mercoledì 17 luglio 2013

Ciliu, cilii e cilia a Racalmuto

Ciliu s.m. in dialetto racalmutese che non sempre coincide con il dialetto (lingua) ufficiale; cilii al plurale. Consulto il Traina per avere lumi e mi trovo questo bel detto: cilia nella frase PURTARI CILIU, essere eccellente nel suo genere. Forse da CILIU: cero, come si direbbe: portar la palma. Questo plurale neutro ci piace. Ma tutto qui; il cercare nel latino classico ci disorienta ancor più: dovremmo aggrapparci a ciglia et similia; decisamente improbabile. Il Traina ci ripaga dandoci una buona definizione del racalmutese ciliu: macchina trionfale sacra portatile .Eco troviamo in Sciascia che - come abbiamo già riferito - accenna al cilio senza nominarlo quale "macchina alta cinque metri".
Cruccio, studio, ricerca e solenne pronunciamento invece nello storico locale Tinebra Martonara che ebbe plauso e affidabilità dallo stesso Sciascia.
"Molte volte - premette il Tinebra - mi è stato domandato quale sia l'origine dei cilii, che sogliono portarsi in processione nel sabato della festa del Monte". Astutamente si ripara nel latino, lui che era bravino nella lingua di Cicerone per sancire che "originariamente si chiamò cero (cereus) un grosso cero, posto su piedistallo, e tenuto in posto da sostegni di legno più o meno artisticamente lavorati, il quale, acceso, soleva portarsi dietro l'immagine del Santo, nella ricorrenza della festa. [...]Nel nostro  ... vediamo ancora la traccia del cereo, che è stato soppiantato da un lungo  cilindro di legno, che sorge al di sopra".
Ci pare un classico  post hoc propter hoc. Traligna il Tinebra quando con sussiego si mette a citare il Gregorio. Gregorio, questo grande paleografo della storia di Sicilia finito in antipatia - e non so perché - al nostro Sciascia nel Consiglio d'Egitto, parla sì di cereus datato1355 ma è ben chiaro che si trattava di quel gravoso onere tributario ecclesiastico che si corrispondeva già nel' tredicesimo secolo ad Agrigentum per la festa di S. Gerlando (vedere le "più antiche carte" del Collura).
Lo storico locale, quanto fondatamente tendo a mettere in dubbio, è sicuro "essere il cereo sola prerogativa dei borgesi. Essi solo potevano costruirlo, adornarlo e portarlo in processione nel dì della festa".  Meno certo, soggiunge: "con ogni probabilità, fra noi quest'uso fu introdotto alla festa del Monte, ma in Sicilia era invalso sin dal principio del secolo XIV".  
Non ne siamo per niente convinti, un modo disinvolto di far storia locale. Il Tinebra (il doppio cognome TINEBRA-MARTORANA,  fu accondiscendenza spagnoleggiante tardiva del Nostro che al suo aggiunse il cognome della madre), diviene per Sciascia, già nelle PARROCCHIE, "antico cronista". Indubitabile, nel 1956, piano piano scema di affidabilità storica nel grande scrittore racalmutese, ma non scemano la simpatia  e la preferibilità rispetto a grossi volumi storici su Racalmuto apparsi nel frattempo. Rifiutati da Sciascia.
Se non storico di molta attendibilità, cronista del suo tempo, la fine del XIX secolo, lo fu. Ne rimarchiamo qui i punti salienti di quella sua cronaca sulla festa del Monte.
"I giovani borghesi di Racalmuto, sin da molto tempo addietro, ne hanno costruito uno (di cilii), che è il più elegante, va intorno ricco di fregi, e oro, e banderuole multicolori; è assai grato a vedersi.
"Ogni anno è fatto segno a calorose dispute e forma l'unica attrattiva di questa cerimonia. E' detto degli schietti, ossia dei giovani che sono andati a nozze. Il cilio si ferma in mezzo alla piazza, i giovani più arditi e più ricchi si contendono l'onore di impadronirsi di una fra quelle banderuole; spesso ne vien fuori una baruffa, e gran furia di calci, ed un precipitoso menar di pugna corona l'opera." 
Questo attorno al 1897. Scoppia la guerra del '40; non c'è festa sino al 1945. Dopo la festa riprende ma non è più quella di prima. Sciascia ci lascia testimonianza di come si era evoluta (o involuta) la festa. Succulento episodio: "L'anno scorso la lotta per la bandiera, trascinandosi risentimenti elettorali, si annunciava cruenta; allora un borgese di rispetto, un anziano, intervenne ai primi colpi, era scapolo, dichiarò che la bandiera la voleva lui. Accadde una cosa mai vista, tutti in tripudiante accordo i giovani borgesi sollevarono l'uomo di rispetto, per età e corpulenza non ce la faceva, lo issarono sudando fino alla bandiera."
Mentre trascriviamo un feroce sospetto ci assale: va a finire che gli intellettuali dell'antimafia racalmutesi -  a corto di argomenti - passarono questa notizia alla ministra, per ottenere il provvedimento di messa in commissariamento del comune per induzione all'attività malavitoso da parte di picciotti mafiosi locali.
 

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