venerdì 21 giugno 2013

Le reticenti astuzie di un impolitico Sciascia.

Un laudator instancabile di Leonardo Sciascia ha voglia di controbattere critiche di sinistra contro il nostro immenso paesano che sfigurerebbe a fronte di Paolini.
Qualche lemmo ironico, qualche citazione erudita, qualche frusto luogo comune e il gioco sembra fatto.
Ora Sciascia, si sa, grande calligrafo letterario di fine Novecento, mediocre narratore, ondivago politico, nefasto microstorico, per mia fortuna non passerà alla storia per avere consentito (invero non la voleva) una Fondazione a suo nome affidata ad un professorino precario (oggi titolare di cattedra dedito al cuore cavo della figlia) e due generi di cui uno è però passato ad altre più giovanili nozze. Ma quella fondazione succhia anche la mia indebitamente triplicata imposta IMU.
Torno a leggere divertito questo stralcio dalle Parrocchie di Regalpetra, vangelo ormai per i catecumeni letterari del paese del sale e dello zolfo.
"Parla per il PLI Vittorio Marzotto, alle undici di sera, il corso quasi deserto e intorno al pacchetto dell'oratore, circa duecento persone, gente che è rimasta in piazza a questa insolita ora per il piacere di sentire l'uomo dei vestiti e delle corse automobilistiche.
Il discorso di Marzotto è in chiave melanconica, la malinconia di chi in  casa propria sa bene amministrare e vede il vicino, imprevidente ed euforico, andare in dissesto. La gente vede dietro di lui, dietro la garbata critica di buon capo d'azienda, il continente ordinato e pulito, le buone strade, il ballo domenicale, le ragazze in bicicletta, i treni che non conoscono le morte gore delle stazioni, la sirena della fabbrica  e la serenità luminosa della casa: il mito del continente, per questi poveri lavoratori del sud. Qualche galantuomo, più aggiornato, vede in Marzotto il campione dell'anticomunismo illuminato, l'uomo che dà la giusta mercede e il gioco del calcio,"

Questo singolare spunto politico è passato liscio liscio per i tanti dotti e francesizzanti ermeneutici di tutti i succhi gastrici culturali del nostro sommo Leonardo.
Anch'io forse ci sarei cascato se non fossi stato discreto amico di un uomo grintoso e spinoso com'era Peppi Delfino. Fu Peppi Delfino a darmi una fotocopia del primo libro di Sciascia FAVOLE DELLA DITTATURA con dedica tutta per lui. Parlavamo ben volentieri insieme naturalmente in totale disaccordo. Posso dire che fu sempre socialista ma di volta in volta irato nume contro un caporione socialista che aveva prima indicatomi come il massimo della sapienza e onestà di quel glorioso quanto accomodante partito.
Mi racconta: eravamo nel quarant'otto. Mons. Cippico, i comitati civici, la Virtus di padri ccippiettu, Dinu Casucciu e Geniu Missana, da una parte. Cavallo alato, rissa tra Carminu Burruano e padri Decimo per fatto di femmina, lu diavulo zuppiddru e soprattutto quegli schifosi di comunisti con un sedicente vittima del fascismo a nome Ruguardu Romanu e qualchi buon socialista alla Graziu Chiovu. Insomma tutta gente dell'epoca. Noi intellettuali attornu a Nardu Sciascia. Di sinistra insomma. Per il Blocco del Popolo. Elezioni del quarant'otto: bastonata solenne. Mi rivolgo - mi dice Peppi delfino - a Nardu; appena lu viiu ca scinni al lu curculo, mi avvicino per condividere la mia rabbia per il disastro elettorale, Nardu mi guarda e con quel suo enigmatico mezzo sorriso  staccando molto le parole mi fa .. ma iu pi li liberali ho votato. Mi piacì assa Vittorio Marzotto.



 

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