lunedì 30 settembre 2013

Mille rigurgiti caro don Michele mi sono sgorgati nelle solite fastidiose ombre notturne. Ci devo penare, devo capire: forse mi dovrò condannare; forse mi dovrò assolvere. Un processo. Una bella autocritica, come la mia militanza comunista mi imponeva un tempo. Ma non stasera. Non ne ho voglio. C'è tempo.

  • idillico io non potrò mai essere; le canzonette restano troppo melense per le mie peregrinazioni in campi stellarmente lontani dal mio DNA. Mio padre piccolo merciaio di paese e per giunta siciliano; mia madre figlia di mastro. Mastro ferraio: veniva da Naro. Dovette fuggire appena quattordicenne altrimenti chissà in quale mortale faida incappava. Per necessità economiche: appena laureato dovevo guadagnare. Sfruttavo la mia non comune intelligenza. Ed infatti finivo segretario in esperimento in quel di Modena, presso la filiale della Banca d'Italia. Credo che oggi l'avranno persino soppressa per quella stupida conversione di Via nazionale ad una imbecille logica costi/benefici. Se così dovese essere chiudiamo lo Strato italiano: davvero uno stato tanto introita e tanto può spendere? Lo sosteneva ieri sera uno che passa per sommo giornalista. Si chiama Feltri. Vada a scuola.

    Ieri, domenica, vado a pranzo da mio fratello. Di questi tempi sono melanconicamente solo per colpa della mia irrefrenabile paranoia senile. Scendo giù nell'appartamento paterno. I mei genitori sono morti da decenni. Ma teniamo la loro casa intatta. Ed io nella vecchiaia sto diventando stucchevolmente sentimentalone, mi spuntano persino le lagrime agli occhi quando leggo persino cose mie a ricordo di mia madre questa piccola donna tutta umanità, caparbietà, fortezza d'animo. Da bambina aveva una tendenza al bello scrivere, quasi un miracolo. Credo di averne ereditato una qualche forsennata vena. Mio padre, bell'uomo davvero. Lo so, fu fedelissimo a mia madre. Ed anche se a Racalmuto le opportunità non dovevano mancare manco allora, restò legato alla sua compagna sposata in chiesa con l'abito bianco (in tutti i sensi) e il vergineo velo in testa. Come posso io indulgere alle libertà che oggi si invocano, che tante invocano.

    Aspetto di finire con una bara forse di mogano tra le due bare dei miei sicurissimi genitori e prendermi i rimbrotti di mia madre che non tollerava che le rare volte che dal Nord scendevo nel paese che hanno regalato all'ostile Leonardo Sciascia, a suo dire nisciva a la matina e m'arricigliva a tri uri. Con mio padre potrò riprendere le sconclusionate discussioni, entrambi ad alta voce. Tanto chiusi laggiù a Santa Maria chi ci potrà redarguire?

    Mio fratello, sopraggiunto, mii rivela che in un casciuni di lu comò c'è ancora una scatola con vecchi libretti bancari, fotografie e qualche immaginetta commemoratrice di prime comunioni e di prime messe di preti che mi restano oscuri,

    Guardo scruto e trovo questo foglio di la Repubblica di mercoledì 19 marzo 1986. "la sentenza di Milano", CARCERE A VITA PER SINDONA".
    Oh, il buon Sindona! Don Michele! L'avvocato Sindona, lo chiama ancora così il compassato giornalista principe Enzo Biagi.

    Caro don Michele, sei stato tu a rovinarmi la vita (30 anni di depressione non son pochi) o sono stato io: hanno detto che sei il mandante dell'uccisione di Ambrosoli. Non ne sono mai stato CONVINTO. Leggendo ora quel liso foglio, mi sento corroborato nelle mie convinzioni. Men che meno credo che ti sia suicidato: ti hanno suicidato. Ma anche tuo figlio non so da dove sproloquia con il nemico ESPRESSO che lui è certo del tuo suicidio: caro don Michele ancora tuo figlio vuol sbraitare che tu tra i suicidi infernali del buon Dante saresti finito. Ho mille elementi per dire: no!

    Sono stato senza ADSL per giorni e quindi ieri sera sono dovuto andare a letto piuttosto presto (per la mia insonnia). Ho dormito male. Mille rigurgiti caro don Michele mi sono sgorgati nelle solite fastidiose ombre notturne. Ci devo penare, devo capire: forse mi dovrò condannare; forse mi dovrò assolvere. Un processo. Una bella autocritica, come la mia militanza comunista mi imponeva un tempo. Ma non stasera. Non ne ho voglio. C'è tempo.

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