venerdì 22 febbraio 2013

Per completezza pubblico la prima parte della lettera a suo tempo inviata ad Angelo De mattia


Carissimo Angelo,

ricevo e commento gli articoli di cui mi hai inviato le fotocopie.

A farti i debiti elogi, più che cosa scontata, diviene impari eloquio. Non ti scopro certo io: sei di razza superiore e poi rappresenti il meglio della cultura Bankitalia, che di per sé è il meglio che c’è (ma ho voglia di dire: c’è stato) nel settore.

Nel 1960, quando in quel febbraio misi piede nella filiale di Modena, c’era Menichella, che nel suo intimo sarà stato quel pozzo di scienza che tutti dicevano, ma aveva ridotto il personale BI ad un’accolta di austeri cassieri in frack di crassa ignoranza e tutto si riduceva a gestire la distribuzione del contante o il pagamento della congrua ai preti con soldi del Fondo Culto ed altre diavolerie della tesoreria provinciale (che per due anni mi martorizzò, sotto un bolso capufficio che ogni sera dovevo accompagnare a casa). E ometto qualche altra cosa, ma non di estrema importanza. Venne Carli e tutto rivoluzionò, sviluppò, aristocratizzò, in primis il servizio studi, in secundis la consulenza legale. L’ispettorato Vigilanza languì ancora per più di un decennio, anche perché non molto gradito al principe del San Sebastianino.

Intrusioni di emergenti e sommergenti fatti personali, per dirti che sono rimasto basito per lo stile e l’eleganza con cui seppellisci il “soft touch” che ti confido non so che cosa sia. Colpa della mia vecchiaia e della mia scarsa incultura in materia di moderna ingegneria istituzionale creditizia extra moenia.

Non colgo appieno la interrelazione tra i vari passaggi del tuo dire e come si attagli alla vicenda giornalistica che tu perentoriamente dichiari chiusa nel tuo riquadro aggiuntivo.

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