martedì 24 settembre 2013

HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.

Aprile del 1950, credo nei giorni di festa della Pasqua, alla Matrice, in quel simpatico teatrico che allora occhieggiava nel giardino della sacrestia, avevamo messo in scena un lacrimosissimo"ho ucciso figlio"  una pièce   clericale per soli attori maschi, di tal che si poteva recitare anche in seminario. Faccenda stucchevole e inverosimile: un padre che si oppone, contro la volontà della defunta madre, alla vocazione del figlio. La vendetta divina giunge feroce: il figliuolo devia e si perde e muore. Sulla scena di Racalmuto, versione sagrestia della madrice, gigioneggia Guido Picone, sornione un il bel Pino Agrò, comicizza Cosimo La Rocca, imponente Bellomo, Luigi Giudice secondario ma altezzoso, Barba ridotto a cameriere ma la Traviata in sottofondo gli fa strappar lacrime alle gentili signorine assepate nelle sgangherate sedie della platea raffazzonata, fingendo di ignorare che sono oggetto di tante cupide taliate dei giovani attori filodrammatici.
 In questa foto potete mirare attori protagonisti, comprimari, persino un quattordicenne mio fratello che si limita a portare il caffè.
Ne è passata di acqua sotto i ponti. 65 anni non sono poi così pochi. Io facevo da aiuto regista, di un regista che però non ammetteva intrusioni, il bravo fascistissimo Gino Caprera. L'impresario era Giugiu Di Falco, già impiegato al Fisco; aveva soldi da buttare e quindi poté comprare da mio padre tutto il residuo di matapollo per le quinte che ben vedete in foto. L'arredo, prestato da Ernesto Di Naro. Per i tempi  di sicuro una filodrammatica di lusso.  Il mio amico dottore davvero bravo Carmelino Rizzo vuol fagocitare l'evento tra le glorie dell'Azione Cattolica, la Virtus. Ma reputo il suo un atto di pirateria clericale.
Passavo ieri sera davanti al circolo degli anzianotti a lato dell'ex bottega fantasma di Daniele Ciciruni e vi noto il mio carissimo vecchio amico (dal 10 ottobre 1945) Liddru Curtu. Vecchio sì ma non socio, ora continua ad essere il parroco di San Giuliano anche se deve barcollare tra due alte grucce rivestiste di panno bianco. E abbiamo ricordato proprio quell'evento, la storica recita di HO UCCISO MIO FIGLIO  alla Matrice. Quella recita aizzò ancor più la ruggine tra Padre Arrigo e l'arciprete Casuccio, tanto da spingere il focoso don Giovanni Arrigo a chiamare alle armi teatrali il mio parente Totino Scimé e il mio (dopo) sodale anticasucciano Viciu  Farrautu   e mettere in scena in una stalla del Carmine niente meno che la Pastorale del settecentesco padre Fedele. Ferveva ardore filodrammatico in quei tempi nei vari e contrapposti meandri clericali racalmutesi.
 


Liddru Curtu ieri sera un altro po' si metteva a lagrimare commosso ancora per quel padre ostativo di una chiamata del Signore. Ma io che storico pignolo sono, gli dicevo che non poteva essere presente alle rappresentazioni essendo queste avvenute nell'aprile del 1950,  e Liddru Curto, essendo entrato in seminario nel 1943, doveva vedersela con gli astrusi studi del secondo liceo, sia pure in versione seminario vescovile di Agrigento, non so quale anno dell'impero vescovile di Mons.  Peruzzo.



Ma LiddruCurtu, insisteva; ricordava particolari, insieme abbiamo ravvisato come primo attore Guido Picone, fornitore del disco della Traviata che consentì al cameriere, futuro maresciallo Barba, di declamare tra le lagrime di tanti e soprattutto tante: "quella sera, quando la signora Elena moriva, mi chiamò vicino a sé e mi disse, Beppe, mio caro Beppe .... " Il futuro maresciallo Barba fu molto credibile e sembrò a  tutti saper recitare bene .. ma non fece dopo né il cameriere né l'attore, si limitò a fare, se non erro, il capitano di marina.
Dati tutti questi precisi indizi sono arrivato alla conclusione che quell'anno, contro la tradizione, i seminaristi vescovili furono mandati a casa per le feste pasquali e così  il pio Liddru Curtu, oggi canonico don Calogero Curto parroco ultratrentennale della parrocchia di San Giuliano di Racalmuto, poté commuoversi per il dramma dell'Osvaldo, prete mancato, dell' HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.
 
 
Mi si scrive in dileggio della mia senescenza quel che ora riporto qui non essendo io aduso alle imbecillità moderne. Sì la mia scarsa abilità a controllare la tastiera dopo avere abbandonata la penna stilografica è nota e confessata. Vero, senectus ipsa morbus (e non glielo traduco perché mi sta sui coglioni) o per dirla con Luchino Visconti: la vecchiaia è immonda, infatti non gliela AUGURO. Certo io sono vetero comunista tutt'altro che pentito e G... C...  [a famiglia non vuole che lo nomino pur addirittura nell'esaltazione, che debbo fare? obbedisco]  fu, e restò fascistissimo nell'orbita di Giugiu Agrò e di Luigi Di Marco. Se questa era la sua fede perché io dovrei ribattezzarlo? G .... C... lo chiamavo nel 1950 e G ...  C....  continuerò a chiamarlo adesso. Gi Se per  paturnie familiari sono scattate resipiscenze onomastiche, non mi riguardano ed io scrivo come ad 80 anni mi pare. Non credo di dileggiare alcuno. Mi riferisco a chi documentatamente si faceva chiamare G.... C... 
 
Avendo ubbidito, casso le insolenze di questi signori ::: peccato non resterà traccia della loro piccineria. 
 
 
 Mi si accusa di avere amputato non so quale parte del dileggio nei confronti della mia CONCLAMATA senescenza. Siccome, come si potrà constatare, ho cassato tutto non saprò mai di che cosa sono colpevole. Stanotte non dormirò per i miei soliti acciacchi dovuti all'età, ma non certo per siffatte mie manchevolezze.
 
 

 
 

 

4 commenti:

Lillo Taverna ha detto...

Diciamo che Gino Caprera poté essere uno pseudonimo ma ai miei tempi così si chiamava così lo chiamavano, così voleva essere chiamato. Negli anni i Trenta cospicuo avanguardista nelle colonie elioterapiche fasciste, di cui teneva diari e documenti Luigi Di Marco, viene segnato immancabilmente Gino Caprera. Ha senso contravvenire post portem ai suoi rispettabilissimi desiderata?

Anonimo ha detto...

Caro Taverna
la polemica con i figli di Craparo non c'interessano. Come mai non Le piace fare riferimento a un fatto storico a tutti i vecchi noto a Racalmuto? e cioè che Gino era stato baciato dal Duce quando è passato dalla stazione di Racalmuto ed era diretto ad Agrigento? forse perchè non è materia utile per suscitare cortile? Forse non è utile far sapere che i fascisti paesani amavano Gino per questo?
Eviti le polemiche che non sono producenti e riferisca dati storici obiettivamente avvenuti.
Comunque, buon lavoro.

Lillo Taverna ha detto...

Essendo lei anonimo non ha titolo alcuno per stabilire che certe mie polemiche interessino e ancor meno può dare disposizioni. Forse davvero lei è un residuato bellico del fascistissimo periodo della vituperabile era. Ma le veline Stefani sono ora molto risibili. La polemica con i figli di Capraro (ma io parlo di Caprera, così lo chiamavano ai tempi in cui lo frequentai e se qualcuno lo chiamava Capraro si offendeva persino) mi è stata proprio estorta. Ma sono stato aggredito da una caterva di post con richieste assurde. Peraltro avevo chiamato Gino Caprera "fascistissimo" per commemorarlo e credo che sia stato solo io a farlo. Alla famiglia è venuta ora voglia di non solo contestarmi (ne aveva pieno diritto), ma di dileggiare la mia peraltro dichiarata vecchissima età. Io oltretutto sono un libertario e faccio quello che faccio per mio esclusivo diletto e ad anonimi come lei faccio pernacchie culturali di vero gusto. Posso io parlare di un fatto storico come il bacio del duce che apprendo solo stasera, ammesso che sia vero? Se sapessi le sue generalità signor anonimo sai che cortile che farei ai suoi danni perché sappia che sono trent'anni che cerco e trovo e per ogni presuntuoso e incivile che dovesse importunarmi ho pane per i miei denti sino all'ennesima generazione. Io se non faccio polemiche mi annoio e siccome non tendo ad altro che ad evitare ritorni depressivi sappia che continuerò a far polemiche. Non so poi nella sua albagia cosa intende per "dati storici obiettivamente avvenuti". Certo ho tutta la documentazione delle cosiddette colonie elioterapiche. Sia maschili che femminili. Che gran goduria che facevate voi grandi fascisti, no? Debbo fare ammenda con la famiglia Craparo. In effetti nelle carte Di Marco mi trovo due non Caprera ma due Capraro: Carmelo e Giuseppe. Come da costoro sia venuto fuori il bravo regista GINO Caprera del 1950 non so e non so manco se vi è vera discendenza. Io ho conosciuto, ammirato e applaudito il regista GINO CAPRERA come annunciavamo nelle locandine sia pure sagrestane. Ma una cosa è certa non me ne preoccupo. Aggiungo he persino provavo timore riverenziale verso il signor regista Gino Caprera (ma avevo solo sedici anni). Si intende che verso di lei signor coraggiosissimo anonimo non ho alcun timore riverenziale e dei suoi appunti o ordini me ne sbatto altamente.

Lillo Taverna ha detto...

Debbo di sicuro chiedere scusa ai figli del signor GINO CAPRARA per essermi lasciato andare. Già ho fatto gli elogi e una commossa commemorazione al tempo della dipartita del signor Gino. Mi era persino sembrato che la famiglia avesse apprezzato. Quanto all'epiteto di "fascistissimo" come si vede dall'insolente post che ho pubblicato per sbeffeggiarne il nostalgico ANONIMO autore, diciamo che è (e sicuramente era) un omaggio alla fede politica cui almeno sino a quando non lasciai Racalmuto era luogo comune. Gino Caprara fu personaggio noto ed apprezzato a Racalmuto. Per tesserne le lodi dovevo chiedere il permesso alla famiglia? Mi è sembrato un atto ostile (che credevo e credo immeritato). Quanto al figlio del signor Gino, vengo ora a sapere che pare che sia persino sacerdote, quindi buon conoscitore del latino ed altro. Una piccola ammenda dovrebbe farla: non si dileggia nessuno per il suo eccessivo carico di anni. Ed io - ormai ben noto a Racalmuto - sono tipo collerico e dalla penna salace. Non è molto igienico provocarmi. Infatti non ricevo tanti commenti, figuriamoci poi se anonimi. Se il figlio del signor Gino mi vuol "perdonare" (ma fuori dal confessionale, essendo non credente in toto) farò la penitenza che mi dovesse infliggere: non certo un qualche pater o ave.