amministratori non hanno né possono avere consapevolezza e, comunque, responsabilità alcuna. Le anomalie che si reputa di riscontrare nelle “operazioni sul capitale” devono essere contemplate nell’ambito delle responsabilità degli amministratori ex art. 2630 c.c. Non si può far ricadere l’ombra del dubbio sul comportamento degli amministratori intrecciando indistintamente circostanze che possono farsi risalire alla loro responsabilità e vicende del tutto estranee alla loro sfera di conoscenza e di influenza.

Specificando, gli amministratori ignoravano del tutto quel che si dice nel rilievo n.° 17, laddove si descrive che «i fondi per la copertura di quest’ultimo assegno [quello di Lit. 14 miliardi “compensato da Caripuglia”] erano apprestati con il ricorso ad una complessa operazione di scambio incrociato di assegni posta in essere il medesimo 9 luglio e che aveva interessato, oltre il conto “Mediofin”, i conti intestati ad altre società dello stesso “gruppo” (Vallerro, Spec, Larouge, Barialto, Barialto Service e Italcostruzioni); il menzionato “giro”, consistente in registrazioni di addebito e di accredito per importo esattamente corrispondente (Lit. 122,9 miliardi), era servito a far affluire sul conto “Mediofin” disponibilità per complessive L. 14,8 miliardi provenienti da “Barialto”...». Gli ispettori non precisano a quali conti ci si riferisce e principalmente se questi erano tutti conti della Mediterranea o, come solo agli svezzati occhi degli addetti ai lavori appare, investivano conti di altre banche, in ispecie della Caripuglia. In estrema sintesi, si deve riconoscere che il giro di assegni viene ricostruito presso Caripuglia. Ciò è possibile agli ispettori: è interdetto agli amministratori della Mediterranea. Orbene se ciò è vero, quale responsabilità può farsi ricadere su questi ultimi? E’ un giro che avviene fuori della loro banca, che ignorano, che non possono investigare per i limiti del segreto bancario, di cui non sono assolutamente responsabili. E se tanto è da dire sul “giro”, il nesso causale tra prestito e utilizzo dei fondi per sottoscrizione di azioni crolla incontrovertibilmente.

Nel caso sub 18, alla Mediterranea al massimo può risultare che propri assegni sono stati negoziati presso la Banca Popolare dell’Etruria; gli amministratori non sono assolutamente in grado di sapere che il netto ricavo era affluito proprio in quel conto dell’estranea popolare su cui poi vengono tratti gli assegni per la sottoscrizione di azioni. Anche qui, gli ispettori contestano fatti che non si sono verificati presso la Mediterranea, fatti non conoscibili dagli amministratori. Senza tale collegamento ogni responsabilità dei medesimi amministratori è assolutamente insostenibile.

Nel caso sub 19, “la prima parte del rilievo si impernia sul fatto che erano stati “disposti in favore delle suddette [ma diverse dalla Mediterranea] banche bonifici di corrispondente ammontare a valere sulle disponibilità rivenienti dai finanziamenti”. Solo che nulla consentiva agli amministratori di sapere (e impedire) che quei bonifici venivano destinati a loro volta a costituire quelle disponibilità presso banche nazionali che erano servite alla sottoscrizione di azioni. Fatti del tutto esterni e per di più intervallati da un congruo lasso di tempo. Altrettanto può dirsi per la seconda parte del rilievo, dove di sfuggita e senza rappresentarne la portata, si parla di “assegni negoziati presso le filiali di Roma della Banca Toscana e del Monte dei Paschi di Siena”. Che cosa potevano sapere al riguardo gli amministratori della Mediterranea? quale responsabilità è a loro ascrivibile? Tacciono gli ispettori. Nessuna si può affermare, in sede tecnica.

Anche i casi sub rilievo n.° 20 poggiano su circostanze verificatesi presso aziende bancarie esterne, al di fuori della portata degli amministratori della Mediterranea. In un caso trattasi di una negoziazione di un assegno presso l’insospettabile Monte dei Paschi di Siena; nell’altro caso trattasi di “bonifici di importo pari a Lit. 8,3 miliardi su diverse banche delle piazze di Gravina e di Bari disposti dalla medesima società a debito del proprio conto corrente in essere presso la Mediterranea.”. Gli amministratori di questa al massimo potevano avere sentore di tali bonifici, avvenuti peraltro sei giorni dopo la sottoscrizione delle azioni in questione; giammai erano in grado di conoscerne la destinazione che era avvenuta presso le diverse banche di Gravina e Bari. Fatti esterni, in nessun modo addebitabili agli amministratori della Mediterranea.

 

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Quale visione abbiano gli ispettori della Banca d’Italia in tema di anomale operazioni di prestito sulle proprie azioni ex art. 2358 non è agevole intuire. Non è neppure chiaro se intendano riferirvisi nei cennati rilievi. Certo, presso una normale azionaria, un prestito a propri sottoscrittori di azioni emerge di primo acchito. Ma presso una banca, che ha il suo scopo societario nell’attività creditizia, i prestiti a propri sottoscrittori debbono avere connotati di anomalia marcati e finalizzati perché possa scattare la fattispecie vietata dall’art. 2350 c.c. Se bastasse una semplice agevolazione creditizia, in linea con le rigorose procedure dell’ordinamento di settore, per ipotizzarsi operazioni censurabili, tutto il sistema creditizio in forma azionaria verrebbe chiamato in causa. Un affidamento antecedente, contestuale o successivo potrebbe senza particolari sforzi venire collegato con una sottoscrizione o acquisto di azioni della medesima banca affidante. Non risulta che una siffatta linea estremista sia stata recepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

In definitiva quel che viene vietato è un indebito annacquamento del capitale sociale. Ciò si ha di sicuro quando una fittizia attività viene contrapposta, in modo diretto e senza vantaggi di sorta per il conto economico, agli incrementi che si registrano alla voce: “capitale sociale”. Quando, cioè, la stessa partita va ad aumentare i crediti, all’attivo, ed il “capitale” (che per i ragionieri, almeno, è pur sempre una voce del ‘passivo’ dello stato patrimoniale). L’operazione contabile si riduce, in tal caso, a questa semplice variazione dell’attivo e del passivo, per lo stesso importo:

data
crediti
  a
capitale sociale
Lit. XXX

 

Forse la disposizione di cui  all’art. 9 della già citata legge sulle popolari, chiarisce qualcosa. Quell’articolo rappresenta un’eccezione rispetto all’art. 2358 c.c. e l’eccezione è limitata alla possibilità di accordare anticipazioni sulle proprie azioni, purché entro il limite del 40 per cento delle riserve legali. Per le banche sotto forma di spa, per converso, neppure entro quel limite si possono accordare fidi garantiti da proprie azioni, specie se sottoscrivende. Tanto non è da escludere che sia avvenuto nel passato, non sappiamo con quali conseguenze penali. Escluse le anticipazioni sulle azioni oltre i limiti ai soci, nulla sembra ostare alle popolari di accordare altre facilitazioni creditizie alla propria clientela  rientrante  anche nella propria compagine societaria. Per le aziende ordinarie, dovrebbe del pari essere ammessa la normale attività creditizia a chi per avventura è socio ed interdetta in assoluto quella sotto forma di anticipi su proprie azioni.

Del pari, un affidamento che venga istruito e dichiarato come prestito per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni della banca affidante, può dar adito a censure. Del pari, s’intende, operazioni creditizie inusitatamente gratuite o a soggetti di comodo, senza alcuna rispondenza patrimoniale collegabili all’aumento del capitale sociale della banca sarebbero egualmente perseguibili. Ma al di fuori di ciò, l’area dell’anomalia deve essere congruamente ed in modo circostanziato comprovata.

Nelle vicende della Mediterranea, nulla di quanto sopra è emerso; niente viene provato; vaga, defatigatoria e con circostanze non corrispondenti al vero è l’allusione che qua e là è rinvenibile nel rapporto ispettivo.

E sempre a tutto concedere, scatta poi la questione della responsabilità degli amministratori che mai è indicata, in nessun caso provata, sempre inesistente, come diffusamente si è sopra argomentato.

 

Le incidenze economiche lamentate da piccoli azionisti, adusi ad un’opposizione preconcetta,    in ordine alla contrazione di valore delle azioni della Mediterranea.

 

La Banca d’Italia sembra, in linea di massima, lamentare che «il Consiglio di amministrazione non ha ispirato a criteri di ragionevole prudenza le scelte adottate in materia di valutazione dei crediti, realizzando, tra l’altro, un improprio accrescimento del Patrimonio di Vigilanza; nell’occasione, l’atteggiamento della Banca è sembrato infatti teso a privilegiare ancora una volta la ricerca del consenso della base sociale, esigenza questa che, negli ultimi anni, ha originato sia gli elevati dividendi corrisposti ai soci, sia la fissazione, in sede di acquisto di azioni proprie, di prezzi unitari altamente remunerativi.» (Cfr. pag. 4 nota n.° 4626)

Da rimarcare che l’eventuale carenza di “ragionevole prudenza” riguarderebbe soltanto il Patrimonio a fini di Vigilanza, e non certo il bilancio ufficiale. L’atteggiamento della Banca non poteva, nel bilancio 1993, avere nessun effetto positivo nella “ricerca del consenso della base sociale”, visto che l’esercizio chiudeva in perdita, senza distribuzione alcuna di utili. Circa gli “elevati dividendi” dei precedenti anni, nulla prova che fossero indebiti. Anzi! La “fissazione dei prezzi unitari altamente remunerativi” vale nel doppio senso degli acquisti e delle vendite, con effetti sostanzialmente compensativi. Trattasi comunque di valori liberamente negoziabili, che rispondono alla logica della domanda e dell’offerta, rimessi, dunque, al gioco del libero mercato.

La costatazione della Banca d’Italia, in definitiva, radicalizza, il rilievo n. 4 del rapporto ispettivo. Qui si annota: «La soluzione descritta [quella di accantonare al passivo Lit. 106.7 miliardi a presidio di eventuali perdite su crediti, sulla quale si è diffusamente scritto prima] consentiva di mantenere elevato il prezzo delle azioni sociali cui commisurare gli interventi a carico dell’apposito fondo. A tale riguardo sintomatica della scarsa trasparenza decisionale risultava la circostanza che i prezzi proposti all’assemblea fossero stati determinati (cfr. verbale consiliare del 29.3.1994) ancor prima di procedere all’approvazione del progetto di bilancio e senza che dagli atti consiliari emergessero elementi per giustificare il valore dell’azione nelle misure deliberate (da un minimo di Lit. 14.000 ad un massimo di Lit. 16.000). Solo in data 28 aprile 1994 veniva acquisito il parere di un consulente esterno che, pur confermando nella sostanza il valore del titolo in una misura (L. 15.800) compresa tra i prezzi minimo e massimo proposti dal Consiglio ed approvati dall’assemblea dei soci il 30.4.1994, ne subordinava la effettività alla “adeguatezza” degli stanziamenti di bilancio destinati alla copertura delle perdite su crediti e alla inesistenza di ulteriori perdite nel comparto delle partecipazioni.»

Replica la Banca (pag. 15 e ss. delle controdeduzioni): «Ribadito che quanto rilevato nella “costatazione” 3 non incide né sulla esattezza né sulla chiarezza delle rappresentazioni, non si riesce comunque a capire in che modo l’atteggiamento tenuto in sede di redazione del bilancio abbia potuto consentire “di mantenere elevato il prezzo delle azioni sociali cui commisurare gli interventi a carico dell’apposito fondo”, atteso che l’importo di Lit. 109,2 miliardi, accantonato alla voce “fondo rischi crediti - voce 90”, non è stato tenuto in considerazione - per la semplicissima ragione che le norme vigenti non lo consentono - nella ricostruzione del patrimonio netto rettificato che è stata la seguente:

- capitale sociale
Lit. 189.772 mln
- sovrapprezzo azioni
Lit. 106.185 mln
- riserve (inc. rivalutazioni)
Lit. 140.506 mln
- fondo rischi bancari generali
Lit.   11.705 mln
     meno Perdita d’esercizio
Lit.   62.633 mln
Totale patrimonio netto contabile
Lit. 385.535 mln
- plusvalenza immobili
Lit.   28.775 mln
- plusvalenza titoli
Lit.   16.636 mln
- ammortamento avviamento residuo (meno)
Lit.         882 mln
- benefici fiscali futuri
Lit.    35.624 mln
- oneri fiscali futuri (meno)
Lit.     12.537 mln
Totale patrimonio netto rettificato
Lit.   453.151 mln

 

«Vedasi sul punto anche la già richiamata relazione di certificazione della Società Arthur Andersen nella quale è scritto espressamente (cfr. anche quanto detto in replica alla cost. 3) che il fondo rischi su crediti “correttamente non (è) considerato componente il patrimonio netto”. Non è vero, quindi, che l’atteggiamento tenuto dal Consiglio mirasse a mantenere elevato il prezzo delle azioni; le proposte al riguardo presentate all’Assemblea sono state una prima volta, 29.3.94, formulate conoscendo, nella sostanza, le risultanze del bilancio 1993 e, successivamente, 28.4.94, definitivamente approvate sulla scorta anche di un parere fornite da un tecnico, Prof. Potito (cfr. all. 4.1); le copie delle delibere richiamate (cfr. all. 4.2) fanno fede dell’anzi cennata ricostruzione. Evidentemente, quindi, l’affermazione che leggesi nella “costatazione” è frutto di svista del gruppo ispettivo”.»

 

Incorrendo in una ingiustificabile topica, gli ispettori gonfiano insignificanti appunti al seguente passo della delibera consiliare del 23.9.1994: «Il Presidente passa a trattare il terzo punto all’ordine del giorno: 3) Autorizzazione al Consiglio di Amministrazione per la compravendita di azioni proprie ex art. 2357 C.C.; conseguente conferimento poteri; convocazione assemblea ordinaria dei soci. Il Presidente informa il Consiglio di Amministrazione che l’autorizzazione all’acquisto ed alla successiva cessione di azioni proprie mediante l’utilizzo dell’apposito fondo iscritto in bilancio per Lit. 24.000.000/m - oggi ridotto a Lit. 10.199.707/m per effetto delle operazioni di compravendita effettuate durante l’anno 1993 - scade con la prossima assemblea ordinaria. Conseguentemente occorre che, ai sensi dell’art. 2357 ter C.C., il Consiglio di Amministrazione chieda ed ottenga dall’Assemblea autorizzazione ad operare anche per l’esercizio 1994 nel senso sopra indicato. E’ necessario perciò, conclude il Dr. Somma, sottoporre all’Assemblea la questione. Il Consiglio di Amministrazione, ascoltata e fatta propria la relazione del Presidente, all’unanimità e con il parere favorevole del Collegio Sindacale, delibera:

1) - di richiedere alla convocanda Assemblea dei Soci per l’approvazione del Bilancio 1993 le autorizzazioni al Consiglio di Amministrazione all’acquisto di azioni proprie ai sensi dell’art. 2357 C.C. ed alla vendita ai sensi dell’art. 2357 ter;

2) - che la concessione della autorizzazione abbia durata fino all’approvazione, da parte dell’Organo assembleare del Bilancio della Banca al 31 dicembre 1994;

3) - che venga quantificato il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo rispettivamente nella misura di Lit. 14.000 e Lit. 16.000.»

L’esaustività e la legittimità di ciò che al momento è solo una proposta da sottoporre all’approvazione dell’organo competente, l’Assemblea dei soci, sono di tutta evidenza. E’ solo pretestuoso volere intravedere in tale formalità (cui non si collega alcuna operatività sulle proprie azioni, operatività che partirà a bilancio approvato) sintomi di “scarsa trasparenza decisionale”. Se non si era ancora approvato il progetto di bilancio, era ben conosciuta dall’organo consiliare la situazione della loro banca. Non si vede perché bisognava attendere la canonizzazione ufficiale dei già noti risultati di gestione per preordinare una semplice proposta di autorizzazione. Si soggiunge che “solo in data 28 aprile 1994 veniva acquisito il parere di un consulente esterno”. E qui si incappa - ci si sforza di pensare in buona fede - in una svista macroscopica: non ci si accorge che il Consiglio di Amministrazione è ritornato sull’argomento con delibera del 29.4.1994 in cui leggesi: «2) Comunicazioni del Presidente - Informative  - Determinazione prezzo azioni proprie ai sensi dell’art. 2357 C.C. - Il Direttore generale, su invito del Presidente, fa presente al Consiglio di Amministrazione che al fine di determinare il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo di cui all’art. 2357 c.c. per l’acquisto e la vendita delle azioni proprie in portafoglio si è ritenuto di chiedere un parere al Prof. Dr. Lucio Potito - Ordinario di Ragioneria nell’Università di Napoli. Il Prof. Potito ha fornito il seguente parere [segue l’articolato, ultratecnico e fondato parere del prof. Potito che arriva ai seguenti risultati conclusivi:]

Patrimonio + Raccolta                       Lit. 692

( - ) Rettifica reddituale                     Lit.   94

VALORE DELL’AZIENDA               Lit. 598 mld.

Ne deriva un valore per azione di Lit. 15.756 (598:37.954.498), che si arrotonda a Lit. 15.800.

«[..] Il Consiglio di Amministrazione all’unanimità e con il parere favorevole del Collegio Sindacale, dopo ampia ed approfondita discussione, sulla scorta anche delle valutazioni prodotte del Prof. Potito -  delibera - di fissare il corrispettivo minimo per l’acquisto e la vendita delle suddette azioni in Lit. 15.000 ed il massimo in Lit. 16.500.»

Come si vede viene rettificata la precedente delibera e si decide di “proporre” all’Assemblea nuovi e leggermente maggiori valori rispetto a quanto pensato nella riunione del 29.3.94. Ciò avviene sulla scorta delle puntualizzazioni del tecnico esterno e dopo che il progetto di bilancio aveva avuto l’occorrente approvazione consiliare. Con riguardo alla delibera del 29 aprile 1994, gli spunti critici - ammesso che avessero valenza -  degli ispettori naufragano miseramente. E’ lo stesso rapporto ispettivo che ci assicura che solo l’ultima proposta è stata approvata dall’assemblea dei soci il 30.4.1994. Ma ove si volesse comunque dubitarne, ecco lo stralcio della delibera assembleare del 30.4.1994: «4) Autorizzazione al Consiglio di Amministrazione alla compravendita di azioni proprie ex art. 2357 C.C.; conferimento poteri. Il Presidente:

- informa l’Assemblea che l’autorizzazione all’acquisto di azioni proprie mediante utilizzo dell’apposito fondo iscritto in bilancio scade con l’odierna Assemblea Ordinaria;

- invita, pertanto l’Assemblea a rinnovare tale autorizzazione ai sensi dell’art. 2357 C.C..;

  ciò in quanto occorre che, ai sensi dell’art. 2357 C.C., il Consiglio di Amministrazione venga, dall’Assemblea, autorizzato ad acquistare le azioni in parola e a disporre delle stesse ai sensi dell’art. 2357 ter C.C.-.

Il Presidente conclude sottolineando la necessità che, al Consiglio di Amministrazione, le necessarie autorizzazioni vengano concesse con i dettami previsti dagli articoli innanzi citati per le rispettive previsioni. Informa che, a tal fine, si è ritenuto opportuno richiedere una stima tecnica al Prof. Lucio Potito - Ordinario di Ragioneria nell’Università di Napoli - sull’intorno di prezzo attribuibile alle azioni proprie da acquistare o da cedere sulla base dei dati di Bilancio al 31-12-1993. Da tale stima è emerso un valore medio per azione di Lit. 15.800. Sulla base delle valutazioni effettuate dal Prof. Potito, propone di fissare il corrispettivo minimo per l’acquisto e la vendita delle azioni in Lit. 15.000 cad. ed il massimo in Lit. 16.500 cadauna. Il Prof. Antonio Lanza, a nome del Collegio Sindacale, esprime parere favorevole in ordine alla proposta di cui innanzi. Nessuno avendo chiesto la parola - l’assemblea - udita la proposta del Consiglio di Amministrazione, preso atto del parere favorevole del Collegio Sindacale, all’unanimità di voti espressi per alzata di mano, con verifica, sempre per alzata di mano, di - voti contrari: nessuno - astenuti: nessuno; - delibera

1) di autorizzare ai sensi dell’art. 2357 C.C. il Consiglio di Amministrazione a procedere all’acquisto delle azioni proprie entro un massimale rotativo di n.° 1.600.000 azioni e ad un prezzo unitario fissato fra un minimo di Lit. 15.000 ed un massimo di Lit. 16.500. La presente autorizzazione è accordata con durata fino all’Assemblea Ordinaria per l’approvazione del bilancio esercizio 1994;

2) di autorizzare il Consiglio di Amministrazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2357 ter C.C., a vendere a propria  discrezione, anche ai non Soci, le azioni proprie acquistate o da acquistare alle migliori condizioni e comunque ad un prezzo non inferiore alla media aritmetica dei prezzi di acquisto di dette azioni;

3) di delegare al Consiglio di Amministrazione l’esecuzione della presente delibera, conferendo all’indicato Organo le occorrenti facoltà.»

Il polverone ispettivo s’infrange, dunque, contro la correttezza, prudenza e trasparenza della delibera assembleare. Avvedutezza operativa e chiarezza di esposizione sono documentate nell’atto decisorio definitivo e presso l’organo competente. Gli atti preparatori del Presidente e del Consiglio di Amministrazione, a formazione progressiva, confluiscono nella delibera del 30 aprile 1994 senza forzature, senza infingimenti; con ripensamenti, magari, ma questi rassodano la serietà del processo formativo e non meritano le frettolose riserve del gruppo ispettivo.

 Se gli amministratori avessero voluto dilatare i “prezzi unitari delle azioni alla ricerca del consenso della base sociale”- come sembra sospettare la Banca d’Italia - ben potevano espandere il valore dei propri titoli. Bastava adottare un metro più generoso per la valutazione del “goodwill”: il prof. Potito si limita ad un saggio dell’8% dei mezzi fiduciari, quando sul mercato quello medio è del 10% ed il tasso tradizionale ascende al 12%; il prof. Potito prende a base di calcolo  della “raccolta diretta” una media molto prudente: gli approdi consolidati erano di gran lunga superiori. A fronte delle Lit. 239 miliardi del calcolo Potito (raccolta media dell’anno:2988 x 0.08 = 239), era ancora ammissibile una valutazione superiore (mezzi fiduciari conseguiti Lit. 3500 x 0,10 = 350). Niente obbligava a considerare la componente negativa per “rettifica reddituale”. La perdita eccezionale dell’esercizio non riguardava la parte corrente, ma era dovuta a stime di probabili oneri futuri. Si poteva recuperare parte del fondo rischi (accantonamenti decisamente prudenziali). La plusvalenza sugli immobili è obiettivamente più consistente rispetto a quella desumibile dalle prudenti perizie all’epoca disponibili. E via di seguito.

Gli esponenti bancari hanno, invece, voluto mantenersi entro un ambito di responsabile prudenza in ordine alla stima di  un imponderabile valore di mercato delle azioni della banca amministrata: hanno proposto di adottare ne valori punitivi delle possidenze azionarie, né valori propiziatori di lucri speculativi. Si è visto come un giusto e contenuto guadagno (quello del gruppo Dibattista di cui al ril. n.° 20) ha subito destato l’astiosa attenzione degli ispettori. Gli esponenti aziendali si sono attenuti - correggendo precedenti loro valutazioni - all’equa ed obiettiva stima del qualificato tecnico esterno.

Quanto alla riserva contenuta nella parte finale del rilievo sub 4) e cioè al fatto che quel tecnico avrebbe subordinato «la effettività all’ “adeguatezza” degli stanziamenti di bilancio destinati alla copertura delle perdite su crediti e alla inesistenza di ulteriori perdite nel comparto delle partecipazioni», è da osservare quanto segue:

vi è una palese distorsione del senso delle “considerazioni finali” del tecnico in parola.

Il prof. Lucio Potito  in effetti fa presente di avere “avuto a disposizione ... un periodo limitato a soli dieci giorni”. Ciò ha determinato che «come concordato, non si è preceduto a determinare il valore corrente delle partecipazioni». Tanto solarmente non significa che si temano “ulteriori perdite”, visto che nessuna perdita era stata calcolata: significa, come espressamente dichiarato al punto 1) della perizia che «naturalmente a causa dei tempi ristretti, per le partecipazioni non si procederà alla determinazione del capitale economico delle partecipate.» L’arbitrio interpretativo e deviante del gruppo ispettivo va qui ulteriormente sottolineato.

Il Potito, visto che il bilancio non è ancora approvato ed è ancora in corso la certificazione, si limita a cautelarsi affermando che «le conclusioni raggiunte sono subordinate al fatto che gli stanziamenti di bilancio destinati alla copertura di perdite su crediti, soprattutto quelli di carattere straordinario, risultino adeguati, anche alla luce di recenti fatti che hanno interessato il Gruppo Casillo.» Nel mentre la banca, come si è visto, costituisce accantonamenti al fondo rischi tali da determinare un ribaltamento del risultato di gestione. Il Gruppo Casillo viene sviscerato - come si è potuto sopra costatare - e per quello che allora era maturato l’incremento della posta rettificativa del passivo era più che congruo. Ad ogni buon fine, il bilancio viene poi certificato. Nessuna fraudolenza emerge. I fatti veri e reali sono adeguatamente rappresentati e contabilizzati. La cautela del prof. Potito ha dunque prudente ed accorta risposta da parte degli amministratori ed in sede di approvazione del bilancio tutte le attese del prof. Potito vengono adeguatamente contemplate e fronteggiate. La strumentalizzazione ispettiva è degna di miglior causa. Resta in ogni caso rimarcabile che gli accantonamenti al fondo rischi vengono scartati dal Prof. Potito nel suo calcolo del valore delle azioni che è al netto dunque degli “stanziamenti di bilancio destinati alla copertura di perdite su crediti ... anche alla luce dei recenti fatti che avevano interessato il Gruppo Casillo.»

Nella valutazione non si tiene solo conto di ciò che era - fino al 30 aprile 1994 - inconoscibile, imprevedibile, impensabile: il catastrofismo previsionale degli ispettori di Vigilanza. Tale peregrina dilatazione della discrezionalità tecnica degli ispettori viene rappresentata agli esponenti aziendali a fine giugno 1994 a bilancio approvato. Per quello che c’è di vero in siffatti valutazioni, trattasi di sopravvenienze passive con prontezza fronteggiate nel bilancio di competenza. Per quello - ed è tanto - che c’è di non vero, non prudente, non ragionevole, nessun addebito può farsi agli amministratori della banca, specie in occasione di una semplice delibera di proposta concernente il presumibile valore di mercato dei titoli azionari dell’azienda di credito amministrata. Che neppure la Banca d’Italia abbia dato peso alle libere ed assiomatiche previsioni ispettive, si desume dal fatto che a seguito dell’ispezione nessun provvedimento per perdite più o meno gravi (art. 70 o art. 80 della nuova legge bancaria) è stato postulato.

 

 

*   *   *

 

C’è da pensare che in sede giudiziaria si possa indagare sull’operazione di aumento di capitale del 1993.

Nel corso dell’Assemblea dei soci del 6/2/1993 il Presidente «dà lettura della relazione predisposta ed approvata dal Consiglio di Amministrazione nella riunione dell’11 gennaio 1993: “ Signori Soci, sono maturi i tempi per procedere ad un consistente aumento del capitale sociale: operazione anticipata e discussa nella passata assemblea ordinaria del 28 novembre 1992 quale punto qualificante di un progetto di consolidamento e crescita della Banca nata dalla recente fusione. Con soddisfazione va preso atto che nel frattempo l’Organo di Vigilanza ha facoltizzato l’Azienda ad aprire undici nuove filiali sulle seguenti piazze: Napoli - Termoli (CB) - Corato e Spinazola (BA) - Lecce - S. Severo (FG) - Benevento - Capaccio e Colliano (SA) - Trecchina e Vaglio di Basilicata (PZ). Gli sportelli di cui disporrà l’Azienda entro il breve volgere di qualche mese saranno dunque n.° 84.  [..] Il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, dal canto suo, ha deliberato favorevolmente sull’istanza avanzata dalla Banca per essere autorizzata ad emettere direttamente assegni circolari [..]. Quanto al prezzo delle nuove azioni, va subito rilevato che le valutazioni della Società di Revisione trovano pieno riscontro nei dati contabili della Società, assunti finanche con criteri prudenziali. Il prezzo delle azioni, però, non potrà corrispondere pedissequamente ai valori di stima, dovendo tener conto anche delle condizioni del mercato azionario, che negli ultimi tempi ha manifestato serie difficoltà per le note vicende monetarie, e della entità dell’operazione. Riteniamo quindi congruo, ai fini che interessano, fissare un prezzo di emissione delle nuove azioni pari a Lit. 16.000, comprensive del valore nominale e del sovrapprezzo. In tale ambito, va tenuto conto delle aspettative di Voi Soci, che ci avete da sempre appoggiati e sostenuti, e perciò appare opportuno praticare una qualche agevolazione sul valore delle nuove azioni, per dare una risposta concreta alla Vostra costante fiducia. Ci sembra, pertanto, equo operare, esclusivamente ai Soci, una riduzione sul sovrapprezzo di Lit. 2.000 per azione, portandone il prezzo a Lit. 14.000 cadauna. Conseguentemente, riteniamo di poter proporre alla Vostra approvazione il seguente schema di aumento del capitale della Banca Mediterranea S.p.A.:

1°)  aumento del capitale sociale da Lit. 138.574.800.000 a Lit. 207.862.200.000, mediante l’emissione di n.° 13.857.480 azioni del valore nominale di Lit. 5.000 cadauna.

2°)  le azioni di nuova emissione verranno offerte in opzione ai Soci, ai sensi del I comma dell’art. 2441 c.c., in ragione di una ogni due possedute, al prezzo di Lit. 14.000 ognuna, quale valore nominale e lit. 9.000 per sovrapprezzo ridotto per i soci.  [..]

3°)  L’opzione dovrà essere esercitata entro novanta giorni dalla pubblicazione sul BUSARL ai sensi dell’art. 2441 c.c.-. L’intero prezzo delle azioni (valore nominale e sovrapprezzo) deve essere pagato al momento della sottoscrizione

       [..]

5°)  Le azioni non optate, né sottoscritte nell’esercizio della prelazione, verranno offerte al libero mercato al valore di Lit. 16.000 (valore nominale di Lit. 5.000 più intero sovrapprezzo. [...]»

La proposta viene approvata dall’assemblea, senza modifica alcuna. Trasparenza, completezza d’informazione, ineccepibilità tecnica emergono dalla lineare procedura. Il valore delle azioni a quel tempo è indubitabilmente quello stabilito in sede consiliare prima ed assembleare dopo. Le certificazioni della Società di Revisione fugano ogni dubbio. Siamo ancora ben lontani dall’imprevedibile crisi del Gruppo Casillo. Nella proposta di ristrutturazione di detto Gruppo del 9 aprile 1994 a tutti gli istituti di credito ed enti sovventori del Gruppo, si attesta - e non si hanno motivi di dubitarne - che si è «a distanza di otto mesi dall’insorgere della crisi..» Questa dunque insorge ai primi di agosto del 1993. L’aumento del capitale sociale della banca è invece del gennaio-febbraio 1993, otto mesi prima.

La banca è nel pieno del suo vigore operativo. Gode - ad onta del ripensamento successivo - del favore della Banca d’Italia, che consente l’ardita operazione di fusione, con trasformazione, di una popolare con un’azionaria, che accorda l’autorizzazione per nuovi e ghiotti sportelli bancari, che consente l’autorizzazione ad emettere assegni circolari propri, per tacere di altri indubitabili segni di benevolenza e di apprezzamento. L’aumento del capitale sociale è funzionale allo sviluppo che l’ampio processo di fusione ha propiziato.

La delibera di aumento di capitale sociale ha il suo crisma di legalità con l’omologazione in data 11/3/1993 e trascrizione presso la Cancelleria di Melfi al n.° 130 del registro d’ordine e n.° 2061 R.S. a rogito del Notaio Antonio Polosa di Potenza Rep. n. 40275/7796.

Il massiccio incremento del capitale sociale risulta sottoscritto in data 20 Agosto 1993, in tempi dunque di totale serenità in ordine agli affidamenti verso i grandi gruppi..

Nell’Assemblea straordinaria del 25 settembre 1993, ritorna la questione dell’aumento di capitale sociale. La compagine societaria viene convocata in via straordinaria «per discutere e deliberare sul seguente O.d.G: Modifica della deliberazione di assemblea straordinaria del 6 febbraio 1993 di aumento di capitale sociale da Lit. 138.574.800.000 a Lit. 207.862.200.000 per ciò che concerne il collocamento delle azioni emesse a fronte dell’aumento deliberato, per offerta ai soci delle azioni non collocate entro il termine assegnato con la delibera suddetta.»

Viene data lettura della relazione predisposta ed approvata dal Consiglio di Amministrazione nella riunione del 5 agosto 1993. Vengono richiamati i punti basilari della precedente delibera assembleare. Quindi il Presidente chiarisce gli aspetti della nuova proposta.

«Allo spirare del termine fissato per l’esercizio del diritto di opzione - fa presente - e della prelazione da parte dei soci sono risultate sottoscritte n. 10.222.242 azioni sulle 13.857.480 da emettere, per cui risultano ancora disponibili n. 3.635.238 azioni. Nel corso dei 90 giorni suddetti e anche successivamente, fino ad oggi, la Banca ha registrato numerose richieste da parte di soci che vorrebbero sottoscrivere le azioni ancora non collocate oltre il termine in precedenza fissato per l’esercizio dell’opzione, potendo solo allora disporre dei mezzi finanziari necessari.  [..] Il Consiglio, tenuto conto della particolare situazione determinatasi, ritiene che le istanze provenienti dai soci - oltre a confermare che le condizioni dell’aumento deliberato sono assolutamente convenienti per essi e mostrano il successo dell’operazione - forniscono la ragionevole certezza che le n.° 3.635.238 azioni non optate di cui sopra potranno agevolmente essere sottoscritte dai soci medesimi alle condizioni già previste dalla delibera di assemblea straordinaria del 6.2.1993 aggiornate per effetto delle sottoscrizioni già intervenute.»

Esplicate le condizioni ed avuto il parere favorevole del Collegio Sindacale, «l’assemblea, ascoltata e fatta propria  la relazione del Presidente, chiamata a deliberare sull’ordine del giorno, alla unanimità di voti espressi» delibera, tra l’altro, «l’offerta delle predette n. 3.635.238 azioni in opzione a tutti i soci, in ragione di 1 azione per ogni 10 possedute, al prezzo di Lit. 14.000 ognuna, di cui L. 5.000 quale valore nominale e Lit. 9.000 per sovrapprezzo ridotto per i soci.»

La delibera è fuor di dubbio scevra di anomalie o indebiti di sorta.

 

*  *  *

Nei primissimi mesi del 1994, la Mediterranea percepisce un cambiamento di umori nell’Organo di Vigilanza. Dopo tante autorizzazioni, segno di fiducia, ecco che inopinatamente e quando ancora non è trascorso neppure il primo biennio di un progetto di ristrutturazione aziendale quinquennale che le ardue fusioni postulavano, giunge una nuova ispezione (ad appena tre anni da un’altra tutt’altro che formale). E’ un’ispezione che si preannuncia subito corriva ed ostile.

Gli esponenti aziendali hanno immediato il sentore che si vuole la confluenza in un grosso organismo bancario non meridionale. Inizia così la trattativa con la Banca di Roma.

In data 11 marzo 1994, l’istituto creditizio romano scrive (Prot. n. 167):

«Si fa seguito ai colloqui intercorsi per puntualizzare il progetto relativo all’acquisizione da parte della scrivente Banca di una partecipazione del 30% del capitale di codesta Banca rappresentato da azioni aventi diritto di voto.

1.   Questa Banca è disponibile ad acquistare immediatamente le n. 1.568.816= azioni attualmente nel portafoglio di codesta Banca (“le Azioni”). L’acquisto delle Azioni avverrà ad un prezzo provvisoriamente determinato in lire 15.000= (“il Prezzo di Acquisto”). L’acquisto sarà condizionato risolutivamente a ciascuno dei seguenti due eventi:

a)  mancata realizzazione, per qualunque motivo, dell’aumento di capitale di cui al successivo punto 2;

b) determinazione del prezzo di emissione delle azioni di cui al predetto aumento di capitale (“il Prezzo di Emissione”) in una misura inferiore a lire 15.000=; peraltro, in questa ipotesi codesta Banca potrà evitare la risoluzione facendo in modo che l’Assemblea ordinaria deliberi, prima o contestualmente alla deliberazione relativa all’aumento di capitale di cui al punto 2, l’autorizzazione a ridurre il prezzo delle Azioni ad una misura pari al Prezzo di Emissione. Nell’ipotesi che si verifichi la condizione risolutiva, questa Banca ritrasferirà le Azioni a codesta Banca e codesta Banca restituirà a questa Banca il Prezzo di Acquisto maggiorato degli interessi calcolati al “prime rate”.

2.   Questa Banca è disponibile a sottoscrivere integralmente un aumento di capitale che codesta Banca delibererà in misura tale che, per effetto di detta sottoscrizione e tenuto conto delle Azioni acquistate ai sensi del precedente punto 1, questa Banca acquisisca una partecipazione dell’ordine del 30% del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto. La deliberazione di aumento di capitale dovrà essere adottata non appena sarà stata completata la valutazione di cui appresso e verrà eseguita non appena essa sarà divenuta efficace. Il Prezzo di Emissione sarà determinato, nel rispetto dell’art. 2441 cod. civ., sulla base di una valutazione che verrà effettuata da un primario Istituto prescelto di comune accordo.

3. [..]

4.[...]

5.[...]

6.  Tutto quanto sopra è naturalmente subordinato all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni.»

 

Il 19 aprile 1994 viene fra le due banche siglato un “protocollo di intesa” di larga massima. In effetti, giusta quanto si legge nel verbale del Consiglio di Amministrazione del 18.11.1994, «veniva perfezionato l’acquisto del 4,22% della Banca Mediterranea in data 31-3-1994» Si soggiunge: «Le parti, conformemente alle intese, in data 28.6.1994 affidavano a Mediobanca l’incarico per la determinazione del prezzo di emissione delle azioni della Banca Mediterranea, destinate alla Banca di Roma. La valutazione demandata a Mediobanca subiva un certo ritardo, dovuto all’opportunità di attendere i risultati degli accertamenti ispettivi nel frattempo disposti dalla Banca d’Italia nei confronti della Mediterranea. Detta ispezione si è conclusa il 23.6.1994 con l’accertamento di rilevanti posizioni in sofferenza e incagliate, sicché l’Organo di Vigilanza ha invitato la Mediterranea a riconsiderare nei tempi più rapidi i termini dell’accordo a suo tempo concluso con la Banca di Roma, per meglio adeguarlo alle esigenze riscontrate in sede ispettiva. A parere di Mediobanca il prezzo di emissione delle azioni dovrebbe aggirarsi intorno alle 8.000 lire (Allegato n. 1). Per la determinazione di questo valore sono stati tenuti in considerazione, tra l’altro, lo stato del patrimonio, la raccolta diretta e indiretta. Per quanto riguarda i fondi rischi su crediti, la base di valutazione della loro congruità è costituita dal risultato della suddetta ispezione della Banca d’Italia condotta sulla base dei risultati della Banca Mediterranea al 31.12.1993.  Le conclusioni di detta ispezione sono state rettificate per tenere conto degli accantonamenti a fondi rischi e svalutazione crediti effettuati nel primo semestre 1994. Sulla base  dei suggerimenti della Banca d’Italia e della suddetta valutazione di Mediobanca sono state portate avanti le trattative con la Banca di Roma. A seguito di tali trattative si è giunti al seguente accordo:

- superamento di tutti gli accordi in precedenza raggiunti;

- determinazione del prezzo di emissione delle azioni in lit. 8.000;

- sottoscrizione da parte della Banca di Roma di 35.000.000 azioni del valore nominale di lire 5.000 al prezzo di lire 8.000 (e quindi con un sovrapprezzo di lire 3.000) per un controvalore complessivo di lire 280 miliardi;

- attribuzione gratuita a tutti gli azionisti della Mediterranea, quali risulteranno dopo l’esecuzione del predetto aumento di capitale, di un warrant per ogni azione posseduta, da esercitarsi nel termine di 3 anni dalla predetta data di esecuzione, per la sottoscrizione di una nuova azione per ogni azione posseduta: il prezzo di esercizio verrebbe fissato in lire 8.000 per i vecchi soci e in lire 9.000 per la Banca di Roma, pertanto la medesima assemblea straordinaria delibererebbe un secondo aumento di capitale al servizio dei warrants in questione.»

 

Una più che esaustiva informazione era stata fornita dal Presidente in sede di assemblea societaria, in data 30.4.1994.

L’assemblea straordinaria di cui è cenno si svolge il 22 dicembre 1994. Stralciamo i punti salienti:

«ORDINE DEL GIORNO - parte ordinaria - 1) Artt. 2357 e 2357 ter C.C.: disciplina delle proprie azioni - modificazione delibera assembleare 30 aprile 1994, concernente il prezzo di acquisto e cessione delle azioni proprie [...]

«-   parte straordinaria

-   aumento capitale sociale da lit. 190.768.480.000 a lit. 365.768.480.000 riservato alla Banca di Roma S.p.A., ai sensi dell’art. 2441 C.C., commi 5° e 6° ;

-  ulteriore aumento capitale sociale da lit. 365.768.480.000 a lit. 731.536.960.000 con  contestuale emissione di n.° 73.153.696 warrants  per la sottoscrizione dello stesso.»

«1) artt. 2357 e 2357 ter c. c. .. modificazione delibera assembleare 30 aprile 1994. concernente il prezzo do acquisto e cessione delle azioni proprie. Il Presidente dà lettura della relazione predisposta ed approvata dal Consiglio di Amministrazione in occasione della riunione consiliare del 18 novembre 1994:

“ Signori Azionisti, nell’ultima assemblea ordinaria del 30 aprile 1994 - nel corso della quale il Consiglio di Amministrazione ebbe modo di illustrarvi il bilancio ‘93, i criteri di valutazione adottati e le decisioni assunte in materia di valutazione dei crediti e di politiche di bilancio - gli Amministratori sottoposero alla Vs. attenzione anche l’accordo stipulato con la Banca di Roma per un suo ingresso nella nostra compagine azionaria. In quella occasione il Presidente, nella sua consueta relazione annuale ebbe modo di illustrarvi le ragioni che avevano determinato l’intesa con l’Istituto romano[...] [Nella relazione era stato tra l’altro detto:] “Noi abbiamo tempestivamente agito stipulando accordi e stabili intese partecipative [con la Banca di Roma]. L’operazione conclusa nel marzo scorso con la Banca di Roma - che porterà l’istituto romano a detenere una quota del 30% del capitale della nostra azienda - ha questi punti fondamentali: [rafforzamento e sviluppo della Mediterranea   e accordo commerciale con la Banca di Roma  per rete di servizi creditizi, finanziari ed assicurativi].”

«L’accordo a suo tempo stipulato prevedeva l’ingresso della Banca di Roma nel capitale della Mediterranea con una quota dell’ordine del 30% delle azioni aventi diritto di voto mediante acquisto - effettuato al prezzo unitario di Lit. 15.000 - dalla nostra Banca di n.° 1.600.000 azioni allora nel nostro portafoglio e mediante sottoscrizione di un aumento di capitale riservato all’Istituto romano. Il prezzo di emissione e quello definitivo [corsivo ns.] dell’acquisto delle suindicate 1.600.000 azioni sarebbe stato determinato a seguito di valutazione della Mediterranea da parte di un advisor all’uopo designato. Poi individuato nella Mediobanca - Banca di Credito Finanziario S.p.A. - Milano.  [...]

«A meno di un terzo della realizzazione del [Progetto Industriale], prevista come si è detto in un quinquennio, l’Azienda è stata nuovamente sottoposta a visita ispettiva dal 23-2-94 al 23-6-94. I risultati dell’ispezione, sul piano organizzativo, non potevano che essere quelli che si riscontrano quando si eseguono accertamenti nel corso della realizzazione, neppure tanto avanzata, di complessi progetti di ristrutturazione. Sul piano dell’apprezzamento dell’attivo della Banca, le valutazioni ispettive sono state invece dirompenti. Queste divergono in modo significativo da quelle effettuate, a seguito di indagini analitiche e secondo gli schemi tracciati nei pareri di due noti legali (cfr. all. B), richiesti in relazione all’entrata in vigore della nuova normativa sui bilanci, dagli Organi Amministrativi competenti della Banca e da Voi poi approvate a seguito di una seduta assembleare protrattasi per varie ore e nel corso della quale sono state chieste e fornite delucidazioni. In concreto gli ispettori di Vigilanza hanno ritenuto che nell’attivo della Banca Mediterranea vi fossero al 31-12-93, perdite sugli impieghi per complessive Lit. 508 miliardi, rivenienti da posizioni di rischio facenti capo a soggetti ed imprese operanti nella zona di competenza della Mediterranea, ritenuti, e non solo da questa istituzione creditizia, clienti affidabili e patrimonialmente solidi. Il negativo momento congiunturale attraversato dal Paese e la fase recessiva più stringente per l’economia meridionale hanno potuto creare qualche transitoria crisi di liquidità o finanziaria di molti imprenditori. Tali situazioni sono state previste e responsabilmente affrontate dagli organi amministrativi della Vostra Banca e sono ormai, grazie anche alla prudenza impiegata dall’Azienda, in via di soluzione. Solo per il Gruppo Casillo non è stato possibile, nonostante ogni sforzo compiuto anche in sede ABI, ottenere risultati positivi; eppure la situazione dell’affidato non era sostanzialmente diversa da quella di altri Gruppi nazionali in crisi.

«E tuttavia la Banca Mediterranea ha assorbito, grazie agli appositi fondi accantonati i contraccolpi negativi dell’intero Gruppo “Casillo” che, in passato, non pochi utili peraltro ha procurato al conto economico aziendale e a quello di gran parte del sistema creditizio nazionale che allo stesso Gruppo aveva concesso fidi per circa mille miliardi.

«Alle conclusioni ispettive la Banca ha replicato con atti formali - tre pronunciati dal Consiglio di Amministrazione ed apposite controdeduzioni - supportati da dovizia di dati e di documentazione probatoria, per dimostrare che le valutazioni effettuate in sede di formazione del Bilancio 1993 erano e sono puntuali e trovano ampio riscontro nell’evoluzione dell’attivo aziendale. Doveri di riservatezza del banchiere nei confronti degli affidati e della Banca amministrata impediscono, in questa sede, di effettuare analisi dettagliate e documentate; tuttavia è bene a questo proposito precisare:

- che impieghi considerati “incagliati” per Lit. 146 miliardi hanno fatto registrare rientri per Lit. 56 miliardi;

- che gli affidamenti dell’erogato al 30-6, al 30-9  ed al 30-10-94 hanno fatto registrare sulla gran parte delle posizioni oggetto della indagine ispettiva rientri di circa il 30% dell’utilizzo rispetto al 31-12-93;

- che le garanzie acquisite a maggior tutela delle ragioni creditorie dell’azienda sono di tale valore e di tale scarto rispetto al credito erogato da non far sorgere, al momento, alcun dubbio sul buon fine dei crediti concessi.

«A seguito di analisi puntuali e sulla base di ampia documentazione giustificativa il Consiglio di Amministrazione nella riunione del 15-10-94, ha quindi ribadito all’Organo di Vigilanza le valutazioni effettuate in sede di redazione del bilancio 1993, tenuto conto “che i dubbi esiti da considerare ai fini del calcolo dei mezzi patrimoniali non possono essere superiori alla complessiva cifra di Lit. 278,8 miliardi, da cui vanno detratte Lit. 102,6 miliardi per svalutazioni dirette effettuate in sede di bilancio al 31-12-93, nonché Lit. 73,7 miliardi per l’ammortamento di pari importo della posizione Casillo effettuato il 30-6-94 con utilizzo parziale del fondo rischi creditizi voce 90”. Al detto fondo residuano ancora Lit. 10 miliardi circa, utili a fronteggiare eventuali, ulteriori perdite.

«Nonostante quanto sopra esposto, Mediobanca ha ritenuto che il prezzo di emissione delle azioni da riservare alla Banca di Roma dovrebbe aggirarsi intorno alle 8.000 lire (cfr. allegato C). L’advisor [...] per quanto riguarda i fondi rischi su crediti [..] ha preso a base di valutazione della loro congruità il risultato della suddetta ispezione della Banca d’Italia condotta sulla base dei risultati della Banca Mediterranea al 31-12-93. Le conclusioni di detta ispezione sono state rettificate per tenere conto degli accantonamenti a fondi rischi e svalutazioni crediti effettuati nel primo semestre 1994. Siffatto quadro di riferimento ha determinato i Vostri amministratori - fatta salva ogni valutazione sull’attivo aziendale di competenza del Consiglio di Amministrazione nell’ambito delle attività di formazione del bilancio - ad approvare [nei termini prima specificati] l’accordo per l’ingresso della Banca di Roma nel capitale della Banca Mediterranea. [...]

«L’accordo come sopra raggiunto non esclude la correttezza delle posizioni sostenute dal vostro consiglio di amministrazione, corroborate dalla certificazione della Società Arthur Andersen, la quale, in seguito, ha potuto altresì constatare che l’analisi di alcune posizioni di credito milita a favore di conclusioni meno severe rispetto a quelle ipotizzate dalla Banca d’Italia, e che si sono verificati al 30-6-94 rientri sostanziali rispetto alle esposizioni al 31-12-93, in linea con le controdeduzioni innanzi richiamate. [...]».

Viene, quindi, riportata la delibera del Collegio Sindacale di pieno appoggio al Consiglio. Scoppia un trambusto. Non è questa la sede per analizzare le inconcludenti osservazioni di pochi soci di minoranza, specie lo Zotta. L’Assemblea approva con voti contrari relativi a n.° 81.220 azioni per un valore nominale di Lit. 406.100.000 pari al 2,12% del capitale sociale (ben lungi dal quinto ex art. 2393 c.c.) Gli astenuti ascendono a n. 27.000 azioni/voto.

La delibera è del tutto conforme alla proposta del Consiglio di Amministrazione e accoglie in pieno gli accordi con la Banca di Roma.

Passando ai punti della parte straordinaria, abbiamo:

Vengono reiterate le argomentazioni prima sunteggiate. per concludere: «il Consiglio di Amministrazione chiede all’Assemblea straordinaria di assumere le seguenti delibere, che devono intendersi elementi essenziali ed inscindibili dell’intera operazione di ingresso della Banca di Roma S.p.A. nel capitale della Banca Mediterranea. L’Assemblea Straordinaria della Banca Mediterranea S.p.A: ascoltata la relazione del Consiglio di Amministrazione e valutatane ogni implicazione, considerato che l’interesse della società esige di procedere all’aumento del capitale da Lit. 190.768.480.000 a Lit. 365.768.480.000, aumento da riservare interamente alla Banca di Roma per le ragioni indicate nella relazione del Consiglio di Amministrazione, delibera [del tutto conformemente alla proposta ed in piena aderenza con gli accordi con l’istituto romano.]»

Le contestazioni assembleari - minoritarie ed inconferenti, quando non pertinenti - non possono inficiare la totale correttezza e legittimità dell’operato bancario.

Acquisita la valutazione Mediobanca - in ordine alla quale invero possono sollevarsi dubbi di obiettività e forse sussistono motivi di doglianza quanto ad approfondimento e completezza tecnica - agli amministratori non restava che accogliere la riformulazione degli accordi che la Banca di Roma si premurava di rappresentare con nota 29 novembre 1994 (Prot. 6910), ove si esordiva: «Si fa seguito alle intese intercorse per puntualizzare il nuovo progetto relativo all’acquisizione da parte della scrivente Banca di una partecipazione nel capitale sociale di codesta Banca, che è stato necessario elaborare in sostituzione di quello oggetto dello scambio di lettere in data 11 marzo u.s. a seguito della valutazione effettuata da Mediobanca ai sensi del punto 2 del citato accordo e della evoluzione della situazione di codesta Banca.»

In data 23-11-1994, la Presidenza della Mediterranea aveva preliminarmente informato la Banca d’Italia (prot. n. 318/94), ragguagliando dettagliatamente sulle nuove e non favorevoli condizioni della Banca di Roma. La Banca d’Italia prende puntualmente atto dei termini del nuovo accordo (Lettera Filiale Potenza - n. 6364-20/12/94) e «in relazione a ciò, [..] comunica che questo Istituto nulla ha da obiettare in ordine alla realizzazione dell’aumento di capitale e delle modifiche statutarie nei termini prospettati.» In altri termini viene accordato «il benestare [della Banca d’Italia] ai sensi dell’art. 56 del D.Lgs. n. 385/93» che la Mediterranea aveva chiesto.

Pregnante l’esordio della nota B.I.:«Accordo con la Banca di Roma. Alla luce dello sfavorevole esito degli accertamenti ispettivi condotti presso codesta Banca nel periodo febbraio-giugno 1994, con nota n. 4626 del 16 settembre 1994 l’Organo di Vigilanza aveva rappresentato a codesto ente l’esigenza di imporre con ogni sollecitudine una decisa svolta nella conduzione aziendale, da realizzare attraverso l’apporto di nuovi fondi patrimoniali e risorse tecniche e manageriali da parte di un organismo di elevato standing, cui affidare la gestione. In relazione a ciò, codesto ente era stato invitato a riconsiderare gli accordi stipulati nel mese di marzo u.s. con la Banca di Roma, che prevedevano l’acquisizione da parte di quest’ultima di un’interessenza del 30% nel capitale di codesta azienda. Tale invito è stato ribadito nella nota n. 5486 del 24 ottobre u.s., con la quale codesta Banca veniva sollecitata a perfezionare l’intesa nel più breve tempo possibile.»

Nella cennata nota n. 5486, senza mezzi termini, la Banca d’Italia scriveva a proposito delle “trattative con la Banca di Roma” «con lettera n. 4626 del 16 settembre u.s., concernente le risultanze degli accertamenti ispettivi di recente effettuati è stato posto a codesta Banca un termine di 30 giorni per assumere le necessarie determinazioni circa la definizione degli accordi a suo tempo stipulati con la Banca di Roma, attese le esigenze di ripatrimonializzazione e le problematiche gestionali evidenziate dall’ispezione.

«In proposito, con lettera del 12.10.1944, il Presidente  [..]  ha chiesto di prorogare sino al 15 novembre p.v. il termine sopra citato. Al riguardo, nel prendere atto dell’impegno assunto di stipulare sollecitamente l’intesa con la Banca di Roma, si ribadisce fermamente a codesta Azienda che le gravi problematiche della situazione aziendale richiedono che l’accordo in parola sia perfezionato nel più breve tempo possibile.»

Assillante, dunque, la Banca d’Italia. In tali condizioni un ripensamento, una controproposta sarebbe apparso atteggiamento dilatorio ed erano da temere provvedimenti di rigore esiziali per la sopravvivenza dell’organismo bancario e totalmente dispersive delle partecipazioni dei tantissimi soci della Mediterranea. Se non in stato di necessità, certamente sotto pressione hanno dovuto agire gli amministratori. Con trasparenza, persino eccessiva, hanno reso consapevoli i loro soci che alla quasi unanimità hanno capito i termini della questione ed hanno deciso, responsabilmente e con saggezza, in sintonia con i loro rappresentanti. Non censurabili, dunque.

 

Credito accordato alla defunta signora Maria Rosa Scozzi

 

L’operazione di fido nei confronti della signora Maria Rosa Scozzi di Bari - un’esposizione di Lit. 1.138 mln  considerata in sofferenza dagli ispettori con previsione di perdita totale - trova eccessiva enfasi nel rapporto ispettivo, dove  viene articolato tutto un rilievo in proposito (ril n.°  41). Annotano gli ispettori: «Una rilevante esposizione non giustificata da reali esigenze di natura creditizia si registrava nei confronti di tale Scozzi Maria Rosa, impossidente e titolare di modesti redditi da pensione; i conti alla stessa intestati, affidati per L. 900 milioni ed utilizzati al 31.12.1993 per L. 1,3 miliardi, avevano fatto registrare nel 1993 e nei primi quattro mesi del 1994 una intensa movimentazione rappresentata da assegni, per importi complessivamente ammontanti ad oltre L. 14 miliardi. Siffatta posizione è stata classificata in sofferenza con previsione di perdita totale.»

Controdeduce la Banca (pag. 129): «La posizione Scozzi Maria fa parte del gruppo Giorgio già esaminato con delibera del Consiglio di Amministrazione del 24-8-94. [..] »

Qui si legge: «Le esposizioni in parola sono garantite da fidejussioni personali dei Sigg. Giorgio, titolari di un patrimonio immobiliare valutato circa Lit. 10/miliardi. Agli stessi la Mediterranea ha concesso di ripianare le anzidette esposizioni [in complesso Lit. 2.604 mln al 31.12.93, ridottesi al 24.8.1994 a Lit. 2.419 mln. L’esposizione al nome della Scozzi era, nell’ambito della totale esposizione, di Lit. 1.138 mln.] con piani di ammortamento che prevedono sostanziali decrementi nei prossimi tre mesi e comunque il rientro totale entro gennaio 1995. Le previsioni, pertanto, vanno classificate ad incagli alla luce di quanto sopra precisato. Gli impegni personali dei Sigg. Giorgio nei confronti della Mediterranea fanno escludere previsione di perdita. I movimenti negli ultimi sei mesi confortano le previsioni aziendali.»

Appare singolare che pur consapevoli che si trattava di un gruppo riconducibile all’impresa familiare dei sigg. Giorgio di Bari - come ad evidenza si evince dall’allegato sub 3/B - gli ispettori abbiano taciuto nel rilievo siffatta importante circostanza e si siano spinti ad affermazioni che non trovano riscontro nella realtà. Regolare o non regolare che fosse, il fido sorge “da reali esigenze di natura creditizia” e si inquadra nella - magari non del tutto ortodossa - gestione familiare dei sigg. Giorgio. Nelle pratiche di fido poteva agevolmente leggersi, proprio in relazione alla richiesta creditizia della sig.a Scozzi, che lo scopo del «fido in c/c per elasticità di cassa» era quello di fronteggiare «eventuali necessità di cassa relative a particolari operazioni commerciali effettuate dai due cugini Giorgio Pietro (del 7/2/34) e Giorgio Pietro (del 1/11/37) soci della F.lli Giorgio  & C. Spa il cui fatturato si aggira attorno ai 12 miliardi.». Altrove leggesi che la sig.a Scozzi è suocera del sig. Giorgio Pietro fu Luigi. E’ dunque un gruppo familiare che possiede un ingente patrimonio immobiliare, senza carichi ipotecari,  puntigliosamente descritto nell’istruttoria. Il fido al nome dell’affine sig.ra Scozzi non è senza garanzie: sostegni fidejussori dei cugini Giorgio lo riconducono nell’alveo patrimoniale di costoro. Nessuna incauta erogazione creditizia, dunque.

Le allusive circonlocuzioni ispettive occultano, invero, l’imbarazzo di avere letto nelle pratiche di fido frasi (un po’ incaute) come queste:

«La richiesta viene avanzata a scopi meramente fiscali, per far transitare su detto conto operazioni commerciali.»

«La richiesta di aumento dell’affidamento scaturisce dalla scelta caduta sul ns. Istituto, dove i due Giorgio intendono canalizzare tutto il lavoro prodotto personalmente, al fine di poterlo seguire con maggiore tranquillità e discrezionalità.»

Se si fossero approfondite le indagini, sarebbe emerso che, in definitiva, trattasi di incasso di assegni post-datati, fattispecie di nessun rilievo penale dopo l’abrogazione dell’art. 116 della legge sull’assegno bancario - R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, (cfr. art. 12 della L. 15 dicembre 1990, n. 386.) Qualche preoccupazione per quanto riguarda la legge sul bollo, non è in ogni caso di indole penale. Altre fattispecie andrebbero provate e riguarderebbero comunque il privato comportamento degli imprenditori, in cui la banca non è coinvolgibile.

Sembra che in sede inquirente vi sia stato il sospetto che possa essersi trattato di usura. L’ampia documentazione disponibile presso la banca comprova l’infondatezza di tale congettura. Quello che può emergere fuori della banca non è qui ipotizzabile. Si può, però, concludere che nessuna responsabilità è ascrivibile ai dirigenti bancari, che proficuamente assistono quello che opportunamente gli stessi ispettori definiscono il “Gruppo Giorgio” molto tempo prima del maggio 1990.

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