martedì 12 febbraio 2013

Un esordio per un testo già pubblicato


Racalmuto e le sue vicende storiche

di Calogero Taverna

 

Una nota a mo’ di premessa

 

Questa vuol essere una storia veridica su Racalmuto, una storia che presuppone ma non esplicita l’enorme quantità di documenti consultati presso i vari archivi di Roma, Palermo Agrigento e Racalmuto, per non parlare della marea di letture più o meno storiche che attengono a questo paese dell’agrigentino. Il risultato è stravolgente di ciò che agli occhi di chi scrive sa ormai di stucchevole mistificazione, di aporie letterarie, di voglie che traducono il desiderio di eventi memorabili in  indubitabili realtà storiche. Abbiamo così miti di monaci dal “tenace concetto”, di preti in decrepita età presi da “alumbramiento” erotico, di frati omicidi, di fantasiosi eroi saraceni, di allocazione delle misere casupole racalmutesi in presunte località amene, di frati omicidi, di contesse in foia erotica, di pittori sublimi e di medici d’alta scienza e via discorrendo.

A proposito dei Del Carretto, abbiamo già scritto e qui ripetiamo:

Forse risponde al vero che un tale Antonino del Carretto, un avventuriero ligure, ebbe a circuire la giovane Costanza Chiaramonte e farsi da costei sposare - lui vecchio e prossimo a morire - spendendo l’altisonante titolo di marchese di Finale e di Savona negli anni di esordio del turbolento secolo XIII. Forse davvero Costanza Chiaramonte, figlia primogenita del rampante cadetto Federico II Chiaramonte, era bella, anzi bellissima - secondo quel che la pretesca fantasia del pruriginoso Inveges ci ha propinato in un libro secentesco, dal fuorviante titolo Cartagine Siciliana. Forse davvero il matrimonio fu fecondato dalla nascita di un ennesimo Antonino del Carretto. Forse è attendibile che - non tanto la baronia di Racalmuto, di sicuro inesistente a quel tempo - ma almeno fertili lembi di terra alla Menta, a Garamoli, al Roveto furono assegnati in dote come beni “burgensatici” da Federico II Chiaramonte a codesto nipotino, mezzo siculo e mezzo ligure. Il solito Inveges lo attesta: ma era un falsario come il grande storico Illuminato Peri ampiamente dimostra.

Di questi oscuri esordi della signoria dei Del Carretto su Racalmuto, quel che di certo abbiamo è un processo d’investitura - la cui datazione sicura deve farsi risalire al 1400 - che solo negli anni novanta del secolo scorso chi scrive ha avuto il destro di riesumare dai polverosi archivi di Stato di Palermo per un’ostica ma illuminante lettura.

 Ma in quell’investitura, scopo, intento, occorrenza ed altro sono talmente trasparenti e svelano in modo così esplicito la voglia di accreditare titoli nobiliari dinanzi gli Aragonesi che resta particolarmente ostico travalicare i limiti di una fioca credibilità a quel vantare ascendenze altisonanti: difficile credere a quanto vi si afferma nei confronti di Giovanni, figlio del cadetto Matteo del Carretto; traluce invece una realtà ove si scorge la rapacità di codesti esattori delle imposte dei Martino, quei Martino che risultano più che altro gli avventurieri dell’ “avara povertà di Catalogna” che piombarono sull’imbelle Sicilia allo spirare del XIII secolo.

A noi - racalmutesi - quegli intrighi matrimoniali esattoriali predatori e via discorrendo interessano perché sono la nostra storia, quella vera e non quella oleografica che dal Tinebra Martorana ai vari storici locali, non escluso Leonardo Sciascia, sembra deliziare i nostri compaesani e deliziarli tanto maggiormente quanto più cervellotico è il costrutto fantasioso.

Noi abbiamo speso tempo e denaro per raccogliere presso gli archivi di Palermo la documentazione veridica sui del Carretto. Quella documentazione più vetusta ed originale - la documentazione dei processi d’investitura - venne riprodotta in un CD-ROM interattivo cui si rinvia. Carta canta e villan dorme: non si può fantasticare quando ostici diplomi vengono - ed è arduo - disvelati. Addio del Carretto alle prese con vergini violate prima di passare a giuste nozze per un inesistente ius primae noctis; addio servi fedifraghi strumenti di uxororicidi a comando di principesche padrone dalle propensioni all’adulterio irridente con i propri giovani stallieri; addio frati omicidi; addio preti in “alumbramiento”; addio terraggi e terraggioli vessatori; addio secrete ove innumeri villici sparivano e morivano come cani. Addio storielle che Tinebra e Messana ci hanno fatto credere come verità inoppugnabili. Addio moralismo di bassa lega.

Un quadro - ora inquietante, ora banalmente normale, ora esplicativo, ora feudalmente complesso - affiora con tasselli variamente policromi a testimoniare una vita a Racalmuto sotto il dominio, consueto per l’epoca, dei baroni del Carretto: costoro verso la fine del Cinquecento - dopo un paio di secoli di egemonia (a dire il vero spesso illuminata) - hanno voglia di farsi attribuire un’arma ancor più prestigiosa, di farsi nominare conti di Racalmuto; mancano però l’obiettivo e non riescono a farsi riconoscere il titolo di marchese che fasullamente in esordio della loro signoria su Racalmuto avevano contrabbandato. 

Certo se Eugenio Napoleone Messana aveva in qualcuno fatto sorgere un familiare orgoglio per un nobile matrimonio tra Scipione Savatteri ed un’improbabile figlia dei del Carretto, la documentazione che abbiamo pubblicato ne spazza via ogni briciola di attendibilità.  E quel che si scrive su data e struttura del castello chiaramontano svanisce miseramente, come diviene commiserevole ogni sicumera sulle origini storiche del Castelluccio.
Ma ora uno sguardo ai tempi remoti.

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