venerdì 24 maggio 2013

Terza lettera a Patrizia


 

Lettera terza patrizia

 

Ma bando alle querimonie soggettive, rievocative, virulente, invocative, permalose, invettive: le rimembranze di un vecchio sono astiose, riprovevoli, volte all’oblio; che cosa posson dire? Dare la cifra di un fallimento esistenziale, che tale è per ogni essere vivente la senescenza. Dopo il gaudioso inferno della giovinezza e della maturità, ecco arrivare l’angoscioso declino della decadenza, simile ad un purgatorio a tempo determinato; e si arriva quindi al paradiso eterno, alla morte sotterra senza più luce, senza più amore, senza più piacere, ed anche senza più dolore, senza più rimpianti, senza più nulla. Chi afferma il contrario, ci dia la prova. Come lo santificheremmo? Lo divinizzeremmo persino: qualcuno scrisse ego sum via, et veritas, et vita. Quanto a supponenza ve n’è di più di quella di una donna in euforia creativa. Era l’apocalittico Giovanni che sembra averlo trascritto. Ma il dicitore triplicemente possente nulla seppe rispondere ad un Pilato, superbo romano, che irridendo chiedeva la mensura della veritas. 

Patrizia Di Poce vive il 1990 (non so quanti anni avesse, non molti comunque) in esplosione vitale: non pù vagiti, non più pueriltà cromatiche, ed anche se riluttante agli onirici futurismi altrui, esplode cromaticamente. Perché? Guardate questa tela:

 

Non ha titolo, non ha figure esplicite; la gamma dei  colori resta ancora parca, il simbolismo è ambiguo, il bianco (segno del puro?) latita; il rosso (sanguis redemptionis? O luxuria? De sesto? De nono?) avvolge, penetra, dilata; un umiliato giallino (lo scialbo annuire del maschio? O il lucore dell’opaco vivere il quotidiano?)  non penetra, se penetra muta in divampante rosso. Tanti i cerchi, le corone circolari, grecamente abbiamo peristili, cripte di ipogeica vita, orgoglio dell’efebeia gunaichea. Il bitorzolo si fa rosso per sua forza o per inondazione di chi domina, all’inverso della convenzione? Ambiguità, ambiguità. Ambiguità, ma solo per chi legge, per chi osa assidersi nell’accidia curiosa. Di là c’è la vita, la gioia, la forza creativa. Senza pudori, altezzosamente. Se la pittura è un dialogo tra un segreto che solo l’artista conosce e la sottomessa petulanza di chi osserva, quel dialogo c’è tutto nella tela della Di Poce, che giammai dipanerà il mistero di tale  sognante ambiguità.

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