venerdì 6 dicembre 2013

Prima del VESPROa Racalmuto

Qualche pedanteria araldica prima del "Vespro" a Racalmuto

Il Fazello non mostra interesse alcuno verso quelli che dovettero apparirgli incolti e violenti nobilotti di campagna: i Del Carretto, appunto. Il colto storico è basilare nella storia di Racalmuto per avere ispirato due tradizioni che reggono imperterrite tuttora: la prima accredita Federico II Chiaramonte (+ 1313) padrone e barone del feudo, ove avrebbe fatto costruire l'attuale castello ("Lu Cannuni"), e ciò è congettura forse accettabile; la seconda tradizione è quella della signoria dei Barresi. Qui il Fazello è del tutto incolpevole. Si pensi che l'intera faccenda poggia - responsabili Vito Amico  ed il Villabianca, quello della Sicilia Nobile   -  su un'evidente distorsione di un passo dell'opera storica del Fazello.  Questi, parlando dei Barresi, aveva scritto  : Matteo Barresi succede ad Abbo, che aveva ricevuto da Re Ruggero l'investitura di Pietraperzia, Naso, Capo d'Orlando, Castania e molti altri "oppidula" (piccoli centri). Chissà perché tra quegli oppidula doveva includersi proprio Racalmuto. Così congetturarono i cennati eruditi del Settecento, non sappiamo su che basi, e così si racconta tuttora dagli storici locali che hanno in tal modo il destro per appioppare a Racalmuto le vicende avventurose di quella famiglia.
Non è questa la sede per digressioni erudite: tuttavia ci pare di avere fornito elementi sufficienti per comprovare la validità dei nostri convincimenti in ordine alla nessuna attinenza dei domini feudali dei Malconvenant e dei Barresi con Racalmuto, a ridosso del Vespro. Resta da vedere se possa parlarsi della signoria degli Abrignano.
Il solito Tinebra Martorana (pag. 56 op. cit.) ci propina questa successione:
«Alla morte del conte Ruggiero Normanno, sia perché questa famiglia [cioè i Malconvenant] si fosse estinta, sia perché fosse caduta la fortuna dei Malconvenant, noi vediamo essi perdere domini ed uffici. Ciò che è indubitato è che il figlio del conte conquistatore, il gran re Ruggiero, concesse la baronia di Racalmuto alla nobilissima famiglia degli Abrignano[Minutolo: Cronaca dei Re]. E da questa passò ai Barresi. Degli Abrignano però non è sicura notizia e di certo, se essi governarono Racalmuto, fu per breve tempo, perché molti cronisti non ne fanno alcun cenno.» E tanto è davvero un modo curioso di far storia: ciò che viene asserito come “indubitato”, diviene subitaneamente - con contraddizione che non dovrebbe essere consentita - “non sicura notizia”. E dire che Sciascia continuò a definire quella del Martorana “una buona storia del paese”.  Eugenio Napoleone Messana (op. cit. p. 49) non ha dubbi che «nella cronaca dei re di Minutolo leggiamo che il re Ruggero II concesse la baronia di Racalmuto ai nobili Albrignano o Alvignano prima e ad Abbo Barresi dopo. Della concessione agli Abrignano ne fa menzione solo il Minutolo, altri la omettono e riportano solo la concessione ad Abbo Barresi.» Evidentemente, né Tinebra Martorana, né Eugenio Napoleone Messana avevano letto il Minutolo, diversamente non sarebbero caduti nell’abbaglio. Forse avevano letto soltanto Vito Amico che nella versione del Di Marzo specifica: «Minutolo Memor. Prior. Messan. Lib. 8 attesta essersi [Racalmuto] appartenuto alla famiglia di Abrignano, dato poscia a’ Barresi.» Una certa eco vi è anche nel Villabianca: « e la tenne [Racalmuto] pur anche la Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273.» Francamente ci dispiace che nell’equivoco cadde anche il compianto padre Salvo - nostro stimato amico.  Egli sintetizza: «La famiglia Albrignano - Decaduta la famiglia Malconvenant, Ruggero II concesse la Baronia di Racalmuto agli Albrignano o Alvignano nel 1130. Tale concessione è un po’ dubbia nelle storia o, se vi fu, ebbe a durare pochissimo. Certo è che nel 1134 la Baronia di Racalmuto era già nelle mani dei Barresi.» Un’evidente sunto, con quella aggiunta della data che vorrebbe essere una precisazione e diviene invece una colpevole topica.
Il Minutolo fu un frate gerosolimitano di Messina  che nel 1699 scrisse le memoria del suo “gran priorato”  : raccolse le dichiarazioni dei vari suoi confratelli sulle loro ascendenze nobili. Essere nobili era indispensabile se si voleva essere ammessi fra quei frati cavalieri. Fra D. Alberto Fardella di Trapani nell’anno 1633 asserisce - in buona fede o fraudolentemente, non sappiamo - che un suo antenato era: «Hernrico Abrignano dei Signori di Recalmuto, nobile di Trapani, e Regio Giustiziero, e Capitano» nell’anno 1395. La falsità era talmente evidente da non doversi dare alcun credito al mendace frate, ma il Minutolo non se ne accorgeed incappa in una smentita a se stesso, quando trascrive l’albero genealogico dell’altro confrate, il nobile “Fra D. Alfonzo del Carretto, di Giorgenti, 1617”, il quale, in coincidenza della pretesa signoria di Racalmuto da parte di Enrico Abrignano nell’anno 1395, colloca , correttamente, al posto dell’Abrignano, il proprio antenato, il celebre barone Matteo del Carretto. Ma già un altro due monaci della famiglia Fardella (fra D. Martino Fardella di Trapani 1629) si era limitato a dichiarare quell’identico antenato come semplice nobile di Trapani  («Enrico Abrignano Nobile di Trapani»). In Appendice sub 3) forniamo la trascizione di quegli intriganti alberi genealogici, per i curiosi o per i diffidenti. Gli Abrignano con Racalmuto, dunque, non c’entrano affatto: forse una qualche parente di Matteo Del Carretto andò sposa al “mercante” Enrico Abrignano, attorno al 1391. 
Quanto ai Barresi, è arduo ritenere che costoro davvero abbiano avuto il dominio di Racalmuto, in tempi antecedenti al Vespro, anche se il padre Aprile, scrivendo in epoca moderna, era propenso alla tesi affermativa. Si disse che Abbo Barresi I o Senior ebbe concesse dopo il 1130 dal re Ruggero il Normanno vari feudi, Naso, Ucria ed altri Castelli. Da Abbo a Matteo; da Matteo a Giovanni, la successione in quei domini feudali. Il San Martino Spucches resta sconcertato dalla contraddittorietà delle notizie fornite dal Villabianca. Si limita allora a questa secca elencazione: «Il Villabianca, nella Sic. Nobile, dice che Ruggero re concesse Racalmuto ad Abbo Barresi (Sic. Nob., vol. 4°, f. 200). Lo stesso autore dice altrove che l’Imperatore Federico II concesse, dopo il 1222, Racalmuto ad Abbo Barresi che sarebbe stato figlio di Giovanni (di Matteo di Abbo seniore). A quest’ultimo successe il figlio Matteo: al quale successe Abbo ed a quest’ultimo il figlio Giovanni. Questi visse sotto Re Giacomo di Aragona e seguì il suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i Baroni di Racalmuto con numero progessivo.»  Ma, così facendo, l’esimio araldista, allunga la teoria delle successioni, ricominciando il ciclo, per cui da Giovanni si passerebbe ad Abbo II iunior che avrebbe avuto dall’imperatore Federico II Racalmuto nel 1222 (per noi, a quell’epoca, ancora da fondare); da Abbo II a Matteo II e da questi ad Abbo III, cui sarebbe subentrato Giovanni Barresi che è personaggio storico distintosi nelle vicende del 1299, di sicuro signore di Pietraperzia, Naso e Capo d’Orlando.
Scettici sulle signorie pre-Vespro dei Barresi, non possiamo escludere che, con la restaurazione feudale di re Pietro, Giovanni Barresi possa essersi impossessato di Racalmuto, stante la latitanza di Federico Musca, cui invero sarebbe spettata la titolarità della baronia racalmutese. Con il passaggio tra le fila di re Giacomo d’Aragona - quando questi dichiarò guerra al proprio fratello, Federico III, che era stato proclamato re di Sicilia nella ben nota crisi di fine secolo XIII - potè essersi pur verificata la perdita da parte di Giovanni Barresi del recente feudo di Racalmuto alla stregua di quegli altri suoi possedimenti siciliani, finiti sotto confisca.
L’Amari, nella sua  guerra del Vespro siciliano, accenna ad un diploma del 28 dicembre 1300 (1299) tredicesima indizione, anno 15° di Carlo II d’Angiò, ove Racalmuto e Caccamo vengono concessi a Pietro di Monte Aguto.  Ovviamente si trattò di promesse dell’angioino che non ebbero seguito alcuno. Ma quella promessa sa di sonora smentita della tesi che vorrebbe feudatario di Racalmuto Giovanni Barresi: questi, ora, milita accanto all’angioino, sia pure sotto la bandiera di Giacomo d’Aragona; non è credibile che Carlo II d’Angiò arrivasse al punto di confiscare a sua volta il feudo già confiscato dal nemico Federico III. Credibile, invece, che nella cancelleria di Napoli figurasse ancora la concessione a Pietro Negrello di Belmonte  e che si pensasse di girare ora il feudo al milite alleato Pietro di Monte Aguto.

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