domenica 12 gennaio 2014

La Racalmuto carrettesca: Donna Aldonza del Carretto


Tra le altre sventure Giovanni V del Carretto ebbe quella di essere pronipote della terribile donna Aldonza del Carretto, proprio quella che passa per benefattrice di Racalmuto per avervi voluto il chiostro femminile della Badia.
Donna Aldonza era figlia, come si disse, di Girolamo I del Carretto, il primo conte di Racalmuto che lasciò ben sei figlie femmine (la stessa Aldonza, Diana, Ippolita, Giovanna, Eumilia e Margherita)  e tre figli maschi (Giovanni IV, Aleramo e Giuseppe). Sull’erede Giovanni IV caddero i pesi del cosiddetto “paragio” - una cospicua dote per ogni fratello e per ogni sorella.  Pare che il violento conte non se ne desse eccessivo pensiero. Snobbò principalmente di dotare le sorelle specie quella zitellona che fu donna Aldonza. Questa non glielo perdonò mai, specie sul letto di morte. Redasse un testamento, tanto pio quanto subdolo verso l’inviso fratello conte. Lo escluse, innanzi tutto, dal nutrito numero dei suoi eredi universali,[1] che invece limitò alle sorelle donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna Eumilia e donna Margherita del Carretto «...eius sorores pro equali portione, salvis tamen legatis, fidei commissis, dispositionibus praedictis  et infrascriptis».
Dopo aver fatto alcuni lasciti per la sua anima ed aver  dato le disposizioni per l’erezione del convento di Santa Chiara, si ricorda del non amato fratello maggiore Giovanni in questi termini: «..et perché a detta D. Aldonza ci competiscono li doti di paraggio sopra lo stato di Racalmuto et beni di detto quondam suo Padre una con li frutti di essi doti, pertanto essa D. Aldonza testatrici declara volere detti doti di paraggio una con li detti frutti di essi et volersi letari di quelli, in virtù di tutti e qualsivoglia  leggi et altri ragioni in suo favore dittarsi et disponersi, non obstante si potesse pretendere in contrario, in virtù di qualsivoglia testamento et dispositione, delle quali leggi in suo favore disponenti, essa voli et intendi servirsi et usari in juditiarij et extra, sempre in suo favore, conforme alle leggi et ragione di essa testatrice tiene, le quali doti di paraggio, una con li frutti di quelle, siano  et s’intendano instituti heredi universali per equale porzione atteso che di li frutti detti doti ni lassao et lassa à D. Gio: lo Carretto conte di Racalmuto suo frate onze duecento una volta tantum pro bono amore et pro omni et quocumque jure eidem Don Joanni quemlibet competenti et competituro et non aliter.
«Item dicta testatrice vole et comanda che della liti la quale have fatto di conseguitare la sua legittima che non ni possa consequire più di onze 600, oltra di quelli li quali essa D. Aldonza testatrici si ritrova havere havuto; li quali onze 600 essa testatrice lassao et lassa à d. Gio: Battista et D. Eumilia del Carretto soi soro oltre della loro portione [parte corrosa, n.d.r.] [di cui alla] presente heredità modo quo supra fatta et hoc pro bono amore et non aliter..»
Ma non tutte le sorelle erano eguali per la terribile donna Aldonza. E solo dopo un paio di nipoti che si ricorda di avere un’altra sorella. A questa solo un legato di 200 once così condizionato:
«Item ipsa tetatrix legavit et legat D. Mariae Valguarnera comitissae Asari, eius sorori, uncias ducentas in pecunia semel tantum solvendas per supradictos heredes universales infra terminum annorum quatuor numerandorum a die mensis [mortis] ipsius testatricis et hoc pro bono amore».
Uguale trattamento per il fratello Aleramo: «Item essa testatrice lassao e lassa à D. Aleramo del Carretto suo fratello, conte di Gagliano, onzi ducento della somma di quelle denari che essa testatrici pagao à Giuseppe Platamone per esso D. Aleramo delli quali detto D. Aleramo è debitori di essa testatrici et hoc pro bono amore et pro omni et quocumque jure eiusdem D. Aleramo competenti et competituro.
«Item essa testatrice declarao et declara che della legittima quale detto Don Aleramo divi pagando onsi secento tutto lo resto di detta legittima essa testatrice la lassao e lassa a detto D. Aleramo pro bono amore».
Il testamento venne redatto l’8 marzo del 1605. Punto importante per Racalmuto era il lascito per la fabbrica del convento femminile. Vi era detto che “essa testatrice volle ed espressamente ordina ed ordina ai sopraddetti eredi universali che subito ed in contanti, appena giunta la morte della medesima testatrice sopraddetta, i suoi eredi hanno da assegnare e debbono e sono tenute a versare cento onze di reddito, alla medesima testatrice dovute per il detto Don Ottavio Lanza principe di Trabia, quota parte della maggior somma dovutale in virtù e per forza di contratto, affinché si doti un monastero di nuova fondazione, con il favore di Dio, e lo si costruisca e lo si edifichi nella predetta terra di Racalmuto. Con codeste cento once annuali si faccia fabbricare il detto Monastero ed allorché il detto Monastero sarà completo nel fabbricato ed in ciò che occorrerà”, allora «habbiano da  pigliarsi dudici poveri di detta terra et preditti redditi di onzi cento saranno pro dicto Monasterio videlicet uncias duodecim (12 onze) per l’elemosina del cappellano, lo quale Monasterio et per esso li soi officiali et detto cappellano siano tenuti ogni giorno celebrare una messa allu Venniri, (e) si dica la messa delli cinque piaghi del Signore et un’altra delli Angeli et la colletta a Santo Micheli Arcangelo et onze 88 pro vitto et vestito di detti dudici Monachi poveri da monacarsi per nenti ma per l’amor di Dio. E tutto per remissione di suoi peccati, La electione delli quali monachi si facci per l’arcipreti et Guardiano di Santa Maria di Jesu di detta terra di Racalmuto ...»
Il chiostro di Santa Chiara aprì i battenti poco prima del 1649. Ad Agrigento (Archivio di Stato - inventario n. 46 Vol. 533) si custodisce il “Libro d’esito del Venerabile Monasterio di S. Chiara fundato in questa terra di Racalmuto dell’anno terza inditione 1649”. La prima registrazione è del 24 agosto 1649. Dalla morte della testatrice (1605) alla realizzazione dell’opera passano dunque 44 anni. Se non vi furono latrocini, dovettero essere spesi 4.400 onze, come dire due miliardi e mezzo circa delle nostre lire pre Euro. Tutto quel tempo impiegato per costruire il convento, ha dell’inspiegabile; ma alla fin fine le sorelle superstiti di donna Aldonza (o i loro eredi) rispettarono la volontà testamentaria della terribile virago. Nel chiostro, però, non andarono solo giovanette chiamate dal Signore di bisognevoli condizioni economiche. Verso la fine del Seicento vi può entrare una Lo Brutto. L’omonimo arciprete annota nei libri della matrice: «Victoria figlia di Giaijmo LO BRUTTO  e della quondam Melchiora, entrò nel monastero di Santa Clara per monacharsi di questa terra di Racalmuto a 24 giugno 8.a Ind. 1685 in presenza dell'Ecc.mi Sig.ri d. Geronimo e Donna Melchiora del CARRETTO conte e contessa di detta terra, dell'ecc.mo Prencipino don Gioseppe et ill.mi donna Maria e donna Gioseppa figli di d.i sig.ri eccell.mi - Dr don Vincenzo LO BRUTTO Archip. di detta terra.»
Nel 1807 il convento è ormai luogo di preghiera (o di frustrazione) delle sole signorine di buona famiglia che i genitori reputano di non dovere sposare per esigenze di bilancio familiare. Lo prova questa sorta di organico monacale:
 


MARIA AGNESE              FARRAUTO                   SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ANGELICA          PICONE                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ANTONIA            AMELLA                        SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ARCANGELA      GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CARMELA           CAVALLARO                 SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CATERINA          TIRONE                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CROCIFISSA       FARRAUTO                   SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA EMANUELA        GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA FRANCESCA      SAVITTERI                    SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA GABRIELLA        GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA GRAZIA               SCIBETTA                      SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA MADDALENA     AVARELLO                    SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA NICOLETTA        GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA RAFFAELLA       CAVALLARO                 SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ROSARIA            TULUMELLO                 SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA SALESIA              VINCI                              SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA SERAFINA          ALFANO                         SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA VENERANDA     GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIARA
PETRA ANTONIA            MATRONA                     SUORA MONASTERO S. CHIARA
PETRA MARGHERITA    CAMPANELLA              SUORA MONASTERO S. CHIARA
VINCENZA PAOLO          MATTINA                      SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CHERUBINA       GRILLO                          SUORA MONASTERO S. CHIAIRA
MARIA GIACINTA           GRILLO                          SUORA MONASTERO S .CHIARA
FRANCESCA                    CASTELLO                     CONVERSA MONASTERO S. CHIARA
IGNAZIA                           SERRAVILLO                 CONVERSA MONASTERO S. CHIARA
VINCENZA                        BERTOLINO                  CONVERSA MONASTERO S. CHIARA


 

Dovevano bene ricordarsene i Matrona, i Savatteri, i Grillo, i Vinci, i Farrauto, i Cavallaro, gli Alfano, i Tulumello, i Tirone, quando con le leggi Siccardi, dopo l’Unità d’Italia, non parve loro vero di arraffare i beni della chiesa e di trasformare quel convento secolare in una fabbrica di San Pietro per sperperare soldi pubblici in nome del decoro della costruenda casa comunale. Ed oggi, la chiesa ove vennero sepolte quelle “poverette” è luogo di raduno pubblico e vi si vanno concerti profani, sopra le obliate ceneri di quelle monache. Neppure una lapide a ricordarle. (Basterebbe scorrere i libri di morte della Matrice per farne una doverosa ricognizione). Neppure un fiore. Neanche un segno esteriore, un monito. I soldi di donna Aldonza sono stati rapinati dai governi sabaudi. Anche a Racalmuto, alla fine, risultarono stregati, come la sua non molto pia donatrice testamentaria. 

 

Ritornando ai fatti di famiglia dei del Carretto, in quel testamento non troviamo alcunché che ricordi anche il fratello di donna Aldonza, Giuseppe. Forse perché già morto?

Ma non basta. Se ci si addentra nei processi per investitura dei Del Carretto, sbuca fuori un’altra sorella: Beatrice del Carretto,[2] morta nel settembre del 1592. Tirando le somme, su Giovanni del Carretto il buon genitore Girolamo scaricava le doti di ‘paragio’ di otto sorelle[3] e due fratelli. Poi, si aggiungeranno i carichi di un paio di figli ‘illegittimi’ e, naturalmente, l’eredità ab intestato per l’unico figlio legittimo, il conte di Racalmuto per antonomasia, Girolamo del Carretto. Su quest’ultimo si abbatteranno i fendenti di una tale complessa situazione patrimoniale, carica di soggiogazioni anche per le tanti doti di ‘paragio’. Sarà stato per questo, ma si dà il caso che il giovane conte del Carretto, all’età di ventitre anni si spoglia di tutto, facendone donazione ai due figli Giovanni e Dorotea e nominando governatrice la moglie Beatrice e tutore il fratello (o fratellastro) don Vincenzo del Carretto, arciprete di Racalmuto.

Il fatto poi è che il testamento di donna Aldonza, per una sorta di ricorso perverso, viene riesumato a danno  sul nostro Giovanni V del Carretto. Un documento del Fondo Palagonia ci svela l’arcano. [4] E’ il 10 ottobre del 1645: Giovanni V del Carretto ha ora 36 anni, sta a Palermo, non crediamo che avesse voglia di fare dei colpi di stato per far nominare re di Sicilia il cognato, il conte di Mazarino. E’ costretto a stipulare un contratto (in effetti una transazione) con il dottore in utroque Giuseppe Bonafante. Su questa figura di prelato vedasi il Nalbone. ([5]) Si trattava in effeti del “procuratore generale e protettore del venerabile convento di Santa Rosalia” in Palermo.

Costui aveva ottenuto dal consultore Don Diego de Uzeda una “provvisionale” datata 5 luglio 1643. L’ingiunzione seguiva ad una sentenza del 5 maggio 1643 che investiva in pieno il conte di Racalmuto. Questi veniva condannato  a pagare entro un mese al monastero di Santa Rosalia di Palermo «dotes de paragio D. Aldonzae, d. Margaritae, d. Eumiliae et d. Joannae de Carretto», le doti di paragio (quelle abbiamo prima citate) di quattro delle otto sorelle del trucidato conte Giovanni IV del Carretto. E non era una bazzecola: si trattava di once 7.687, diciassette tarì e tre grani. Un calcolo in moneta attuale? era la cospicua cifra di quasi quattro miliardi e mezzo.

Ma che diavolo era avvenuto?

Come si disse, anche sul letto di morte presso il pauroso concento di Santa Caterina, donna Aldonza del Carretto non sia acquietò contro il fratello Giovanni per la faccenda del paragio. V’era in corso una causa: la vecchia non voleva che con la sua morte, la lite andasse in nulla a favore del fratello. Stabilì dunque che il paragio, dedotte duecento onze per tacitazione dei diritti del conte del Carretto, andasse alle sorelle che istituiva sue eredi universali. Il passo del testamento è eloquente:

«Et perche a detta D. Aldonza ci competiscono li doti di paraggio sopra lo stato di Racalmuto et beni di detto quondam suo Padre una con li frutti di essi doti, pertanto essa donna Aldonza testatrici declara voleri detti doti di paraggio una con li detti frutti di essi et volersi letari di quelli. In vertù di tutti e qualsivoglia leggi et altri raggioni in suo favore dittanti et disponenti non obstante si potesse pretendere in contrario, in virtù di qualsivoglia testamento et disposizione delle quali leggi in suo favore disponenti, essa vole et intendi servirsi et usari in juditiarijs et axtra sempre in suo favore conforme alle leggi et ragione di essa testatrice tiene; le quali doti di paraggio una con li frutti di quelle siano et s’intendano insitituti heredi universali per eguale portione atteso che di li frutti detti doti ni lassao et lassa a Don Giovanni lo Carretto conte di Racalmuto suo frate onze duecento una volta tantum pro bono amore et pro omni et quocumque jure eidem don Joanni quemlibet competenti et competituro et non aliter.

«Item detta testatrice vole e comanda che della lite la quali have fatto di consequitare la sua legittima che non ni possa conseguire più di onze 600 oltra di quelli li quali essa donna Aldonza testatrici si retrova havere havuto, li quali onze 600 essatestatrici lassao e lassa a donna Giovanna e d. Eumilia del Carrettosoi soro oltre della loro portione di cui alla presente heredità modo quo supra fatta pro loro amore et non aliter nec alio modo.

«Item detta testatrice vole e comanda che morendo alcuna delli sopra detti heredi universali senza figli legittimi et naturali nepoti et pronepoti usque in infinitum  che la portione di tali heredità universali et cossì ancora s’intenda morendo alcuna di detti Donna Giovanna et donna Eumilia senza figli pro ut supra tanto la loro portione hereditaria quanto la portione di li supra dette onze 600 si paga allo Monasterio - Deo dante - per essi supra detti heredi universali in questa città di farsi ...»  Con questa ultima clausola il destino del futuro conte Giovanni V del Carretto viene segnato. E siamo nel giorno 31 marzo del 1605.

Nel 1625, sotto l’egida di un sacerdote troppo intraprendente, sorge una sorta di monastero patrocinato e sovvenzionato dalle tante sorelle del Carretto. Sia come sia, le doti di paragio di Donna Aldonza, donna Margherita, e donna Eumilia finisconto negli appetiti del convento. Si sostiene che sarebbero state devolute per volontà testamentaria in dote del chiostro palermitano.

Attorno al 1635, l’indomabile prete Bonafante intenta causa, quale protettore e procuratore del convento di Santa Rosalia in Palermo, contro il sedicenne conte Giovanni V del Carretto. Si nominano periti, si fanno conteggi, si tentano espedienti formali, ma il 15 luglio del 1643 don Diego de Uzeda, consultore di Sua eccellenza, condanna irrimediabilmente il giovane conte ad una cifra enorme. Sulla base delle ricostruzioni contabili di tal gaspare Guarneri, il conte - sui beni di Racalmuto - deve corrispondere a quell’alieno convento di Santa Rosalia 7.687 onze, 17 tarì e 3 grani (abbiamo detto circa quattro miliardi di lire). Il conte soprassiede, ma al 10 ottobre del 1645, la pretesa viene elevata ad onze 7.977.29.9.

A questo punto il conte, un po’ più agguerrito, si rammenta di paragi pagati, di biancheria pregiata fornita in dote, di altri pagamenti a quelle tremende prozie. Sarebbero oltre mille onze da decurtare dalla pretesa conventuale.

Inoltre, chiede che si nominino altri periti di sua fiducia. E’ una corsa ad ostacoli ... giudiziari. Soprattutto si offre la cessione dei diritti di baglia di Racalmuto. Questa offerta viene gradita dagli organi giudicanti. Il padre Bonafante annusa la trappola e si oppone. Le suorine palermitane giammai sarebbero state in grado di conseguire quelle tassazioni sui poveri e riluttanti racalmutesi.

I diritti di baglia su Racalmuto erano ingenti: 823 onze annuali. Lo attestavano persone di fiducia del luogo come dalla seguente dichiarazione:

Noi infrascritte persone di questa terra e contato di Racalmuto facciamo fede a chi spetta vedere la presente qualmente li frutti della gabella nominata della baglìa di questa sudetta terra sono li frutti infrascritti cioè mille cinquecento case quali pagano ogn’anno tt. 12 per ogn’una in detta baglìa importano tutte



[1]) vedi testamento reperibile in Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 501.
[2]) Archivio di Stato di Palermo - Fondo: Conservatoria Registro - Serie Investiture - Busta n.° 141-  Anni 1636-48 - f. 118 -
 
Il documento, invero, riesce ad intricare ancor più le vicende feudali di Cerami di cui si è detto.
 
Per gli eventuali appassionati di araldica ne facciano una sintetica trascrizione, lasciando però su di loro il gravoso compito di dipanare la matassa - giuridica ed ereditaria - delle poco chiare vicende e dell’armonia fra i diversi documenti, distanti quasi un secolo l’uno dall’altro.
 
«Investitura del fego di Donna Maria in persona di D. Antonino Grillo.
 
«Die 16 septembris X ind. 1641 - Apud urbem felicem Panormi ...
 
«d. Joseph Burghetti procurator  .. vigore procurationis in actis notarii Ascanij de Frat’Antoni Panormi die 22 februarij IX^ ind. 1641 .. D. Antonii Grillo baronis pheudi D. Mariae tenentis et possidentis feudum praedictum olim de membris et pertinentiis baroniae et terrae Ceramis ... ob venditionem de eo sibi factam sub verbo regio absque spe reddimendi  ut dicitur “à lutti passati” per ill.mum D. Joannem del Carretto Comitem Rahalmuti et baronis dicti feudi et pro eo per ill.m D. Ferdinandum Isguerra olim consultorem E.S. et judicem deputatum electum per S. E. in venditionem feudi paedicti per acta notarii Cesaris Luparelli Panormi die 7. ottobris 9^ ind. 1640 ...
 
«In quo feudo dictus ill.s D. Jo: Junior successit tam ut donatarius quondam ill.is Hieronimi del Carretto eius olim patris, quam uti filius  primogenitus legitimus et naturalis ac indubitatus successor quondam ill.is Hieronimi vigore donationis  in attis notarij Angeli Castrojoanne terrae Raxhalmutu die X Juliii IIIJ^ ind. 1621, insinuatae in actis Juratorum dictae terrae eodem die et postea confirmatae per dictum ill.m D. Hieronimum per quamdam  scripturam privatam seu apodixam manu reverendi patris  Francisci Testa virectoris Collegij Societatis Jesus civitatis Nari, subscriptam manu ill.s Don Hieronimi et reservatam penes eumdem patrem Rectorem et exinde per acta notarii Anibalis Musanti
 
«voluit dictus ill.s del Carretto Don Hieronimus et expresse mandavit quod post dies duos a die eius mortis praedicta scriptura seu apodixa vim et roborem habeat et sub dicta dispositione mortuus fuit sub die primo Maij V^ Ind. 1622.
 
«Vigore cuius pèer M.R.C. fuerunt confirmati tutores ill.s D. Beatrix del Carretto et de XXliis  vidua relicta dicti quondam Ill.is D. Hieronimi et U.J.D. D. Vincentius del Carretto dicti don Joannis, moderni comitis pro ut patet per cedulam receptam penes acta M.R.C. sub die 23 Julii V^ Ind. 1622 et inventarii facti per dictos tutores in actis Anibalis Musanti Panormi die 3 septembris VI^ ind. 1622
 
«et dictus ill.s don Hieronimus successit ut unicus filius ab intestato ob mortem quondam ill.s D. Joannis del Carretto Senioris eius olim patris, vigore inventarii hereditatis facti in actis notarij Pauli Mulé Panormi die 7 Maij 6^ ind. 1608
 
«quod feudum fuit venditum dicto Ill.i Don Joanni Seniori per don Aleranum et d. Joseph del Carretto fratres per acta notarii Francisci de Alfano Panormi die 17 septembris 13 Ind. 1599.
 
«In quo feudo dicti D. Aleramus et d. Joseph fratres successerunt ob mortem D. Beatricis del Carretto  eorum sororis pro ut patet per acta notarii Joannis Carbone die 12 septembris 1592.
 
«Quod feudum fuit dotatum dictae D. Beatrici per D. Elisabettam del Carretto, eius matrem, per acta notarii Michaelis de Avanzato sub die XJ Augusti primae ind. 1588.
 
«Quod feudum fuit venditum per donnam Beatricem Russo et del Caarretto baronissam dictae terrae Ceramis et dominum quondam ill.m D. Joannem del Carretto Seniorem Jug. vigore actus venditionis in actis notarij Francisci Palmeri die 6 octobris 2^ ind. 1573.
 
«Quae Donna Elisabetta coepit investituram de dicto feudo ut patet per investituram sub die X Aprilis V^ ind. 1577. 
 
«Et quia de successionibus praedictis non apparunt captae nullae investiturae per supradictos del Carretto, pout erant obligati juxta formam capitulorum Regni et Regius Fiscus praetendebat penas tangentes R.C., fuit itaque supplicatum E.S. ex parte sub die 19 Augusti 9^ ind. 1641  quod, stante relatione magistri Collectoris fuisset provisum quod si solverit uncias centum vinginti infra dies octo non molestetur.
 
«Ita quod, cum infra mensem capiat investituram, pro ut apparet penes acta Tribunalis R.P., sicuti de procuratione dicti ill.is D. Joannis contracta per supradictum actum, quam quidem investituram, actus predictos et procurationes supra calendatas, pro curiae cautela, vidit et recognovit spectabilis vir Regius Consiliarius dilectus, U.J.D. D. Jacobus Corsettus .
 
«Constitutus procurator, in presentia Ill.mi et Ex.mi Domini D. Alfonsi-Henriquez de Caprera Comitis Comitatus Mohac et Proregis et G.C. huius Siciliae Regni, pro feudo praedicto, ob venditionem et provisionem praedictam, praestitit atque fecit juramentum et homagium debìtae fidelitatis et vassallagij amnibus et ore commendatum, in forma debita et consueta, juxta sacrarum d. Regni constitutionum imperialium  continentiam et tenorem, in manibus et posse praefatae E.S. illud recipientis, nomine et parte S.C. et majestatis domini nostri Philippi quarti Hispanorum utriusque Siciliae, Hierusalem  etc. Regis invictissimi eiusque heredum et successorum in perpetuum, retentis et reservatis Regiae Curiae eis omnibus;
 
«quae in privilegio dicti feudi eidem Curiae reservantur, natura, tamen, et forma feudi in aliquo non mutata, servitio militari, juribus R.C. et alterius cuiuscumque semper salvis et illesis remanentibus et non aliter nec alio modo.
 
«Praesentibus ad hoc pro testibus Gaspare Bonsignore et Jo: Battista Magliolo  .. alijsque quam pluribus.
 
«In cuius rei testimonium praesens nota facta est loco investiturae, redapta et registrata in officiis Regni Siciliae Protonotarii, et Regiae Cancellariae juxta formam Capitulorum Regni, nullo tamen per praesentem notam generato prejudicio juribus Regiae Curiae tacite vel expresse sed illa semper illesa remaneant.
 
« - Don Juan de Granada Cons. - ... vidit Corsettus F. P.; Gaspare Guarneri  pro... vidit de Cavallariis, Reg. Coll.».
 
 
[3]) Non sappiamo molto sulle otto sorelle (e le due zie: Maria e Porzia) di Giovanni IV° del Carretto, ma abbastanza per escludere la fondatezza della pagina di Eugenio Napoleone Messana  (E.N. Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969, pag. 104) sulla saga familiare dei Savatteri in ordine al mirabolante matrimonio di Scipione Savatteri con Maria del Carretto con dotazione, in dispregio delle ferree leggi feudali dell’epoca, di un improbabile feudo a Gibillini.
 
E.N. Messana - come del resto Nicolò Tinebra Martorana, e in definitiva lo stesso Leonardo Sciascia - subiva, nel far storia, «la tentazione dell’accensione visionaria, fantastica», per dirla con lo stesso Sciascia.
 
Nulla di male, sia chiaro. Basta tenerlo presente.
 
Ci riferiamo, per intenderci, a questa simpatica digressione di famiglia:
 
«Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea.
 
«Le figlie erano entrambi ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al  1598, data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato dell'insurrezione contro il nuovo pretore. In quell'occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve.
 
«La sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre.
 
«I Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...]
 
«Non si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l'Abbazia di Santa Chiara  ...».  
 
Stando al Villabianca (Sicilia Nobile),  l’abbadessa si chiamava Maria e non Marzia. Lo stesso marchese riporta le lapidi funeree delle due sorelle nei seguenti termini, dopo aver premesso che:
 
«Di esso [Giovanni, il padre del primo conte di Racalmuto] fu nobile prole GIROLAMO , che fu lo stipite della presente investitura,  ..., e le due femmine MARIA e PORZIA; la prima delle quali si vede sepolta nella Chiesa del Monastero di Santa Caterina di Palermo dentro un tumolo marmoreo adorno della seguente iscrizione:
 
 
 
MARIAE de CARRETTO Joannis Domini RAHALMUTI filiae antiquissima, et
praeclarissima SAXONIAE Ducum stirpe, et quadam animi probitate
excellenti foeminae, quae annum aetatis agens septimum se ad Divae
Catharinae Coenobium religiosissimum aggregavit vixitque singu-
lari probitatis exemplo itaque anno 1566 Coenobii Antistita dele-
cta familiam meliore vitae ratione informandam curavit, eiusdem
deinde Coenobii Templo, quod condere inceperat absoluto, vitam omni
laude cumulatam explevit D. PORTIA de CARRETO uxor D. Gasparis
de Barresio illustris vir carissimae sorori hoc amoris, et doloris
monumentum posuit. Vixit annos 70. Antistita annos 30. Obiit
anno 1598.
 
 
 
Scorgendosi la seconda cioè PORZIA testè avvisata dentro un altro tumolo, eretto nella Cappella di Nostra Signora della Grazia della Chiesa de' Padri di S. Cita di Palermo col seguente epitaffio:
 
 
 
Conditur hoc tumulo BARRESIS PORTIA, paris
CARRETTI illustris, candida progenies.
Vivit nobilitas, vivit post funera virtus.
Sic moriens Coeli gaudia laeta subit.
Obiit anno 1607 mense Julii die 25.
 
 
 
 
 
 
Accanto di questo tumolo se ne vede un altro appartanente ad essa casa CARRETTO, ove si legge:
 
 
 
CARRECTI genere et claro jacet orta Beatrix
virtutum ardenti lumine splendior.
Vixit cara viro moriens, coeloque recepta est,
Inde Beatricis nomen, et homen[sic, ma forse honorem n.d.r.] habet.
D. ARDENTIA ARCAN D. Betricis CARRETTOS PHILADELPHI olim Baro-
nissae matri suae suavissemae tumulum propriis expolitum la-
crymis moestissima

 

 

[F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore - Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759 - RAGALMUTO - pag. 203 Parte II Libro IV»

 

 

 

 

 La Marzia di N.E. Messana sembra non esistere.

 

Quanto a Scipione Savatteri, i registri della Matrice lo attestano verso la fine del ‘500, ma in termini poco nobiliari. 

 

Fu comunque un personaggio cospicuo; proveniva da Mussomeli e sposò tal Petra (o Pina o Petruzza). Dal 1588 al 1595, troviamo tra i battesimi diversi figli di tal Sipiuni Savatteri, senza orpelli nobiliari. Ecco gli estremi del suo matrimonio:

 
 
12/10/1586 -SAVATERI SCIPIONI DI PAOLINO E BELLADONNA sposa  SAGUNA PETRINA DI ANTONINO E MARCHISA. Benedice le nozze: don Paolino Paladino -TESTI:  Montiliuni Gasparo notaro e cl. Cimbardo Angilo.

 

 

Ma l’origine dai del Carretto da parte dei Savatteri è, a dire il vero, una revindica non nuova.

 

La sostenne sino alla frenesia tal “Giuseppe Savatteri  fu Gaspare di Racalmuto” in un processo celebratosi in Girgenti il 14 luglio 1876 [Cfr. Archivio Curia Vescovile Agrigento - Registro Vescovi 1902, pagg. 669 e segg.].

 

La causa verteva sulla pretesa del Savatteri di avere per sé il beneficio del Crocifisso, a suo avviso “usurpato dalle autorità ecclesiastiche di Racalmuto in pregiudizio della famiglia Lo Brutto, di cui il Savatteri proclamasi il maggiore dei discendenti”.

 

Persa la causa, il Savatteri si rivolse persino al Vaticano per far valere le sue ragioni. Perse ovviamente il suo tempo.

 

Presso la Matrice si trovano alcune carte processuali, significative per la storia dei benefici ecclesiastici di Racalmuto.  Si legga, ad esempio, la «Comparsa conclusionale dei Signori ben. d. Calogero Matrona e consorti convenuti - contro: i conjugi d. Giuseppe Savitteri attore e donna Concetta Matrona, interveniente forzosa - e contro il signor cav. Vincenzo Ferlazzo Intendente di Finanza - dell’avv. Giuseppe De Luca (ma, crediamo,  con l’assistenza dell’Arciprete Tirone).

 
[4]) Archivio di stato di Palermo - Fondo archivistico Palagonia - Serie Fondi Privati - UNITA’ n.° 636 ff. da 372r a 390r
 
[5]) Da Giuseppe Nalbone: Santa Rosalia (dattiloscritto 1994): pag.  8: «Che i del Carretto fossero devoti a S. Rosalia è anche dimostrato dal fatto che le figlie del Conte di Racalmuto Girolamo, Margherita e poi Diana, Ippolito, Giovanna, Emilia, fondarono in Palermo, intorno al 1643, un Monastero intitolato alla Santa, sotto le regole di S. Benedetto, eretto di fronte alla Chiesa Parrocchiale S. Giovanni dei Tartari, e completato poi dal fratello Aleramo, nella sede dove don Giovanni Bonfante sacerdote palermitano, nel 1625, aveva già istituito sotto lo stesso titolo un conservatorio di donzelle (Gioacchino di Marzo. Biblioteca Storica Letteraria vol. XIII pag. 287)..

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